Avvento 3a domenica

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Avvento 3a domenica
III Scheda Avvento
VIGILANZA
Le parole dell'assenza
« Vegliate, perché non sapete in quale giorno
il Signore vostro verrà » (Mt 24,42).
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Come sentinelle
Al calar delle tenebre, l’uomo si abbandona progressivamente all’abbraccio del sonno
ristoratore. La notte è fatta per dormire. Ma ci sono categorie di persone per le quali la notte
significa veglia, rinuncia al sonno per impegni lavorativi: dove la produzione non deve subire
arresti, dove la sofferenza invoca una continua assistenza, dove il timore dei nemici o dei ladri
impone uno stato di all’erta, dove tristemente qualcuno vende il proprio corpo. E ci sono anche
momenti, entrati prepotentemente nel costume generale, in cui la notte può diventare spazio di
trasgressione o di esplosione della follia collettiva: si pensi ai « veglioni » di san Silvestro o di
carnevale. Ma vegliare, cioè rinunciare al sonno della notte, è una forzatura, non è naturale.
Perché allora i credenti sono esortati a vegliare? Il vocabolario della vigilanza entra nel
linguaggio cristiano in senso metaforico. La comunità cristiana, come una sentinella, deve stare
all’erta e non lasciarsi prendere dal torpore, per essere pronta a cogliere una venuta
imprevedibile: il Signore verrà come un ladro notturno (Mt 24,43: I Dom. A), senza preavviso.
Bisogna vigilare per la singolarità della condizione cristiana che è un vivere nella notte senza
essere della notte:
« Noi non siamo della notte, né delle tenebre.
Non dormiamo dunque come gli altri,
ma restiamo svegli e siamo sobrii » (1 Ts 5,5-6).
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Vegliare, atteggiamento permanente
Il tempo di Avvento è paradigma di ciò che la vita cristiana deve essere sempre: un’attesa
vigilante di Colui-che-viene (cf pref. I). L’ora imprevedibile dell’arrivo del Signore può lasciar
pericolosamente insinuare il torpore della falsa sicurezza, l’insediamento tranquillo:
«... come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e
marito, fino a quando Noè entrò nell’arca, e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e
inghiottì tutti, così sarà anche alla venuta del Figlio dell’uomo... Vegliate dunque, perché non
sapete in quale giorno il Signore vostro verrà » (Mt 24,38-42: I Dom. A; cf Lc 21,34-36: I
Dom. C).
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Vigilare
- è vivere con pienezza il presente senza assolutizzare nulla, dando ad ogni cosa la consistenza
che merita: « Insegnaci a valutare con sapienza i beni della terra » (or. dopo la comunione: II
Dom.);
- è mantenere, come i nomadi, il senso della provvisorietà (cf or. dopo la comunione: I Dom.).
Questo ci permette di avere occhi limpidi e cuore libero per poter intravedere e incontrarci col
Signore e le sue intenzioni, avvertire il suo passaggio attraverso persone e avvenimenti della
vita feriale, pronti ad aprire la porta al Signore che bussa con discrezione:
« ... quando egli verrà e busserà alla porta
ci trovi vigilanti nella preghiera
ed esultanti nella lode » (Colletta: lun. I sett.).
L’atteggiamento vigilante si manifesta nella preghiera, che è dimissione della propria
autosufficienza, slancio vitale dell’amore, dialogo filiale, espressione di un’esistenza debitrice.
Per questo, sull’esempio di Gesù (Lc 6,12; Mt 14,23; Mc 1,35) e raccogliendo la sua
esortazione (Mc 14,38; Mt 26,41) le veglie di preghiera e le celebrazioni vigiliari sono diventate
espressione dell’atteggiamento vigilante della Chiesa. Essa, come le vergini sagge, alimenta la
sua lampada nell’orazione per presentarsi pronta all’incontro definitivo con lo Sposo.
Il costante riferimento alla parola del Signore, inoltre, impedisce che la vita diventi, come per
le vergini stolte (cf Mt 25,1-13), il tempo delle occasioni perdute. Perciò la liturgia invoca:
« Rafforza, o Signore, la nostra vigilanza
Nel’'attesa del tuo Figlio,
perché illuminati dalla sua parola di salvezza,
andiamo incontro a lui con le lampade accese » (Colletta: ven. II sett.).
Non abbiamo bisogno di indagare sul calendario della storia la data dell’incontro col Signore.
L’avvenire non è un’ora lontana, ma una dimensione del presente: il progetto di Dio matura
dentro il nostro impegno di fedeltà attenta e consapevole.
« L’ultimo giorno sarà composto da tutti i momenti in cui abbiamo accolto Colui-che-viene
nella persona di coloro che le circostanze o la nostra vocazione hanno messo sul nostro
cammino... Minuti perduti nei singoli giorni, minuti di gesti banali o di dedizione senza
retorica, sono questi i minuti escatologici che, uniti insieme, improvvisamente manifesteranno
la venuta di Cristo » (A. M. Besnard).
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Per approfondire
Commento alla Parola di Vita:
Chiara Lubich
“Vegliate, dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora”(Mt 25,13)
Gesù è appena uscito dal tempio. I discepoli gli fanno notare con orgoglio l’imponenza e la
bellezza dell’edificio. E Gesù: «Vedete tutte queste cose? In verità vi dico, non resterà qui
pietra su pietra che non venga diroccata» . Poi sale sul monte degli Ulivi, si siede e, guardando
Gerusalemme che gli è davanti, inizia a parlare della distruzione della città, e della fine del
mondo.
Come avverrà la fine del mondo? – gli domandano i discepoli - e quando arriverà? È una
domanda che anche le successive generazioni cristiane si sono poste, una domanda che si pone
ogni essere umano. Il futuro è infatti misterioso e spesso fa paura. Anche oggi c’è chi interroga
i maghi e indaga l’oroscopo per sapere come sarà il futuro, cosa accadrà…
La risposta di Gesù è limpida: la fine dei tempi coincide con la sua venuta. Lui, Signore della
storia, tornerà. È Lui il punto luminoso del nostro futuro.
E quando avverrà questo incontro? Nessuno lo sa, può avvenire in qualsiasi momento. La nostra
vita è infatti nelle sue mani. Lui ce l’ha data; Lui può riprenderla anche all’improvviso, senza
preavviso. Tuttavia ci avverte: avrete modo d’essere pronti a questo evento se vigilerete.
Vegliate, dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora
Con queste parole Gesù ci ricorda innanzitutto che Lui verrà. La nostra vita sulla terra terminerà
ed inizierà una vita nuova, che non avrà più fine. Nessuno oggi vuole parlare della morte... A
volte si fa di tutto per distrarsi, immergendosi completamente nelle occupazioni quotidiane,
fino a dimenticare Colui che ci ha dato la vita e che ce la richiederà per introdurci nella pienezza
della vita, nella comunione con il Padre suo, nel Paradiso.
Saremo pronti ad incontrarlo? Avremo la lampada accesa, come le vergini prudenti che
attendono lo sposo? Ossia, saremo nell’amore? Oppure la nostra lampada sarà spenta perché,
presi dalle tante cose da fare, dalle gioie effimere, dal possesso dei beni materiali, ci siamo
dimenticati della sola cosa necessaria: amare?
Vegliate, dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora
Ma come vegliare? Innanzitutto, lo sappiamo, veglia bene chi ama. Lo sa la sposa che attende
il marito che ha fatto tardi al lavoro o che deve tornare da un viaggio lontano; lo sa la mamma
che trepida per il figlio che ancora non rincasa; lo sa l’innamorato che non vede l’ora
d’incontrare l’innamorata… Chi ama sa attendere anche quando l’altro tarda.
Si attende Gesù se lo si ama e si desidera ardentemente incontrarlo.
E lo si attende amando concretamente, servendolo ad esempio in chi ci è vicino, o
impegnandosi alla edificazione di una società più giusta. È Gesù stesso che ci invita a vivere
così raccontando la parabola del servo fedele che, aspettando il ritorno del padrone, si prende
cura dei domestici e degli affari della casa; o quella dei servi che, sempre in attesa del ritorno
del padrone, si danno da fare per far fruttificare i talenti ricevuti.
Vegliate, dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora
Proprio perché non sappiamo né il giorno né l’ora della sua venuta, possiamo concentrarci più
facilmente nell’oggi che ci è dato, nell’affanno del giorno, nel presente che la Provvidenza ci
offre da vivere.
Tempo fa mi venne spontaneamente di rivolgere a Dio questa preghiera. Vorrei ora ricordarla:
Gesù,
fammi parlare sempre
come fosse l’ultima
parola che dico.
Fammi agire sempre
come fosse l’ultima
azione che faccio.
Fammi soffrire sempre
come fosse l’ultima
sofferenza che ho da offrirti.
Fammi pregare sempre
come fosse l’ultima
possibilità,
che ho qui in terra,
di colloquiare con Te.
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Per pregare
Ho detto: "Vigilerò sulla mia condotta
per non peccare con la mia lingua;
metterò il morso alla mia bocca
finché ho davanti il malvagio".
Ammutolito, in silenzio,
tacevo, ma a nulla serviva,
e più acuta si faceva la mia sofferenza.
Mi ardeva il cuore nel petto;
al ripensarci è divampato il fuoco.
Allora ho lasciato parlare la mia lingua:
"Fammi conoscere, Signore, la mia fine,
quale sia la misura dei miei giorni,
e saprò quanto fragile io sono".
Ecco, di pochi palmi hai fatto i miei giorni,
è un nulla per te la durata della mia vita.
Sì, è solo un soffio ogni uomo che vive.
Sì, è come un'ombra l'uomo che passa.
Sì, come un soffio si affanna,
accumula e non sa chi raccolga.
Ora, che potrei attendere, Signore?
È in te la mia speranza.
Liberami da tutte le mie iniquità,
non fare di me lo scherno dello stolto.
Ammutolito, non apro bocca,
perché sei tu che agisci.
Allontana da me i tuoi colpi:
sono distrutto sotto il peso della tua mano.
Castigando le sue colpe
tu correggi l'uomo,
corrodi come un tarlo i suoi tesori.
Sì, ogni uomo non è che un soffio.
Ascolta la mia preghiera, Signore,
porgi l'orecchio al mio grido,
non essere sordo alle mie lacrime,
perché presso di te io sono forestiero,
ospite come tutti i miei padri.
Distogli da me il tuo sguardo:
che io possa respirare,
prima che me ne vada
e di me non resti più nulla.