Perché intitolare la scuola primaria di via Genova a Ferdinando II di

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Perché intitolare la scuola primaria di via Genova a Ferdinando II di
Perché intitolare la scuola primaria di via Genova a Ferdinando II di
Borbone - Re delle Due Sicilie dal 1830 al 1859?
Lo scrittore Milan Kundera nell’opera Il libro del riso e dell'oblio ha scritto:
“Per annientare i popoli si comincia con il privarli della memoria. Si distruggono i loro libri, la
loro cultura, la loro storia, i loro simboli, la loro bandiera. E qualcun altro scrive per loro altri
libri, li fornisce di un'altra cultura, inventa per loro un'altra storia, impone altri simboli ed
un'altra bandiera. Dopodiché il popolo incomincia lentamente a dimenticare quello che è stato.Fino a quando la memoria storica non viene risvegliata. "
Dopo circa un quinquennio di studi condotti sulle origini dei palazzi e musei borbonici
più noti della Campania (la Reggia di Caserta, la Colonia di San Leucio, la Reggia di Capodimonte, la Reggia di Portici, il Museo archeologico nazionale di Napoli, il Palazzo reale di Napoli) e sulla storia dei re Borbone di Napoli sono giunto alla conclusione che i Borbone non furono tiranni, come la storiografia risorgimentale vuol farci credere, ma furono ottimi governanti attenti ai bisogni del popolo e che, per dirla con le parole del piemontese Cesare Bertoletti, sono state dette e scritte “ignobili e malevoli calunnie durate più di un secolo a carico dei meridionali e balle sciocche e in malafede cantate in coro a favore dei settentrionali. E come egli ha affermato, è dovere di ogni italiano di rendersi finalmente conto che sia ormai giunta l'ora di rendere
giustizia ed onore a chi, giustizia e onore, merita in larga misura”.
Ferdinando II (1810-1859) fu il Re di Napoli più amato dai suoi sudditi ed è per tale
ragione che a tutt'oggi resta il sovrano più calunniato della storia, perché la storia fu scritta da
coloro che nel 1860 rubarono il Regno a suo figlio Francesco II e glielo portarono via con
l’inganno, il tradimento, la calunnia, la corruzione dei funzionari e degli ufficiali borbonici,
della marina e dell'esercito, con la forza delle stragi e delle fucilazioni dei contadini. E' chiaro
dunque che un tale atto poteva essere giustificato solo, da parte dei vincitori (i Savoia), con
menzogne e calunnie verso la famiglia dei Borbone delle Due Sicilie. Per fornire una parvenza
di giustificazione storica all'assalto vandalico, alla guerra non dichiarata, all’aggressione non
giustificata del pacifico, ricco, legittimo e sette volte secolare Regno delle Due Sicilie occorreva
ingannare il popolo delle Due Sicilie e infangare la memoria del suo migliore rappresentante,
Ferdinando II. Di fatto il giovane Francesco II, salito al trono alla morte del padre il 22 maggio
1859, non restò al governo del Paese che poco più di un anno, fino al 14 febbraio 1861 con la
resa di Gaeta.
Tutto era stato studiato nei mini particolari dalla regia di Cavour e del suo “socio” segreto La
Farina. Tutto era stato programmato e concordato con gli Inglesi e i Francesi, che finsero di
non sapere nulla delle mire che il Piemonte aveva sull'Italia intera e sul Regno delle Due Sicilie.
Garibaldi fu un attore inconsapevole del progetto Cavouriano e delle mire espansionistiche del Piemonte, sull’orlo del fallimento economico, o forse ne era ben consapevole?
Si dice che egli abbia detto “Bixio, qui o si fa l’Italia o si muore” ma di certo è che Cavour così
descrisse la pensosa situazione finanziaria del regno sardo, in un intervento alla Camera, il
primo luglio 1850, quando ancora non era ministro :
“Io so quant’altri che, continuando nella via che abbiamo seguito da due anni, noi andremo difilati al fallimento, e che continuando ad aumentare le gravezze (le imposte), dopo pochissimi anni saremo
nell’impossibilità di contrarre nuovi prestiti e di soddisfare agli antichi”.
Pier Carlo Boggio, mandando alle stampe nell’aprile del 1859 il pamphlet Fra un mese,
scrisse: “La pace ora significherebbe per il Piemonte la riazione e la bancarotta”. ...Ma se la guerra non
scoppia per il Piemonte è la fine: è la bancarotta. Se la guerra non scoppia e la conquista degli stati italiani non avviene, il Risorgimento va in frantumi e trascina con sé nella rovina il Regno di Sardegna
che su quel mito ha costruito la propria identità”. (Angela Pellicciari in “Il sud era ricco prima di diventare Italia”)
Ferdinando II fu il sovrano più amato dal suo popolo, ma i suoi calunniatori presentarono il suo governo come "la negazione di Dio" e da allora tutti i libri di storia hanno continuato a ripetere le stesse calunnie. Per confutare le accuse antiche e recenti e descrivere la vera
personalità e il reale operato di Ferdinando II ecco il pensiero di alcuni fra i più noti storici del
Risorgimento non di parte.
Il prof. Massimo Viglione1 ha così descritto la fama, che circondava Ferdinando II fra i suoi
sudditi.
“Egli sempre si preoccupò di alleviare le sofferenze delle sue popolazioni quando venivano
colpite da terremoti, epidemie, andando di persona sul luogo, e spesso era presente in Sicilia
per risolvere direttamente gli immancabili problemi con le difficili popolazioni locali” (perfino
Luigi Blanch riconosce l'attaccamento delle popolazioni al sovrano e Niccolò Tommaseo lo
descrisse come il migliore dei Principi italiani). Nei suoi viaggi viveva con i sudditi, faceva da
testimone ai lori matrimoni e battesimi, lasciava loro denaro, ecc. Insomma, amava presentarsi
come il Padre del suo popolo, che per lui era la sua famiglia.
Commenta il prof. Angelantonio Spagnoletti:
«La calunnia sembrava accompagnare costantemente la vita e l'operato di Ferdinando II; ciò nonostante quella che gli ambienti filoborbonici costruivano era l'immagine di un sovrano virtuoso e leale,
che aveva mantenuto in sé il valore, la clemenza e la religione dei suoi avi, aveva evitato il coinvolgimento del regno nei moti del 1830-'31 e, con quello, pericolose interferenze straniere, aveva difeso l'onore nazionale nella questione degli zolfi e, per questo, aveva dalla sua l'intero popolo napoletano che
era quasi "immedesimato" nei pensieri del suo re». (Storia del Regno delle Due Sicilie, 1997, p. 88)
Carlo Alianello, riguardo le riforme e le innovazioni di Ferdinando II, ha scritto:
«Volle strade, volle porti, volle bonifiche, ospizi e banche; poco sopportava una borghesia saccente e
rapace, la cosiddetta borghesia dotta, i "galantuomini". Cercò piuttosto di creare una borghesia che
mirasse al sodo. Non fu fortunato per la ragione che nel Napoletano altra borghesia non esisteva che
quella delle professioni e degli studi, "pennaruli e pagliette", quelli che avevano cacciato suo nonno da
Napoli, legati a fil doppio allo straniero per sole ragioni ideologiche che il Re, come re, non capiva; e
l'avida schiera dei proprietari terrieri».
continua Alianello:
L'Almanacco reale del Regno delle Due Sicilie del 1854, dopo una lunga e particolareggiata lista d'istituti di credito e beneficenza, riporta la seguente nota:
"Si ha, oltre i luoghi pii ecc. ecc., pei domini continentali un totale di 761 di stabilimenti diversi di beneficenza, oltre 1131 monti frumentarii, ed oltre de' monti pecuniari, delle casse agrarie e di prestanza
e degli asili infantili" (…) Per sua volontà si badò a costruire strade, che dalle 1505, quante se ne assommavano nel 1828, erano divenute nel 1855 la bellezza di 4587 miglia. E non straduzze da poco..».
Erano l'Amalfitana, la Sorrentina, la Frentana, che fu interrotta per l'arrivo dei "liberatori"; l'hanno
finita solo cento anni dopo. Poi la costiera adriatica, la Sora-Roma, l'Appulo-sannitica, che collegava
1
L’identità ferita. Il Risorgimento come Rivoluzione & la Guerra Civile Italiana, Ares, (2006)
Abruzzi e Capitanata, l'Aquilonia, che collegava Tirreno e Adriatico, la Sannita, da Campobasso a
Termoli.
Francesco Durelli scrisse: «In quattro anni soltanto, dal 1850 al 1854, furono reintegrati nei demani
comunali più di 108.950 moggia di terreni usurpati e divisi in sorte ai bisognosi agricoltori»;
Continua Durelli: «In breve dal '52 al '56, che sono solo quattro anni, furono costruite 76 strade nuove,
di conto regio, provinciale e comunale. Moltissimi i ponti, e fra tutti il ponte sul Garigliano, sospeso a
catene di ferro, che fu il primo di questa foggia in Italia, e tra i primissimi in Europa. Eppoi le bonifiche, l'inalveazione del fiume Pelino, la colmata dei pantani del lago di Salpi, la bonifica delle paludi
campane (…) In 30 anni, la marina a vela raddoppiata, la marina a vapore creata dal nulla, che nel
1855 contava 472 navi, per 108.543 tonnellate, più 6 piroscafi a ruota, 6913 tonnellate di barchi diversi. E le scuole, i collegi nautici, le industrie».
Per capire ancora meglio Ferdinando II, leggiamo quanto scrisse l’irlandese P.K. O'Clery, zuavo pontificio, che parla per esperienza diretta, nella sua celebre opera sul Risorgimento “La
rivoluzione italiana”:
«Per introdurre criteri di economia nelle finanze, Ferdinando ridusse di molto il proprio appannaggio,
abolì diversi uffici inutili e alcune delle prerogative reali. Semplificò le procedure nelle Corti di giustizia, sostituì l'impopolare viceré di Sicilia, nominando suo fratello a tale carica e, allorquando viaggiava per il Regno, proibiva alle municipalità di farvi preparativi costosi per la sua venuta, accettando l'ospitalità di qualche residente, o prendendo dimora nella locanda di un villaggio o in un convento francescano. Non c'è da stupirsi che fosse un sovrano popolare».
Ferdinando II aderì nel 1838 agli accordi franco-britannici contro la tratta dei negri e
nello stesso anno stabilì pene severissime contro i duelli anche per i padrini. Concesse l'aministia per i detenuti per ragioni politiche in Sicilia e grande autonomia giuridica ed amministativa all'isola; seguì inoltre personalmente la lotta alla feudalità. L'economia fu in continua crescita, e grande sviluppo ebbe la marina mercantile.
Angela Pellicciari di recente ha scritto: Nel Regno delle Due Sicilie non si pagano tasse
di successione, tasse sugli atti delle società per azioni e su quelli degli istituti di credito; il debito pubblico è minimo, l'imposta fondiaria lievissima, la Sicilia è esente dalla leva militare,
dall'imposta sul sale e dal monopolio del tabacco; inoltre Ferdinando, come si trova scritto
nella rivista "L'Armonia", ha «stabilito nei maggiori centri della popolazione monti frumentari per
somministrare grano agli agricoltori da seminare e per mantenersi colle loro famiglie, tagliando così
in pari tempo le gambe all'usura».
Giuseppe Paladino nell'Enciclopedia Italiana (Treccani), alla voce Ferdinando II ha scritto:
«Diede impulso a costruzioni di pubblica utilità. La prima ferrovia inaugurata in Italia fu la NapoliPortici (1839). Ad essa seguì nel regno l'altro tronco Napoli-Capua. Sotto Ferdinandi II fu ampliata la
rete telegrafica a sistema elettrico (…) La marineria mercantile a vapore ricevette grande incremento;
nel 1848 aveva il terzo posto per numero e armamento di navi. Una serie di trattati di commercio con
l'Inghilterra, con la Francia, con la Sardegna inaugurarono un sistema illuminato di moderato protezionismo (1841-1845). Le finanze erano amministrate in modo mirabile: il contribuente napoletano pagava meno degli altri italiani…»
Per quanto riguarda l'amministrazione della giustizia, occorre ricordare che dopo la rivoluzione del '48 non furono eseguite nel Regno di Napoli esecuzioni capitali (eccetto quella futura
di Agesilao Milano). Delle 42 comminate dai tribunali, Ferdinando II ne commutò 19 in ergastolo, 11 in 30 anni ai ferri, 12 in pene minori. Negli stessi anni il Re graziò 2713 condannati
per reati politici, e 7181 per reati comuni, mentre dal '48 la statistica criminale nel Napoletano
fu in costante diminuzione (quando si celebrò il processo a Settembrini e Spaventa per aver
fondato la società segreta "Unità italiana", gli osservatori stranieri, seppur nemici dei Borbone,
dovettero ammettere che il processo fu condotto con magistrale correttezza).
Il giornalista francese Charles Garnier ha così descritto la situazione del Regno, nella sua
“Memoria sul Regno delle Due Sicilie” (Parigi, 1866):
«le imposte erano meno gravose di quelle del Piemonte e minori di quelle italiane degli anni postunitari; il credito del governo solido, il debito basso, la coscrizione molto più tollerabile; gran parte delle
entrate erano spese nell'agricoltura e nei lavori pubblici, fra cui si ricordano la prima ferrovia e il
primo telegrafo elettrico in Italia, e anche il primo ponte sospeso e i primi fari diottrici furono attuati
nel Regno; e così il primo battello a vapore. Il commercio era in crescita, fiorenti le manifatture» .
In generale, ai già più che eloquenti giudizi storici finora riportati, si può aggiungere che Ferdinando viaggiò molto per il Regno a visitare ospedali, carceri, campi di lavoro, ecc., al fine di
sovvenire sempre di persona ai reali bisogni dei sudditi. Per risparmiare e poter diminuire le
tasse, oltre a ridurre le spese di Corte e quelle personali, ridusse lo stipendio dei ministri e
stabilì contro la disoccupazione che la stessa persona non potesse ricoprire due cariche pubbliche; molti parchi di caccia reale furono restituiti all'agricoltura; sviluppò l'industria, specie
quella tessile, fece costruire, oltre alle strade ed alle ferrovie prime elencate, porti, cantieri
mercantili, ponti su fiumi, cimiteri fuori dell'abitato, ospedali, conservatori, orfanotrofi, asili
infantili per fanciulli poveri, anche case di ricovero per malati di mente (abolì di fatto l'accattonaggio), case per fanciulle, carceri moderni e istituti per sordo-muti; curò la cultura fondando cattedre, aprì biblioteche, convitti, educandati, orti agrari e scuole gratuite; bonificò le terre
delle paludi sipontine e l'isola di S. Stefano di fronte a Gaeta e introdusse nuove coltivazioni
nel Regno; fondò istituti per incoraggiare l'intrapresa economica premiando con medaglie i
migliori; ad ogni occasione (matrimoni reali, feste particolari, ecc.) elargiva donazioni per poveri e doti di matrimonio per fanciulle bisognose; quando vi erano epidemie di colera andava
di persona negli ospedali, e così faceva anche quando vi erano terremoti e disastri naturali,
soccorrendo materialmente i derelitti; d'altro canto rafforzò anche l'esercito e la marina militare, che divenne una delle prime in Europa.
Ferdinando II fu dunque la massima e più completa espressione di quel riformismo politico e sociale, inaugurato dal suo bisnonno Carlo III, che caratterizzò sempre la Real Casa di
Borbone delle Due Sicilie. Egli fu un re moderno, un imprenditore e un politico attento ai bisogni del suo popolo.
(Dir.scol. Vincenzo Giannone)