classe IIIA - ic marconi

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classe IIIA - ic marconi
RACCONTI DI
FANTASCIENZA
CLASSE 3A
ANNO SCOLASTICO 2009-2010
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INDICE
La Cometa di Halley ………………………………………….. p.3
La fine dei giorni ………………………………………………. p.3
Framele e i giorni al contrario ……………………………… p.5
Il rispetto e l’amore …………………………………………… p.6
Gli umanoidi …………………………………………………… p.10
La perfetta armonia ………………………………………….. p.11
La fine del mondo …………………………………………….. p.16
Futurama ………………………………………………………. p.22
H7 34 e l’inizio della fine …………………………………….. p.23
Il fatidico 2012 ……..………………………………………….. p.25
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La Cometa di Halley
a cura di Bianca Baggiani e Tommaso Pierazzini
- Guarda che bella!- disse Simur indicando la cometa. - Quella è la cometa di Halley ed è rarissima
da vedere. Si dice passi ogni 77 anni -. Simur era un mutante che aveva subito delle trasformazioni
genetiche: era infatti molto curioso.
Simur e suo fratello tornarono a casa azionando il teletrasporto; in un attimo, si ritrovarono in
cucina, accanto alla loro madre. – Mamma! Abbiamo visto la cometa di Halley! – La madre
rispose: - Ma no, ragazzi! Sarà stato soltanto uno di quei robot messaggeri che sfrecciano alla
velocità della luce -.
Simur rispose: - No! Sono sicuro non era un robot! Era la cometa!-.
La mamma, impegnata a cucinare, li snobbò. Allora Simur decise di usare la macchina del tempo
regalatagli dal padre per il suo compleanno. Tornarono indietro fino al momento della comparsa
della cometa e, insieme a suo fratello, decisero di inseguirla nel suo viaggio a bordo del loro kart.
L’inseguimento durò circa quattro giorni. L’ultimo giorno, la cometa cominciò a precipitare
misteriosamente. I fratelli la seguirono e, nascosti tra i cespugli, spiarono il suo l’arrivo sul suolo.
Essa si appoggiò delicatamente a terra e, subito dopo, comparve un cyborg che le si avvicinò. Ne
comparvero altri due poi tre…cinque…sette.
“E’ il momento di intervenire”, pensò Simur. I due fratelli comparvero all’improvviso e ci fu una
battaglia di sguardi. Poi, il primo a parlare fu un cyborg che disse in un modo un po’ macchinoso: Salve mutanti, io sono K573, allontanatevi o vi farete del male! -. Simur, un po’ impaurito,
balbettando, disse: - Che cosa volete fare alla cometa??? - . K573 rispose: - Ci serve soltanto il
materiale per guarire un nostro compagno -. Il cyborg alzò le braccia verso la cometa. Dalle sue
mani usciva una luce che pochi secondi dopo fece scoppiare la cometa.
Simur urlò : - Nooooooooo!!!!!! -.
K573 disse : - Perché ti disperi? Ragazzo mutante usa questo per ricomporre la cometa, vedrai che
sarai felice…… -. Il cyborg sparì, lasciando a terra un oggetto abbastanza piccolo.
Simur si avvicinò e lo osservò. Premette un tasto e, con alcune specie di fulmini, la cometa si
riassemblò.
Dopo, si sentì sussurrare: - Grazie, piccolo mutante -. Era la cometa che risaliva piano piano il cielo
e tornava a fare il suo giro nel sistema solare. – Ci rivedremo tra 77 anni, mutante! – si sentì dal
cielo.
Simur e suo fratello tornarono a casa, ma, stavolta, non raccontarono niente alla loro mamma, per
paura di passare per matti.
Fu così che Simur, stranamente, voleva che 77 anni passassero velocemente per rivedere la sua
amica Halley.
La fine dei giorni
a cura di Anna Chimentelli e Carolina Gozza
Una coppia proveniente da Londra decide di trascorrere il loro anniversario a New York. Il loro volo
parte alle ore 7:05 p.m, salgono in aereo. Jessica è in ansia, non era mai salita in aereo prima
d’ora, Robby, invece, era ormai abituato a causa dei suoi tantissimi impegni di lavoro all’estero.
Salgono in aereo, prima classe, e, subito, le hostess offrono loro dello champagne. Jessica
risponde :<<No,Grazie>> e subito l’ altissima hostess dai capelli scuri se ne va con il sorriso
stampato sulle labbra. Intanto, Jessica guarda fuori dal finestrino; aveva paura, il cielo era ormai
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tutto nero, avevano previsto dei forti temporali a Londra e sperava soltanto che non vi sarebbero
state turbolenze durante il volo.
Stanno attraversando l’Atlantico, è notte fonda…si sentono però i forti tuoni e sembrano essere
cosi vicini a loro che spingono Jessica a stringere forte la mano di Robby che ormai si è
addormentato a causa della tanta stanchezza. Ad un certo punto sente un forte rumore
proveniente dalla cabina del pilota; parte subito il simbolo che si trova sopra ogni sedile e che
obbliga di allacciarsi le cinture di sicurezza, parla il comandante: “Signori passeggeri, stiamo
attraversando un pò di turbolenza, vi raccomandiamo di restare seduti, grazie>>. Robby si sveglia
subito; era spaventato e non capiva e subito partono fortissime turbolenze. Il ragazzo non fa in
tempo a stringere la sua cintura, cade in avanti e batte la testa. Jessica è spaventatissima e con
tutte le sue forze cerca di aiutare Robby ad alzas. Non ce la fa e subito un finestrino si rompe a
causa di un fulmine. Piano piano, stanno rimanendo senza ossigeno, sembra la fine per
loro…l’aereo perde quota e cade in mezzo all’ oceano... il segnale del pericolo era arrivato alla
torre di controllo a Londra.
Londra 11:05 p.m
Helen era appena andata a prendere un caffè, ormai era tardi e aveva sonno ma doveva
continuare a lavorare nella torre di controllo. Quando meno se lo aspetta, arriva un segnale di
emergenza; prova a localizzare l’aereo, il segnale sparisce e subito informa il suo comandante.
Intanto l’aereo ormai è caduto nell’oceano.
Jessica si arrende e lascia annegare Robby; piange, è disperata e quasi non riesce a nuotare. Sale
sopra l’unica ala dell’aereo che era rimasta a galla, non riesce a vedere quasi niente, è avvolta
dalle onde dell’ oceano... sembra quasi un film drammatico. E in crisi totale crisi. Intanto pensava
ai suoi parenti che si trovano a Londra; aveva paura di morire, paura perché loro non erano al
corrente del fatto appena accaduto, le ore passavano e la tempesta continuava incessantemente e
aveva ormai sete. Se avesse bevuto l’acqua salata sarebbe stato peggio, anche se quando
arrivavano le onde veniva inghiottita da esse ed era quasi costretta bere quell’acqua marina.
Londra:<<Notizia dell’ ultima ora, una catastrofica bufera sta attraversando l’oceano Atlantico le
sue dimensioni stanno triplicando>>, è la voce della giornalista che si trova sulla costa britannica. Il
collegamento dallo studio della CNN si blocca e parte subito la voce della direttrice che si scusa per
l’interruzione e riparte. “Come potete vedere alle mie spalle, come ha detto la nostra inviata, sta
peggiorando e questo fatto è visibile a occhio nudo, ehm abbiamo appena ricevuto un'altra
notizia…un vulcano dopo 400 anni, dato ormai per inattivo, ha ripreso a buttare lava sulle coste
del Messico, per il momento non abbiamo altre notizie al riguardo, scusatemi abbiamo un
collegamento con il dottor Shuman. Grazie del suo intervento dottore, può spiegarci meglio questa
situazione?>> dice la direttrice. <<Certamente, io personalmente come geologo credo che ci
troviamo davanti a un forte problema ambientale che ha colpito l’Europa ma anche l’America
centrale, sinceramente la situazione sta diventando preoccupante anche a causa dei gas tossici
provenienti dalle ceneri del vulcano e ciò impedirà i voli intercontinentali>>rispose il dottor
Shuman e lì si interruppe nuovamente il collegamento e la direttrice si scusò dell’ accaduto.
Casa Linkenson
Tutti stanno guardando il telegiornale con il fiato sospeso,non capivano come sarebbero arrivati i
due ragazzi a destinazione, sarebbero tornati a Londra,ma se fossero stati travolti dalle ceneri di
fumo?? e subito arrivò la notizia che un aereo proveniente da Londra, esattamente il volo
BA5062A, era precipitato nell’oceano, al momento non si avevano ulteriori informazioni. Il viso dei
genitori di Jessica sbiancò terribilmente e subito vi furono pianti di dolore, ansia ; speravano solo
che la loro figlia tornasse a casa sana e salva con il suo bambino in grembo.
Helen si trova ancora nel suo ufficio, la sua famiglia la aspettava per la notte ma lei non era
rientrata, era in cerca del segnale dell’aereo, era in crisi, pensava a tutte quelle persone che erano
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andate disperse e non poteva far niente a causa dei gas tossici presenti nell’aria. I voli vennero
subito cancellati, gli aeroporti erano chiusi, ma all’interno vi erano i passeggeri che dovevano
imbarcarsi per raggiungere le loro destinazioni.
Florida 11:05 a.m
Samanta si trova in cortile insieme alla sua amichetta Stephany, la mamma le chiama per andare a
tavola ma subito si ferma e a bocca aperta guarda il cielo è tutto nero, il sole era scomparso
eppure due minuti fa c’era…le bambine corrono da Mary che ordina loro di andare nello
sgabuzzino, Samanta inciampa e cadendo si è rotta una gamba. La sua mamma non se ne accorse,
il vento le impediva di vedere pensava che fosse già scesa nello sgabuzzino…sperava che fosse così
ne era oramai convinta.. non ci pensava quasi, ma quando arrivò nello sgabuzzino trovò solo l’altra
bambina…Salì di corsa le scale del posto ma la bambina era già stata travolta dal tornado e non
ebbe scampo…la mamma tornò subito disperata nello sgabuzzino si sentiva in colpa, aveva salvato
la vita a una bambina che non era sua figlia, si era auto convinta che la piccola Samanta ce
l’avesse fatta a scendere in quel luogo che era grande, spazioso, avevano addirittura
televisori,computer. Era come una casa sotterranea, l’altra bambina era incredula e non capiva più
niente,Mary la consolò come meglio poteva e ,cercando di non disperarsi ancora di più, accesero
la tv e guardarono la televisione. vi era un allarme mondiale; a Cuba erano arrivate dei maremoti
con una intensità di 8.9 nella scala sismica, a Londra il temporale stava ormai devastando la città, il
vulcano che eruttava dopo 400 anni, tornadi, e dopo si sarebbe staccato anche un iceberg
nell’Antartide e le dimensioni erano di circa 1.000 Km quadrati sembrava la fine.
Washington D.C
Il presidente Obama insieme a tutti i suoi politici bloccarono tutti i mezzi di trasporto e diede
l’ordine di non uscire dalle proprie abitazioni a causa dei gas tossiici che stavano invadendo l’intera
atmosfera,si collegarono con tutti i presidenti del resto del pianeta attraverso telecomunicazioni
che ogni tanto si bloccavano, i paesi stavano perdendo migliaia di dollari, dovevano sfruttare al
meglio l’elettricità, il danno ambientale sarebbe stato devastante,specie di animali sarebbero
andate perse, alcuni ecosistemi sarebbero scomparsi,i danni erano gravi.. per non parlare delle
navi petrolifere che si trovavano in mezzo all’oceano quelli si che sarebbero stati gravi, inoltre vi
era quel aereo, il BA 5062° i passeggeri che sarebbero sopravissuti al impatto sarebbero morti a
causa delle perdite di petrolio…e quello fu uno dei tanti aerei precipitati,a causa di vari fatti e non
solo della tempesta.
Il collega di Helen le disse di tornare a casa non vi erano più speranze non potevano mandare dei
soccorsi sarebbero state altre vite perse…era impossibile salvarli cosi come riparare tutti quei
danni….
Jessica si fece trasportare dalle forti onde, non sapeva se ce l’avrebbe fatta, non sapeva se il suo
bambino ce l’avesse fatta, era sconvolta ma doveva farcela doveva farlo per lei, per il bambino,
per Robby, per la sua famiglia che non staccava gli occhi dal telegiornale; fortunatamente
raggiunse un’ isola,ma il pericolo in aria rimaneva…i gas c’erano ancora e solo dopo alcuni giorni il
cielo tornò a splendere.. lei e il suo bambino ce l ‘avevano fatta, ma tante vite andarono perse,
barriere coralline distrutte, così come intere metropoli..
Questo è solo un racconto, ma, riflettendoci, tutto ciò può accadere se l’uomo continuerà a
sfruttare in questo modo la Terra.
Framele e i giorni al contrario
a cura di Genny Bondi e Giada Gori
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Era la notte del 12 agosto 2026, nella cittadina di Gifemgisca e anche l’ultimo dei suoi abitanti, il
famoso scienziato Framele, stava andando a letto per riposare dopo una lunga e faticosa giornata
di studi.
All’ improvviso, un enorme boato e un’accecante luce rossa risvegliò l’intera cittadina. Nessuno
riusciva a rendersi conto di quello che era successo, poiché, aprendo gli occhi, scoprirono che non
erano le cinque del mattino come tutti si aspettavano, bensì le cinque del pomeriggio. Ognuno di
essi cominciò la sua routine quotidiana senza accorgersi che c’era qualcosa di strano, a parte
Framele che percepì nell’aria che c’era qualcosa che non tornava.
Dopo ore e ore di studi finalmente si ebbe la conferma, i calcoli non tornavano.
Il famoso scienziato lavorò notte e giorno su questo strano fenomeno anche se invano, poiché non
riusciva a trovare alcuna spiegazione a tutto ciò.
Era già passato un mese da quel assurdo 12 agosto ma ancora nessuno era riuscito a trovare una
spiegazione.
Una notte, mentre Framele passeggiava per le stradine di Gifemgisca, tutto impegnato nei suoi
conti, avvertì uno strano rumore.
Egli, essendo molto
curioso, si avvicinò lentamente al cespuglio dal quale esso proveniva ed improvvisamente vide uno
strano animale che di giorno egli non aveva mai visto. Vedendo quello strano pennuto, gli si accese
una lampadina e capì che questo era un’ animale notturno, un gufo. Si fermò un attimo a pensare
e, dopo alcuni secondi, arrivò alla soluzione. Il giovane scienziato lanciò un grido di gioia e si
precipitò tutto entusiasta nel suo laboratorio dove, dopo molti studi, riuscì a risolvere il mistero
che aveva avvolto Gifemgisca per intere notti senza alcune spiegazioni.
Erano circa le 19.30 di mattina, il cielo era limpido e un bellissimo tramonto e una quiete
inconfondibile regnava sulla bella cittadina, quando un grido interruppe quella calma atmosfera .
Era Framele che aveva finalmente trovato una risposta a tutti i perché che fino a quel giorno tutti
si erano posti.
Il giorno e la notte si erano invertiti, una causa del moto di rotazione della Terra !!
Dopo alcuni mesi, tutto tornò alla normalità e Framele divenne famoso in tutto il mondo poiché
era stato il primo scienziato a riuscire a risolvere questo mistero che ogni 5.000 anni colpisce la
stupenda cittadina di Gifemgisca. Il successo del giovane scienziato fu pazzesco, per mesi e mesi
non si sentì parlare d’altro e riuscì ad occupare la prima pagina del corriere della notte, il giornale
creato per ricordare questo evento, per moltissimo tempo.
Quando tutto tornò alla normalità, ovvero il giorno e la notte si riassestarono, il famoso scienziato
si ammalò di una malattia molto grave dovuta al cambiamento climatico tra il giorno e la notte,
chiamata in seguito Framelite, che dopo alcuni mesi di sofferenza lo portò alla morte. Prima di
morire, Framele disse alcune parole sofferenti con le lacrime agli occhi: “Beh, quando questo
fenomeno si verificherà nuovamente, e se sarà puntuale avverrà nel 6.026, io non ci sarò più, ma
spero solo che un mio collega potrà approfondire i miei studi e spero che riuscirà a creare una
nuova teoria . Se questo accadrà veramente mi rendereste l’uomo più felice di questo mondo ”.
Dopo aver pronunciato queste parole, Framele chiuse gli occhi.
La leggenda narra che ogni 5.000 anni Framele si ripresenti insieme a questo fenomeno.
Il rispetto e l’amore
a cura di Chiara Ciurlo e Eleonora Innocenti
INTRODUZIONE
In un futuro non tanto lontano due grandi imperi stavano conquistando l’universo, pianeta dopo
pianeta riuscivano a far diventare schiave tante razze diverse. Questi due regni si stavano
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contendendo l’ultimo pianeta ricco di risorse energetiche, mettendo in campo i più grandi eserciti
che si erano mai visti. Uno era comandato da Julio di razza Asan, noto per le sue tattiche difensive
e aveva un figlio maschio di giovane età, Sian. L’altro esercito era sotto l’obbedienza di Pogron
della dinastia dei Kamor, rinomato per le tattiche d’attacco e aveva una figlia anch’essa di giovane
età, Elizabeth. Agli abitanti dei regni era proibito immischiarsi nelle faccende politiche e militari.
Così, la principessa Elizabeth e il principe Sian crebbero senza sapere dell’esistenza di una guerra
universale e di un esercito intero che cercava di ucciderli.
Elizabeth si guardò allo specchio: si notavano bene nuovi brufoli su quella carnagione chiara, quasi
bianca; portava i suoi capelli castani non troppo lunghi, le superavano di poco le spalle; il fisico era
asciutto, ma a lei non piaceva. Aveva avuto decine di fidanzati, ma nessuno l’aveva veramente
considerata perché era la figlia del re. Lei cercava ancora il cosiddetto principe azzurro che riesce a
far dimenticare il proprio nome con uno sguardo.
Sapendo che fuori era bel tempo, Elizabeth decise di andare nel suo solito posto, dove rifletteva
sugli avvenimenti del giorno o sui propri sogni. Uscì dalla sua camera e si diresse nella sala del
trono; al suo ingresso, si trovava uno scanner della voce e degli occhi per far sì che nessuno
entrasse o spiasse il re.
“Papà, io esco per prendere un po’ d’aria.” Il re si girò annuendo con la testa e ritornò a parlare
con il suo consigliere. Elizabeth fece per andarsene quando lui, con una voce fredda come il
ghiaccio, le disse: “Torna prima di cena , abbiamo un incontro con il conte di Marte, è molto
importante “. La ragazza aveva da sempre avuto un cattivo rapporto con il proprio padre perché
lui non aveva mai approvato le sue scelte. Elizabeth prese il suo teletrasportatore e, in un attimo,
si ritrovò al posto scelto, una piccola radura che si apriva su un lago. Tutti sapevano che oltre al
lago si trovava un altro regno pieno di pericoli, infatti si intravedevano alberi dal colore blu scuro.
Nessuno sapeva che lei si trovava lì, neanche la sua adorata cameriera che la scortava ovunque.
D’un tratto, Elizabeth sentì un piccolo rumore che proveniva dagli alberi e si appiattì ancora di più
al suolo. Una voce roca cominciò a parlare: “ Il confine è libero, nessuna rappresaglia in vista
capitano, controlliamo questa zona e il lato ovest. Riguardo alla guerra su Plutone nessuna
novità?” Un ologramma rispose con voce macchinosa: “ Nessuna novità, il re Julio non ha dato
nuovi ordini, ma credo che l’altro esercito non attacchi per questa notte; Pogrom si trova ad una
cena e non può dare ordini”. Il silenzio invase la radura, neanche Elizabeth respirava; soltanto
dopo alcuni secondi l’ologramma ruppe il silenzio. “ La saluto soldato Covech” e l’uomo sull’attenti
rispose prontamente: “ A rivederla comandante”. Dopo che il soldato se ne andò, Elizabeth si alzò
da terra e pensò alla conversazione che aveva origliato – Ma di che guerra parlava quel soldato? E
perché ha nominato mio padre? Tutte queste domande le devo rivolgere a lui-. E così la ragazza
prese il suo teletrasportatore, ma notò subito l’ora nel suo orologio nuovo che si trovava dentro il
palmo della mano, era tardissimo, le nove passate. In un nanosecondo si ritrovò proprio dietro la
porta della sala del trono. Stava per entrare quando sentì la voce di suo padre: “ Come mai non
arriva, quella ragazza porta proprio disgrazie, vorrei non essere mai diventato padre!!”. Elizabeth
si sentì mancare, come aveva potuto dire questo di lei. In preda al pianto cominciò a correre,
dimenticando il luogo dove si trovava e che giorno era; si sentiva sola con il suo dolore. Dopo un’
ora si ritrovò alla sua radura, sul lago si rifletteva il pianeta rosso con tutta la sua bellezza. Al lato di
una roccia, la ragazza notò qualcuno che guardava il cielo come se volesse cercare qualcosa.
Elizabeth si avvicinò con cautela: aveva una carnagione scura tendente al viola, occhi grandi celesti
che ti potevano far affogare. Aveva un fisico muscoloso che traspariva da uno strano mantello,
indossato sopra dei pantaloncini. Arrivata a mezzo metro da lui provò a toccarlo, era molto caldo
quasi avesse la febbre . Lui si girò di scattò e la squadrò da cima a piedi. Cominciò a parlare con
voce squillante, ma piena di tristezza come se in quel momento avesse rievocato un brutto
ricordo. “ Come ti chiami?”. Elizabeth ci pensò un secondo e decise di cambiare nome, non voleva
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ancora una volta avere ammiratori per il suo patrimonio o per i suoi titoli nobiliari. “Leah , mi
chiamo Leah”. Lui le sorrise e disse:” Piacere, io mi chiamo Sian”. Il ragazzo, se così si poteva
chiamare, si alzò per sgranchirsi le gambe. ” Cosa ti porta qui tutta sola, Leah ?” Lei pensandoci
un po’ su rispose: “ Vengo qui nei momenti più difficili, è come un rifugio per me, mi dimentico del
mondo esterno …”. Stava per aggiungere qualcosa, ma girando lo sguardo vide Sian che la
guardava intensamente. La luce pallida di Marte irradiava la sua pelle e le dava un che di magico e
misterioso. Sian tolse lo sguardo da lei. “Quando ci sono notti chiare come questa, vengo a
osservare il cielo, mi ispira. Sai, c’è una leggenda che narra di due creature, completamente
diverse, che non erano destinate a stare insieme, ma, lottando contro ogni pregiudizio e ostacolo,
ci riuscirono. Proprio lì, in quel luogo si sono incontrati per la prima volta.”Con un movimento
brusco indicò il centro del lago. Elizabeth non aveva mai sentito quella storia, ma l’aveva
affascinata molto: come avevano mai fatto quelle creature ad accettare le proprie diversità e
continuare ad andare avanti, non poteva immaginarselo. La ragazza volle interrompere il silenzio:”
Raccontami un po’ di te, Sian!”
Il ragazzo fece per prendere fiato, ma subito ripensò a cosa doveva dire: “Sono della razza Asan,
mia madre è morta quando ero molto piccolo e con mio padre non parlo da un due mesi, da
quando sono scappato di casa. Ora che ti ho raccontato questa cosa che non direi neanche a un
amico fidato, parlami di te”.
Elizabeth gli sorrise debolmente: “Non ho una madre e ho
appena sentito mio padre dire - Vorrei non essere mai diventato padre-, non ho amiche e, in
conclusione, la mia vita fa schifo.” Il ragazzo cominciò a ridere, aveva un risata buffissima simile a
un maiale che grugnisce. Nel bosco si sentivano solo le loro risate che aumentavano di secondo in
secondo. Sian con il sorriso sulla bocca disse: “Leah abbiamo moltissime cose in comune: abbiamo
un padre che ci odia, non abbiamo amici e ci rifugiamo qui nei momenti difficili, direi che possono
bastare.”
Quella notte fu la più bella che Elizabeth avesse mai vissuto, aveva incontrato qualcuno che
finalmente non cercava il suo titolo nobiliare, ma l’accettava per quello che era. Sian le rivelò molti
segreti e stettero a parlare tutta la notte, come se il tempo non esistesse. Il mattino, quando si
recò a casa, trovò un biglietto e una nuova astronave; suo padre l’aveva sentita quando lei si era
messa a piangere e a correre per il palazzo. Questa volta Elizabeth non si sarebbe fatta comprare
da regali, ne era sicura.
Le settimane passarono tutte alla stessa maniera: di sera i bellissimi momenti con Sian e durante il
giorno gli sguardi minacciosi diretti a suo padre che, come il solito, erano ricambiati da occhi da
cucciolo smarrito. Una sera, come ormai era abitudine, si recò alla radura con la nuova astronave,
un “regalo” di suo padre. Sian la aspettava su una roccia con il petto scoperto, la ragazza notò
subito i muscoli definiti del torace e pensò - Anche se non è umano è molto carino- ma, come
poteva pensare una cosa del genere del suo più caro amico... Si salutarono con il sorriso stampato
sulle labbra,ma Elizabeth notò qualcosa che non andava nello sguardo del ragazzo, le nascondeva
qualcosa di importante. Allora si fece coraggio e gli chiese:” C’è qualcosa che non va?” Lui con un
sorriso amaro la guardò. “Ti devo dire una cosa che sta diventando un peso per me, ma non so
come dirtelo …”. Ad Elizabeth quelle parole fecero paura; cosa c’era di così brutto che le poteva
nascondere? Sian si avvicinò con cautela e le prese le mani, guardandola dritta negli occhi. ”In
questi giorni ho capito che sei l’unica persona che mi ha accettato per quello che sono, ignorando
la mia razza e colui che sono in realtà.” Il ragazzo prese fiato e continuò: “Un principe del regno di
Julio”. Calò un silenzio spettrale. Elizabeth era sconvolta da quelle parole, anche lei provava le
stesse emozioni. Doveva dirgli chi era o lei avrebbe rovinato quello che c’era fra loro due. “Anch’io
ti ho nascosto una cosa, sono figlia del re Pogron e mi chiamo Elizabeth. Ho cambiato nome per
paura che tu conoscessi il mio titolo nobiliare e non me”. Poi accadde una cosa che lei non si
sarebbe mai aspettata. Sian si avvicinò e le loro labbra si incontrarono, fu qualcosa di magico per
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loro due . Alla fine del bacio nessuno alzava gli occhi da terra per paura della reazione che l’altro
poteva aver avuto. Elizabeth odiando quel silenzio parlò:” Ti devo far conoscere mio padre, voglio
che almeno una volta approvi una mia scelta. “Prendendolo per mano, Elizabeth teletrasportò Sian
nella stanza del trono. Suo padre se li vide apparire davanti e prese paura. Pogron scrutò sua figlia
e il “ragazzo”: qualcosa non quadrava, lo aveva già visto. Ora ricordava: era il figlio di Julio, il
nemico giurato. Con voce forte parlò:” Catturate quell’essere è figlio del nemico, deve essere
giustiziato!!!” Delle guardie placcarono Sian. Elizabeth, in preda alla paura, cominciò a supplicare
suo padre: “No, non lo fare è l’unica persona che abbia mai amato. E poi che cosa ha fatto di
male?” Pogron stava prendendo un fucile per giustiziare il ragazzo, ma decise di raccontare tutto
sulla guerra su Plutone: “Sappi, figlia mia, che il nostro regno sta combattendo la guerra più
grande mai stata scatenata, e il nostro nemico non è altro che il tuo bel fidanzatino.” Elizabeth si
sentì mancare, era sempre stata all’oscuro di tutto questo, come tutti i cittadini dell’impero.”
Padre come fai ad essere così crudele, Sian non è come suo padre lui è diverso. “Le sue parole
erano inutili, Pogron non l’ascoltava; lui stava caricando il fucile quando l’urlo di disperazione di
sua figlia lo distrasse. ” NOO, non lo fare io lo amo!!” Dopo queste parole lei guardò Sian negli
occhi, la sua felicità era dentro quel ragazzo e doveva salvarlo, ma fu braccata da due soldati.
Cercava in tutti i modi di divincolarsi, ma non era possibile sfuggire a quella presa. Le lacrime le
salirono agli occhi e si accasciò a terra con la testa fra le mani. Dopo i secondi più brutti della sua
vita, sentì lo sparo e un corpo accasciarsi a terra: Sian era ferito sulla zona destra del petto, ormai
era tutto finito. La disperazione l’assalì, ma poi vide qualcosa di strano: Sian aveva l’occhio sinistro
aperto e lo muoveva freneticamente. Non era morto, c’era una speranza. Così, si alzò
velocemente e prese con difficoltà il corpo ormai senza sensi di Sian. Uscì dal castello e corse il più
velocemente possibile fino ad arrivare alla casa di un suo vecchio zio che aveva una macchina a
raggi infrarossi capace di rimarginare le ferite.
Arrivati in quella casa lontana, dalle grosse finestre di vetro, Elisabeth chiamò disperatamente lo
zio, diverse volte. Lui uscì di corsa spaventato dalle urla della ragazza , e vedendola per terra con il
corpo di un uomo affianco, si diresse verso di loro per capire cosa fosse successo. La ragazza prima
di raccontare tutta la storia, gli chiese disperatamente di aiutarla, di usare la sua macchina
miracolosa per salvare il suo giovane amante. Presto lo zio corse dentro, la prese e in pochi
secondi fu di nuovo vicino al ragazzo. Riuscì a salvare Sian e il giovane cominciò a respirare
nuovamente in modo normale, aprì’ gli occhi e scambiò un tenero sguardo con Elisabeth. Avrebbe
voluto baciarla ma non poteva, c’era lo zio che li guardava, ma non resistette alla voglia di
abbracciarla forte per dimostrarle la sua immensa gratitudine. Lo zio era lì fermo che li guardava,
tra mille pensieri, non riuscendo a capire cosa fosse successo, ma si convinceva sempre di più che
quei ragazzi erano uniti da teneri sentimenti e da un amore vero.
Sian si alzò lentamente e con una certa fatica, dopo aver ringraziato lo zio di Elisabeth, sorrise
delicatamente, pensando che l’amore era riuscito a salvarlo. Lo zio li invitò a entrare nella sua
casa enorme, tutta colorata e con mille strane apparecchiature che regolavano la sua vita. Lì
preparò una bevanda calda al gusto di ortica e menta e seduti intorno a un tavolo i due giovani
raccontarono la loro triste storia. Troppo diversi, figli di nemici, distanze enorme di pianeti, ma
uniti da uno stesso sentimento: l’amore. Lo zio capì subito e non sapendo come fare ad aiutarli,
disse loro che potevano restare lì per tutto il tempo che desideravano. Forse i loro padri, sentendo
la loro mancanza , avrebbero abbandonato gli antichi rancori e la pace avrebbe regnato per
sempre nei loro due regni. Ma ciò non avvenne. La rabbia e il disprezzo divennero insostenibili e
cominciò una lunga guerra che sconvolse i due regni. Ci furono tanti morti e tante persone
rimasero senza nulla, solo con il dolore nel cuore. I cieli si oscuravano con il fumo delle battaglie e
i campi divennero sempre più scuri e ricoperti di una sostanza scura, un miscuglio di sangue e
petrolio. L a morte regnava negli sguardi di tutti . La gente non capiva il perché di tutto ciò e Sian e
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Elisabeth da parte loro sapevano ciò che succedeva e spesso piangevano insieme. Sapevano che
non potevano far niente per fermare tanta violenza, perché conoscevano la caparbietà dei loro
padri. Ma un bel giorno, i due ragazzi trovarono il coraggio di esporsi, si recarono dai rispettivi
padri , per spiegare che solo la tolleranza, l’amicizia, il rispetto , l’accettazione della diversità
erano valori positivi, che la violenza non poteva portare a nulla, solo all’odio più forte. Ma i
rispettivi padri non volevano intendere ragione, erano solo vecchi, rancorosi e non erano stati
abituati ad amare. Concessero solo ai loro figli di andare e dissero loro di non tornare più
altrimenti li avrebbero uccisi.
Tristemente tornarono dallo zio ma qualcosa di strano avvenne. Sulla strada del ritorno ognuno di
loro incontrò una strana creatura metà uomo e metà leone. Entrambe predissero che loro due
sarebbero stati i nuovi sovrani di un regno unito, pacifico e tranquillo. Si trattava solo di sperare ed
aspettare la fine di quel giorno che era loro sembrato terribile e senza speranza. Ancora una volta
i due ragazzi raccontarono allo zio del colloquio avuto con i padri, di quello strano incontro che
aveva suscitato in loro tanta paura ma anche una debole speranza.
La notte due vulcani spenti ormai da centinaia di anni cominciarono ad eruttare e a liberare tanto
fumo, cenere e lava. La gente spaventata correva per trovare un rifugio, ma la lava sembrava
andare in un’unica direzione: i due castelli reali sui due diversi pianeti. Era la punizione per i due
sovrani che non erano riusciti a governare saggiamente e non avevano saputo dare ai loro popoli
la felicità. La lava travolse tutto , le loro vite , i loro poteri e i loro odi. La pace ritornò nei due regni
e tutti furono felici. I due ragazzi si sposarono e imposero un’unica regola nei loro regno: il
rispetto e l’amore.
Gli umanoidi
a cura Irene Bonci e Alberto Ferroni
Il caldo di quei giorni era frustrante e il vento che spazzava via le nuvole era meno inquieto del
solito; era davvero una bella giornata e niente avrebbe potuto impedire la partenza per Marte.
Almeno, questo era quello che speravamo. La caduta della navicella spaziale a Melbourne aveva
causato gravi danni all’ambiente, danneggiandolo. Era assurdo che fosse capitata una cosa del
genere ai giorni d’oggi: il professor Truman ci aveva spiegato che la causa del disastro erano state
le condizioni climatiche di quei giorni. E, trovandoci in America e avvenuta questa disgrazia in
Australia, era ugualmente assurdo che avremmo dovuto ritardare la partenza di due mesi,
decisamente, totalmente, inevitabilmente assurdo! Ma era così, ed era da laggiù che saremmo
dovuti partire. Le notizie di quei giorni alla navi-scuola erano troppe e differenti: non ci si capiva
più niente. Eppure, problemi del genere non era la prima volta che accadevano, ma stavolta non
sembrava così facile venirne a capo. Anche i miei erano preoccupati; mia madre si era addirittura
recata alla navi-scuola per saperne di più, ma non aveva avuto grandi spiegazioni, né dal preside,
né dai professori. Si trattava soltanto di aspettare e avere pazienza. Passarono i giorni, passarono
le settimane e passarono anche i mesi: ebbene sì, era finalmente giunto il momento di partire. Ci
saremmo ritrovati davanti al navi-porto la mattina presto, appena sarebbe sorto il sole e saremmo
dovuti salire sulla navicella spaziale che il professor Marshall ci aveva gentilmente prestato, date le
cattive condizioni delle altre 4 rimaste. Era immensa, aveva 4 motori che riuscivano a farla volare
anche con venti che raggiungevano i 500.000 Km/ h. I suoi colori erano caldi, come se potessero
infondere tranquillità ai suoi passeggeri. Ognuno aveva le sue valigie, piccole ma molto capienti
grazie alle nuove tecnologie. Una scaletta fatta di ologrammi ci portò fino in cima all’entrata che
era posta a 500 metri di altezza. Dietro di me, si trovava una comitiva di ragazzi, forse non avevano
più di 16 anni: erano carini, ma non si potevano definire belli; si, proprio alla mia portata. Questo
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viaggio sarebbe stato all’insegna delle conquiste. Promisi a me stessa che sarei tornata con
qualcuno. Fui svegliata dai miei pensieri da un ragazzo che mi urtò e mi versò tutto il caffè sulla
nuova giacca di pelle. - Scusa, mi dispiace tantissimo!- Continuava a scusarsi e scusarsi, ma, se
credeva che queste parole potessero bastare, si sbagliava di grosso. Mi allontanai e mi rifugiai in
bagno, ero infuriata. Dopo aver sbollito la rabbia, uscii tutta bagnata e ancora quel rompiscatole
era vicino a me. -Ciao, il mio nome è Emmet. Il nostro primo incontro non è stato dei più piacevoli,
ma credo che potremmo rimediare-. Era appoggiato allo stipite della porta. In confronto a me,
Emmet sembrava un gigante; i suoi muscoli risaltavano sotto la maglia a maniche corte, abbinata
ad i pantaloni stretti. Il viso era la sua cosa più bella, aveva occhi chiari, color ghiaccio e dei capelli
biondi né troppo lunghi né troppo corti. Ok, poteva essere uno s..... colossale, ma era molto bello.
La sua voce mi svegliò. -Terra chiama ragazza! Terra chiama ragazza!-. Sventolava la sua mano sul
mio viso. Indignata, lo fulminai con lo sguardo. -Comunque io mi chiamo Samantha e non ti voglio
più fra i piedi-. Emmet mi guardò con occhi da cucciolo smarrito e mi dovetti ricredere. - Ok,
proveremo ad essere amici-. Con il sorriso più bello del mondo, ci allontanammo dal bagno e mi
diressi alla stanza che mi avevano assegnato per il viaggio che sarebbe durato in tutto 2 settimane.
Emmet entrò con me dentro la nuova camera, con la scusa di controllare se c’era un aggressore o
roba simile. Al centro della stanza c’era un piccolo letto con 2 cuscini; accanto a questo c’era un
comodino tutto in legno massello, sul quale poggiava una piccola abat-jour colorata. Mi distrassi
dallo scrutare la mia stanza e uscimmo in corridoio, stando per conto nostro tutto il tempo. Da
quella sera, Emmet non si staccò un attimo da me e divenimmo amici inseparabili. E chi l’avrebbe
mai detto! Il quinto giorno del viaggio io ero in camera sua a ridere e scherzare. Durante il viaggio,
avevo pensato molto a Emmet e avevo finalmente capito ciò che provavo per lui: mi piaceva da
morire, mi ripetevo in continuazione. Mi ero decisamente innamorata di lui. Improvvisamente
divenne serio, come se avesse ripensato ad un fatto accaduto tanto tempo fa e lo stesse rivivendo
quel momento: mi guardò con aria autorevole, e mi disse: - In questi giorni ho capito tante cose;
qualcosa che non avrei mai creduto di provare...-. Mi si avvicinò pericolosamente, ma,
improvvisamente distolse lo sguardo. Stavo per dirgli qualcosa, ma non mi fece aprire bocca,
anticipandomi: -Io conservo un segreto, che nessuno ha mai saputo. Appena te lo dirò, scapperai
per la paura. Ma ti scongiuro, non lo dire a nessuno-. Così cominciava a spaventarmi veramente. Io sono un…umanoide -. La testa mi cominciò a girare, come era possibile? Gli umanoidi
provengono da Plutone e si erano quasi estinti. - Ma come, ma come è possibile tutto ciò? Tu
venivi a scuola con me -. Detto questo, si girò e mostrò il segno caratteristico degli umanoidi, un
occhio dietro la nuca.
Mi spaventai. Ma poi capii che non lo dovevo giudicare per la sua immagine: io mi ero davvero
innamorata di lui. Di punto in bianco, cominciò a piangere e io lo abbracciai, ora più che mai aveva
bisogno del mio sostegno.
Emmet si girò con cautela e iniziai a scrutarlo, mi persi nei suoi occhi. Mi mossi da sola, senza che
la mia mente pensasse. Le nostre labbra si incontrarono e fu bellissimo. Soltanto due minuti dopo
riuscii a guardarlo in faccia; lui sorrideva. Con quel bacio avevamo detto tutto. Restammo a
guardarci per ore. Quel viaggio fu il più sconvolgente ed il più romantico della mia vita.
La Perfetta Armonia
a cura di Martina Buti e Francesca Ciabattini
Era da poco finita la pausa pranzo e Kate stava entrando in biblioteca con la sua amica Miriam che
conosce dai tempi dell’asilo, cioè da quando quest’ultima si è trasferita a Boston con la madre dal
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Burundi.. La biblioteca era la stanza più piccola e a nord della Jefferson High School nella periferia
della città. Le ragazze ci erano andate per cercare un libro sui geroglifici egizi.
<<Ehi Kate! Vieni un po’ a vedere, qui c’è un simbolo uguale alla tua voglia!>>.
In effetti quel geroglifico assomigliava molto alla voglia che Kate aveva sulla spalla destra dalla
nascita.
<<Hai proprio ragione, chissà se significa qualcosa?>>.
Così Miriam disse:<<Perché non lo scopriamo?>>.
Presa la decisione, le ragazze portarono il libro dall’esperto di geroglifici che lavorava al museo
della città. Si chiamava Alan Cutler ed era un ometto basso e cicciotello, con i tipici occhiali da
studioso che gli ingrandivano sproporzionatamente gli occhi.
<< Buongiorno ragazze, cosa posso fare per voi?>>
<<Buongiorno. Stavamo facendo una ricerca sui geroglifici, quando abbiamo trovato questo
simbolo che ci ha molto incuriosite.>> rispose Miriam.
<< D’accordo, fatemi dare un’occhiata – l’esperto prese il libro dalle mani di Kate – per domani
avrete la risposta>>.
Intanto, a centinaia di migliaia di chilometri di distanza, sul pianeta Kassybill, viveva un
diciassettenne di nome Talamh.
Era uno studente del liceo migliore della sua città, la capitale: Kassy.
Quel pomeriggio Talamh stava andando in biblioteca per una ricerca sui simboli degli Huns, e,
dopo qualche minuto di lettura, si accorse di un simbolo identico alla macchia che aveva sulla
spalla sinistra. A quel punto pensò: “ E se la mia macchia avesse un significato preciso?”.
Così, si recò immediatamente dal filosofo Perisikan per avere informazioni.
<< Salve, avrei bisogno di sapere cosa significa questo simbolo, mi può aiutare?>>.
<<Buonasera, certamente. Fammi vedere – e Perisikan prese il libro dalle mani di Talamh – vista la
tua curiosità per domani cerco di farcela>>.
Il giorno dopo, il ragazzo si diresse dal filosofo. Questo gli disse di non averne capito il significato,
ma di aver trovato un’incisione su un pezzo di legno nella quale si trovava quel simbolo. L’incisione
diceva: “Fin dal principio un presagio di morte e distruzione gravava ogni 81 anni sull’allineamento
dei pianeti Terra e Kassybill. Il marchio di Kassybill”.
Talamh ringraziò Perisikan e prese il pezzo di legno, intento a scoprire cosa potesse significare quel
messaggio scritto in quella lingua strana.
Nel frattempo sulla Terra Kate e Miriam erano tornate al museo dall’esperto di geroglifici per
avere una risposta, ma quando furono lì ebbero una brutta sorpresa.
<<Oh ragazze! Mi dispiace molto, non ho scoperto molto su questo simbolo – disse l’esperto con
un tono di delusione nell’ultima frase – in compenso però nel magazzino del museo ho trovato una
strana lastra dove veniva rappresentato lo stesso simbolo e mi ha incuriosito molto, così l’ho presa
per voi…>>
<<Grazie mille – disse Kate prendendo la lastra e guardandola con una faccia stupita – ma che cosa
dice?>>
<<Non lo so. Non sono riuscito decifrare la frase; sembra scritta in una strana lingua a noi uomini
sconosciuta>>rispose l’esperto.
<<Evvai!!! Un altro mistero da scoprire…non vedo l’ora>>disse Miriam tutta eccitata.
La frase era: “pada putri dari tanah harus ikut dengan itu tanda dari tanah pada putra dari Kassybill
jadi bahawa kembali itu lengkap harmoni.”
Nel momento in cui Kate prese la frase, si toccò istintivamente la spalla destra e sentì uno strano
calore al tatto; tanto strano che si spaventò pure, perché non le era mai capitato che la sua voglia
diventasse calda. Nello stesso momento, la stessa cosa accadde anche a Talamh, a centinai di
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milioni di chilometri di distanza, su un altro pianeta…ma i due ragazzi non sapevano ancora che la
cosa fosse collegata.
Tutto successe molto velocemente; nell’istante in cui Kate si toccò la voglia sentì una voce calda e
armoniosa nella sua testa. In quel momento fu certa che non esistesse niente di più bello al
mondo, ma forse era proprio questo il punto: poteva esistere qualcosa di simile sulla Terra?
Mentre Kate pensava tutto questo Talamh sentiva dentro di sé la voce femminile più melodiosa e
attraente che avesse mai ascoltato. Era talmente sbalordito che non si accorse quasi delle
congetture che quella voce stava facendo su una possibile esistenza aliena.
<< Scusate ma sono davvero stanca, credo che me ne andrò a schiacciare un pisolino. Grazie mille
signor Cutler, a domani Miriam>> Disse Kate ancora stordita.
Una volta a casa, si preparò per andare a letto, e prima di dormire, prese di nuovo in mano la
lastra per provare a capire ciò che era successo nel pomeriggio. Allo stesso modo, Talamh ripeté
l’operazione di poche ore prima…
“Ehilà! C’è nessuno?” pensò Kate, sentendosi tra l’altro molto stupida.
“Si, chi sei?” chiese Talamh di rimando.
“Mi chiamo Kate, ho 16 anni e sono di Boston. Tu invece?”.
“ Io sono Talamh, ho 17 anni e vivo a Kassy…Precisamente dov’è Boston? Non ne ho mai sentito
parlare.”
“Davvero?! E’ la capitale del Massachusetts, hai presente gli Stati Uniti d’America? Dai, non puoi
non conoscerla!” rispose Kate in modo scherzoso.
“ Seriamente non so di cosa tu stia parlando! Nessuno in tutta Kassybill ne ha mai proferito
parola!”.
“ Dov’è Kassybill?”
“KASSYBILL E’ IL PIANETA IN CUI VIVIAMO!” pensò Talamh scioccato.
“Oook, quindi vorresti dirmi che ci troviamo in due pianeti diversi?” disse scettica.
“Perché scusa tu da quale pianeta verresti?”.
“ Dalla Terra ovviamente!”.
“ Che si trova esattamente…” pensò in attesa di un chiarimento.
“ Nella Via Lattea, nella terza orbita dal Sole” rispose Kate sconsolata.
“Cosa!? Ma anche Kassybill si trova nella stessa orbita…questo significa che nella terza orbita ci
sono due pianeti…”
“Già, mi sa che è proprio come hai detto tu…”rispose scioccata.
Ad un certo punto Kate si sentì chiamare da sua madre:
<<Kate! Kate! Vieni a cenare che è pronto!!>>
<<Arrivo subito mamma!!>>le rispose.
“Scusami ma mia madre mi sta chiamando per andare a cena – disse la ragazza toccandosi la voglia
e contemporaneamente la lastra – mi rifarò viva appena finito…va bene?”
“Certo ci sentiamo dopo” rispose Talamh .
Intanto, su Kassybill il ragazzo stava cercando di decifrare lo strano messaggio che aveva trovato il
filosofo Perisikan contenente la sua strana macchia e, per farlo, decise che appena fosse stato
possibile ne avrebbe parlato con quella ragazza che aveva una voce talmente melodiosa e
attraente da far sciogliere anche i ghiacciai del monte KB, il monte più alto del suo pianeta.
Talamh si ritoccò la spalla e la lastra sperando che anche la ragazza lo facesse e così successe.
Proprio nello stesso istante pensarono:
“Ci sei?” e si misero a ridere.
“Eccomi, sono tornata e adesso possiamo continuare il nostro discorso…se vuoi”
“Certo! – rispose Talamh entusiasta – volevo parlarti di uno strano pezzo di legno in cui è inciso
una specie di codice…tu ne sai qualcosa?”
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“Si, anche io ho trovato qualcosa di simile… e lo sto tenendo in mano in questo momento”
“Forse insieme potremmo capire quello che c’è scritto… il tuo pezzo che dice?”
“Non lo capisco, ma provo a leggertelo: pada putri dari tanah harus…”, cominciò esitante la
ragazza.
“Ma questa è la mia lingua!!” Esclamò sbalordito il ragazzo.
“Perfetto! Allora puoi tradurre queste parole! Ascolta: pada putri dari tanah harus ikut dengan itu
tanda dari tanah pada putra dari Kassybill jadi bahawa kembali itu lengkap harmoni. Cosa vogliono
dire?”
“Beh…sulla figlia della Terra e il marchio della Terra sul figlio di Kassybill si dovranno riunire in
modo che ritorni la completa armonia. E tu potresti tradurre il mio codice?”.
“Certamente, dimmi pure”
“ … Fin dal principio un presagio di morte e distruzione gravava ogni 81 anni sull’allineamento dei
pianeti Terra e Kassybill. Il marchio di Kassybill.”
“Oh cielo! Questo significa …” disse Kate ripetendo poi ciò che fino a poco prima era solo un
mucchio di simboli.
“Wow… sembra che la tua parte sia la continuazione della mia; proviamo a metterle insieme…”
Ed entrambi pensarono contemporaneamente: ‘Fin dal principio un presagio di morte e
distruzione gravava ogni 81 anni sull’allineamento dei pianeti Terra e Kassybill. Il marchio di
Kassybill sulla figlia della Terra e il marchio della Terra sul figlio di Kassybill si dovranno riunire in
modo che ritorni la completa armonia.’
“ E dovremmo essere noi i prescelti?!” pensò Kate sconvolta.
“Aspetta, qui parla di un marchio…certo, ora che ci penso…tu hai mica una voglia dalla forma
strana?” rispose Talamh cercando di tranquillizzarla.
“Si, sulla spalla destra, perché ce l’hai anche tu?” chiese Kate agitandosi sempre di più.
“Si, sulla spalla sinistra”.
I ragazzi rimasero in silenzio, per rendersi conto della grandezza della situazione. Dopo qualche
minuto Kate si congedò pensando: “Io sono troppo stanca per riflettere adesso, che ne dici se ci
risentiamo domani?”.
“ Si, mi sembra la cosa più giusta. Allora a domani..ciao!” rispose Talamh, sentendo già la
mancanza di quella voce mozzafiato nella sua testa.
“Si, ciao!” pensò Kate di rimando. La ragazza esitò un ultimo istante con le dita sulla sua voglia,
sperando di poter ascoltare ancora i pensieri di quel ragazzo che sembrava averle cambiato la vita,
e infine si rassegnò preparandosi per andare a dormire.
La mattina dopo, Kate si alzò di buonora e scese al piano inferiore per fare colazione con la sua
famiglia. Biascicò un “buongiorno” con la voce impastata dal sonno, ma non le fu prestata la
minima attenzione dato che sembravano tutti molto concentrati sul telegiornale mattutino. Un po’
offesa Kate ripetè il saluto ad alta voce e sua madre si voltò verso di lei per intimarle di fare
silenzio e di ascoltare. La ragazza si sedette al suo posto e vide un servizio giornalistico in diretta su
un ciclone a non molta distanza da casa loro. Appena il telegiornale fu terminato venne informata
dai genitori che una serie di eventi simili avevano tempestato le più svariate parti degli Stati Uniti.
Udendo ciò, Kate si ricordò di quella profezia “…un presagio di morte e distruzione…”. Che fossero
trascorsi quegli 81 anni, e che fossero proprio loro i prescelti per la salvezza della Terra?
Kate salì di corsa le scale, impaziente di sapere cosa stava accadendo su Kassybill e ancor di più di
sentire Talamh. La mattinata a scuola le sembrò durare un’eternità, e, una volta a casa, non perse
tempo in chiacchiere. Finalmente in camera sua, tirò fuori da sotto il letto la sua parte di profezia
e, contemporaneamente, si sfiorò la voglia, anzi il marchio, sulla spalla. Silenzio più assoluto.
Niente voce, niente Talamh. Aspettò cinque minuti in quella posizione, poi si arrese all’evidenza e
andò in cucina per poter ascoltare il telegiornale pomeridiano.
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Altre novità: un terremoto aveva scosso il territorio di Arizona e Nuovo Messico. I morti ed i feriti
cominciavano ad essere una cifra notevole. Se davvero quella profezia diceva la verità, allora
dovevano fare qualcosa, non potevano restare a guardare mentre tutto ciò che conoscevano e le
loro stesse vite andavano in frantumi.
A questo punto, l’unica cosa che Kate trovasse ragionevole fu di aspettare la “connessione” di
Talamh. Passò tutto il pomeriggio a spasso per la camera attendendo un qualsiasi segno di vita da
parte del ragazzo.
Questo però non si fece sentire, né quella sera né per i tre giorni successivi. La ragazza stava per
avere un esaurimento nervoso, quando il quarto giorno riuscì finalmente a comunicare con
Talamh.
“ Alleluja! Si può sapere dov’eri finito?! Qui sulla Terra accadono catastrofi su catastrofi e tu non ti
degni nemmeno di dirmi che succede?!” esplose Kate.
“ Scusa, ma anche su Kassybill la situazione è tragica. Sono già state evacuate le quattro città che
correvano i rischi maggiori, ho avuto molto da fare.” Cercò di difendersi il ragazzo.
“Dobbiamo fare qualcosa, Talamh, e il più velocemente possibile. Qui rischiamo di lasciarci tutti le
penne!”.
“Certo, ma cosa? La profezia diceva che i due marchi si dovranno riunire, quindi noi dovremmo
trovare il modo di incontrarci, a tutti i costi.”
“Ma come facciamo? Non possiamo usare un’astronave, siamo giovani, senza esperienza, senza un
minimo di studio al riguardo…non ce la faremo mai!” pensò Kate sull’orlo delle lacrime. Sentirla
così era per Talamh un tormento enorme.
“Cerchiamo di non farci prendere dal panico. Allora, noi comunichiamo con il pensiero, toccando
contemporaneamente la nostra voglia e la parte di profezia che abbiamo trovato…magari
ampliando i nostri sensi riusciremo a fare anche qualcosa di più. Proviamo a stare con gli occhi
aperti mentre ci parliamo…”
La serata continuò così tra molti tentativi inutili e, ormai stufa, Kate si arrestò davanti allo specchio
di camera sua guardando sconsolata la sua immagine riflessa, pensando che probabilmente era lei
il problema. Nell’udire questo, Talamh la consolò con frasi molto dolci. Mentre entrambi si
beavano di quel momento, Kate vide il suo riflesso nello specchio modificarsi ed assumere
l’aspetto del ragazzo più angelico che avesse mai visto. In quell’istante la mente di entrambi si
arrestò per lo sbalordimento. L’immagine fece un passo in avanti con le braccia tese, che
oltrepassarono il vetro come se non esistesse.
<<Talamh?>> riuscì a malapena a sussurrare Kate.
Il ragazzo, materializzatosi nella sua stanza, annuì lentamente, poi si aprì in un sorriso smagliante e
disse:<< Problema risolto.>>
<<Sei...sei…>> cominciò la ragazza ancora frastornata.
<<…bellissima>> finì il ragazzo ammaliato.
A quel punto, scoppiarono entrambi in una risata imbarazzata.
Dopo qualche minuto di silenzio Talamh prese la parola, dicendo di avere il pezzo di legno con sé.
Così Kate gli mostrò la sua lastra e lentamente li avvicinarono in modo che le due parti
combaciassero perfettamente. Come una calamita, i pezzi si incollarono tra di loro, trasformandosi
in un unico blocco di un nuovo materiale, in una lingua che tutti e due comprendevano.
Semplicemente incredibile.
Un attimo dopo il blocco scomparve, smaterializzandosi, e tutto fu invaso da un fascio di luce.
<<Non è stato poi così difficile>>.
<<Parla per te, è già tanto che non sia impazzita, vista la situazione!>>
<<Non lo dire neanche per scherzo, ci sarei stato io a proteggerti.>> replicò il ragazzo, senza
lasciarle il tempo di rispondere, bloccandola con un dolcissimo bacio.
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<<Modesto l’alieno!>> rispose lei, facendogli la linguaccia e incrociando le dita con le sue.
A prima vista, sembravano una normalissima coppietta a spasso per il parco, eppure un particolare
li distingueva dagli altri…
LA FINE DEL MONDO
a cura di Azzurra Palazzini e Beatrice Zonfrillo
Dal momento in cui mi alzai al mattino, sentii dentro di me che quel giorno avrebbe cambiato la
mia vita, non sapevo come o quando, ma ero certa che quella giornata sarebbe stata diversa per
tutti quanti. Dovetti per forza andare a scuola, contro ogni mia volontà, mi alzai da letto e mi
trascinai a fare colazione. Quella mattina avevano un gusto diverso anche i cereali, i quali
normalmente mi danno la carica per affrontare intere ore di lezione del professore di fisica, che
bastava aprisse bocca per far addormentare tutti.
Il telegiornale della sera prima aveva affermato che durante la giornata si sarebbero potute
percepire delle piccole scosse di terremoto dovute all’assestamento della terra a causa del
terremoto del 5 maggio del 2283.
Mentre la classe dormiva nell’ora di fisica, fingendo di ascoltare ogni singola parola del PDC (Prof.
Addormenta Cervelli), i banchi furono scossi rumorosamente risvegliando la maggior parte dei
miei compagni… Il professore continuò a spiegare come se non fosse accaduto niente, ma il mio
cuore batteva troppo forte per poter tornare a dormire, così le ore passarono lentamente come i
lunghi minuti di attesa dal dentista. Il suono della campanella d’uscita mi riempì di sollievo: non
vedevo l’ora di rilassarmi un po’!!
Purtroppo, però, quel pomeriggio non fu tranquillo come speravo, le scosse, infatti, via via che si
susseguivano, aumentavano la loro potenza e ben presto iniziò a tremare tutta la casa!
Queste scosse persistettero fino a sera; la paura era tanta e cresceva quando i cittadini, me
compresa, pensavano a come poter passare la notte senza correre il rischio che il tetto crollasse
addosso nel sonno.
Iniziai a preoccuparmi di questa cosa, quando, origliando dal corridoio, sentii i miei genitori
discutere in salotto:
«Secondo me bisogna dormire fuori, in macchina» questo era il babbo.
«Ma che stai scherzando, vuoi per caso morire di freddo? Assolutamente no, noi dormiremo
dentro la nostra casina e non ci succederà un bel niente» la mamma era stata decisa su quello che
voleva, ma il babbo insisteva: «Ma lo vedi che le scosse stanno via via aumentando di potenza? Se
dormiamo in casa ci crolla tutto quanto addosso!! Io non rischierei e dormirei fuori. In questo
modo saremo tutti più tranquilli».
Alla fine, l’idea del babbo ebbe la meglio, già alle nove di sera eravamo dentro l’auto parcheggiata
per strada e ci apprestavamo a trovare una posizione giusta per prendere il sonno… Di solito, io
non riesco a dormire facilmente nemmeno con il mio guanciale morbido e il mio pupazzetto
Teddy, figuriamoci quella sera in cui tutto il mondo era in pericolo e non avevo spazio neanche per
distendere la schiena! Erano più o meno le undici e ancora i miei occhi non si volevano chiudere,
anzi da quanto ero terrorizzata li tenevo più aperti di sempre e sbattevo le ciglia rapidamente ogni
quindici secondi, sì esatto proprio quindici precisi, perché, siccome non sapevo cosa fare, mi ero
messa a contare l’intervallo delle mie palpebre. Il fatto di non esser riuscita a dormire è stato solo
una grande fortuna, infatti alle tre, sei minuti e trentaquattro secondi iniziò un rumore strano,
simile a quello di quando si cammina sopra dei pezzi di vetro rotti vicino ai cassonetti
dell’immondizia; mi venne da scrutare al di fuori del finestrino incuriosita, ma anche un po’
terrorizzata. Devo ammetterlo, non sono una ragazza coraggiosa. Intorno all’auto dove stavamo
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dormendo era nata una crepa che si stava espandendo nel terreno facendo un giro completo
proprio nella terra dove eravamo noi! Bastò un mio urlo spontaneo per far svegliare di soprassalto
i miei genitori, che, accortisi di quello che stava accadendo, si gettarono fuori dalla macchina e mi
urlarono in coro di saltare dall’altra parte della crepa cioè nel terreno stabile… Appena atterrata in
malo modo con il sedere nell’erba bagnata, mi voltai e subito e davanti ai miei occhi, quel pezzo di
terreno dove poco prima eravamo noi, sprofondò, creando un grande foro la cui fine era
misteriosa. Il mio cuore stava per uscire dal petto da quanto batteva forte, ma, la cosa che mi
preoccupava di più, era la mia voce… Non riuscivo a emettere suoni dallo shock, le mie labbra si
muovevano, ma le parole non uscivano ed io mi dimenavo sempre più anche solo per dire: «Tutto
bene? Che facciamo adesso?». Solo dopo qualche minuto mi tornò la voce, ma avevo un tono
tremolante e non squillante come invece era mio solito! Il babbo fece l’uomo forte e ci
accompagnò, a me e alla mamma, fino a uno stabile di cui aveva sentito parlare al telegiornale: era
una vecchia scuola antisismica che il comune aveva usato come riparo per tutti i cittadini.
Entrammo, stupiti da non credere ai nostri occhi: la scuola non era poi così grande come mi
aspettavo, ma la gente era molto di più numerosa del previsto, così, senza fare alcuna
considerazione, ci posizionammo in un angolo dell’enorme e unica sala dello stabile e io ne
approfittai per guardarmi attorno e ascoltare quali erano i discorsi delle persone… I problemi
erano tutti diversi: chi aveva bambini e si preoccupava per loro, chi aspettava un neonato e non
poteva correre se avesse dovuto mettersi in salvo, chi voleva capirci di più per cercare di
rassicurarsi e chi invece come me stava zitto in disparte e si teneva tutto dentro… Vidi lontano
quasi dalla parte opposta della stanza una ragazza della mia stessa età (la riconobbi dagli abiti che
portava e dall’atteggiamento che assumeva) così chiesi il permesso di assentarmi per qualche
minuto e pensando che mi volessi rinfrescare un po’ andando al bagno, i miei genitori, accolsero
volentieri la mia richiesta.
Mi avvicinai cauta, non sapevo neanche cosa le avrei detto, ma avevo bisogno di parlare con una
coetanea! Iniziai la conversazione con un timido «Ehi ciao!», dopo il cui la ragazza alzò gli occhi con
fare sacrificato, stava leggendo, dalla copertina doveva essere un libro molto interessante. «È
carino il libro?» le chiesi, ma non ebbi alcuna risposta, sembrava quasi che le avessero tagliato la
lingua e dovesse rispondere a cenni e grugniti. Ci fu un momento d’imbarazzo o almeno per me fu
così… Ma poi per fortuna arrivò da dietro le mie spalle un ragazzo alto, abbastanza robusto, capelli
scuri, occhi di un verde smeraldo che interruppe il silenzio facendo una battuta sulla ragazza che
mi stava di fronte per prenderla in giro; da prima pensai fosse il suo ragazzo, ma da come si
parlavano capii immediatamente che erano fratelli e pensai che per me c’era ancora una speranza
di poter fare amicizia!! Il ragazzo, Jake, dava l’impressione di essere molto più solare di Holly,
anche se ancora non c’eravamo detti molto…
«Ciao, io sono Jake»
«Piacere, Jessica»
«Lei è mia sorella Holly».
Anche se all’inizio sembrava molto timida, dopo un po’ che chiacchieravamo anche lei si “sciolse”
e mi fece sentire la sua voce così squillante e gioviale. Passarono molte ore da quando ero andata
al bagno, così inventai a mia mamma che mi ero persa, anche se molto difficile da credere dal
momento che c’era solo una stanza!!!
In quella scuola passammo più di cinque giorni, senza mai uscire o dormire in veri letti caldi.
Trascorrevamo il giorno a parlare di scuola, di sport, a giocare a carte o a indovinare la parola che
stavamo pensando di nascosto aiutandosi con degli indizi, molto spesso non chiari.
Non è che mi divertii tanto in quei giorni, ma perlomeno feci amicizia con Jake e provai a parlare
con Holly. Quel poco tempo mi bastò anche a capire che mi piaceva Jake, ma lo tenni nascosto per
me ancora non certa dei miei sentimenti verso di lui.
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Nella mattinata del settimo giorno tutto era calmo e la giornata sarebbe passata nello stesso
modo delle altre, in modo noioso.
Invece nel primo mattino tutta la terra cominciò a tremare in modo fortissimo, cascarono dei
banchi e nella scuola si scatenò un putiferio. Alcune persone cercarono di mantenere la calma e di
ripristinare l’ordine, ma nessuno di loro fu ascoltato perché tutti i genitori erano concentrati a
ritrovare i propri figli e ogni persona a riunirsi con parenti e amici. In quel momento, io ero a fare
colazione con Jake e Holly e mi andò il latte di traverso, macchiandomi tutta la maglietta!! Corsi
dai miei genitori mentre i miei amici facevano altrettanto e insieme andammo fuori dalla casa per
cercare di salvarsi. Infatti, per buona parte intorno a noi si era creato un cratere e si espandeva
sempre di più. Era evidente cosa dovevamo fare, bisognava correre fino a mettersi in salvo.
«Vai, corri, più veloce che puoi!» mi disse la mamma, mentre anche lei iniziava a correre. Dietro di
noi si sentivano le urla e i pianti di che aveva deciso di rimanere dentro sperando che fosse la cosa
più sicura, ma ormai si rendeva conto che aveva fatto la scelta sbagliata.
Corsi a perdifiato come non avevo mai fatto nei miei quattordici anni, e ce la feci per un soffio;
all’ultimo mi toccò saltare la crepa che si era creata sotto i miei piedi. Continuai a correre,
percependo dietro di me altre persone che correvano. Poi, un urlo lancinante squarciò l’aria. Mi
girai immediatamente continuando a correre e quello che vidi mi fece gelare il sangue. Holly era
inciampata in una crepa sotto di sé e aveva perso l’equilibrio. Era cascata e rotolando nel terreno
era scivolata dentro il crepaccio. Urlai anch’io, volevo tornare indietro e cercare di salvarla, la mia
mente non accettava che fosse ormai impossibile. Mi fermai ancora sconvolta e mossi qualche
passo in direzione del crepaccio, sperando che Holly tornasse balzando su dal cratere. Sua madre
era inginocchiata accanto ad esso e piangeva, mentre suo padre cercava di spostare via sua moglie
per salvarla. Jake era immobile dieci metri più avanti e si vedeva che fra poco sarebbe svenuto.
Andai a reggerlo e lo aiutai a sedersi un po’ di metri più là. Non dava segno di aver compreso
l’accaduto, forse non voleva rendersene conto.
La situazione però era ancora pericolosa e, se volevamo salvarci, dovevamo continuare a correre.
Tutti erano come storditi, non riuscivano neanche a provare paura. Dopo alcuni minuti, quando la
terra tremò di nuovo e più forte, tutti si “risvegliarono” e iniziarono a correre di nuovo, come
spinti da un istinto di sopravvivenza. Passato il primo pericolo, iniziammo a camminare e non
smettemmo fino all’alba del giorno dopo, quando trovammo una casa con molte persone.
Ci rifugiammo lì, ma eravamo solamente dodici, contro i 102 che c’erano nella scuola. Eravamo
rimasti io, la mamma, il babbo, i genitori di Jake e lui, Vincenzo, un caro amico di famiglia, altre tre
persone che non conoscevo, Lucia, la nostra vicina di casa e suo marito in pensione.
Ci accolsero volentieri e ci cedettero i loro materassi per riposarci del sonno perduto, ma non
riuscii a chiudere occhio. Quanto a Jake, non parlava più e lo trovai a piangere nel gabinetto. Non
sapendo cosa fare o cosa dire per consolarlo, stetti lì impacciata per un po’, poi lui mi venne
incontro e mi abbracciò. Ricambiai anch’io l’abbraccio e, quando lui si calmò, tornammo in salotto,
a vedere la tv. Spegnemmo comunque quasi subito, perché i pochi telegiornali che si riuscivano a
vedere parlavano di catastrofi e di fine del mondo. Una cosa capimmo, però, non bisognava mai
stare nello stesso posto, perché sennò non avevamo possibilità di scampo. Stemmo lì per un altro
giorno, il tempo di portarci via qualcosa da mangiare e di scegliere dove andare. Eravamo a circa
50 km dalla nostra città, dalla nostra casa e dai nostri amici e non avevamo la più pallida idea di
dove potevamo dirigerci. Decidemmo alla fine di andare verso nord con la macchina, perché tanto
il pericolo era lo stesso e in questo modo si viaggiava più velocemente.
Montammo in una macchina in sei, noi e la famiglia di Jake e andammo più lontano possibile. Dal
telegiornale avevano detto, infatti, che verso nord i pericoli diminuivano, almeno per quanto fosse
possibile.
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I giorni trascorrevano lenti e con terrore. Tutti erano nervosi, me compresa. In macchina nessuno
parlava, c’era un silenzio di tomba ma nessuno riusciva a dormire. Eravamo tutti tesi, non ci
scambiavamo parola per la paura di non riuscire a sentire qualcosa che potesse anticipare il
terremoto. La notte dormivo sempre male e poco, mi svegliavano a turno i pianti di Jake o dei suoi
genitori. Io cercavo di pensare a cose positive, felici o almeno allegre, ma non mi risollevavano il
morale e sembrava fossi uno zombie circondato da altri zombie!!
Dopo una settimana passata in questo modo decisi di rompere il silenzio, mi misi a raccontare a
tutti la mia storia, quello che facevo, che mi succedeva o che sentivo. All’inizio nessuno mi
prestava attenzione, parlavo da sola ma mi bastava anche solo quello, poi iniziarono ad ascoltarmi
prima Jake, poi la sua famiglia e infine la mia. Parlai e parlai, fino a che non ebbi più voce.
Raccontai tutta la mia vita, i miei segreti, le mie avventure, le mie paure.
Continuai finché non arrivammo in un paesino nel nord della Francia. Siccome i pericoli non erano
stati grandi, qualche scossetta ma tutto finito lì, e via via che viaggiavamo diminuivano gli edifici
distrutti, i grandi decisero di fermarci in un albergo, almeno per quella notte.
Ah, com’era comodo un letto, com’era bello dormire distesi!!
Com’era bello fare una colazione in hotel, con tutto quel bendiddio!!!
Finalmente una casa, non ce la facevo più dei “muri” della macchina!!!
A tutta la famiglia si era risollevato il morale, ora potevamo anche scherzare. Scoprii che il babbo
di Jake, Carlo, era molto simpatico e sapeva raccontare barzellette divertentissime!!
A metà pomeriggio eravamo a giocare a carte su un tavolino della hall, quando il lampadario si
mosse lentamente, poi più velocemente e infine cadde.
Tutti ci eravamo già alzati e ci dirigevamo verso le uscite di sicurezza veloci come un fulmine,
quando partì l’altoparlante. Capii solo alcune parole in francese: “Tout le monde…
immédiatement… sortie de secours…”.
Ci fecero allontanare un chilometro, poi potemmo fermarci a vedere cosa succedeva: la terra stava
“gonfiando” come un’enorme bolla, poi, con un boato tremendo, esplose. Al suo posto si era
formata una gigantesca montagna. Tutti, a causa della forte esplosione, erano “volati” lontano e
ora assistevamo a una scena incredibile. Il vulcano che si era formato davanti a noi mandò del
fumo grigio, poi la lava iniziò a scendere rapidamente.
A quel punto andammo alla macchina e cercammo di metterci in salvo, ma non ci riuscimmo. La
lava ci raggiunse, bruciò le gomme e iniziò a fondere la macchina, che si abbassava lentamente
sciolta dal vulcano. Il caldo era infernale, ma in quel momento non me ne importava, l’importante
era salire sulla macchina, nel tetto. Quando l’avemmo fatto non vedevamo più alcuna soluzione, la
lava sarebbe arrivata a noi. Eravamo come un’isola circondata dal mare che si sta abissando
velocemente, non dando nessuna possibilità di scampo per i suoi abitanti.
Ero terrorizzata, non riuscivo a pensare, non volevo morire. Non so cosa successe dopo, svenni e
quando mi risvegliai mi ritrovai su un prato, distesa, dietro a Jake. Altre persone erano distese, una
alla mia destra e una alla mia sinistra, ma non conoscevo che fossero. Stetti a guardare il cielo
nuvoloso per un po’, poi improvvisamente ricordai, urlai e mi alzai subito in piedi.
«Tranquilla Jessica, va tutto bene, non ti preoccupare e calmati» Jake sì che era calmo, al contrario
di me.
«Come fai a stare calmo? Non so cosa è successo, non so dove sono né come ci sono arrivata.
Come faccio a stare calma?»
«Se ti siedi, ti spiegherò tutto», attese qualche istante e poi riprese: «Quando ci trovavamo in cima
alla macchina sei svenuta e sei caduta. Tuo padre ti ha ripreso in tempo perché non finissi nella
lava, ma ha perso l’equilibrio ed è cascato pure lui. Il mio babbo l’ha tenuto per la mano affinché si
reggesse e l’ha salvato. Purtroppo si è lo stesso ustionato i piedi e le caviglie, anche se non ha
toccato la lava, per fortuna. Subito dopo, quando ormai eravamo spacciati, il vulcano ha smesso di
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eruttare mentre una pioggia gelata iniziava a cadere. A contatto con la lava ha sprigionato una
nebbia intensissima, che però ci ha permesso di salvarci e di arrivare in questo prato. Tuo padre si
è buttato in terra e ha iniziato a dormire, ormai è un giorno e mezzo che non si sveglia. Tu invece
ogni tanto ti svegliavi, urlavi e tornavi a dormire.»
«Io non mi ricordo nulla di tutto questo, l’ultimo mio ricordo è stato quando la lava stava
fondendo la macchina.»
Appena il babbo si fu svegliato, la mattina dopo, ci mettemmo in cammino, noleggiammo un’auto
e continuammo il viaggio. La nostra destinazione era il polo nord, l’unico posto sicuro che
sapevamo.
In macchina mi sedetti accanto a Jake, il quale si addormentò subito. Ebbi modo di guardarlo per
ore, in quella posizione accanto al finestrino. Era molto bello, io suoi occhi soprattutto. Era anche
simpatico e divertente, sapeva scherzare e tranquillizzare le persone nei momenti più difficili.
Adesso ero sicura che mi piacesse, anche molto. Avevo appena iniziato a fantasticare su cosa
sarebbe successo se fossi piaciuta anche a lui quando mi addormentai, continuando i miei pensieri
dentro il sogno.
Arrivammo al polo nord due settimane dopo, senza incontrare altri intoppi per la strada. Intanto
c’eravamo attrezzati per la stagione polare con tutto il necessario. Dai vari telegiornali che
avevamo potuto vedere la situazione andava sempre a peggiorare. Città intere che sprofondavano,
vulcani che eruttavano come mai prima, maremoti immensi che distruggevano ogni cosa. Le
situazioni più gravi erano in Australia, nel sud dell’Africa e in Argentina. Via via le cose
“miglioravano” procedendo verso nord, anche se fra poco il disastro sarebbe arrivato anche lì.
Al polo nord non sapevamo dove andare o come orientarci. Che cosa facevamo in quel posto
sperduto del mondo, senza acqua né cibo? Volevamo per caso morire assiderati o di fame? Non
sapevamo cosa sarebbe successo, il nostro unico scopo era l’assurda convinzione che al centro
esatto del polo nord ci sarebbe stata la salvezza.
Procedevamo con lentezza, gli stivali affondati nel ghiaccio che rompevamo, con le parole che non
ci uscivano dalla bocca. Avevo l’impressione di morire congelata, dal freddo che faceva. Anche se
solo gli occhi erano la parte più “scoperta” (erano “solamente” coperti da un grosso paio di
occhialoni), il freddo più intenso lo percepivo alle mani e ai piedi, non riuscivo più a muoverli. Non
mangiammo per un giorno, alla fine, quando ormai i crampi allo stomaco m’impedivano di
continuare a camminare, incontrammo altre tre persone, anche loro nella stessa nostra disperata
situazione. Erano una famiglia canadese composta di moglie, marito e figlia piccola (6 anni). Il
marito lavorava nei servizi segreti e aveva saputo da un suo informatore che un’astronave al
centro del polo nord sarebbe decollata per portare in salvo i superstiti della fine del mondo.
Infatti, alcuni astronauti otto mesi prima avevano scoperto un pianeta dove esisteva la possibilità
di vita, anzi, c’era già. Da quel momento in poi avevano dedicato tutto il corpo e tutta l’anima a
costruire un motore che potesse raggiungere quel posto e, solamente tre mesi fa, ci erano riusciti.
La navicella spaziale non era ancora stata provata, ma tanto ormai era l’unica speranza per noi di
salvezza, non avevamo nulla da perdere a questo punto.
I canadesi divisero le loro scorte di cibo con noi, poi, recuperate le forze, ci incamminammo tutti
insieme, perché secondo la moglie l’arrivo era vicino.
La notte riposammo per modo di dire in una caverna, dove avevamo acceso un fuoco, poi la
mattina riprendemmo il viaggio e verso sera, finalmente, arrivammo a destinazione.
Davanti a noi c’era un’enorme astronave colorata, parcheggiata sul una piattaforma in cemento.
Provammo a urlare per farci sentire ma nessuno ci rispose. Provammo a bussare alla porta
d’accesso e finalmente un indiano venne ad aprirci. Con gesti e parole facemmo capire che
volevamo entrare ma lui rispose «No, no entry». Disperati cercammo di dirgli che volevamo
parlare con il comandante, e lui, dopo che avemmo insistito un po’, acconsentì. Invece del
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comandante ci apparve Vincenzo e appena ci vide fece la faccia più stupita che sia a questo
mondo.
«Che ci fate voi qui?» volle sapere immediatamente.
«Cerchiamo di salvarci e di scappare in un altro mondo, ma non ci fanno entrare. Tu invece come
hai fatto a salire a bordo?» chiese il babbo.
«Io sono il comandante di quest’astronave, sono io che l’ho costruita.».
«Non è possibile!» bisbigliò la mamma, ma nessuno la sentì.
«Allora siccome tu hai il potere di farci salire a bordo, in nome della nostra vecchia amicizia, facci il
favore di farci entrare»
«Mi dispiace, ma non so se sarà possibile, i posti a bordo sono completi», disse, pensò un attimo e
poi riprese, cambiando il tono della voce «Ma forse per voi potrei fare un’eccezione, potreste
sistemarvi nel corridoio…»
Il babbo intervenne prima che cambiasse idea «Certamente, a noi va bene qualunque posto».
«D’accordo allora … Benvenuti a bordo!!».
Era passata una settimana da quando la nave era salpata dalla terra per raggiungere il pianeta xy,
dove tutti i passeggeri avrebbero potuto ricostruire una nuova vita con la propria famiglia.
Dormivamo nel corridoio, come ci aveva detto Vincenzo, in una specie di rientranza del muro
simile a quelle che ci sono nelle navi. Quella notte non mi ero addormentata del tutto, ero in una
specie di dormiveglia, i miei pensieri fluttuavano senza veramente pensare a nulla, quando un
borbottio alla mia destra mi riportò alla realtà.
«Si si… fai come ti pare… … prendilo pure, è nel garage.» era Jake che parlava nel sonno, dovevo
stare attenta per capire le parole.
«NO! Jessica NO!» ora le parole si distinguevano perfettamente, stava quasi urlando. Quando
sentii il mio nome, il cuore prese a battermi forte e mi miei occhi si spalancarono: il sonno mi era
passato del tutto.
«Non andare via! … Non mi abbandonare mai … ma si dai … ho bisogno di te! … …eheyheuuu …
frrt» adesso le parole erano incomprensibili ma quelle di prima speravo con tutto il cuore che
fosse la verità.
Per tutta la notte non riuscii a chiudere occhio, i suoi discorsi mi avevano sconvolto e non potevo
fare a meno di non pensarci. Se ci provavo, ritornavano subito nella mia mente, come un
boomerang, se lo mandi via, ritorna prima o poi.
Ero sicura che la mattina successiva quando mi avrebbe guardato negli occhi mi sarei imbarazzata
tantissimo, ma quando accadde non immaginavo che la mia timidezza fosse così grande!!!
Infatti, non riuscii a guardarlo neanche per un momento in faccia, era più forte di me, il mio cuore
voleva guardarlo, ma la mia testa era contraria. Lo vidi benissimo: era sorpreso del mio
comportamento. Forse non si ricordava di questa notte? Tutto quello che aveva detto si era sparso
nell’aria e per lui era stato solo un sogno, non se ne ricordava nemmeno. Mi ero fatta troppe
illusioni che ora mi si ritorcevano contro. Invece lui era proprio cosciente di quello che aveva
detto. Me ne stavo per andare, quando mi bloccò, sicuramente voleva sapere come mai avevo
quest’atteggiamento, ma io non avevo il coraggio di raccontargli la verità e non sapevo quale scusa
inventare; qualcosa però dovevo fare e anche in fretta! “Su cervello pensa!!”, mi incitavo, ma lui
non ne aveva alcuna intenzione. Mi voltai, ero agitata, le mani mi stavano grondando di sudore,
presi coraggio e cominciai a parlare: «Durante quest’avventura ho capito una cosa molto
importante…»
Mi guardò con fare interrogativo, ma poi dette cenno di capire subito cosa intendevo…
«Anch’io ho capito una cosa importante…» E subito mi baciò. Quel momento cambiò tutta la mia
vita, il mio cuore stava per scoppiare, la mia testa iniziò a girare come una trottola e le mie
ginocchia presero a tremare. Uno scossone ci interruppe, eravamo atterrati nel nuovo pianeta…
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3 settembre 2285
pianeta xy, Primo villaggio, casa V
Caro diario,
ormai sono due anni che viviamo in questo nuovo pianeta. La vita è piacevole, mi mancano un po’
le tecnologie ma mi sono abituata a vivere a contatto con la natura. La Terra è esplosa schiacciata
da un enorme meteorite un anno e cinque mesi fa. Ho pianto moltissimo, tutte le persone a cui
volevo bene sono morte. Però ho imparato che la vita va avanti e non dovevo stare a disperarmi
troppo.
Con Jake va alla grande, abbiamo un’intesa straordinaria e ho conosciuto nuovi amici che mi sono
ritrovata in classe alla scuola “University xxl.” Anche i miei genitori, ora, hanno trovato
un’occupazione che adorano, insieme ai genitori di Jake, così alla fine delle lezioni noi due
andiamo a piedi al loro negozio. Tutto qui è fantastico, mi sto ancora adattando, ma per adesso va
tutto bene, ci risentiamo più tardi, con affetto
tua Jessica.
FUTURAMA
a cura di Giulio Piras e Andrea Sbragi
Siamo nel 5° miliardesimo anno dopo Cristo.
Ormai, tutto l’universo è stato scoperto e l’uomo (così per dire) è riuscito ad arrivare al pianeta più
lontano, Plutone.
5 mila anni fa, la cometa di Halley si è spenta e quella di Hel Bob si è disintegrata dopo l’impatto
con un satellite. Nel 2013 gli scienziati avevano previsto che il sole si sarebbe spento tra 5 miliardi
di anni; la notizia fu appresa con superficialità, tranne che da un gruppo di scienziati tra cui Jonh
Robinson; egli aveva studiato alla scuola di psicopedagogia dell’Università di Firenze verso gli anni
’70.
Per quanto riguarda la “notizia solare”, egli dedicò la seconda parte della sua vita a provare a
costruire, con i migliori macchinari di quel tempo, il Robot perfetto.
Esso doveva contenere ogni organo( il cuore, il cervello, i polmoni, il fegato, lo stomaco, ecc..), in
modo preciso, di ogni essere vivente, in modo da far continuare a vivere l’uomo e la specie umana
con la trasfusione dei dati in microcip il quale, dopo circa un mese, si trasformava in un bambino.
Jonh si scervellò tanto, ma alla fine ci riuscì: aveva, dopo tanti sforzi e tanti esperimenti, creato il
robot perfetto, “The Robotage”.
Egli collocò tutti i suoi robots in un casolare enorme, grandissimo, che ne potesse contenere
milioni e milioni.
Nel 4.9 miliardesimo di anno il sole si spense e gli uomini dissero:
“Cavolo, non abbiamo pagato la bolletta!”. Nel giro di qualche decennio la temperatura scese in
modo maestoso, incredibile; tutto ciò perché l’ atmosfera si dissolse nell’universo, ed ogni essere
vivente aveva subito una metamorfosi, da uomo a robot(gli animali erano tutti morti). Ogni robot
era speciale, poteva correre in modo velocissimo, ma sprecava gran parte della sua batteria che,
se usata in modo esatto, durava all’incirca un mese; tutti avevano una gran forza per poter
svolgere anche i lavori più pesanti.
Adesso, il mondo è come prima, solo che al posto del sole c’è una stella spenta e noi abbiamo
occhi bionici per vedere al buio.
Un fattore negativo di tutto ciò è che, anche se noi abbiamo organi umani, non dormiamo più.
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La giornata è sempre uguale: tutta la notte rimaniamo svegli perché non dormiamo dato che
siamo dei robot, la mattina dobbiamo nutrirci sempre di cibo e andiamo tutti a lavorare fino alla
sera.
La sera torniamo tutti a casa per cenare e per poi dormire o fare altre cose.
Chi invece ha dei figli è costretto a lavorare mezza giornata e il resto deve accudire il proprio figlio
o figlia, la mattina il bambino/a va al scuola.
Il professore Jonh Robinson è ancora vivo, perché prima di morire si congelò, portandosi così
integro all’anno da lui voluto, il 5° miliardesimo. Egli però ha cambiato nome in Sten Switer ed
anche il suo fedele assistente(Frank Gion) ha cambiato il nome in Kalim Benzaimes.
I due continuano sempre i loro studi sulla scienza e hanno scoperto che tra due anni Marte si
schianterà sulla Terra causando un esplosione che porterà alla distruzione dei due pianeti e di
Mercurio, Venere, Giove e Saturno e tutti i loro satelliti.
Di conseguenza, Stem e Kalim si concentrano giorno e notte su una soluzione che avrebbe salvato
tutti. Dopo un mese di ricerca, i due ci riuscirono trovando una bomba che, posta su Marte,
avrebbe portato un cambiamento di rotta e non la sua distruzione. Il 26 dicembre del
5.000.000.002, un mese prima dell’impatto previsto da Sten, gli astronauti partirono con una
navicella per Marte rilasciando sulla parte verso la Terra la bomba che, nel giro di due ore scoppiò
facendo cambiare rotta al pianeta e disperdendolo nello spazio.
La Terra si salvò così per la seconda volta; così, un anno dopo, Sten ottenne il premio Nobel per la
pace.
H7 34 E L’INIZIO DELLA FINE
a cura di Ilaria Andreozzi e Giulia Fantini
21 Dicembre 2080: Sono salvo…ma mi ricordo ancora gli occhi vuoti di quella bambina.
Era il 31 maggio 2060, avevo 14 anni, e, durante una gita scolastica in America, dove appunto
abitavo, la nostra professoressa ci disse di non allontanarci e soprattutto di non dirigerci verso
l’avvallamento sotto la montagna dove stavamo salendo. Ma si sa, i ragazzi sono fatti così...
quando gli proibiscono di fare qualcosa, la fanno subito. Così, chiesi al mio amico se voleva vedere
con me cosa c’era nell’ avvallamento sotto la montagna; ma lui ,fifone com’era, disse che era
stupido.
Così, senza essere scoperto, ci andai da solo. Appena giunto all’avvallamento, mi trovai di fronte
un enorme struttura, che non avevo mai visto. Sembrava disabitata, ma qualcosa mi disse che
c’era una cosa che mi stava aspettando.
Mi avvicinai alla struttura ed entrai nel primo corridoio alla mia destra. Mi accorsi che davanti a
me c’era qualcuno che mi stava fissando. Per un attimo ebbi paura, ma poi mi accorsi che quel
qualcuno era una bambina…o almeno è quello che pensai per ben 3 mesi. Io esitante le chiesi,
avvicinandomi ancora di più :-Chi sei?-.
Lei rispose:- Non lo so, mi sono ritrovata qua dentro e non ricordo nienteMa ti ricordi almeno come ti chiami?Lei mi si avvicinò e per la prima volta vidi come era. Avrà avuto fra i 6/7 anni, aveva delle trecce
bionde con fiochi celesti, tutto che assomigliasse ad una bambina, tranne una cosa: i suoi occhi
vuoti.
Mi chiamo H7 34Guarda che mi puoi dire il tuo nome non ti mangio mica!Ti ho detto che mi chiamo H7 34Ok, lasciamo perdere, mi sai dire almeno che posto è questo?-
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Ma non sai leggere??E con il braccio indicò un cartello con scritto a grandi caratteri:“Area di assoluta sicurezza”. Io lessi
e rimasi esterrefatto, chi l’avrebbe mai detto: era l’area 51.
Impaurito, uscii dalla struttura portandomi dietro la bambina, ma ebbi una brutta sorpresa:
davanti a me c’era la professoressa Johnson : - Non ho parole Jake da te proprio non me lo
aspettavo! Non…. Potevi morire la dentro !!.Ma…ma prof. non sapevo cosa era quel posto, ero solo curioso.
E lei chi è??15 Giugno 2060:Finalmente era finita la scuola, ma non avrei passato le vacanze come tutte le
altre volte. Infatti la bambina, che sosteneva ancora di chiamarsi H7 34,e di non ricordarsi nulla del
suo passato,fu adottata dai miei. Era una bambina all’apparenza felice e canticchiava sempre
canzoni incomprensibili, ma nonostante questo io ero convinto che non avesse mai provato
felicità. Io ero l’unico della famiglia ad essermi accorto che qualcosa in lei era diverso dagli altri
esseri umani. Per esempio un giorno andai al mare con i miei amici e mi toccò portarmi dietro la
bambina che ormai era diventata per me come una sorella minore. Mentre stavamo giocando a
beach volley uno dei miei amici la offese e lei ,arrabbiata,non so come, ma scateno una tempesta
in piena regola. Quando io e i miei amici raccontammo tutto ai miei genitori, loro, come era
prevedibile, non ci credettero e ci dissero di chiederle scusa per averla offesa. Successero molti
altri eventi come questo, ma, un giorno, mi spaventai veramente per la prima volta. Ero in camera
mia, che era diventata anche la sua, quando mi accorsi che stava cantando una delle sue solite
canzoncine, però questa volta compresi alcune parole:- La fine è vicina, sono stata portata qui per
la fine... la fine… la fine…fine... fine…-. Poi si accorse che la stavo guardando e smise di
canticchiare. Io dissi: - Ma che cosa stavi canticchiando?Lei mi rispose:- Non lo so, ma ora mi ricordo che degli esseri che provengono dal cielo, mi hanno
portata qui per la fine… ma non ricordo nient’altro.-E si rimise a giocare con le bambole.
-Sei troppo fantasiosa H7 34 o come ti chiami-. Ma dentro di me credevo alle sue parole. E facevo
bene a crederle.
1 Agosto 2060:Il giorno dell’inizio della fine. Come tutti gli altri giorni io ero in camera al computer,
lei mi stava guardando in modo pensoso e io le chiesi:- Che succede?-.E lei rispose:- Credo di
ricordarmi perché ero nell’area 51, ora mi ricordo chi sono e perché sono stata portata qui. Io ti
racconto tutto, ma tu mi devi promettere di non dirlo a nessuno-.
-ok te lo prometto, ma non mi raccontare bugie-.
Lei si affacciò alla finestra e indicò un punto nel cielo vicino al sole:- Io sono nata a Anacondras,
settima stella a ovest e poi oltre Mercurio..-.
Non mi starai mica dicendo che sei un’aliena? Non ci credo neanche morto-.
Invece si che lo sono, altrimenti non saprei fare questo-.
Così mi ritrovai a testa in giù, volteggiando nell’area con il suo dito che mi puntava. Impaurito le
dissi :- Ok, va bene, ti credo! -. Lei mi fece ritornare a sedere sulla mia sedia e continuò. – Tikara è
sempre stato un pianeta meraviglioso, anche se un po’ selvaggio tutto procedeva con tranquillità,
fino a quando un giorno scoprimmo che la Terra era abitata e pensammo che i terrestri fossero
pericolosi per noi. Così fu portata sulla Terra una tikaraniana che aveva il compito di portare
distruzione sulla Terra… la fine del mondo. – mi guardò ancora più intensamente con i suoi occhi
vuoti e finì: - quella sono io. -. Io rimasi di sasso e mi allontanai da lei. Iniziai a correre e mi ritrovai
in cucina. Lì c’era mia madre intenta a cucinare e appena mi vide così stravolto mi chiese cosa
stesse succedendo. Io deglutii e le raccontai tutto: - H7 34 … chi? –
la bambina mi ha detto che sta per venire la fine del mondo e lei è un’aliena…-
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Jake non dire certe cose, non ci posso credere che ancora non ti sei abituato a lei e che ancora la
prendi così in giro -. H7 34 era alla porta: aveva sentito tutto e se ne andò in camera con la furia
che nasceva dentro di lei.
- visto che l’hai offesa!! Vai a scusarti! – io stavo per entrare in camera, quando una fortissima
scossa di terremoto fece crollare gran parte della casa e traballare tutto. Così andai in cucina dove
mia madre impaurita stava guardando la tv. I telegiornali dicevano che forti scosse di terremoto a
10° avevano distrutto intere metropoli. Poi tutto divenne buoi. L’elettricità era scomparsa in tutta
la terra, grossi uragani si abbatterono in gran parte del mondo. Io, che ero rimasto sotto le
macerie, capii che dovevo fare assolutamente qualcosa. Ma non riuscivo a rialzarmi.
Il fatidico 2012
a cura di Rachele Coppola e Agnese Verdi
I giornali:LA NAZIONE.
-1000
Notizia bomba…IL MONDO “ESPLODE”.
Secondo i Maya,il mondo subirà una trasformazione tra ben 2 anni..Perchè non crederci?Siamo davvero in
pericolo?..
Era una mattina,come tante altre e Peter si trovava su quella panchina a leggere il suo solito
giornale..Quando ad un certo punto,consapevole e spaventato,da cioè che aveva appena letto;decise di
recarsi immediatamente a casa del suo amico Jhonny,per saperne di più.
Jhonny è uno studente dell’Università di Sorbona a Parigi,che studia per laurearsi in geologia.
Passarono tutto il giorno in casa per cercare notizie sul 2012 e per farsi nuove ipotesi.Jhonny e Peter
cercando,cercando trovarono le solite notizie banali che non potrebbero mai manifestarsi sulla Terra,ad
esempio un nuovo mondo con altre forme di vita parallele a noi oppure l’esplosione del Sole con la
conseguenza di un lungo periodo di buio.
Ma no,no non cercavano questo!Volevano di più..molto di più,quello che nessun umano potrebbe mai
immaginare!
I giorni passarono e non trovarono niente di esilarante solamente le solite sciocchezze della televisione.
E così all’alba del giorno 1 Dicembre,i due ragazzi decisero di guardare in faccia la realtà e di far qualcosa
che possa aiutare tutta l’umanità.E alla fine partirono,arrivarono in Arizona e appena atterrati all’
aeroporto noleggiarono un’automobile,con la quale avrebbero girato tutto il Paese..Ma voi adesso vi
chiederete,ma perché proprio in Arizona?
Ebbene si ,qualche notte prima a Peter apparve in sogno una figura inanimata la quale gli sussurrò di
partire per l’Arizona.
Agli occhi di tutti credere ad un sogno può sembrare una stupidaggine,ma a Peter non importava voleva
solo inseguire il suo desiderio.
Per trovare cioè che cercavano girarono tutta l’Arizona,ma oramai si era fatta notte,Johnny e Peter stanchi
e oramai privi di speranze;passarono la notte in macchina vicino ad un grande campo di grano.
Erano circa le 3.oo di notte,quando dal cielo scese un fortissimo getto di luce che cadde nel grano e
provocò un forte rumore da far svegliare i due ragazzi ,che scesero impauriti dall’auto,per capire che cosa
era successo..Ma non ebbero nemmeno tempo di uscire che si trovarono due orribili creature davanti ai
loro occhi.Non c’era dubbio erano dei veri e propri Alieni.
Cominciarono a parlare,ma Johnny e Peter non capivano un bel niente di ciò che dicevano;allora gli alieni
cominciarono a gesticolare e alla fine riuscirono a farsi capire dai due.Quello che gli volevano comunicare
era che non gli volevano fare del male,ma solamente aiutarli.
Gli spiegarono che nel giro di venti giorni la Terra sarebbe esplosa e non ci sarebbe più stata speranza per
gli umani.
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Peter e Johnny si spaventarono,non volevano crederci ma dovevano trovare una soluzione a tutti i costi,e
fortunatamente gli extra terrestri gli riassicurarono dicendogli che sarebbero stati loro a salvare tutta
l’umanità.
A i due ragazzi non rimaneva altro che fidarsi delle parole degli alieni.
Nel giro di pochi giorni tornarono in Francia,per diffondere la notizia e renderla pubblica.All’inizio nessuno
credeva a questa storia;ma quando arrivo il 21 Dicembre 2012 a tutti non rimaneva che crederci.
Atterrò una enorme navicella sulla Terra,comandata da extra terresti,la quale risucchio in un enorme
vortice tutti gli uomini e li porto in un nuovo sconosciuto pianeta,Alien.
Ebbene si,gli alieni avevano ragione la Terra era esplosa e se non fosse stato per loro,a quel momento non
c’era più persone,erano tutti morti.
E così da quel giorno ci fu un bellissimo rapporto tra gli alieni e gli umani, ed essi non smisero mai di
ringraziarli per averli salvato la vita e aiutati a abituarsi a un posto per loro sconosciuto.