borgerhoff mulder

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borgerhoff mulder
Sommario
La ricerca partecipativa, strumento per il volontariato .............................................................. 2
Il metodo scientifico ................................................................................................................. 3
Definizione e scopi della ricerca ............................................................................................... 5
Bisogni sociali: quadrante degli attori ....................................................................................... 6
L'analisi participativa: perché? .................................................................................................. 7
Tipi di ricerca............................................................................................................................. 8
Comparazione fra ricerca quantitativa e qualitativa.................................................................. 9
La ricerca operazionale........................................................................................................... 12
Tecniche e strumenti di raccolta dei dati ................................................................................ 13
L’osservazione partecipante ................................................................................................... 15
L’intervista ............................................................................................................................... 17
Popolazione (o universo) e campione .................................................................................... 18
Guida per la conduzione dei focus groups ............................................................................. 19
Il diagramma di Venn .............................................................................................................. 24
Studi di caso (case studies) .................................................................................................... 25
Studi di valutazione ................................................................................................................. 27
Metodo di classificazione preferenziale .................................................................................. 28
Raccolta dei dati nella ricerca qualitativa e saturazione ......................................................... 31
L’investigazione, fra realtà empirica e simulazione ................................................................ 32
Il triangolo della ricerca qualitativa: descrizione, classificazione, connessione...................... 33
Circolarità dell’approccio qualitativo........................................................................................ 34
Condizionamenti extra-scientifici nella ricerca........................................................................ 35
Controllo dei dati qualitativi: triangolazione ed altre tecniche................................................. 36
Le ipotesi scientifiche.............................................................................................................. 40
Grounded theory: la comparazione costante.......................................................................... 43
Mettere fra parentesi (bracketing)........................................................................................... 43
Quanta teoria preliminare? ..................................................................................................... 44
Fra teoria e osservazioni empiriche: le variabili...................................................................... 44
Prospetto della ricerca ............................................................................................................ 49
Una bibliografia, per cominciare ad approfondire.. ................................................................. 55
LLaa rriicceerrccaa ppaarrtteecciippaattiivvaa,, ssttrruum
meennttoo ppeerr iill vvoolloonnttaarriiaattoo
Nel 2004, alcune associazioni triestine hanno avviato, in collaborazione con il Centro Servizi
Volontariato del Friuli Venezia Giulia e con il Dipartimento di salute mentale di Trieste, una
preziosa esperienza di formazione nel campo della ricerca partecipativa.
Si tratta di un tipo di ricerca largamente utilizzato nell'ambito della cooperazione internazionale e
dei progetti di intervento sociale, perché – lungi dall'essere calata dall'alto in una situazione che
diventa "oggetto di indagine" – la ricerca partecipativa si fonda su (e pone fra i suoi scopi
principali) il diretto coinvolgimento della comunità nelle diverse fasi dello studio. Dalla definizione
degli obiettivi della ricerca alla scelta degli informatori, dalla raccolta dei dati alla loro analisi e alla
presentazione dei risultati, la comunità è chiamata a collaborare con i ricercatori semplicemente
perché quell'indagine non la riguarda solo come "oggetto", ma come soggetto politico che proprio
attraverso la ricerca rafforza la consapevolezza dei propri bisogni, la propria identità di gruppo, la
voglia di esserci in prima persona.
La ricerca partecipativa rappresenta dunque un importante strumento di empowerment e
costituisce, già di per sé, un primo momento di intervento sociale. Al tempo stesso, essa offre al
volontariato numerosi vantaggi: la ricerca aiuta a comprendere meglio una realtà per intervenire
su di essa; permette di verificare la fattibilità di un progetto (molti progetti naufragano a causa
della scarsa attenzione prestata agli ostacoli di natura socio-culturale); consente, infine, di
documentare e valutare il proprio operato.
Dall'esperienza avviata a Trieste, che ha dato poi luogo a vari momenti di ricerca applicata, nasce
l’idea di questo nuovo quaderno di Ciesse Informa: uno strumento didattico, concepito
innanzitutto come supporto per eventuali futuri corsi su questo tema, ma in grado di “funzionare”
anche come testo autonomo, speriamo, per aiutare le associazioni a raccogliere – in modo
corretto e affidabile - le informazioni preliminari necessarie a qualsiasi progetto di intervento
sociale.
Roberto Lionetti
Centro Studi CSV
Sergio Raimondo
Presidente del CSV
2
Dario Mosetti
Direttore del CSV
IIll m
meettooddoo sscciieennttiiffiiccoo
Nella ricerca, l’approccio scientifico non è certo l’unico tipo di orientamento di cui disponiamo:
possiamo immaginare ad esempio percorsi di ricerca individuale, artistica, mistica, e via dicendo.
Ma la ricerca scientifica ha caratteristiche precise, che cercheremo qui di analizzare insieme.
Va ricordato, innanzitutto, che il termine scienza indica un corpo di conoscenze che ha un
oggetto definito e riconosciuto, e un metodo proprio.
Il metodo scientifico è un insieme di regole di pensiero e di comportamento per:
- minimizzare i costi della ricerca (non solo in termini economici, ma anche di energie,
tempo, persone coinvolte, ecc.)
- massimizzarne i benefici
- evitare gli errori
Lo scopo del metodo scientifico è quello di giungere ad una forma di verità o di osservazione
riconosciuta come valida.
In quanto insieme di regole di pensiero e di comportamento, il metodo scientifico fornisce al
ricercatore (e al volontario) gli strumenti per tradurre in azioni le proprie idee. Il metodo scientifico
permette così di raccogliere le informazioni di cui si ha bisogno, di testare le proprie ipotesi e di
produrre un sapere:
- sopra un oggetto identificato in maniera univoca
- valido per tutti i soggetti
- valido in qualsiasi contesto
- attraverso processi identici nel trattamento dell’oggetto
- sistematico
- cumulativo e trasmissibile
- presentabile in un linguaggio universalmente comprensibile
Il risultato finale di un processo scientifico è la produzione di modello, che può essere
descrittivo o teorico.
Intendiamo, con il termine teoria, un insieme di leggi logicamente connesse fra loro. Esistono
ovviamente leggi di tipo deterministico (date le condizioni A e B, si verifica necessariamente
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l’evento X), e leggi di carattere probabilistico (più frequenti, queste ultime, nelle campo delle
scienze umane e sociali). E la dimensione probabilistica implica, a sua volta, il concetto di
margine di errore.
Secondo Popper, la verità è l’ideale perseguito dalla scienza. Noi non abbiamo, tuttavia, criteri
per decidere in maniera definitiva quando una teoria sia vera o falsa. Dobbiamo riconoscere,
anzi, che una teoria può essere più vera di un’altra, e pur tuttavia falsa: ciò che cambia, e che fa
la differenza, è il concetto di verosimilitudine. Partendo dalle osservazioni, dobbiamo tendere al
massimo di verosimilitudine, come approssimazione scientifica alla realtà. In questo percorso,
risulta fondamentale l’adozione di un rigoroso metodo scientifico.
Con il termine più generale di metodologia si fa riferimento ai diversi aspetti e problemi legati
all’applicazione dei metodi scientifici.
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D
Deeffiinniizziioonnee ee ssccooppii ddeellllaa rriicceerrccaa
Definizione di ricerca
Si può definire ricerca qualsiasi tentativo di aumentare le conoscenze disponibili, attraverso lo
spoglio di dati esistenti o la produzione di nuovi dati. La ricerca mira alla scoperta di fatti nuovi, o
relazioni tra fatti, attraverso un metodo sistematico e scientifico. Essa è quindi un modo di
analizzare la realtà, che consente di comprendere meglio un dato fenomeno attraverso la sua
descrizione, analisi e valutazione.
Principali scopi della ricerca
Sono numerosi i vantaggi che la ricerca è in grado di assicurare a chi opera nel campo sociale.
Essa infatti
• offre risposte alle nostre esigenze conoscitive
• permette la verifica di ipotesi
• aiuta a comprendere meglio una realtà per intervenire su di essa
• garantisce la fattibilità di un progetto
• aiuta a prevenire eventuali ostacoli di natura socio-culturale
• aumenta il livello di consapevolezza nelle scelte
• consente un costante aggiornamento
• permette di documentare e valutare il proprio operato
• promuove una sensibilità ai bisogni
Il tema dei bisogni è centrale quando si parla di società civile e delle sue organizzazioni. In
quanto soggetto che offre risposte concrete ai bisogni che emergono e si esprimono nei diversi
ambiti e settori della vita sociale, il volontariato può trovare nello studio dei bisogni un terreno di
ricerca particolarmente utile per elaborare, implementare, verificare e valutare i propri progetti.
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B
Biissooggnnii ssoocciiaallii:: qquuaaddrraannttee ddeeggllii aattttoorrii
Adottando una prospettiva emica (“soggettiva”, “indigena”, interna al gruppo studiato), il volontario
può studiare i bisogni espressi, le risorse disponibili ed i servizi offerti, dal punto di vista dei
beneficiari. Questa prospettiva permette inoltre al volontario di analizzare i diversi tipi di rischio
sociale (isolamento, violenza, sfruttamento sessuale, malattia, stigma, disinformazione ecc.) e di
valutare le possibili risposte, privilegiando ancora una volta il punto di vista locale, soggettivo,
anziché quello istituzionale, oggettivo, supposto come universalmente valido (prospettiva etica).
ISTITUZIONI
approccio etico, maggiore distanza sociale, minore qualità nelle relazioni umane
Pubblico
MERCATO
bisogni,
VOLONTARIATO
rischi, ecc.
privato
approccio emico, minore distanza sociale, maggiore qualità nelle relazioni umane
FAMIGLIA
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LL''aannaalliissii ppaarrttiicciippaattiivvaa:: ppeerrcchhéé??
Per la natura del suo impegno e i valori su cui si fonda, il lavoro del volontario non può
prescindere dall’implicazione di (e dalla stretta collaborazione con) persone e gruppi sociali che
sono “oggetto” del suo intervento.
I progetti partecipativi si prefiggono di aiutare determinati gruppi di popolazione a compiere, con
cognizione di causa, le scelte che permetteranno di assicurare condizioni di vita adeguate a tutti i
membri della comunità.
Grazie al dialogo fra volontari e popolazione, i progetti di ricerca partecipativa aiutano la gente a
decidere quali cambiamenti, innovazioni o interventi possono contribuire a migliorare la loro
situazione. Queste soluzioni saranno tanto più appropriate e durevoli, in quanto basate sull’analisi
dei problemi effettuata dalle persone direttamente interessate, e sulle opinioni da loro espresse.
Il processo di ricerca partecipativa porta la popolazione a individuare le cause dei problemi così
come essa li percepisce. E il volontario deve giocare quindi, in questo processo, un ruolo di
animatore.
Il processo di ricerca partecipativa serve a:
- far prendere coscienza alla comunità e allo stesso agente di sviluppo (volontario, cooperante o
altro operatore sociale) dei problemi che interessano la comunità;
- promuovere la partecipazione dei diversi settori della comunità (in particolare le donne, i poveri,
i giovani);
- fornire gli elementi necessari alla pianificazione delle attività nel campo in cui si è scelto di
intervenire;
- raccogliere dei dati per il sistema di verifica e valutazione;
- contribuire al rafforzamento della comunità.
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TTiippii ddii rriicceerrccaa
APPLICATA
(Ricerca-Azione, Ricerca operazionale,
partecipativa, Valutazione Rapida, ecc.)
SUL CAMPO
DI LABORATORIO
(ricerca condotta in un contesto naturale della
(elevato grado di controllo sul contesto di
vita quotidiana, su cui il ricercatore possiede
ricerca ma basso livello di realismo)
scarso controllo, ma dotato di alto realismo)
NON SPERIMENTALE
SPERIMENTALE
(il fenomeno osservato si produce
(il fenomeno da osservare è prodotto dal
indipendentemente dal ricercatore.
ricercatore stesso. Caratteristiche analoghe
Caratteristiche simili alla ricerca sul campo)
alla ricerca di laboratorio)
ESPLICATIVA
DESCRITTIVA
Si distingue di solito fra descrizione semplice (o correlazionale, in quanto spiega un
(es.: dimensione di un fenomeno) e comples- fenomeno correlando ad esso determinate
variabili, in un rapporto di tipo causale)
sa (descrizione di relazioni fra variabili)
DIACRONICA
SINCRONICA
(ogni ricerca che indaga sullo sviluppo
(ogni ricerca che studia le relazioni fra cose
cronologico degli elementi, anche
viste sull’asse della simultaneità, e il cui
indipendentemente dalle relazioni che li
complesso costituisce un sistema)
legano in sistemi: asse delle successioni)
RETROSPETTIVA
PROSPETTICA
(parte dall’effetto per determinare, risalendo
(determina la causa e segue una popolazione
nel tempo, la causa. Es.: la malattia come
nel tempo per valutarne l’effetto. Es: la
risultato di determinate condizioni sociali)
malattia come causa di aggiustamenti sociali)
TRASVERSALE (o di prevalenza)
LONGITUDINALE (o di incidenza)
(lo studio segue un gruppo di soggetti per un (lo studio esamina i soggetti in un dato momento, per valutare la presenza di un deterdato periodo di tempo, per valutare
minato problema). Metaforicamente parlando,
l’insorgere di un problema)
la prevalenza è come la fotografia di un
fenomeno, mentre l'incidenza è come un film
DI BASE
(o fondamentale)
QUALITATIVA
QUANTITATIVA
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C
Coom
mppaarraazziioonnee ffrraa rriicceerrccaa qquuaannttiittaattiivvaa ee qquuaalliittaattiivvaa
QUANTITATIVA
approccio orizzontale
approccio etico
paradigma deduttivo
misurazione di determinati comportamenti
produce dati generalizzabili ad ampie
popolazioni
produce dati replicabili
produce dati «puliti», «precisi», espressi
perlopiù in forma di scelta limitata fra
alternative di risposta predefinite dal
ricercatore, nel suo linguaggio; la risposta
dell’intervistato può essere data, al limite,
sotto forma di crocetta, sottolineatura,
punteggio da 1 a 10, ecc.
la lista delle domande è limitata e
normalmente definita prima di iniziare la
ricerca (questionario standardizzato); ogni
variazione nel porre le domande viene
percepita come un pericoloso elemento di
soggettività
la dimensione del campione è ampia
QUALITATIVA
approccio verticale
approccio emico
paradigma induttivo
descrizione del contesto e del significato di
determinati comportamenti
produce dati difficilmente generalizzabili
produce dati difficilmente replicabili
produce dati «densi», espressi nel linguaggio
corrente dell’informatore, tutti da interpretare,
con possibili riferimenti a contesti multipli
man mano che la ricerca si sviluppa, nuove
domande sorgono e vengono poste
all’informatore: il ricercatore è libero di
valutare eventuali aggiustamenti e modifiche
dell’intervista; si ritiene che l’uso di una lista
predefinita di domande implichi una
conoscenza preliminare del fenomeno da
studiare, che spesso non esiste. Il ricercatore
è dunque incoraggiato a rivedere il suo
approccio, le sue ipotesi e le sue domande
man mano che egli acquisisce una maggiore
conoscenza dei fenomeni studiati. L’uso di
questionari standardizzati, di conseguenza,
non è incoraggiato
la dimensione del campione è ristretta
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la raccolta dei dati si opera su un’ampia
fascia di popolazione, definita in termini di
confini demografici, geografici o
amministrativi
il campione rappresentativo dell’universo
indagato è generalmente costituito da un
ampio numero di unità sociali
l’ampiezza del campione impone un
approccio più superficiale e mirato
si fa largo uso di dati di archivio, ottenuti
attraverso operazioni di spoglio
non si suppone che i membri del gruppo
oggetto di studio abbiano fra loro altre
relazioni al di là di quelle definite dal
ricercatore (ad es.: sesso, età, appartenenza
etnica, classe sociale, luogo di residenza)
l’ampio numero di informatori utilizzati è
considerato garanzia dell’affidabilità dei dati
la raccolta dei dati si opera in gruppi di
persone relativamente piccoli e generalmente limitati (comunità, villaggi, culture)
il ricercatore sul campo si concentra nello
studio di una singola o comunque di un
numero limitato di unità sociali (famiglie,
gruppi, villaggi) all’interno di una società
ogni unità sociale è studiata in modo
approfondito e dettagliato, con attenzione a
molti aspetti della vita quotidiana
si privilegiano i dati di prima mano, raccolti
sul campo dal ricercatore stesso
grande attenzione è prestata ai rapporti
sociali (di parentela, lavoro, gerarchia, ecc.)
che legano i membri del gruppo oggetto di
studio
lo studio prolungato e approfondito con un
limitato numero di informatori è considerato
garanzia dell’affidabilità dei dati
la ricerca quantitativa permette di ottenere
la ricerca qualitativa permette di ottenere
risultati di grande affidabilità (replicabilità)
risultati di grande validità (precisione)
la ricerca quantitativa è considerata da molti la ricerca qualitativa è considerata più
più controllata, oggettiva, invadente
“naturalistica”, soggettiva, non invadente
la ricerca qualitativa fonda la raccolta dei dati
la ricerca quantitativa fonda la raccolta dei
sull’osservazione partecipante e le interviste
dati su questionari, studi di laboratorio, test
approfondite a informatori-chiave, metodi
carta-e-penna, esperimenti randomizzati,
questi che sono considerati altamente
scale di punteggi, metodi questi che sono
soggettivi
considerati oggettivi
la ricerca quantitativa tende a produrre dati in la ricerca qualitativa tende a produrre dati in
forma numerica
forma di descrizioni narrative
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Ecco qui di seguito un prospetto che pone a confronto ricerca quantitativa e ricerca qualitativa su
un tema specifico: quello dei disturbi psicosociali nel bambino e dell’iperattività in particolare.
Oggetto di studio Ricerca quantitativa
Ricerca qualitativa
Disturbi psicosociali nel Misura quegli indicatori (ad
bambino (esempio:
esempio: attenzione,
iperattività)
controllo degli impulsi,
capacità di completare un
compito intrapreso, ecc.)
che appaiono associati al
disturbo in questione. Il
presupposto è che la
presenza di determinati
valori nella misurazione di
alcuni fattori clinici sia alla
base di una diagnosi
scientifica dell’iperattività o
altro disturbo psicosociale.
Studia i contesti in cui il bambino
manifesta un comportamento
etichettato come iperattività. La
ricerca qualitativa sottolinea come in
una società pluralistica sia importante
prestare attenzione ai diversi modi in
cui gruppi sociali diversi definiscono
ciò che è salute e malattia. Se questo
bisogno è facilmente avvertito dagli
operatori sanitari quando hanno a che
fare con bambini provenienti da
minoranze etniche, l’analisi qualitativa
estende tale approccio alla nostra
stessa società, mostrando come nel
lavoro psicosociale sia importante
riconoscere la coesistenza di differenti
costruzioni sociali di salute e malattia:
il comportamento percepito come
adeguato da determinati gruppi di
persone può essere definito come
patologico dagli operatori sanitari così
come da persone appartenenti ad altri
gruppi sociali. La ricerca qualitativa
mostra come molto di ciò che oggi
viene chiamato disturbo psicosociale
rifletta in realtà solo variazioni
culturalmente determinate di stile di
vita e relazioni sociali
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LLaa rriicceerrccaa ooppeerraazziioonnaallee
TIPO
OBIETTIVO
Raccolta di
informazioni sopra un
problema generale;
Esplorativa
accento sopra i
problemi prioritari
Approfondire la
conoscenza di un
tema specifico,
Tematica
identificato
generalmente a
partire da una ricerca
esplorativa
Implicazione delle
popolazioni nella
Pianificazione pianificazione o nel
partecipativa riaggiustamento delle
azioni che le
concernono
Valutare i risultati di
un programma o di
un’azione
Valutazione
RISULTATI
ESEMPI
Formulazione di
ipotesi preliminari che
possono guidare
alcune ricerche
ulteriori
Formulazione di
ipotesi specifiche e
forse di alcune
raccomandazioni per
l’avvio delle azioni da
realizzare
Studio di un gruppo di prostitute
in una zona urbana di un paese
in via di sviluppo; identificazione
delle necessità prioritarie per
quella comunità
Studio dei problemi di salute e
delle conoscenze locali sopra le
malattie di trasmissione sessuale
Un programma o
piano identificato e
attivato dalle
popolazioni stesse
Azione partecipata per elaborare
un piano di educazione sanitaria
e di controllo medicoginecologico delle prostitute
Revisione delle ipotesi
di base; eventuale
riaggiustamento del
programma
Valutazione dell’impatto di una
nuova pratica (uso del
preservativo, controllo
ginecologico regolare) introdotta
in una determinata comunità o
gruppo obiettivo
I differenti tipi di ricerca operazionale
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TTeeccnniicchhee ee ssttrruum
meennttii ddii rraaccccoollttaa ddeeii ddaattii
Rilevamento: produce dati nuovi attraverso:
INTERVISTE
DIAGRAMMI
CARTE
SPACCATI (transect)
PROFILI STORICI
TECNICHE DI CLASSIFICAZIONE
TECNICHE DI QUANTIFICAZIONE
OSSERVAZIONE PARTECIPANTE
FOTOGRAFIA
FILM
GIOCHI
di gruppo, individuali, di persone-chiave
Calendari, diagramma di Venn
Visione aerea dello spazio
Lo spaccato è un disegno con la sezione verticale di
edifici, villaggi, territori
Costruito insieme alle persone più anziane, ai
cantastorie, agli informatori-chiave
Classificazione preferenziale, dei problemi, per
livello di ricchezza ecc.
Guardare, misurare, cronometrare, pesare, valutare
Descrivere una realtà partecipando ad essa
ad es.: fotografie di attività lavorative, ludiche e
cerimoniali; di pratiche educative; di prodotti della
cultura materiale (attrezzi, artigianato, ecc.);
fotografie aeree
Film etnografico, bio - e sociodocumentario, ecc.
Gioco dei ruoli e giochi culturalmente adattati (David
Atte ha ideato in Nigeria un gioco, detto Ayo board,
che permette al ricercatore di vedere come i
contadini prendono decisioni relative all’uso delle
risorse disponibili).
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Spoglio: raccoglie dati di seconda mano attraverso:
TESI
RAPPORTI
RICERCA BIBLIOGRAFICA
ARCHIVI E REGISTRI UFFICIALI
CORRISPONDENZA
BIOGRAFIE
DIARI, MEMORIE, AUTOBIOGRAFIE
GIORNALI
STATISTICHE
Disponibili tanto nelle università occidentali che
in quelle nei Paesi in via di sviluppo (PVS)
Disponibili presso Agenzie internazionali, ONG,
progetti di cooperazione, imprese private,
organizzazioni di volontariato, ecc.
Banche dati, bollettini bibliografici, schedari di
biblioteca, cataloghi di libri
di ospedale, tribunale, polizia,
Privata e pubblica
Libro scritto da A sopra B
Libro scritto da A sopra A
Consultabili nelle biblioteche e online
Prodotte da ministeri, ospedali e centri di salute,
servizi meteorologici, istituti geografici, ecc.
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LL’’oosssseerrvvaazziioonnee ppaarrtteecciippaannttee
Il ricercatore deve guadagnarsi la fiducia mostrando simpatia per lo stile di vita del nativo. Dopo
aver raggiunto l’empatia o identificazione con gli “indigeni”, l’antropologo può impiegare i propri
sensi, i propri sentimenti e le proprie intuizioni come strumenti che gli indichino quale direzione
prendere nelle interviste, nelle osservazioni e nelle stesse ipotesi di lavoro.
Il processo dell’osservazione partecipante consiste nell’osservare e nel partecipare.
Osservare è vedere come accadono le cose, ma consapevoli del fatto che osservare non
equivale mai a guardare. Osserviamo non solo con i sensi, ma anche attraverso le nostre
categorie: con le nostre idee e con le nostre ipotesi. Ciò che osserviamo, di fatto, è la distanza
mentale che divide la nostra osservazione dal fatto osservato.
Per osservare, ci appoggiamo alla nostra cultura, ma dobbiamo addentrarci nell’altra cultura fino
al punto che la nostra stessa cultura si relativizza. Per questa ragione, l’osservazione
partecipante non consiste semplicemente nel trasferirsi nel luogo dell’osservazione e vedere.
Comincia molto prima, con la formazione dell’osservatore e la preparazione e il disegno della sua
ricerca.
Non è possibile osservare la realtà sociale senza uno studio critico della teoria e un’impostazione
dei problemi da un punto di vista delle discipline socio-antropologiche. Non troveremo nulla se
non sappiamo ciò che cerchiamo; sono infatti le ipotesi di lavoro rese esplicite a dirci cosa
dobbiamo cercare.
Osservare implica un continuo andare e venire dalla nostra cultura a quella dell’altro.
Partecipare implica reciprocità: diritti e doveri, dunque, anche se durante l’osservazione
partecipante dobbiamo prestare maggiore attenzione ai nostri doveri che ai nostri diritti.
Partecipare implica durata: l’obiettivo è quello di partecipare pienamente alla cultura degli attori,
di “indigenizzarsi”, senza perdere la propria cultura.
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Condizioni per una buona osservazione partecipante
a) Pianificare il tempo dedicato all’osservazione
b) Tentare di tradurre le proprie ipotesi in forma operativa
c) Vivere con le persone osservate (il gruppo tenta di difendersi, e le persone alterano il proprio
modo di comportarsi, ma in breve tornano al comportamento normale)
d) Riconoscere e chiamare per nome: è un’operazione difficile, perché dobbiamo incastrare ciò
che osserviamo con i termini propri della nostra cultura. Dobbiamo conoscere l’interpretazione
indigena, propria di quella cultura, per porla a confronto con la nostra
e) Descrivere con naturalezza ciò che
stiamo osservando
f) Tenere un diario di campo.
g) Annotare e tenere presente il filo
tematico di ciò che abbiamo
osservato e di ciò a cui abbiamo
partecipato.
Il nostro obiettivo è: trovare il senso
che le persone danno alla propria
esperienza.
L’osservazione parte dal corpo “etico”
(esterno, scientifico) di concetti,
ipotesi e teorie proprie della
disciplina.
Con il passare del tempo e il crescere
dei dati in termini di qualità e quantità,
si passa a costruire un corpo “emico”,
vale a dire che cominciamo a
osservare attraverso le categorie
degli informatori.
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LL’’iinntteerrvviissttaa
Nella
ricerca
partecipativa,
l’intervista insieme
all’osservazione partecipante - è una delle tecniche di
rilevazione privilegiate. Esistono naturalmente tipi diversi di
intervista, a seconda degli obiettivi dell’indagine, della
specifica fase di ricerca, dell’estensione del campione
(numero di persone intervistate). Si distingue innanzitutto fra
intervista libera e intervista con questionario.
L’intervista libera può essere:
- Informale (il ricercatore modifica le proprie domande a
seconda delle persone e delle circostanze; è certamente la
più difficile e metodologicamente scoperta, ma risulta
particolarmente utile nella fase di ricerca cosiddetta “di
sfondo”, momento preliminare dell’indagine, in cui il
ricercatore prende contatto con il terreno)
- non strutturata (detta anche aperta)
- non direttiva (lo scopo è quello di far emergere in tutta
libertà il pensiero dell’intervistato, senza interventi del
ricercatore che possano orientare il flusso della
comunicazione e i contenuti stessi)
- focalizzata (finalizzata ad approfondire determinati aspetti,
generalmente emersi nel corso di interviste non strutturate)
- storia di vita (tesa a documentare il contesto idiosincratico, individuale, specifico di una persona,
oppure quello di ruolo, come potrebbero essere ad esempio delle storie di vita di immigrati,
volontari, cooperanti, ecc.)
- focus group (riunione o intervista di gruppo)
Il questionario può essere:
- strutturato (o chiuso) con risposte alternative rigidamente previste
- non strutturato, con risposte aperte
- semistrutturato (misto, con risposte aperte e chiuse)
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P
Pooppoollaazziioonnee ((oo uunniivveerrssoo)) ee ccaam
mppiioonnee
Le interviste con questionario sono rivolte a soggetti diversi, a seconda del tipo di rilevazione.
Rispetto a una data popolazione o universo, infatti, una rilevazione può essere completa (tutti gli
individui o unità omogenei sotto un determinato aspetto) o parziale (il c.d. campione, vale a dire
una certa aliquota della popolazione). La rilevazione può essere altresì generale, riferendosi a
individui o unità dell’universo generale (es.: tutte le associazioni di volontariato della regione) o
speciale (individui o unità di un sottouniverso, o universo speciale (es.: tutte le associazioni di
volontariato della regione che operano nel campo della salute mentale). Ogni combinazione
evidentemente è possibile. Potremo così, ad esempio, avere una rilevazione speciale e parziale,
oppure una rilevazione speciale completa, e via dicendo.
Quale che sia l’orientamento di ricerca (quantitativo e qualitativo), la scelta degli informatori e del
campione di indagine è sempre un problema molto delicato. L’uso di informatori chiave (persone
che per ruolo sociale, professione o altro si ritiene bene informate sul tema della nostra ricerca) e
la diversificazione degli informatori [vedi: controllo dei dati qualitativi] sono fondamentali nella
ricerca partecipativa, che avendo a disposizione tempi di realizzazione limitati lavora in genere su
campioni di popolazione molto limitati. Ma altrettanta cautela si impone nella ricerca quantitativa,
dato che la costruzione di un campione, anche se esteso, può comportare errori tali da inficiare la
ricerca. L’aumento della dimensione del campione, infatti, corrisponde a un aumento
dell’affidabilità dei dati solo e solamente se il campione non comporta errori di fondo, che
inevitabilmente portano ad un campione tendenzioso o distorto. Si è soliti distinguere, a questo
proposito, fra errori sistematici (tali errori sussistono quale che sia la dimensione del campione,
come nel caso di un campione costruito a partire da un sottouniverso) ed errori casuali o di natura
accidentale (il ricorso al caso nella costruzione del campione e l’aumentare delle dimensioni del
campione stesso sono, in questo caso, fattori di correzione dell’errore).
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G
Guuiiddaa ppeerr llaa ccoonndduuzziioonnee ddeeii ffooccuuss ggrroouuppss
Definizione di focus group (intervista di gruppo)
I focus groups sono delle interviste focalizzate di gruppo (dunque non individuali), destinate ad
incoraggiare la discussione su determinati temi legati alla ricerca, da parte di un piccolo numero
di persone (10-12 persone, normalmente). La persona che facilita questa intervista di gruppo è
definita generalmente animatore, moderatore o facilitatore. Il suo compito non è quello di
realizzare delle interviste individuali simultanee, ma quello di facilitare uno scambio di punti di
vista, nel quale i partecipanti hanno la possibilità di esprimere le proprie opinioni e di rispondere
alle idee altrui.
Per le sue potenzialità di coinvolgimento, questa tecnica di rilevazione dei dati costituisce, com’è
facile immaginare, uno strumento prezioso nella ricerca partecipativa.
Essere un buon facilitatore
Nella conduzione di un focus group, l’utilizzazione di un supporto che aiuti la discussione
(discussion starter, in inglese : un’immagine, per esempio, che il ricercatore terrà in mano come
ogni altro partecipante alla seduta di lavoro di gruppo) implica delle abilità, dei saper-fare e, al
tempo stesso, dei saper-essere (skills) legati a questo ruolo di facilitazione che il ricercatore deve
giocare. Queste capacità non sono difficili da sviluppare, e molti le possiedono già, sulla base
delle proprie precedenti esperienze. Ecco, comunque, alcuni suggerimenti pratici che possono
essere utili.
Tenete sempre ben presenti i seguenti tre principi di base:
a) Cercare di sviluppare uno spirito di cooperazione all’interno del gruppo. Il vostro lavoro
nel gruppo sarà più efficace, più piacevole e più gratificante se le persone sentono che gli altri
membri del gruppo li aiutano e li incoraggiano. Cercate dunque di evitare ogni spirito di
competitività nel gruppo. Un buon facilitatore deve saper creare un’atmosfera confortevole e
stabilire dei rapporti di confidenza, incoraggiare tutti quanti, essere paziente, evitare ogni
atteggiamento gerarchico o minaccioso. Poiché è sempre meglio registrare la discussione,
per poter disporre di un resoconto fedele delle diverse opinioni espresse, sarà opportuno
spiegare ai partecipanti perché si registra, e sottolineare che le opinioni di ciascuno
resteranno confidenziali.
19
b) Se possibile, dedicate del tempo alla preparazione della seduta di gruppo. Ciò significa
che dovreste avere ben chiaro, nella vostra testa, ciò che la seduta di lavoro si propone di
ottenere come risultato. Cercate di prevedere ogni tipo di problemi che potrebbero presentarsi
durante il focus group.
c) Un buon facilitatore non ha bisogno di parlare troppo. Il vostro lavoro è di incoraggiare gli
altri a parlare. Non permettete alle persone che hanno maggior peso nel gruppo di
egemonizzare la discussione. Spiegate che uno dei vantaggi di lavorare insieme come gruppo
è proprio il fatto di poter condividere le nostre esperienze e apprendere gli uni dagli altri.
Evitate le domande che suggeriscono o contengono già la risposta, e assicuratevi che le
domande siano state ben comprese. Fate attenzione a non lasciare che la vostra opinione
influenzi le risposte.
Questi tre principi fondamentali hanno numerose implicazioni, sulle quali sarà bene riflettere. Per
esempio :
-
-
Innanzitutto, non dimenticate di presentarvi e di dire il vostro nome
Prima di cominciare il focus group, spiegate ai partecipanti l’obiettivo e il metodo di lavoro:
spiegate perché lo si fa, ciò che succederà e la durata dell’incontro.
Spiegate che si cercano delle opinioni franche, che non si tratta di un esame, un concorso,
una valutazione, una gara a chi è più bravo..
Sarà opportuno parlare ai membri del gruppo dell’importanza di saper ascoltare gli altri. E’
una capacità preziosa, che i partecipanti al focus group dovrebbero acquisire. Non
dimenticate dunque di parlarne!
Ricordate ai partecipanti che tutti dovrebbero poter parlare, ma non allo stesso tempo …
Cercate di far parlare ciascuno dapprima su qualcosa di banale: il nome, il quartiere dove
vive, il paese di origine, ecc.
E’ possibile (e ciò avviene spesso) che dei membri del gruppo dicano delle cose di cui voi, il
facilitatore, non vedete la pertinenza. Ricordatevi che questi commenti e idee possono, in
realtà, essere molto utili, quando ci si dia il tempo e la possibilità di chiarirli. Cercate sempre di
approfondire un argomento.
Sedersi insieme in circolo aiuta a rendere paritari i rapporti all’interno del gruppo, col
vantaggio che ognuno può vedere in viso tutti gli altri.
Il facilitatore non resta in piedi, come qualcuno che conosce già tutte le risposte. Sottolineate
questo aspetto nella vostra seduta di lavoro, e cercate di non offrire troppo spesso delle
risposte.
20
-
-
-
-
Fate vedere che davvero non sapete ciò che i partecipanti ci diranno
Cercate di porre sempre delle domande aperte, o di offrire le due possibilità: “Vi sembra
buono o non buono?”, “Trovate che sia chiaro o non chiaro?”
Cercate sempre di scavare e domandate di precisare meglio quanto detto: chiedete perché
dicono una determinata cosa, o ciò che intendono dire con delle parole vaghe come «bene»
(bene in che senso: Chiaro? Bello? Facile da capire?)
Chiedete se tutti sono d’accordo, se non ci sono per caso altre opinioni
Implicate tutti nella discussione (impiegate lo sguardo, incoraggiate quelli che non parlano)
Se i membri del gruppo devono essere in grado di discutere sulla base di un nostro supporto
visuale (uno schema, un disegno, una mappa, ecc.) ognuno deve poterlo vedere
chiaramente. Ogni partecipante dovrebbe dunque avere in mano una copia del testo o
dell’immagine su cui si sta discutendo.
Se discutete di un’immagine, accertatevi che ciascuno, nel gruppo, riconosca i diversi
elementi presenti nella foto o nel disegno in questione. Spiegate ogni convenzione visuale
che può porre delle difficoltà, aiutando così i membri del gruppo a sviluppare una migliore
capacità di leggere le immagini (ciò che in inglese chiamano visual literacy skills)
Ricordate che le persone possono essere analfabete e non avere il coraggio di dirlo
Tenete presente che oltre alle difficoltà di leggere un testo scritto le persone possono avere
difficoltà a leggere correttamente (“correttamente” dal nostro punto di vista!) le immagini che
proponiamo loro (fenomeno del cosiddetto “analfabetismo pittorico”)
Durante la discussione, permettete alle persone di arrivare alle proprie conclusioni. Non
dimenticate che il focus group è anche un formidabile strumento per sviluppare una coscienza
critica, e che per arrivarvi i membri del gruppo hanno bisogno di analizzare essi stessi le cose.
Benché vi siano sempre delle costrizioni di tempo, è meglio non passare troppo rapidamente
da una fase all’altra della discussione. Non basta che alcuni, o che la maggior parte delle
persone presenti sviluppino un punto di vista personale. Ogni partecipante dovrebbe avere il
tempo di comprendere a fondo ciò che si sta dicendo. Se non vi date il tempo necessario
perché ciò avvenga, alcuni membri del gruppo lasceranno la seduta senza avere avuto
l’opportunità di riflettere a fondo sulla questione.
Una delle capacità più difficili da sviluppare, per il facilitatore, è quella di mantenere un buon
equilibrio fra la necessità di guidare, di orientare, di animare la discussione da un lato, e la
necessità, dall’altro, di permettere un libero scambio di opinioni. Cercate di mantenere la
discussione abbastanza aperta da permettere a ciascuno di sviluppare le proprie idee e un
proprio punto di vista personale.
21
-
-
-
Mentre la discussione procede, non dimenticate il vostro eventuale supporto visuale. Dovreste
utilizzarlo costantemente, al fine di rendere più mirata l’analisi del gruppo. Fate dunque
riferimento a questo supporto il più spesso possibile.
Spesso, avrete bisogno di far emergere, nel corso della discussione, delle informazioni che
provengono dall’esperienza personale di coloro che partecipano al focus group. Oppure
sentirete il bisogno di incoraggiarli ad approfondire il tema. Potrete farlo ponendo delle
domande che aiutano le persone ad esprimere, a verbalizzare i propri pensieri. Il gioco del
«Ma questo perché?» può aiutarvi a scavare più a fondo nel problema.
In tutti i gruppi, vi sono delle persone che imparano e comprendono prima degli altri, o che
sono più estroverse e intervengono senza paura nella discussione. Fate in modo che i
partecipanti più veloci nel capire la domanda aiutino quelli che sono più lenti o timidi, a
comprendere meglio e ad esprimersi liberamente.
Non dimenticate, chiudendo la seduta di lavoro, di ringraziare i partecipanti: essi vi hanno
dedicato una parte del loro tempo.
Quello che bisogna evitare
Cercate di…
- non far trasparire il vostro specifico punto di vista o ciò che più vi interessa: ciò non può che
influenzare i partecipanti
- non parlare troppo o guidare la conversazione
- non contraddire i partecipanti
- non porre delle domande chiuse (per esempio, non chiedete semplicemente: «Trovate questa
foto scioccante?», ma aggiungete sempre «o no?»)
- non lasciare che una persona o due monopolizzino la discussione
22
Guida generale per la discussione
Quello che segue, è un quadro che consente ai partecipanti di sviluppare e di esprimere un loro
punto di vista, attraverso un’analisi individuale. Utilizzate questi suggerimenti come un quadro
che può guidarvi nella conduzione del focus group, piuttosto che come un sistema rigido, che
rischierebbe di limitare la discussione e di reprimere la creatività dei partecipanti.
1) DESCRIVERE. Incoraggiate i membri del focus group a descrivere (ciò che vedono in
un’immagine, ciò che hanno letto in un documento, ciò che sanno di un determinato
problema).
2) METTERE IN RELAZIONE. Cercate dei rapporti fra ciò che è illustrato in un’immagine che voi
stessi proponete, o in un aneddoto che voi raccontate, e la vita reale dei partecipanti, le loro
esperienze quotidiane.
3) IDENTIFICARE I PROBLEMI. Accertatevi che ciascuno, nel gruppo, abbia chiaro quali sono i
problemi, o gli aspetti del problema, presenti nell’aneddoto o nell’immagine presa in
considerazione.
4) CERCARE LE CAUSE. Il gruppo cerca di individuare le differenti cause dei problemi. E’
questa una fase molto importante ai fini dello sviluppo di una coscienza critica.
5) CERCARE LE SOLUZIONI. Incoraggiare i membri del gruppo a proporre delle possibili
soluzioni che corrispondano ai problemi individuati.
6) PIANIFICARE DELLE AZIONI. Il gruppo è sollecitato ad elaborare un piano di azione, per
mettere in pratica le soluzioni previste.
23
IIll ddiiaaggrraam
mm
maa ddii V
Veennnn
Diagramma di Venn, relativo al progetto di
appoggio alla medicina tradizionale avviato
alla fine degli anni ’80 dal Ministero degli
Affari Esteri italiano a Bandiagara, in Mali
(Africa occidentale)
Il diagramma di Venn permette di esplorare i problemi di organizzazione interni a una data realtà
sociale (villaggio, comunità, quartiere, reparto di una fabbrica o di un ospedale, ecc.) e le relazioni
fra questa realtà e il mondo esterno. La visualizzazione dei dati è estremamente importante nella
ricerca qualitativa, e questo strumento è spesso utilizzato nella ricerca partecipativa, perché la
sua costruzione richiede un lavoro collettivo, con scambi di opinione e discussione.
Si comincia col tracciare un largo cerchio che rappresenta, supponiamo, il villaggio. Ogni cerchio
più piccolo, all’interno di questo, rappresenta un’organizzazione interna al villaggio (associazioni
di guaritori, di cacciatori, di giovani; comitato di genitori di studenti; associazioni femminili, ecc.).
La dimensione del cerchio indica in genere l’importanza dell’organizzazione. Le organizzazioni
esterne che hanno un impatto sul villaggio (Ministeri, Chiese, Cooperazioni, ecc.) sono illustrate
da cerchi che hanno origine all’esterno e che tagliano il cerchio rappresentante il villaggio.
L’intersezione di due o più cerchi indica che fra tali organizzazioni esistono delle relazioni. Tanto
maggiore è l’intersezione, e tanto più grande è l’interazione fra le organizzazioni rappresentate.
Delle frecce, infine, indicano delle realtà sociali esterne che, pur avendo un impatto sulla vita del
villaggio, non fanno capo ad organizzazioni esterne specifiche.
24
S
Sttuuddii ddii ccaassoo ((ccaassee ssttuuddiieess))
Gli studi di caso sono delle Inchieste approfondite su persone o gruppi di persone. E’ possibile
studiare organizzazioni, servizi ed esperienze.
Lo studio di caso è un approccio di analisi qualitativa, compiuta "sul campo", cioè in situazione
reale.
Lo studio di caso è l'espressione metodologica dell'approccio qualitativo, in quanto si serve di un
orientamento naturalistico, partecipativo, situazionale; utilizza metodi di varia provenienza con
prevalenza di quelli descrittivi e interpretativi; ha indirizzo soggettivistico, tendenzialmente
sistemico.
Lo studio del caso è strumento fondamentale per l'indagine in situazioni complesse. Un "caso"
implica un contesto sociale, comporta che il particolare è un caso di qualcos'altro, denso di
rimandi a concetti, tipologie di comportamenti; il caso è tale se esce da se stesso e implica un
certo senso di generalità (generalizzazione naturalistica).
La conduzione dello studio di caso è flessibile ad una progressiva messa a fuoco dei confini del
caso, in considerazione delle questioni rilevanti o nodi problematici emergenti.
Lo studio di caso è una delle forme di studio utilizzate dalla ricerca qualitativa, quando il
fenomeno oggetto di indagine è così ricco e complesso da rendere impossibile l’applicazione di
disegni sperimentali.
Lo studio di casi multipli (o studio multi-caso) si fonda sulla comparazione ed è particolarmente
utile nello studio di realtà complesse.
L’uso di fonti multiple costituisce un’importante prova sia qualitativa che quantitativa, dato che un
fenomeno è meglio descritto dalla concordanza di elementi provenienti da diverse fonti.
25
Da: Yin, Case study research,1984
26
S
Sttuuddii ddii vvaalluuttaazziioonnee
Si distingue generalmente tra valutazione qualitativa e quantitativa. La valutazione quantitativa è
interessata essenzialmente ai prodotti di un'attività, e generalmente si tratta di risultati misurabili,
di test standardizzati e di analisi statistiche. La valutazione qualitativa, invece, ritiene che
un'analisi quantitativa non possa cogliere la complessità dei fenomeni sociali. Infatti, il contesto
gioca un ruolo fondamentale negli accadimenti umani e il processo con cui si attua un'attività è
almeno tanto importante quanto i suoi risultati (matrice fenomenologica).
La valutazione è in primo luogo informazione e descrizione, costruita in modo che i diversi
protagonisti possano leggerla e capirla interpretandola. Infatti l'essenza della valutazione è la
ricerca del "significato" dell'esperienza.
Quando si predispone un piano valutativo le domande preliminari da porsi sono: che cosa, come,
chi, quando, per chi e perché si valuta. La risposta a questi interrogativi si raggiunge con una
contrattazione tra il ricercatore, il committente e i soggetti della ricerca; le scelte vanno chiarite e
definite dai soggetti interagenti in base agli obiettivi della valutazione e alla sua fattibilità.
27
M
Meettooddoo ddii ccllaassssiiffiiccaazziioonnee pprreeffeerreennzziiaallee
La classificazione preferenziale risulta importante per varie ragioni. La raccolta dei dati attraverso
questo metodo spinge i partecipanti a confrontarsi sulle opinioni espresse (le proprie e quelle
altrui), e a chiarire il proprio punto di vista. Si tratta, inoltre, di un metodo di rilevazione ideale per
determinate informazioni, per le quali non si ha bisogno (come spesso avviene) di valori assoluti.
La classificazione preferenziale consiste nel chiedere a un gruppo di persone di stabilire le
priorità all’interno di una rosa di preferenze, opinioni, bisogni, problemi espressi dal gruppo
stesso. La prima tappa consiste nello scegliere insieme agli informatori le unità da classificare (i
problemi di salute più gravi, le risorse disponibili, i bisogni di una determinata comunità, ecc.). E’
opportuno che questa decisione sia il frutto di un dibattito preliminare con le persone che
partecipano al gruppo di discussione.
Supponiamo di essere interessati a capire quali sono le principali motivazioni che stanno alla
base del volontariato, e di lavorare con un gruppo di persone che operano all’interno di diverse
associazioni. Quello che bisogna assolutamente evitare è che una persona esterna (nella
fattispecie il ricercatore) proponga una lista di motivazioni preconfezionata, senza tenere conto in
effetti delle opinioni espresse dagli informatori. Dovranno essere invece questi ultimi a fornire una
lista - non troppo lunga - di motivazioni (si cerca di rimanere in genere entro le 5 o 6 opzioni).
Dopodiché, si tratta di annotare le risposte all’interno di una matrice (qui di seguito riportata). La
collocazione non ha importanza quando trascriviamo le risposte in questa matrice, e di solito le
singole opzioni vengono annotate semplicemente in base all’ordine in cui vengono espresse. Le
scelte sono trascritte sia verticalmente che orizzontalmente, come nello schema qui riportato a
titolo di esempio e relativo ai problemi legati alla gestione delle persone con dolore cronico. Si
prendono infine le risposte a due a due, chiedendo ai partecipanti di stabilire quale delle due
opzioni sia prioritaria rispetto all’altra, e l’esito della discussione viene riportato nella casella
corrispondente. Ultimato il confronto di ogni singola opzione con tutte le altre, si riporta il
punteggio ottenuto da ogni elemento nella “scala delle preferenze”: è possibile così “restituire” ai
partecipanti un quadro nelle preferenze da loro espresse (in termini di importanza nel caso delle
motivazioni del volontario o, in altri ambiti di ricerca, di gravità, fattibilità, ampiezza, disponibilità).
Ciò che importa, in questo processo di rilevazione, è in ogni caso meno la classificazione finale
che le informazioni e i punti di vista emersi durante la discussione, che il ricercatore avrà
l’accortezza di annotare con cura e possibilmente di registrare.
28
A1
A2
A3
A4
A5
B1
B2
B3
B4
Scala delle preferenze
Realtà oggetto di valutazione* Punteggio
1
2
3
4
5
* problemi, rischi, bisogni, risorse disponibili, possibili soluzioni, ecc.
29
B5
Ecco qui di seguito, un esempio concreto di applicazione dello strumento di classificazione
preferenziale, sui problemi legati alla gestione della persona con dolore cronico (classificazione
per importanza realizzata con un gruppo di 6 infermieri, Trieste, 16/04/05)
A1 RELAZIONI
A2 FORMAZIONE
(scarsa conoscenza tecnica
farmacologica)
A3 INSODDISFAZIONE
F
I
F
D
F
I
R
F
I
DEL PAZIENTE
A4 DIPENDENZA /
MINORE AUTONOMIA
A5 ASPETTI ECONOMICI
B1
RELAZIONI
B2
B3
FORMAZIONE INSODDISF.
E
B4
B5
DIPENDENZA ASPETTI EC.
Scala delle preferenze
Realtà oggetto di valutazione
1 Qualità della vita di relazione
2 Formazione (bisogno di)
3 Insoddisfazione del paziente
4 Dipendenza / minore autonomia del paziente
5 Aspetti economici legati alla condizione del paziente
30
Punteggio
1
4
3
1
1
R
Raaccccoollttaa ddeeii ddaattii nneellllaa rriicceerrccaa qquuaalliittaattiivvaa ee ssaattuurraazziioonnee
nella ricerca quantitativa la chiusura della fase di rilevazione coincide normalmente
raccolta di tutti i questionari distribuiti alle unità che costituiscono il campione. Nella
qualitativa, invece, durata e chiusura non sono predefiniti. Quando è giusto chiudere
raccolta dei dati? Quando possiamo legittimamente considerare inutile proseguire
interviste o nell’osservazione partecipante?
con la
ricerca
con la
con le
Chi fa ricerca partecipativa sa bene che arriva un momento in cui è inutile continuare a
raccogliere dati: l’organizzazione di ulteriori focus groups, la produzione di nuove foto e filmati, la
raccolta di altre storie di vita non apportano nulla di nuovo a quanto già sappiamo.
I metodologi parlano di questo momento cruciale in termini di saturazione: si smette di raccogliere
dati quando si arriva - appunto - alla saturazione, quando le informazioni fornite da nuovi dati
diventano ridondanti rispetto alle problematiche che si vogliono studiare. Nuovi dati non
producono nuove informazioni.
31
LL’’iinnvveessttiiggaazziioonnee,, ffrraa rreeaallttàà eem
muullaazziioonnee
mppiirriiccaa ee ssiim
Ogni progetto di ricerca si colloca all’interno di un continuum di investigazione, che va
dall’osservazione della realtà empirica non manipolata e osservata nel suo contesto naturale, a
forme di indagine sofisticata che ricorrono a simulazione (in laboratorio o sul campo) fino a
giungere alla simulazione mediante modelli matematici. Questo continuum dei modi in
investigazione può essere rappresentato schematicamente come segue (De Bruyne, 1974):
Studio
di caso
Comparazione o
studio multi-caso
(campione)
Sperimentazione
(terreno/laboratorio)
Simulazione
(modello)
artificiale
chiuso
controllato
reale
aperto
incontrollato
E’ appena necessario sottolineare che la ricerca partecipativa, per la sua natura, gli scopi e gli
interessi che la caratterizzano, privilegia di gran lunga gli studi di caso e la comparazione di casi,
esaminati nel contesto naturale della vita quotidiana, dove quanto accade è caratterizzato per
ovvie ragioni dal massimo grado di realismo.
32
IIll ttrriiaannggoolloo ddeellllaa rriicceerrccaa qquuaalliittaattiivvaa:: ddeessccrriizziioonnee,,
ccllaassssiiffiiccaazziioonnee,, ccoonnnneessssiioonnee
La descrizione: ogni analisi qualitativa si fonda su dati «densi», altrimenti non è possibile
interpretare correttamente il senso di un’osservazione.
La classificazione: questi dati sono classificati o "ridotti" secondo differenti principi di codifica,
talvolta gerarchici. La massa dei dati è enorme; prima dell'analisi bisogna strutturare e durante
l'analisi occorre ristrutturare.
La connessione: le categorie vengono poste in relazione fra loro, secondo differenti principi e
tecniche, e il ricercatore deve costruirsi delle "visioni" d‘insieme.
33
C
Ciirrccoollaarriittàà ddeellll’’aapppprroocccciioo qquuaalliittaattiivvoo
L’approccio
qualitativo
è
caratterizzato dalla circolarità del
processo
che,
attraverso
un
movimento
a
spirale,
porta
dall’osservazione e descrizione dei
dati alla loro classificazione, per
ritornare a confrontare poi questi
risultati intermedi con i dati grezzi. In
altre
parole,
per
giungere
a
descrizioni valide, è fondamentale
classificare e connettere i dati, e
testare poi tali descrizioni con la
realtà empirica.
La difficoltà è data dalla gestione della massa di dati. Per questo, i ricercatori che adottano un
approccio qualitativo:
● disegnano molto;
● utilizzano delle matrici;
● fanno uso delle tecniche quantitative di visualizzazione
Ecco, qui accanto, una rappresentazione
schematica
del
ruolo
che
la
visualizzazione assume nella ricerca
qualitativa, caratterizzata appunto dalla
circolarità del suo approccio.
34
C
Coonnddiizziioonnaam
meennttii eexxttrraa--sscciieennttiiffiiccii nneellllaa rriicceerrccaa
Ogni indagine, in tutti i campi della ricerca (sia essa fondamentale o applicata, nell’ambito delle
scienze naturali o sociali) deve fare i conti con un ampio numero di fattori extra-scientifici, che
possono condizionare (e spesso condizionano) il progetto di ricerca in tutte le fasi. E’
fondamentale acquisire consapevolezza del peso di questi fattori, per poterli esplicitare e tenere
quindi sotto controllo.
SPAZIALE - Scelta dei luoghi d’indagine
TEMPORALE - Scelta del periodo, dell’orario, della stagione. Esempio: stagione secca, periodo
pomeridiano, ecc.
SESSUALE - Esempi: interviste di una ricercatrice con guaritori di sesso maschile; interviste di un
ricercatore con leaders di associazioni tradizionali femminili; prevalenza di un sesso rispetto
all’altro nel campione per ragioni non legate alla rappresentatività dello stesso, ma alla
personalità (e al sesso) del ricercatore, o alle condizioni della ricerca
ETNICO - Es.: negli studi sul dolore, l’appartenenza etnica del ricercatore si è rivelata un fattore
in grado di modificare i risultati di un esperimento
DI GENTILEZZA - Desiderio dell’intervistato di non deludere o contraddire le aspettative
dell’intervistatore
DI CONVENIENZA - Es.: risposte dell’intervistato dettate dalle sue aspettative circa l’esito
dell’intervista (ricompensa) o della ricerca
DI CLASSE - Es.: preferenza data dal ricercatore a persone di statuto economico o sociale più
vicino al suo (capi villaggio, infermieri, maestri)
DESIDERABILITA’ SOCIALE - Bisogno dell’intervistato di adeguarsi alle aspettative sociali
legate al proprio ruolo. In psicologia, si indica con tale concetto il desiderio che i soggetti hanno di
essere considerati favorevolmente, e che li porta a occultare - nel corso dell’intervista o di altre
interazioni con il ricercatore - paura, angosce, pregiudizi, sentimenti di ostilità o altri aspetti che
potrebbero metterli in cattiva luce.
35
C
Coonnttrroolllloo ddeeii ddaattii qquuaalliittaattiivvii:: ttrriiaannggoollaazziioonnee eedd aallttrree
tteeccnniicchhee
Uno dei problemi di chi fa ricerca, è
quello di potersi fidare dei dati
raccolti: le informazioni ottenute
attraverso la mia ricerca sono
davvero
attendibili,
esaurienti,
precise? O sono invece frutto dei
miei pregiudizi, dei numerosi fattori
extrascientifici in gioco, di un errore
nella scelta (limitante) di alcuni
informatori? Per ovviare a questi
possibili rischi, il ricercatore può
ricorrere (ed è opportuno che lo
faccia!) a diverse tecniche chiamate
appunto “tecniche di controllo dei
dati”. Ecco quello che è possibile
fare, per contare su dati più certi.
1) Usare la triangolazione per aumentare l’affidabilità dei dati, diversificando:
- le fonti, le unità di osservazione, gli informatori (primo tipo di triangolazione)
- gli osservatori (secondo tipo di triangolazione): diversi osservatori vedono meglio e di più
- gli strumenti e le tecniche di rilevamento (terzo tipo di triangolazione)
Il termine triangolazione, oggi largamente utilizzato nelle scienze sociali, proviene dalla
cartografia geodetica: per costruire mappe di porzioni limitate di superficie terrestre, prima
dell'uso dei satelliti, era adoperato infatti un reticolo di elementi triangolari tra loro connessi. Nelle
scienze sociali il concetto di triangolazione è usato metaforicamente, a indicare la necessità di
moltiplicare e diversificare i punti di osservazione, per giungere a una descrizione “a tutto tondo”
di un determinato fenomeno.
36
TECNICA A (fornisce informazioni non evidenziate da B e C)
TECNICA B (fornisce informazioni
non evidenziate da A e C)
REALTA’ INDAGATA
TECNICA C (fornisce informazioni non evidenziate da A e B)
2) Elaborare una prima sintesi dei risultati da restituire agli informatori e alla popolazione
indagata per raccoglierne i commenti e le reazioni, al fine di compiere i necessari
aggiustamenti. Sottoporre al giudizio degli informatori le proprie interpretazioni. Utile dal
punto di vista metodologico, la “restituzione della ricerca” è importante anche dal punto di
vista etico, perché ripaga in qualche modo gli informatori per il tempo e la fiducia che ci
hanno concesso. In inglese questa tecnica viene indicata come back talk
3) Cercare attivamente quegli aspetti od elementi che possono contraddire i dati raccolti e le
interpretazioni su essi fondate (“Mi sembra di capire che in genere.. Esistono invece dei casi
in cui…?”)
4) Prendere coscienza dei condizionamenti, dei pregiudizi, dei presupposti impliciti e delle
proprie parzialità (biais), esplicitare tali condizionamenti e cercare di gestirli a favore della
ricerca. I condizionamenti extra-scientifici sono pericolosi quando non se ne prende
coscienza
5) Tenere sempre in conto, nelle diverse fasi della ricerca (definizione dei concetti,
individuazione degli indicatori, raccolta, analisi e presentazione dei dati), l’arbitrarietà cui
spesso sono soggette le nostre scelte
6) Essere coscienti delle debolezze intrinseche della tecnica che abbiamo deciso di impiegare,
esplicitare tali debolezze nel resoconto dei vari passi della ricerca e valutarne l’impatto sui
risultati ottenuti
37
7) Definire chiaramente gli obiettivi per potersi interrogare sulla pertinenza delle informazioni
raccolte. Questa operazione rimanda al concetto di ignoranza ottimale: se è vero che ogni
ricerca, per potersi dire esaustiva, dovrebbe essere virtualmente infinita, allora è chiaro che,
nella pratica, ogni inchiesta si conclude - inevitabilmente - con il perdurare di una vasta area
di ignoranza. Se non potremo “sapere tutto” alla fine della nostra ricerca, è tuttavia di
fondamentale importanza che il perdurare della non-conoscenza riguardi aspetti marginali
del tema indagato, piuttosto che elementi fondamentali. Il concetto di ignoranza ottimale
indica la necessità di giungere alla conoscenza di ciò che veramente è necessario ed utile
sapere, trascurando le informazioni meno rilevanti o superflue
8) Definire il grado accettabile d’imprecisione (fin dove deve spingersi l’inchiesta
approfondita? Abbiamo davvero bisogno di una percentuale precisa, o sarebbe sufficiente
un ordine di grandezza? Ci è davvero utile conoscere l’età esatta delle persone, o ci basta
invece la fascia di età?). Dati troppo precisi possono portare a problemi di natura diversa,
quando non strettamente necessari: a) corrispondono a una perdita di tempo sia a livello di
raccolta che di trattamento dei dati; b) pongono inutilmente gli informatori in imbarazzo, e
fanno sospettare che i questionari e le interviste non siano poi così anonimi come si
sostiene (che senso ha, in un questionario sul consumo di alcool distribuito agli studenti
nelle scuole di una regione, chiedere ai giovani di indicare la classe, l’età precisa, il luogo di
nascita, il comune di residenza, se poi si ragione per fasce di età, per aree urbane e rurali, e
comuni al di sotto o al di sopra di un determinato numero di abitanti?)
38
39
LLee iippootteessii sscciieennttiiffiicchhee
In una prima approssimazione, possiamo definire l’ipotesi come una relazione supposta fra due
fatti.
E’ opportuno precisare che un’asserzione troppo generale difficilmente può considerarsi ipotesi,
anche se probabilmente vera. Verità di carattere generale non possono essere elevate al grado di
ipotesi se non attraverso una definizione rigorosa dei termini proposti. Un problema troppo vasto
non può portare a ipotesi precise, e quindi a una dimostrazione valida.
L’esperienza personale può essere all’origine di ipotesi di investigazione. Ma la principale fonte di
idee di ricerca, di ipotesi da testare, è data senza dubbio dallo studio della letteratura scientifica
disponibile su un determinato argomento. La ricerca documentale può aiutare il ricercatore in
diverse maniere:
A) E’ possibile studiare nella letteratura un metodo applicato con successo a un certo tipo di
problemi, e tentare quindi l’applicazione di tale metodo al problema che costituisce il centro di
interesse del ricercatore. Una tale “trasposizione” può servire a testare delle ipotesi verificabili
B) In secondo luogo, è possibile riscontrare, nella letteratura scientifica presa in esame, delle
analisi di un problema in cui ricercatori vari, attraverso ricerche analoghe se non identiche,
non giungono alle medesime conclusioni. Il confronto dei loro lavori può generare un’ipotesi
circa la possibile origine di queste contraddizioni.
C) Un terzo possibile uso della letteratura nel formulare ipotesi, più semplice, è dato dalla
possibilità di trovarvi dei consigli. Si tratta, ad esempio, dell’aggiornamento di lavori rigorosi,
interessanti, ma ormai antichi e per i quali è possibile immaginare delle modificazioni legate
all’evoluzione temporale. Tali aggiornamenti possono basarsi esclusivamente sulle
conseguenze (socio-culturali, ad esempio) dell’evoluzione storica, ma anche sull’integrazione
di nuove conoscenze, siano esse concettuali o metodologiche, di cui il primo autore non
aveva tenuto conto.
D) Infine, una quarta fonte di ipotesi che è possibile incontrare nella letteratura scientifica
disponibile riguarda le suggestioni offerte dagli stessi autori consultati. È raro che un
40
ricercatore, nel comunicare i risultati della sua indagine, non concluda la sua pubblicazione
con una discussione del proprio lavoro, in cui sottolinea un certo numero di punti sui quali
sarebbero necessarie ulteriori ricerche. Un ricercatore alle prime armi ha tutto l’interesse a
inserirsi in una corrente di ricerca, cominciando proprio da uno di questi punti, per i quali egli
può essere guidato dalla pubblicazione in questione.
Un’ipotesi si inserisce normalmente in una teoria. Quest’ultima può essere di carattere più o
meno generale. Quale che sia il livello teorico di partenza, è da questa posizione che dovranno
essere dedotte le ipotesi. Se, al contrario di una tale deduzione, le ipotesi sono il prodotto di una
generalizzazione rispetto a tutta una serie di fatti, di una relazione ripetutamente osservata fra
due fatti, si parlerà allora di ipotesi indotta.
SISTEMI TEORICI
Ipotesi dedotte
IPOTESI
Ipotesi indotte
OSSERVAZIONI EMPIRICHE
DEI FENOMENI
41
LIVELLI DI ASTRAZIONE
Teoria generale e modelli
Il più alto
Teorie intermedie e modelli
Trasformazioni logiche;
paradigmi induttivo e deduttivo;
manipolazioni matematiche,
statistiche o di altra natura
Enunciati di basso livello di
astrazione
Modi di osservazione (compresi
strumenti, tecniche, concetti)
Il più basso
Il mondo reale
delle cose e degli eventi
IL DOMINIO DELLA METODOLOGIA
Da: Pelto P.J. and Pelto G.H., 1970, Anthropological Research, p. 3
42
G
Grroouunnddeedd tthheeoorryy:: llaa ccoom
mppaarraazziioonnee ccoossttaannttee
Nell’approccio sviluppato da Glaser e Strass, detto grounded theory, vengono raccolti e analizzati
i dati, e si elabora quindi una teoria “fondata” (“grounded”) su tali dati. Questo approccio
costituisce un’importante fonte di sviluppo teorico. La raccolta dei dati e la loro analisi avvengono
simultaneamente: i nuovi dati vengono confrontati con quelli già raccolti, e trasformati in concetti; i
concetti pertinenti vengono classificati in categorie e sottocategorie, riesaminate sulla base dei
nuovi dati e delle interpretazioni, con conseguente abbandono, revisione o conferma delle stesse.
Si consulta, a questo punto, la letteratura scientifica, per determinare se queste categorie sono
state identificate in precedenza; non viene compiuta però, in genere, alcuna rassegna
preliminare, al fine di evitare chiusure premature. Aspettative e pregiudizi possono infatti
condizionare pesantemente l’esito della ricerca.
M
Meetttteerree ffrraa ppaarreenntteessii ((bbrraacckkeettiinngg))
E’ fondamentale, nella ricerca qualitativa in genere e quindi anche nella grounded theory, saper
mettere fra parentesi - almeno momentaneamente - le proprie convinzioni e i propri pregiudizi (i
metodologi si riferiscono spesso a questa capacità con il termine inglese di bracketing): al fine di
comprendere le altrui esperienze di vita, il ricercatore deve definire dapprima ciò che egli stesso
si aspetta, esplicitare i propri pregiudizi, e porre quindi deliberatamente da parte questi sentimenti
ed opinioni.
Ciò non significa che il ricercatore debba necessariamente approvare determinati fenomeni e
comportamenti sociali (il gioco d’azzardo, ad esempio, o la prostituzione, o il bere eccessivo) solo
perché sta osservando e cercando di capire tali fenomeni. Fa parte del suo lavoro registrare, e
non decidere “ciò che è giusto e ciò che non lo è”. Tuttavia l’obiettività, la conoscenza scientifica
e la sensibilità ai diversi contesti culturali non implicano che l’operatore sociale ed il ricercatore
debbano rinunciare a esprimere i propri giudizi ed ignorare i valori internazionalmente
riconosciuti, in termini di giustizia e di morale. Quello che davvero importa è essere in grado,
durante la ricerca, di sospendere tali giudizi, dando agli informatori la più ampia libertà di
esprimere la loro visione del mondo, necessariamente fondata su uno specifico sistema di valori,
che può anche differire fortemente da quello del ricercatore.
43
Q
Quuaannttaa tteeoorriiaa pprreelliim
miinnaarree??
Poca teoria preliminare
Molta teoria preliminare
Apertura mentale
Apertura verso altre ricerche
Possibilità di affrontare un soggetto nuovo
Inserimento più facile dei risultati nella disciplina
Tendenza a raccogliere troppi dati
Tendenza ad ignorare dei fenomeni
Confronto difficile fra ricercatori
Generalizzazione più facile
Preconcetti non espliciti
Preconcetti espliciti (dunque controllabili)
FFrraa tteeoorriiaa ee oosssseerrvvaazziioonnii eem
mppiirriicchhee:: llee vvaarriiaabbiillii
Affermare il ruolo direttivo della teoria nella pratica di ricerca empirica e, al tempo stesso, il
rapporto dinamico e bidirezionale fra questi due poli, significa riconoscere che, di fatto, è la teoria
che fonda i diversi momenti della ricerca empirica; ma è riconoscere, altresì, che i modelli teorici e
ideologici di riferimento mutano o possono mutare nel corso dell’osservazione empirica e in
conseguenza ad essa, in un processo che può essere di semplice chiarimento di aspetti specifici
della teoria generale, ma che può implicare anche una revisione parziale della teoria o, al limite,
la sua stessa riformulazione. Il che vuol dire che, se la teoria fonda l’osservazione empirica dei
fatti, quest’ultima è fattore e condizione di progresso del lavoro teorico.
44
Dato che i piani della realtà empirica e della teoria sono fra loro distinti e irriducibili, ogni
passaggio da un piano all’altro implica una trasformazione controllata degli elementi del quadro
teorico di riferimento (fatto di concetti e relative relazioni) in elementi operazionali, in grado di
permettere la misura. Questi elementi operazionali, anch’essi di natura concettuale, vanno sotto il
nome di variabili, e costituiscono l’anello di raccordo fra piano della teoria e piano
dell’osservazione empirica. Va rilevato che si tratta di concetti classificatori, dato che ogni
variabile opera, all’interno di una popolazione o universo oggetto di studio, una ripartizione in
classi di equivalenza più o meno ampie (sulla base dell’età, ad esempio, o della professione, del
livello d’istruzione, dell’appartenenza etnica, ecc.).
Dato un insieme A (i volontari di una determinata area geografica, le persone di ritorno da una
prolungata esperienza di emigrazione, i disabili che frequentano le diverse Facoltà di
un’Università, i materiali di comunicazione visuale impiegati nella promozione del volontariato in
ambito regionale, ecc.), la scelta di una qualsiasi relazione di equivalenza determina una
ripartizione, una suddivisione dell’insieme A in vari sottoinsiemi distinti, che definiamo classi di
equivalenza. E, viceversa, ogni suddivisione dell’insieme rimanda a una relazione di equivalenza
interna a tale insieme.
La ripartizione di un insieme A in classi di equivalenza consiste dunque nella scomposizione di A
in una famiglia di sottoinsiemi non vuoti e distinti da A, la riunione dei quali è uguale ad A. Ne
consegue che ogni elemento di A farà parte di una ed una sola classe di equivalenza.
Attraverso la suddivisione di un insieme teoricamente rilevante, le variabili assumono determinati
valori, intendendo con il termine valore il predicato o caratteristica attribuibile a qualsiasi elemento
delle classi di equivalenza dell’insieme preso in considerazione.
Sulla base del numero di valori che ad una variabile può corrispondere, si è soliti distinguere fra
variabili dicotomiche, costituite da attributi cui corrispondono due soli valori (ad esempio:
maschio/femmina, democratico/conservatore) e variabili continue, che possono assumere valori
diversi, il cui numero è tendenzialmente infinito o comunque molto grande, come nel caso della
variabile età. Fra questi due estremi – le variabili dicotomiche e quelle continue – esiste
ovviamente il caso intermedio di variabili non dicotomiche, ma con un numero di valori possibili
comunque non molto elevato, cui normalmente diamo il nome di classificazioni.
45
Come è facile immaginare, per esigenze di semplificazione, il ricercatore può decidere di
trasformare, nell’ambito della sua ricerca, delle variabili continue in classificazioni e persino in
variabili dicotomiche (ad esempio: reddito ⇒ ricco/povero), attraverso il raggruppamento di
sottoinsiemi. Questa operazione di semplificazione della realtà, pur avendo il vantaggio di
renderne più agevole la lettura, comporta però un’inevitabile perdita di informazione. Può
introdurre inoltre nella ricerca dei fattori di pregiudizio, attraverso la logica che sta alla base della
semplificazione adottata.
Il fatto che una variabile possa assumere un insieme di valori, implica il problema fondamentale
della misura. Definiremo come misura quel processo di trasformazione, di corrispondenza di un
insieme di valori, assunto da una determinata variabile, in un insieme di numeri. La legge di
trasformazione applicata impone che ad ogni valore della variabile corrisponda un solo ed unico
numero. Il primo dei due insiemi viene indicato come insieme di partenza, l’altro – costituito da
numeri – insieme di arrivo, o derivato.
Potrebbe sembrare privo di senso parlare di misura quando abbiamo a che fare con variabili
dicotomiche (sesso, orientamento politico, ecc.) i cui valori sono di natura qualitativa. Ma ciò è del
tutto lecito, sulla base della definizione di misura sopra proposta, anche quando l’insieme
numerico che si riferisce all’insieme di valori della variabile è costituito da due soli numeri (0 ed 1,
per esempio) attribuiti rispettivamente ai due possibili valori di una variabile dicotomica. E’ tuttavia
chiaro che la misura di un valore qualitativo come maschio/femmina si pone a un livello diverso
da quello che può essere, per esempio, la misura del reddito.
Si pone così il problema del livello di misura. A diversi livelli di misura corrispondono operazioni
matematiche diverse: se si utilizzano modelli matematici e statistici non permessi dal livello di
misura a cui si situa l’analisi, i risultati ottenuti saranno del tutto inaccettabili; se, al contrario,
l’analisi dei dati non ricorre alle operazioni matematiche e statistiche consentite dal livello di
misura, ciò non genera di per sé errore, ma piuttosto una perdita di informazione rispetto ai
risultati che una piena utilizzazione di tali operazioni consentirebbe.
Se prendiamo ad esempio la variabile sesso, con i numeri 0 ed 1 corrispondenti ai due valori dati,
è chiaro che la trasformazione dell’insieme di partenza in un insieme di numeri non legittima
alcuna operazione matematica sui tali numeri, che non rappresentano di fatto nulla di più di un
succedaneo delle designazioni verbali corrispondenti. Così, per questi numeri, l’unica relazione
possibile è quella di equivalenza o non equivalenza, che indica l’uguaglianza o la diversità fra gli
elementi oggetto di analisi.
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Questo tipo di variabili si colloca al livello più elementare di misura, ed è normalmente definito
come scala nominale. Non sempre è necessario, e spesso anzi del tutto superfluo, attribuire una
codifica numerica alle variabili qualitative, ma può essere utile quando se ne vuole compiere un
trattamento informatico.
Prendiamo una codifica dello stato civile del tipo
Celibe
Sposato/a
Vedovo/a
Separato/a
Divorziato/a
0
1
2
3
4
Per questi numeri, l’unica relazione possibile, come si diceva, è quella di equivalenza o non
equivalenza. Già il semplice fatto di stabilire una relazione di ordine fra i valori numerici
considerati significherebbe una gerarchizzazione degli stati civili, mentre la loro classificazione
permette solo di considerarli diversi.
Esistono tuttavia variabili, i cui valori possono essere legittimamente ordinati per ordine di
grandezza. A tale livello di misura si è soliti dare il nome di scala ordinale. Se nelle scale nominali
l’esigenza di base è quella di costruire delle categorie, delle classi di equivalenza esaustive e
mutuamente esclusive, le scale ordinali, accanto a tale esigenza che permane, rispondono al
bisogno di ordinare, lungo un continuum, gli elementi dell’insieme, pur non contenendo
informazione alcuna sulla grandezza delle differenze classificate. In altre parole, potremo, a livello
di scala ordinale, fare affermazioni del tipo “maggiore”, “minore” o “uguale”, ma non saremo in
grado di precisare di quanto l’elemento considerato sia maggiore o minore, in rapporto ad altri.
Ecco un esempio di scala ordinale:
Alto
Medio-alto
Medio-basso
Basso
4
3
2
1
47
Si noti come, anche in questo tipo di scala, l’insieme di arrivo non sia dotato di una struttura
matematica che legittima l’uso delle operazioni aritmetiche consuete (addizione, sottrazione,
moltiplicazione, divisione). Non ci è così lecito affermare, ad esempio, che l’elemento 4 sia
quattro volte maggiore dell’elemento 1.
Le scale di intervallo e quelle di proporzione comportano, oltre all’ordinamento dei valori,
informazioni sulla grandezza delle differenze in gioco, ed implicano quindi l’esistenza di unità di
misura. La differenza fondamentale fra queste due ultime scale di misura considerate sta nel fatto
che mentre nella scala di intervallo il punto zero viene stabilito arbitrariamente, nelle scala di
proporzione lo zero non è arbitrario.
Un esempio di scala di intervallo è fornito delle scale di temperatura Celsius e Fahrenheit: nella
prima, lo zero corrisponde alla temperatura cui l’acqua gela, mentre nella seconda esso si colloca
ad una temperatura più bassa. Dato che in queste scale lo zero è arbitrario, non ci è concesso
affermare che 30 gradi siano due volte “più caldo” di 15 gradi.
48
P
Prroossppeettttoo ddeellllaa rriicceerrccaa
Ogni ricerca prevede una serie di tappe, logicamente concatenate, anche se nella pratica la loro
successione può essere in parte modificata (alcuni passi rimangono però prioritari e preliminari
rispetto ad altri)
DEFINIZIONE DEL PROBLEMA CONOSCITIVO
↓
ESPLICITAZIONE DELLE IPOTESI SCIENTIFICHE (dedotte)
↓
SCELTA/DELIMITAZIONE DELL’AMBITO (spazio, tempo, dimensione sociale)
↓
POPOLAZIONE E CAMPIONE
↓
MAPPA DEI CONCETTI
↓
SCELTA DELLE VARIABILI E DEGLI INDICATORI
↓
FORMAZIONE DI RICERCATORI, INTERVISTATORI, INTERPRETI
↓
RACCOLTA DEI DATI (spoglio [archivi] vs rilevamento [campo] )
↓
TRATTAMENTO DEI DATI (documentazione vs analisi)
↓
ORDINAMENTO DATI (repertorializzazione vs raggruppamento)
↓
ESPOSIZIONE DEI DATI
verbale (libro, conferenza..) cartografica (mappe)
tabellare (prospetti, grafici) visuale (filmati fotografie diapositive disegni)
↓
COSTRUZIONE DI MODELLI, ELABORAZIONE DI IPOTESI (indotte) E DI TEORIE
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PROBLEMA CONOSCITIVO
Ogni ricerca deve partire da un problema conoscitivo correttamente posto. Non possiamo
chiedere ad esempio, ad un questionario sulla droga, di dirci perché un giovane inizi a drogarsi,
se il problema non era già chiaramente formulato al momento della realizzazione del questionario
o della serie di interviste. E' istruttivo, a questo proposito, rileggere quanto scriveva De Martino, in
Morte e pianto rituale, a proposito degli studi sul lamento funebre precedenti alla sua inchiesta.
Egli osservava: "Anche un materiale cosi coscienziosamente raccolto presentava ai nostri fini
alcuni limiti di impiego, poiché si trattava pur sempre di un materiale che non era stato raccolto
per rispondere alle nostre domande". E aggiungeva: "Siamo stati pertanto costretti ad attaccare il
male alle radici, facendoci noi stessi etnografi della lamentazione funeraria in un'area circoscritta,
e procurandoci in tal modo una documentazione diretta che fosse adatta a rispondere alle nostre
proprie domande e alle nostre proprie ipotesi di lavoro. In altre parole ci è sembrato che almeno
in un punto fosse da superare il vizioso dualismo fra l'etnografo che raccoglie dati senza nessun
problema storiografico preciso e lo storiografo che utilizza poi quei dati nella prospettiva di un
determinato problema".
SCELTA DELL’AMBITO
Per avviare un ricerca, dobbiamo necessariamente stabilire una delimitazione di ambito. Chi
vogliamo studiare? Una persona, un reparto ospedaliero, un quartiere, una popolazione? Oppure
un certo tipo di persone (il paziente terminale, il volontario, l'immigrato di seconda generazione, il
giocatore d'azzardo)? Un atteggiamento scorretto è quello di credere che si possa partire con lo
studiare "le motivazioni del volontario", "la realtà degli immigrati", "le rappresentazioni della
malattia": è opportuno invece iniziare con lo studio delle motivazioni dei volontari di una singola
associazione o di un determinato settore di intervento, la realtà dell’immigrazione in una
determinata regione, le rappresentazioni della malattia che contraddistinguono un preciso gruppo
etnico o sociale. L'estensione della ricerca a nuovi ambiti, l'ampliamento dell'area di ricerca, la
comparazione con ambiti ed aree diverse, le generalizzazioni, non possono giungere che in un
secondo momento.
MAPPA DEI CONCETTI
La ricerca sociale non può rinunciare ai concetti, se non vuole perdersi nel caos dell'empiria.
Questi concetti devono rispondere a una duplice esigenza: a) guidare il ricercatore nella raccolta
e nell'organizzazione dei dati empirici; b) garantire il collegamento con i parametri empirici che
consenta la verifica, o la falsificazione, dell'ipotesi di lavoro. In altre parole, i concetti di cui ha
bisogno l'analisi sociale devono potersi scomporre nelle loro dimensioni, o componenti, in modo
da collegarsi con le tecniche specifiche di indagine sul terreno. Prendiamo i concetti di
50
alienazione e di libertà. Questi concetti sono utilizzabili solo a condizione che li si scomponga
nelle loro categorie fondamentali e in quelle loro dimensioni che sono suscettibili di collegarsi a
indicatori quantitativi. Avremo così, ad esempio (riprendendo la definizione proposta dall’OMS):
SALUTE → benessere fisico, benessere mentale, benessere sociale. Oppure: ALIENAZIONE →
mancanza di potere, mancanza di senso, isolamento, eccetera. E ancora: LIBERTA' → libertà
politica, libertà religiosa, libertà sessuale, ecc. La mappatura dei concetti ha quindi un duplice
aspetto: essa concerne tanto le dimensioni di un singolo concetto, come negli esempi sopra
riportati, quanto la rete di concetti in gioco in un determinato ambito di ricerca. Riportiamo qui
sotto, a titolo di esempio, due mappe concettuali utili in una possibile ricerca su temi legati al
rischio (sociale, sanitario, ambientale, ecc.) o ai comportamenti alimentari:
51
SCELTA DEGLI INDICATORI
Solo una precisa mappatura del concetto permette, attraverso la definizione dei suoi principali
aspetti, l’individuazione dei relativi indicatori, di quegli aspetti cioè della realtà empirica che sono
facilmente osservabili, misurabili, quantificabili. Ad esempio: LIBERTA' (concetto) → libertà
politica (una delle dimensioni del concetto intorno al quale si indaga) → numero dei quotidiani
politici stampati (uno dei possibili indicatori della libertà politica). Si noti che, per quanto si
possano studiare "tutte" le dimensioni fondamentali di un concetto, e per ogni sua dimensione si
possano stabilire anche numerosi indicatori, rimane indubbio il carattere parzialmente arbitrario e
comunque riduttivo degli indicatori rispetto al concetto generale.
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RACCOLTA DEI DATI
Nella raccolta dei dati, possiamo distinguere, a seconda delle fonti utilizzate, due diverse fasi o
modalità:
a) spoglio (nelle biblioteche, negli archivi ecc.: non produce nuovi dati, ma raccoglie quanto, a
livello di documenti o di letteratura scientifica, esiste in relazione ad un determinato argomento).
b) rilevamento (attraverso interviste, questionari, osservazione partecipante, fotografia, film
etnografici ecc.: vengono prodotti nuovi dati).
Entrambi i momenti sono importanti ai fini della ricerca, e hanno analoga dignità. Normalmente,
una ricerca antropologica o sociologica contempla tutte e due le fasi di raccolta, e lo spoglio
(come ricerca bibliografica) precede nella maggior parte dei casi la fase del rilevamento.
TRATTAMENTO DEI DATI
Il trattamento dei dati può a sua volta muoversi in due direzioni, a seconda degli scopi della
ricerca:
a) DOCUMENTAZIONE del fenomeno indagato (i fatti da documentare andranno considerati
sotto aspetti diversi, come la morfologia, l'età, la localizzazione, la vitalità, l'ambito sociale, ecc.).
b) ANALISI del fenomeno indagato (per analisi intendiamo quelle operazioni che procedono a
scomposizioni e ricomposizioni dei dati secondo certe tecniche euristiche e secondo certe
prospettive concettuali che consentono di ricavare informazioni che vanno al di là della pura e
semplice constatazione dell'esistenza di un fatto).
ESPOSIZIONE DEI DATI
Nell'esposizione dei dati ricorriamo talora, oltre alla descrizione verbale, a quella cartografica,
tabellare o per immagini. L'esposizione dei dati implica ovviamente un loro ORDINAMENTO.
Nell'ordinamento dei dati distinguiamo fra raggruppamento e repertorializzazione: mentre il primo
mira a catalogare la materia, la seconda mira ad agevolare al massimo il reperimento di ogni
singola notizia o informazione.
COSTRUZIONE DI MODELLI
Se è vero che la ricerca ha come obiettivo fondamentale quello di descrivere, comprendere,
prevedere la realtà e saper intervenire su di essa, tutto ciò è possibile grazie alla produzione di
modelli, siano essi descrittivi, esplicativi o predittivi. Si tratta in genere di modelli matematici, con
un aspetto statistico, vale a dire una “famiglia” di probabilità. Se i modelli aiutano a descrivere e
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interpretare la realtà, essi non vanno confusi tuttavia con la realtà stessa: i modelli sono solo delle
rappresentazioni simboliche, semplificate, della realtà a cui si riferiscono.
In quanto rappresentazione semplificata della realtà empirica, un modello teorico funziona come
un riflettore: esso illumina ed evidenzia alcuni aspetti della realtà, ponendo su di essi un accento
di rilevanza; ma inevitabilmente - e per questa stessa ragione - esso lascia nell’ombra, trascura,
pone fra parentesi altri aspetti, che potrebbero essere meglio colti attraverso un modello
differente. Proprio per questa ragione, l’adozione di modelli teorici diversi comporta generalmente
un cambio di vedute: cambiano le priorità conoscitive, i problemi a cui dare risposta, gli aspetti a
cui prestare maggiore attenzione, e di conseguenza le stesse tecniche di raccolta dei dati.
Per cogliere il funzionamento di un determinato fatto socio-culturale, dobbiamo essere in grado di
cogliere la struttura di un determinato sistema, intendendo per sistema il complesso degli
elementi compresenti e delle relazioni che li collegano. Ma le strutture non si colgono
direttamente sulla realtà concreta: mentre la realtà sociale è in continuo movimento, e i rapporti
tra persone o gruppi mutano di anno in anno e persino di giorno in giorno, la struttura generale
può rimanere relativamente costante per un periodo più o meno lungo di tempo. Per usare
un'analogia linguistica, quando si cerca di cogliere le strutture della lingua ci si colloca al livello
della grammatica e della sintassi, e non a quello della lingua parlata: ora la grammatica o la
sintassi non sono la lingua concretamente parlata, non sono la realtà nel senso corrente del
termine; costituiscono però il modello che rappresenta quella realtà concreta. Anche nelle scienze
umane e sociali è la nozione di modello a permettere il superamento del vissuto, la necessaria
presa di distanza dal piano degli avvenimenti. Il modello viene dunque costruito a partire dai dati
empirici messi insieme dalla ricerca, ma non si identifica con la materia prima impiegata, proprio
come la grammatica e la sintassi non si identifica con la lingua concretamente parlata, e tuttavia
ne rendono manifesta l'organizzazione. Possiamo quindi dire che i modelli costruiti dal ricercatore
per interpretare e descrivere la materia di studio hanno una struttura che rivela la struttura
dell'oggetto su cui sono stati costruiti.
54
U
Unnaa bbiibblliiooggrraaffiiaa,, ppeerr ccoom
miinncciiaarree aadd aapppprrooffoonnddiirree....
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