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Sanità, salute e medicina
Un giovane arrampicatore
riacquista la mobilità della mano
e ritorna a scalare
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© Can Stock Photo Inc. / Andres
Tendinite
da arrampicata?
®
Sconfitta con Hilterapia
pubblicità redazionale a cura del dott. Roberto Marchesini (ASA - Hilterapia®)
P
iace perché coinvolge la maggior parte dei muscoli del
corpo, perché permette di sfidare se stessi, offre un
emozionante contatto diretto con la natura e garantisce
esperienze emotive ad alto tasso di adrenalina: l’arrampicata
sportiva, discendente diretta dell’alpinismo classico e dal 1985
disciplina sportiva affiliata al CONI grazie all’istituzione della
FASI (Federazione Arrampicata Sportiva Italiana), rappresenta
l’ultima frontiera dello sport estremo che, con un opportuno
allenamento e la supervisione degli addetti ai lavori, può però
essere affrontato anche dagli amatori della scalata senza ambizioni agonistiche.
Che sia una parete rocciosa, un masso o un pannello artificiale con prese
ed appigli in resina poco importa, per il
fan dell’ascesa ciò che conta è “salire”.
Per raggiungere l’obiettivo la forza fisica da sola però non basta, deve
stringere un patto di collaborazione
con la tecnica, la tattica e l’emotività:
l’aspetto fisico motorio sposa dunque
la componente psicologica, allo scopo
di vincere la partita a scacchi con il rischio. L’arrampicata è infatti uno sport
strutturato che, dovendo fare i conti
con molteplici difficoltà, richiede alte
dosi di concentrazione e abilità di coordinamento ai massimi livelli: scalare implica infatti la capacità
di saper muovere tutto il corpo attraverso il concatenarsi di
una serie di azioni complesse. Approssimativo dunque pensare
che praticarla sia un gioco da ragazzi e che la chance di inciampare in un infortunio sia una rarità.
Una mano dopo l’altra: il rischio della scalata
Sebbene chiamati all’appello nel corso della performance
siano molti muscoli – il bicipite brachiale, il tricipite brachiale,
il brachioradiale e il deltoide posteriore nell’arto superiore, il
gran dorsale, il grande rotondo, il pettorale, gli addominali nel
torace e, nell’arto inferiore, il quadricipite, il tricipite surale e
il bicipite femorale – la protagonista indiscussa della scalata
è però la mano, complice la forte sollecitazione a cui sono
sottoposti i tendini delle dita e i muscoli dell’avambraccio nel
corso della scalata. La possibilità di subire contraccolpi va dunque tenuta in considerazione, tanto che epicondiliti, epitrocleiti, tenosinoviti, contratture muscolari, fino alla rottura della
puleggia, e tendiniti possono talvolta diventare indesiderate
compagne di ascensione.
Lo sa bene un giovane paziente ventisettenne appassionato
di arrampicata sportiva su roccia affidatosi alle cure del Centro
di Riabilitazione Sestese di Sesto Fiorentino (www.c-r-s.org).
Un caso di successo: bye bye tendinite
«Il paziente – spiega Giovanni Matulli, titolare del Centro
di Riabilitazione Sestese – si è presentato con una tendinite
della prima falange prossimale del terzo e quarto dito della mano sinistra, causata da un trauma diretto da stiramento
“
occorso durante un allenamento su roccia. Tra i sintomi registrava non solo dolore e tumefazione alla falange prossimale
delle due dita, ma anche deficit funzionale dei movimenti di
flessione delle stesse dita e di chiusura di tutta la mano contro
resistenza». Un quadro clinico chiaro, in precedenza trattato
da un altro centro con terapie convenzionali senza però trarre beneficio.
Compresa la problematica legata all’“incidente in parete”,
il Centro di Riabilitazione Sestese decide di ricorrere a un
ciclo di sedute di Hilterapia®, così da permettere al paziente
di poter tornare alla propria attività sportiva: dopo cinque sedute di Hilterapia®, abbinate solo ad applicazioni di crioterapia
iperbarica e collocate in un arco temporale di due
settimane a giorni alterni, i risultati si
®
fanno “sentire”.
«La prima settimana il paziente è stato
trattato tre volte, mentre la seconda
settimana solamente due, lasciando un
giorno in più di intervallo fra le sedute.
Contemporaneamente, durante la prima
settimana, al paziente è stato consigliato di non allenarsi, mentre la seconda
settimana si è concordata una ripresa
dell’attività purché molto leggera». Tenendo fede al protocollo consigliato per
la metodologia, il fisioterapista del centro fiorentino, supportato dalla sua lunga
esperienza con l’apparecchiatura, ha però deciso di apportare
alcune modifiche su fluenza e frequenza. «Pur non dovendo utilizzare la fase intermedia, non avendo riscontrato punti trigger,
ho scelto comunque di applicarla unicamente nelle prime due
sedute, con l’obiettivo di tentare di abbassare drasticamente
il dolore, molto acuto e invalidante. Nelle ultime due sedute,
invece, essendo la sintomatologia dolorosa molto ridotta, nel
corso del trattamento ho chiesto al paziente di aprire e chiudere molto lentamente la mano interessata così da abbinare
l’effetto della Hilterapia® alle contrazioni attive dei muscoli interessati». Risultato? Un buon recupero funzionale che ha permesso la ripresa dell’attività sportiva senza difficoltà. «Alla fine
del periodo di trattamento – conclude Matulli – il paziente presentava una valutazione del dolore nulla sulla base alla scala VAS
e il completo recupero della mobilità funzionale della mano:
nessun dolore alla palpazione, allo stiramento o alla flessione
attiva del terzo e quarto dito e alla chiusura della mano anche
contro resistenza. Prima di tornare a regime negli allenamenti, gli è stato però consigliato di procedere per step progressivi, con alcune sessioni leggermente al di sotto del
suo limite massimo, per poi riprendere con i normali
gradi di allenamento la successiva settimana. La
Hilterapia® si è dunque rivelata vincente per
risolvere una patologia come la tendinite,
dimostrandosi efficace per la ripresa in
tempi ridotti dell’attività sportiva».
La Hilterapia si
è dunque rivelata
vincente per risolvere
una patologia come
la tendinite
H
ilterapia
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