classe IIIA - ic marconi
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classe IIIA - ic marconi
RACCONTI DI FANTASCIENZA CLASSE 3A ANNO SCOLASTICO 2009-2010 2 INDICE La Cometa di Halley ………………………………………….. p.3 La fine dei giorni ………………………………………………. p.3 Framele e i giorni al contrario ……………………………… p.5 Il rispetto e l’amore …………………………………………… p.6 Gli umanoidi …………………………………………………… p.10 La perfetta armonia ………………………………………….. p.11 La fine del mondo …………………………………………….. p.16 Futurama ………………………………………………………. p.22 H7 34 e l’inizio della fine …………………………………….. p.23 Il fatidico 2012 ……..………………………………………….. p.25 3 La Cometa di Halley a cura di Bianca Baggiani e Tommaso Pierazzini - Guarda che bella!- disse Simur indicando la cometa. - Quella è la cometa di Halley ed è rarissima da vedere. Si dice passi ogni 77 anni -. Simur era un mutante che aveva subito delle trasformazioni genetiche: era infatti molto curioso. Simur e suo fratello tornarono a casa azionando il teletrasporto; in un attimo, si ritrovarono in cucina, accanto alla loro madre. – Mamma! Abbiamo visto la cometa di Halley! – La madre rispose: - Ma no, ragazzi! Sarà stato soltanto uno di quei robot messaggeri che sfrecciano alla velocità della luce -. Simur rispose: - No! Sono sicuro non era un robot! Era la cometa!-. La mamma, impegnata a cucinare, li snobbò. Allora Simur decise di usare la macchina del tempo regalatagli dal padre per il suo compleanno. Tornarono indietro fino al momento della comparsa della cometa e, insieme a suo fratello, decisero di inseguirla nel suo viaggio a bordo del loro kart. L’inseguimento durò circa quattro giorni. L’ultimo giorno, la cometa cominciò a precipitare misteriosamente. I fratelli la seguirono e, nascosti tra i cespugli, spiarono il suo l’arrivo sul suolo. Essa si appoggiò delicatamente a terra e, subito dopo, comparve un cyborg che le si avvicinò. Ne comparvero altri due poi tre…cinque…sette. “E’ il momento di intervenire”, pensò Simur. I due fratelli comparvero all’improvviso e ci fu una battaglia di sguardi. Poi, il primo a parlare fu un cyborg che disse in un modo un po’ macchinoso: Salve mutanti, io sono K573, allontanatevi o vi farete del male! -. Simur, un po’ impaurito, balbettando, disse: - Che cosa volete fare alla cometa??? - . K573 rispose: - Ci serve soltanto il materiale per guarire un nostro compagno -. Il cyborg alzò le braccia verso la cometa. Dalle sue mani usciva una luce che pochi secondi dopo fece scoppiare la cometa. Simur urlò : - Nooooooooo!!!!!! -. K573 disse : - Perché ti disperi? Ragazzo mutante usa questo per ricomporre la cometa, vedrai che sarai felice…… -. Il cyborg sparì, lasciando a terra un oggetto abbastanza piccolo. Simur si avvicinò e lo osservò. Premette un tasto e, con alcune specie di fulmini, la cometa si riassemblò. Dopo, si sentì sussurrare: - Grazie, piccolo mutante -. Era la cometa che risaliva piano piano il cielo e tornava a fare il suo giro nel sistema solare. – Ci rivedremo tra 77 anni, mutante! – si sentì dal cielo. Simur e suo fratello tornarono a casa, ma, stavolta, non raccontarono niente alla loro mamma, per paura di passare per matti. Fu così che Simur, stranamente, voleva che 77 anni passassero velocemente per rivedere la sua amica Halley. La fine dei giorni a cura di Anna Chimentelli e Carolina Gozza Una coppia proveniente da Londra decide di trascorrere il loro anniversario a New York. Il loro volo parte alle ore 7:05 p.m, salgono in aereo. Jessica è in ansia, non era mai salita in aereo prima d’ora, Robby, invece, era ormai abituato a causa dei suoi tantissimi impegni di lavoro all’estero. Salgono in aereo, prima classe, e, subito, le hostess offrono loro dello champagne. Jessica risponde :<<No,Grazie>> e subito l’ altissima hostess dai capelli scuri se ne va con il sorriso stampato sulle labbra. Intanto, Jessica guarda fuori dal finestrino; aveva paura, il cielo era ormai 4 tutto nero, avevano previsto dei forti temporali a Londra e sperava soltanto che non vi sarebbero state turbolenze durante il volo. Stanno attraversando l’Atlantico, è notte fonda…si sentono però i forti tuoni e sembrano essere cosi vicini a loro che spingono Jessica a stringere forte la mano di Robby che ormai si è addormentato a causa della tanta stanchezza. Ad un certo punto sente un forte rumore proveniente dalla cabina del pilota; parte subito il simbolo che si trova sopra ogni sedile e che obbliga di allacciarsi le cinture di sicurezza, parla il comandante: “Signori passeggeri, stiamo attraversando un pò di turbolenza, vi raccomandiamo di restare seduti, grazie>>. Robby si sveglia subito; era spaventato e non capiva e subito partono fortissime turbolenze. Il ragazzo non fa in tempo a stringere la sua cintura, cade in avanti e batte la testa. Jessica è spaventatissima e con tutte le sue forze cerca di aiutare Robby ad alzas. Non ce la fa e subito un finestrino si rompe a causa di un fulmine. Piano piano, stanno rimanendo senza ossigeno, sembra la fine per loro…l’aereo perde quota e cade in mezzo all’ oceano... il segnale del pericolo era arrivato alla torre di controllo a Londra. Londra 11:05 p.m Helen era appena andata a prendere un caffè, ormai era tardi e aveva sonno ma doveva continuare a lavorare nella torre di controllo. Quando meno se lo aspetta, arriva un segnale di emergenza; prova a localizzare l’aereo, il segnale sparisce e subito informa il suo comandante. Intanto l’aereo ormai è caduto nell’oceano. Jessica si arrende e lascia annegare Robby; piange, è disperata e quasi non riesce a nuotare. Sale sopra l’unica ala dell’aereo che era rimasta a galla, non riesce a vedere quasi niente, è avvolta dalle onde dell’ oceano... sembra quasi un film drammatico. E in crisi totale crisi. Intanto pensava ai suoi parenti che si trovano a Londra; aveva paura di morire, paura perché loro non erano al corrente del fatto appena accaduto, le ore passavano e la tempesta continuava incessantemente e aveva ormai sete. Se avesse bevuto l’acqua salata sarebbe stato peggio, anche se quando arrivavano le onde veniva inghiottita da esse ed era quasi costretta bere quell’acqua marina. Londra:<<Notizia dell’ ultima ora, una catastrofica bufera sta attraversando l’oceano Atlantico le sue dimensioni stanno triplicando>>, è la voce della giornalista che si trova sulla costa britannica. Il collegamento dallo studio della CNN si blocca e parte subito la voce della direttrice che si scusa per l’interruzione e riparte. “Come potete vedere alle mie spalle, come ha detto la nostra inviata, sta peggiorando e questo fatto è visibile a occhio nudo, ehm abbiamo appena ricevuto un'altra notizia…un vulcano dopo 400 anni, dato ormai per inattivo, ha ripreso a buttare lava sulle coste del Messico, per il momento non abbiamo altre notizie al riguardo, scusatemi abbiamo un collegamento con il dottor Shuman. Grazie del suo intervento dottore, può spiegarci meglio questa situazione?>> dice la direttrice. <<Certamente, io personalmente come geologo credo che ci troviamo davanti a un forte problema ambientale che ha colpito l’Europa ma anche l’America centrale, sinceramente la situazione sta diventando preoccupante anche a causa dei gas tossici provenienti dalle ceneri del vulcano e ciò impedirà i voli intercontinentali>>rispose il dottor Shuman e lì si interruppe nuovamente il collegamento e la direttrice si scusò dell’ accaduto. Casa Linkenson Tutti stanno guardando il telegiornale con il fiato sospeso,non capivano come sarebbero arrivati i due ragazzi a destinazione, sarebbero tornati a Londra,ma se fossero stati travolti dalle ceneri di fumo?? e subito arrivò la notizia che un aereo proveniente da Londra, esattamente il volo BA5062A, era precipitato nell’oceano, al momento non si avevano ulteriori informazioni. Il viso dei genitori di Jessica sbiancò terribilmente e subito vi furono pianti di dolore, ansia ; speravano solo che la loro figlia tornasse a casa sana e salva con il suo bambino in grembo. Helen si trova ancora nel suo ufficio, la sua famiglia la aspettava per la notte ma lei non era rientrata, era in cerca del segnale dell’aereo, era in crisi, pensava a tutte quelle persone che erano 5 andate disperse e non poteva far niente a causa dei gas tossici presenti nell’aria. I voli vennero subito cancellati, gli aeroporti erano chiusi, ma all’interno vi erano i passeggeri che dovevano imbarcarsi per raggiungere le loro destinazioni. Florida 11:05 a.m Samanta si trova in cortile insieme alla sua amichetta Stephany, la mamma le chiama per andare a tavola ma subito si ferma e a bocca aperta guarda il cielo è tutto nero, il sole era scomparso eppure due minuti fa c’era…le bambine corrono da Mary che ordina loro di andare nello sgabuzzino, Samanta inciampa e cadendo si è rotta una gamba. La sua mamma non se ne accorse, il vento le impediva di vedere pensava che fosse già scesa nello sgabuzzino…sperava che fosse così ne era oramai convinta.. non ci pensava quasi, ma quando arrivò nello sgabuzzino trovò solo l’altra bambina…Salì di corsa le scale del posto ma la bambina era già stata travolta dal tornado e non ebbe scampo…la mamma tornò subito disperata nello sgabuzzino si sentiva in colpa, aveva salvato la vita a una bambina che non era sua figlia, si era auto convinta che la piccola Samanta ce l’avesse fatta a scendere in quel luogo che era grande, spazioso, avevano addirittura televisori,computer. Era come una casa sotterranea, l’altra bambina era incredula e non capiva più niente,Mary la consolò come meglio poteva e ,cercando di non disperarsi ancora di più, accesero la tv e guardarono la televisione. vi era un allarme mondiale; a Cuba erano arrivate dei maremoti con una intensità di 8.9 nella scala sismica, a Londra il temporale stava ormai devastando la città, il vulcano che eruttava dopo 400 anni, tornadi, e dopo si sarebbe staccato anche un iceberg nell’Antartide e le dimensioni erano di circa 1.000 Km quadrati sembrava la fine. Washington D.C Il presidente Obama insieme a tutti i suoi politici bloccarono tutti i mezzi di trasporto e diede l’ordine di non uscire dalle proprie abitazioni a causa dei gas tossiici che stavano invadendo l’intera atmosfera,si collegarono con tutti i presidenti del resto del pianeta attraverso telecomunicazioni che ogni tanto si bloccavano, i paesi stavano perdendo migliaia di dollari, dovevano sfruttare al meglio l’elettricità, il danno ambientale sarebbe stato devastante,specie di animali sarebbero andate perse, alcuni ecosistemi sarebbero scomparsi,i danni erano gravi.. per non parlare delle navi petrolifere che si trovavano in mezzo all’oceano quelli si che sarebbero stati gravi, inoltre vi era quel aereo, il BA 5062° i passeggeri che sarebbero sopravissuti al impatto sarebbero morti a causa delle perdite di petrolio…e quello fu uno dei tanti aerei precipitati,a causa di vari fatti e non solo della tempesta. Il collega di Helen le disse di tornare a casa non vi erano più speranze non potevano mandare dei soccorsi sarebbero state altre vite perse…era impossibile salvarli cosi come riparare tutti quei danni…. Jessica si fece trasportare dalle forti onde, non sapeva se ce l’avrebbe fatta, non sapeva se il suo bambino ce l’avesse fatta, era sconvolta ma doveva farcela doveva farlo per lei, per il bambino, per Robby, per la sua famiglia che non staccava gli occhi dal telegiornale; fortunatamente raggiunse un’ isola,ma il pericolo in aria rimaneva…i gas c’erano ancora e solo dopo alcuni giorni il cielo tornò a splendere.. lei e il suo bambino ce l ‘avevano fatta, ma tante vite andarono perse, barriere coralline distrutte, così come intere metropoli.. Questo è solo un racconto, ma, riflettendoci, tutto ciò può accadere se l’uomo continuerà a sfruttare in questo modo la Terra. Framele e i giorni al contrario a cura di Genny Bondi e Giada Gori 6 Era la notte del 12 agosto 2026, nella cittadina di Gifemgisca e anche l’ultimo dei suoi abitanti, il famoso scienziato Framele, stava andando a letto per riposare dopo una lunga e faticosa giornata di studi. All’ improvviso, un enorme boato e un’accecante luce rossa risvegliò l’intera cittadina. Nessuno riusciva a rendersi conto di quello che era successo, poiché, aprendo gli occhi, scoprirono che non erano le cinque del mattino come tutti si aspettavano, bensì le cinque del pomeriggio. Ognuno di essi cominciò la sua routine quotidiana senza accorgersi che c’era qualcosa di strano, a parte Framele che percepì nell’aria che c’era qualcosa che non tornava. Dopo ore e ore di studi finalmente si ebbe la conferma, i calcoli non tornavano. Il famoso scienziato lavorò notte e giorno su questo strano fenomeno anche se invano, poiché non riusciva a trovare alcuna spiegazione a tutto ciò. Era già passato un mese da quel assurdo 12 agosto ma ancora nessuno era riuscito a trovare una spiegazione. Una notte, mentre Framele passeggiava per le stradine di Gifemgisca, tutto impegnato nei suoi conti, avvertì uno strano rumore. Egli, essendo molto curioso, si avvicinò lentamente al cespuglio dal quale esso proveniva ed improvvisamente vide uno strano animale che di giorno egli non aveva mai visto. Vedendo quello strano pennuto, gli si accese una lampadina e capì che questo era un’ animale notturno, un gufo. Si fermò un attimo a pensare e, dopo alcuni secondi, arrivò alla soluzione. Il giovane scienziato lanciò un grido di gioia e si precipitò tutto entusiasta nel suo laboratorio dove, dopo molti studi, riuscì a risolvere il mistero che aveva avvolto Gifemgisca per intere notti senza alcune spiegazioni. Erano circa le 19.30 di mattina, il cielo era limpido e un bellissimo tramonto e una quiete inconfondibile regnava sulla bella cittadina, quando un grido interruppe quella calma atmosfera . Era Framele che aveva finalmente trovato una risposta a tutti i perché che fino a quel giorno tutti si erano posti. Il giorno e la notte si erano invertiti, una causa del moto di rotazione della Terra !! Dopo alcuni mesi, tutto tornò alla normalità e Framele divenne famoso in tutto il mondo poiché era stato il primo scienziato a riuscire a risolvere questo mistero che ogni 5.000 anni colpisce la stupenda cittadina di Gifemgisca. Il successo del giovane scienziato fu pazzesco, per mesi e mesi non si sentì parlare d’altro e riuscì ad occupare la prima pagina del corriere della notte, il giornale creato per ricordare questo evento, per moltissimo tempo. Quando tutto tornò alla normalità, ovvero il giorno e la notte si riassestarono, il famoso scienziato si ammalò di una malattia molto grave dovuta al cambiamento climatico tra il giorno e la notte, chiamata in seguito Framelite, che dopo alcuni mesi di sofferenza lo portò alla morte. Prima di morire, Framele disse alcune parole sofferenti con le lacrime agli occhi: “Beh, quando questo fenomeno si verificherà nuovamente, e se sarà puntuale avverrà nel 6.026, io non ci sarò più, ma spero solo che un mio collega potrà approfondire i miei studi e spero che riuscirà a creare una nuova teoria . Se questo accadrà veramente mi rendereste l’uomo più felice di questo mondo ”. Dopo aver pronunciato queste parole, Framele chiuse gli occhi. La leggenda narra che ogni 5.000 anni Framele si ripresenti insieme a questo fenomeno. Il rispetto e l’amore a cura di Chiara Ciurlo e Eleonora Innocenti INTRODUZIONE In un futuro non tanto lontano due grandi imperi stavano conquistando l’universo, pianeta dopo pianeta riuscivano a far diventare schiave tante razze diverse. Questi due regni si stavano 7 contendendo l’ultimo pianeta ricco di risorse energetiche, mettendo in campo i più grandi eserciti che si erano mai visti. Uno era comandato da Julio di razza Asan, noto per le sue tattiche difensive e aveva un figlio maschio di giovane età, Sian. L’altro esercito era sotto l’obbedienza di Pogron della dinastia dei Kamor, rinomato per le tattiche d’attacco e aveva una figlia anch’essa di giovane età, Elizabeth. Agli abitanti dei regni era proibito immischiarsi nelle faccende politiche e militari. Così, la principessa Elizabeth e il principe Sian crebbero senza sapere dell’esistenza di una guerra universale e di un esercito intero che cercava di ucciderli. Elizabeth si guardò allo specchio: si notavano bene nuovi brufoli su quella carnagione chiara, quasi bianca; portava i suoi capelli castani non troppo lunghi, le superavano di poco le spalle; il fisico era asciutto, ma a lei non piaceva. Aveva avuto decine di fidanzati, ma nessuno l’aveva veramente considerata perché era la figlia del re. Lei cercava ancora il cosiddetto principe azzurro che riesce a far dimenticare il proprio nome con uno sguardo. Sapendo che fuori era bel tempo, Elizabeth decise di andare nel suo solito posto, dove rifletteva sugli avvenimenti del giorno o sui propri sogni. Uscì dalla sua camera e si diresse nella sala del trono; al suo ingresso, si trovava uno scanner della voce e degli occhi per far sì che nessuno entrasse o spiasse il re. “Papà, io esco per prendere un po’ d’aria.” Il re si girò annuendo con la testa e ritornò a parlare con il suo consigliere. Elizabeth fece per andarsene quando lui, con una voce fredda come il ghiaccio, le disse: “Torna prima di cena , abbiamo un incontro con il conte di Marte, è molto importante “. La ragazza aveva da sempre avuto un cattivo rapporto con il proprio padre perché lui non aveva mai approvato le sue scelte. Elizabeth prese il suo teletrasportatore e, in un attimo, si ritrovò al posto scelto, una piccola radura che si apriva su un lago. Tutti sapevano che oltre al lago si trovava un altro regno pieno di pericoli, infatti si intravedevano alberi dal colore blu scuro. Nessuno sapeva che lei si trovava lì, neanche la sua adorata cameriera che la scortava ovunque. D’un tratto, Elizabeth sentì un piccolo rumore che proveniva dagli alberi e si appiattì ancora di più al suolo. Una voce roca cominciò a parlare: “ Il confine è libero, nessuna rappresaglia in vista capitano, controlliamo questa zona e il lato ovest. Riguardo alla guerra su Plutone nessuna novità?” Un ologramma rispose con voce macchinosa: “ Nessuna novità, il re Julio non ha dato nuovi ordini, ma credo che l’altro esercito non attacchi per questa notte; Pogrom si trova ad una cena e non può dare ordini”. Il silenzio invase la radura, neanche Elizabeth respirava; soltanto dopo alcuni secondi l’ologramma ruppe il silenzio. “ La saluto soldato Covech” e l’uomo sull’attenti rispose prontamente: “ A rivederla comandante”. Dopo che il soldato se ne andò, Elizabeth si alzò da terra e pensò alla conversazione che aveva origliato – Ma di che guerra parlava quel soldato? E perché ha nominato mio padre? Tutte queste domande le devo rivolgere a lui-. E così la ragazza prese il suo teletrasportatore, ma notò subito l’ora nel suo orologio nuovo che si trovava dentro il palmo della mano, era tardissimo, le nove passate. In un nanosecondo si ritrovò proprio dietro la porta della sala del trono. Stava per entrare quando sentì la voce di suo padre: “ Come mai non arriva, quella ragazza porta proprio disgrazie, vorrei non essere mai diventato padre!!”. Elizabeth si sentì mancare, come aveva potuto dire questo di lei. In preda al pianto cominciò a correre, dimenticando il luogo dove si trovava e che giorno era; si sentiva sola con il suo dolore. Dopo un’ ora si ritrovò alla sua radura, sul lago si rifletteva il pianeta rosso con tutta la sua bellezza. Al lato di una roccia, la ragazza notò qualcuno che guardava il cielo come se volesse cercare qualcosa. Elizabeth si avvicinò con cautela: aveva una carnagione scura tendente al viola, occhi grandi celesti che ti potevano far affogare. Aveva un fisico muscoloso che traspariva da uno strano mantello, indossato sopra dei pantaloncini. Arrivata a mezzo metro da lui provò a toccarlo, era molto caldo quasi avesse la febbre . Lui si girò di scattò e la squadrò da cima a piedi. Cominciò a parlare con voce squillante, ma piena di tristezza come se in quel momento avesse rievocato un brutto ricordo. “ Come ti chiami?”. Elizabeth ci pensò un secondo e decise di cambiare nome, non voleva 8 ancora una volta avere ammiratori per il suo patrimonio o per i suoi titoli nobiliari. “Leah , mi chiamo Leah”. Lui le sorrise e disse:” Piacere, io mi chiamo Sian”. Il ragazzo, se così si poteva chiamare, si alzò per sgranchirsi le gambe. ” Cosa ti porta qui tutta sola, Leah ?” Lei pensandoci un po’ su rispose: “ Vengo qui nei momenti più difficili, è come un rifugio per me, mi dimentico del mondo esterno …”. Stava per aggiungere qualcosa, ma girando lo sguardo vide Sian che la guardava intensamente. La luce pallida di Marte irradiava la sua pelle e le dava un che di magico e misterioso. Sian tolse lo sguardo da lei. “Quando ci sono notti chiare come questa, vengo a osservare il cielo, mi ispira. Sai, c’è una leggenda che narra di due creature, completamente diverse, che non erano destinate a stare insieme, ma, lottando contro ogni pregiudizio e ostacolo, ci riuscirono. Proprio lì, in quel luogo si sono incontrati per la prima volta.”Con un movimento brusco indicò il centro del lago. Elizabeth non aveva mai sentito quella storia, ma l’aveva affascinata molto: come avevano mai fatto quelle creature ad accettare le proprie diversità e continuare ad andare avanti, non poteva immaginarselo. La ragazza volle interrompere il silenzio:” Raccontami un po’ di te, Sian!” Il ragazzo fece per prendere fiato, ma subito ripensò a cosa doveva dire: “Sono della razza Asan, mia madre è morta quando ero molto piccolo e con mio padre non parlo da un due mesi, da quando sono scappato di casa. Ora che ti ho raccontato questa cosa che non direi neanche a un amico fidato, parlami di te”. Elizabeth gli sorrise debolmente: “Non ho una madre e ho appena sentito mio padre dire - Vorrei non essere mai diventato padre-, non ho amiche e, in conclusione, la mia vita fa schifo.” Il ragazzo cominciò a ridere, aveva un risata buffissima simile a un maiale che grugnisce. Nel bosco si sentivano solo le loro risate che aumentavano di secondo in secondo. Sian con il sorriso sulla bocca disse: “Leah abbiamo moltissime cose in comune: abbiamo un padre che ci odia, non abbiamo amici e ci rifugiamo qui nei momenti difficili, direi che possono bastare.” Quella notte fu la più bella che Elizabeth avesse mai vissuto, aveva incontrato qualcuno che finalmente non cercava il suo titolo nobiliare, ma l’accettava per quello che era. Sian le rivelò molti segreti e stettero a parlare tutta la notte, come se il tempo non esistesse. Il mattino, quando si recò a casa, trovò un biglietto e una nuova astronave; suo padre l’aveva sentita quando lei si era messa a piangere e a correre per il palazzo. Questa volta Elizabeth non si sarebbe fatta comprare da regali, ne era sicura. Le settimane passarono tutte alla stessa maniera: di sera i bellissimi momenti con Sian e durante il giorno gli sguardi minacciosi diretti a suo padre che, come il solito, erano ricambiati da occhi da cucciolo smarrito. Una sera, come ormai era abitudine, si recò alla radura con la nuova astronave, un “regalo” di suo padre. Sian la aspettava su una roccia con il petto scoperto, la ragazza notò subito i muscoli definiti del torace e pensò - Anche se non è umano è molto carino- ma, come poteva pensare una cosa del genere del suo più caro amico... Si salutarono con il sorriso stampato sulle labbra,ma Elizabeth notò qualcosa che non andava nello sguardo del ragazzo, le nascondeva qualcosa di importante. Allora si fece coraggio e gli chiese:” C’è qualcosa che non va?” Lui con un sorriso amaro la guardò. “Ti devo dire una cosa che sta diventando un peso per me, ma non so come dirtelo …”. Ad Elizabeth quelle parole fecero paura; cosa c’era di così brutto che le poteva nascondere? Sian si avvicinò con cautela e le prese le mani, guardandola dritta negli occhi. ”In questi giorni ho capito che sei l’unica persona che mi ha accettato per quello che sono, ignorando la mia razza e colui che sono in realtà.” Il ragazzo prese fiato e continuò: “Un principe del regno di Julio”. Calò un silenzio spettrale. Elizabeth era sconvolta da quelle parole, anche lei provava le stesse emozioni. Doveva dirgli chi era o lei avrebbe rovinato quello che c’era fra loro due. “Anch’io ti ho nascosto una cosa, sono figlia del re Pogron e mi chiamo Elizabeth. Ho cambiato nome per paura che tu conoscessi il mio titolo nobiliare e non me”. Poi accadde una cosa che lei non si sarebbe mai aspettata. Sian si avvicinò e le loro labbra si incontrarono, fu qualcosa di magico per 9 loro due . Alla fine del bacio nessuno alzava gli occhi da terra per paura della reazione che l’altro poteva aver avuto. Elizabeth odiando quel silenzio parlò:” Ti devo far conoscere mio padre, voglio che almeno una volta approvi una mia scelta. “Prendendolo per mano, Elizabeth teletrasportò Sian nella stanza del trono. Suo padre se li vide apparire davanti e prese paura. Pogron scrutò sua figlia e il “ragazzo”: qualcosa non quadrava, lo aveva già visto. Ora ricordava: era il figlio di Julio, il nemico giurato. Con voce forte parlò:” Catturate quell’essere è figlio del nemico, deve essere giustiziato!!!” Delle guardie placcarono Sian. Elizabeth, in preda alla paura, cominciò a supplicare suo padre: “No, non lo fare è l’unica persona che abbia mai amato. E poi che cosa ha fatto di male?” Pogron stava prendendo un fucile per giustiziare il ragazzo, ma decise di raccontare tutto sulla guerra su Plutone: “Sappi, figlia mia, che il nostro regno sta combattendo la guerra più grande mai stata scatenata, e il nostro nemico non è altro che il tuo bel fidanzatino.” Elizabeth si sentì mancare, era sempre stata all’oscuro di tutto questo, come tutti i cittadini dell’impero.” Padre come fai ad essere così crudele, Sian non è come suo padre lui è diverso. “Le sue parole erano inutili, Pogron non l’ascoltava; lui stava caricando il fucile quando l’urlo di disperazione di sua figlia lo distrasse. ” NOO, non lo fare io lo amo!!” Dopo queste parole lei guardò Sian negli occhi, la sua felicità era dentro quel ragazzo e doveva salvarlo, ma fu braccata da due soldati. Cercava in tutti i modi di divincolarsi, ma non era possibile sfuggire a quella presa. Le lacrime le salirono agli occhi e si accasciò a terra con la testa fra le mani. Dopo i secondi più brutti della sua vita, sentì lo sparo e un corpo accasciarsi a terra: Sian era ferito sulla zona destra del petto, ormai era tutto finito. La disperazione l’assalì, ma poi vide qualcosa di strano: Sian aveva l’occhio sinistro aperto e lo muoveva freneticamente. Non era morto, c’era una speranza. Così, si alzò velocemente e prese con difficoltà il corpo ormai senza sensi di Sian. Uscì dal castello e corse il più velocemente possibile fino ad arrivare alla casa di un suo vecchio zio che aveva una macchina a raggi infrarossi capace di rimarginare le ferite. Arrivati in quella casa lontana, dalle grosse finestre di vetro, Elisabeth chiamò disperatamente lo zio, diverse volte. Lui uscì di corsa spaventato dalle urla della ragazza , e vedendola per terra con il corpo di un uomo affianco, si diresse verso di loro per capire cosa fosse successo. La ragazza prima di raccontare tutta la storia, gli chiese disperatamente di aiutarla, di usare la sua macchina miracolosa per salvare il suo giovane amante. Presto lo zio corse dentro, la prese e in pochi secondi fu di nuovo vicino al ragazzo. Riuscì a salvare Sian e il giovane cominciò a respirare nuovamente in modo normale, aprì’ gli occhi e scambiò un tenero sguardo con Elisabeth. Avrebbe voluto baciarla ma non poteva, c’era lo zio che li guardava, ma non resistette alla voglia di abbracciarla forte per dimostrarle la sua immensa gratitudine. Lo zio era lì fermo che li guardava, tra mille pensieri, non riuscendo a capire cosa fosse successo, ma si convinceva sempre di più che quei ragazzi erano uniti da teneri sentimenti e da un amore vero. Sian si alzò lentamente e con una certa fatica, dopo aver ringraziato lo zio di Elisabeth, sorrise delicatamente, pensando che l’amore era riuscito a salvarlo. Lo zio li invitò a entrare nella sua casa enorme, tutta colorata e con mille strane apparecchiature che regolavano la sua vita. Lì preparò una bevanda calda al gusto di ortica e menta e seduti intorno a un tavolo i due giovani raccontarono la loro triste storia. Troppo diversi, figli di nemici, distanze enorme di pianeti, ma uniti da uno stesso sentimento: l’amore. Lo zio capì subito e non sapendo come fare ad aiutarli, disse loro che potevano restare lì per tutto il tempo che desideravano. Forse i loro padri, sentendo la loro mancanza , avrebbero abbandonato gli antichi rancori e la pace avrebbe regnato per sempre nei loro due regni. Ma ciò non avvenne. La rabbia e il disprezzo divennero insostenibili e cominciò una lunga guerra che sconvolse i due regni. Ci furono tanti morti e tante persone rimasero senza nulla, solo con il dolore nel cuore. I cieli si oscuravano con il fumo delle battaglie e i campi divennero sempre più scuri e ricoperti di una sostanza scura, un miscuglio di sangue e petrolio. L a morte regnava negli sguardi di tutti . La gente non capiva il perché di tutto ciò e Sian e 10 Elisabeth da parte loro sapevano ciò che succedeva e spesso piangevano insieme. Sapevano che non potevano far niente per fermare tanta violenza, perché conoscevano la caparbietà dei loro padri. Ma un bel giorno, i due ragazzi trovarono il coraggio di esporsi, si recarono dai rispettivi padri , per spiegare che solo la tolleranza, l’amicizia, il rispetto , l’accettazione della diversità erano valori positivi, che la violenza non poteva portare a nulla, solo all’odio più forte. Ma i rispettivi padri non volevano intendere ragione, erano solo vecchi, rancorosi e non erano stati abituati ad amare. Concessero solo ai loro figli di andare e dissero loro di non tornare più altrimenti li avrebbero uccisi. Tristemente tornarono dallo zio ma qualcosa di strano avvenne. Sulla strada del ritorno ognuno di loro incontrò una strana creatura metà uomo e metà leone. Entrambe predissero che loro due sarebbero stati i nuovi sovrani di un regno unito, pacifico e tranquillo. Si trattava solo di sperare ed aspettare la fine di quel giorno che era loro sembrato terribile e senza speranza. Ancora una volta i due ragazzi raccontarono allo zio del colloquio avuto con i padri, di quello strano incontro che aveva suscitato in loro tanta paura ma anche una debole speranza. La notte due vulcani spenti ormai da centinaia di anni cominciarono ad eruttare e a liberare tanto fumo, cenere e lava. La gente spaventata correva per trovare un rifugio, ma la lava sembrava andare in un’unica direzione: i due castelli reali sui due diversi pianeti. Era la punizione per i due sovrani che non erano riusciti a governare saggiamente e non avevano saputo dare ai loro popoli la felicità. La lava travolse tutto , le loro vite , i loro poteri e i loro odi. La pace ritornò nei due regni e tutti furono felici. I due ragazzi si sposarono e imposero un’unica regola nei loro regno: il rispetto e l’amore. Gli umanoidi a cura Irene Bonci e Alberto Ferroni Il caldo di quei giorni era frustrante e il vento che spazzava via le nuvole era meno inquieto del solito; era davvero una bella giornata e niente avrebbe potuto impedire la partenza per Marte. Almeno, questo era quello che speravamo. La caduta della navicella spaziale a Melbourne aveva causato gravi danni all’ambiente, danneggiandolo. Era assurdo che fosse capitata una cosa del genere ai giorni d’oggi: il professor Truman ci aveva spiegato che la causa del disastro erano state le condizioni climatiche di quei giorni. E, trovandoci in America e avvenuta questa disgrazia in Australia, era ugualmente assurdo che avremmo dovuto ritardare la partenza di due mesi, decisamente, totalmente, inevitabilmente assurdo! Ma era così, ed era da laggiù che saremmo dovuti partire. Le notizie di quei giorni alla navi-scuola erano troppe e differenti: non ci si capiva più niente. Eppure, problemi del genere non era la prima volta che accadevano, ma stavolta non sembrava così facile venirne a capo. Anche i miei erano preoccupati; mia madre si era addirittura recata alla navi-scuola per saperne di più, ma non aveva avuto grandi spiegazioni, né dal preside, né dai professori. Si trattava soltanto di aspettare e avere pazienza. Passarono i giorni, passarono le settimane e passarono anche i mesi: ebbene sì, era finalmente giunto il momento di partire. Ci saremmo ritrovati davanti al navi-porto la mattina presto, appena sarebbe sorto il sole e saremmo dovuti salire sulla navicella spaziale che il professor Marshall ci aveva gentilmente prestato, date le cattive condizioni delle altre 4 rimaste. Era immensa, aveva 4 motori che riuscivano a farla volare anche con venti che raggiungevano i 500.000 Km/ h. I suoi colori erano caldi, come se potessero infondere tranquillità ai suoi passeggeri. Ognuno aveva le sue valigie, piccole ma molto capienti grazie alle nuove tecnologie. Una scaletta fatta di ologrammi ci portò fino in cima all’entrata che era posta a 500 metri di altezza. Dietro di me, si trovava una comitiva di ragazzi, forse non avevano più di 16 anni: erano carini, ma non si potevano definire belli; si, proprio alla mia portata. Questo 11 viaggio sarebbe stato all’insegna delle conquiste. Promisi a me stessa che sarei tornata con qualcuno. Fui svegliata dai miei pensieri da un ragazzo che mi urtò e mi versò tutto il caffè sulla nuova giacca di pelle. - Scusa, mi dispiace tantissimo!- Continuava a scusarsi e scusarsi, ma, se credeva che queste parole potessero bastare, si sbagliava di grosso. Mi allontanai e mi rifugiai in bagno, ero infuriata. Dopo aver sbollito la rabbia, uscii tutta bagnata e ancora quel rompiscatole era vicino a me. -Ciao, il mio nome è Emmet. Il nostro primo incontro non è stato dei più piacevoli, ma credo che potremmo rimediare-. Era appoggiato allo stipite della porta. In confronto a me, Emmet sembrava un gigante; i suoi muscoli risaltavano sotto la maglia a maniche corte, abbinata ad i pantaloni stretti. Il viso era la sua cosa più bella, aveva occhi chiari, color ghiaccio e dei capelli biondi né troppo lunghi né troppo corti. Ok, poteva essere uno s..... colossale, ma era molto bello. La sua voce mi svegliò. -Terra chiama ragazza! Terra chiama ragazza!-. Sventolava la sua mano sul mio viso. Indignata, lo fulminai con lo sguardo. -Comunque io mi chiamo Samantha e non ti voglio più fra i piedi-. Emmet mi guardò con occhi da cucciolo smarrito e mi dovetti ricredere. - Ok, proveremo ad essere amici-. Con il sorriso più bello del mondo, ci allontanammo dal bagno e mi diressi alla stanza che mi avevano assegnato per il viaggio che sarebbe durato in tutto 2 settimane. Emmet entrò con me dentro la nuova camera, con la scusa di controllare se c’era un aggressore o roba simile. Al centro della stanza c’era un piccolo letto con 2 cuscini; accanto a questo c’era un comodino tutto in legno massello, sul quale poggiava una piccola abat-jour colorata. Mi distrassi dallo scrutare la mia stanza e uscimmo in corridoio, stando per conto nostro tutto il tempo. Da quella sera, Emmet non si staccò un attimo da me e divenimmo amici inseparabili. E chi l’avrebbe mai detto! Il quinto giorno del viaggio io ero in camera sua a ridere e scherzare. Durante il viaggio, avevo pensato molto a Emmet e avevo finalmente capito ciò che provavo per lui: mi piaceva da morire, mi ripetevo in continuazione. Mi ero decisamente innamorata di lui. Improvvisamente divenne serio, come se avesse ripensato ad un fatto accaduto tanto tempo fa e lo stesse rivivendo quel momento: mi guardò con aria autorevole, e mi disse: - In questi giorni ho capito tante cose; qualcosa che non avrei mai creduto di provare...-. Mi si avvicinò pericolosamente, ma, improvvisamente distolse lo sguardo. Stavo per dirgli qualcosa, ma non mi fece aprire bocca, anticipandomi: -Io conservo un segreto, che nessuno ha mai saputo. Appena te lo dirò, scapperai per la paura. Ma ti scongiuro, non lo dire a nessuno-. Così cominciava a spaventarmi veramente. Io sono un…umanoide -. La testa mi cominciò a girare, come era possibile? Gli umanoidi provengono da Plutone e si erano quasi estinti. - Ma come, ma come è possibile tutto ciò? Tu venivi a scuola con me -. Detto questo, si girò e mostrò il segno caratteristico degli umanoidi, un occhio dietro la nuca. Mi spaventai. Ma poi capii che non lo dovevo giudicare per la sua immagine: io mi ero davvero innamorata di lui. Di punto in bianco, cominciò a piangere e io lo abbracciai, ora più che mai aveva bisogno del mio sostegno. Emmet si girò con cautela e iniziai a scrutarlo, mi persi nei suoi occhi. Mi mossi da sola, senza che la mia mente pensasse. Le nostre labbra si incontrarono e fu bellissimo. Soltanto due minuti dopo riuscii a guardarlo in faccia; lui sorrideva. Con quel bacio avevamo detto tutto. Restammo a guardarci per ore. Quel viaggio fu il più sconvolgente ed il più romantico della mia vita. La Perfetta Armonia a cura di Martina Buti e Francesca Ciabattini Era da poco finita la pausa pranzo e Kate stava entrando in biblioteca con la sua amica Miriam che conosce dai tempi dell’asilo, cioè da quando quest’ultima si è trasferita a Boston con la madre dal 12 Burundi.. La biblioteca era la stanza più piccola e a nord della Jefferson High School nella periferia della città. Le ragazze ci erano andate per cercare un libro sui geroglifici egizi. <<Ehi Kate! Vieni un po’ a vedere, qui c’è un simbolo uguale alla tua voglia!>>. In effetti quel geroglifico assomigliava molto alla voglia che Kate aveva sulla spalla destra dalla nascita. <<Hai proprio ragione, chissà se significa qualcosa?>>. Così Miriam disse:<<Perché non lo scopriamo?>>. Presa la decisione, le ragazze portarono il libro dall’esperto di geroglifici che lavorava al museo della città. Si chiamava Alan Cutler ed era un ometto basso e cicciotello, con i tipici occhiali da studioso che gli ingrandivano sproporzionatamente gli occhi. << Buongiorno ragazze, cosa posso fare per voi?>> <<Buongiorno. Stavamo facendo una ricerca sui geroglifici, quando abbiamo trovato questo simbolo che ci ha molto incuriosite.>> rispose Miriam. << D’accordo, fatemi dare un’occhiata – l’esperto prese il libro dalle mani di Kate – per domani avrete la risposta>>. Intanto, a centinaia di migliaia di chilometri di distanza, sul pianeta Kassybill, viveva un diciassettenne di nome Talamh. Era uno studente del liceo migliore della sua città, la capitale: Kassy. Quel pomeriggio Talamh stava andando in biblioteca per una ricerca sui simboli degli Huns, e, dopo qualche minuto di lettura, si accorse di un simbolo identico alla macchia che aveva sulla spalla sinistra. A quel punto pensò: “ E se la mia macchia avesse un significato preciso?”. Così, si recò immediatamente dal filosofo Perisikan per avere informazioni. << Salve, avrei bisogno di sapere cosa significa questo simbolo, mi può aiutare?>>. <<Buonasera, certamente. Fammi vedere – e Perisikan prese il libro dalle mani di Talamh – vista la tua curiosità per domani cerco di farcela>>. Il giorno dopo, il ragazzo si diresse dal filosofo. Questo gli disse di non averne capito il significato, ma di aver trovato un’incisione su un pezzo di legno nella quale si trovava quel simbolo. L’incisione diceva: “Fin dal principio un presagio di morte e distruzione gravava ogni 81 anni sull’allineamento dei pianeti Terra e Kassybill. Il marchio di Kassybill”. Talamh ringraziò Perisikan e prese il pezzo di legno, intento a scoprire cosa potesse significare quel messaggio scritto in quella lingua strana. Nel frattempo sulla Terra Kate e Miriam erano tornate al museo dall’esperto di geroglifici per avere una risposta, ma quando furono lì ebbero una brutta sorpresa. <<Oh ragazze! Mi dispiace molto, non ho scoperto molto su questo simbolo – disse l’esperto con un tono di delusione nell’ultima frase – in compenso però nel magazzino del museo ho trovato una strana lastra dove veniva rappresentato lo stesso simbolo e mi ha incuriosito molto, così l’ho presa per voi…>> <<Grazie mille – disse Kate prendendo la lastra e guardandola con una faccia stupita – ma che cosa dice?>> <<Non lo so. Non sono riuscito decifrare la frase; sembra scritta in una strana lingua a noi uomini sconosciuta>>rispose l’esperto. <<Evvai!!! Un altro mistero da scoprire…non vedo l’ora>>disse Miriam tutta eccitata. La frase era: “pada putri dari tanah harus ikut dengan itu tanda dari tanah pada putra dari Kassybill jadi bahawa kembali itu lengkap harmoni.” Nel momento in cui Kate prese la frase, si toccò istintivamente la spalla destra e sentì uno strano calore al tatto; tanto strano che si spaventò pure, perché non le era mai capitato che la sua voglia diventasse calda. Nello stesso momento, la stessa cosa accadde anche a Talamh, a centinai di 13 milioni di chilometri di distanza, su un altro pianeta…ma i due ragazzi non sapevano ancora che la cosa fosse collegata. Tutto successe molto velocemente; nell’istante in cui Kate si toccò la voglia sentì una voce calda e armoniosa nella sua testa. In quel momento fu certa che non esistesse niente di più bello al mondo, ma forse era proprio questo il punto: poteva esistere qualcosa di simile sulla Terra? Mentre Kate pensava tutto questo Talamh sentiva dentro di sé la voce femminile più melodiosa e attraente che avesse mai ascoltato. Era talmente sbalordito che non si accorse quasi delle congetture che quella voce stava facendo su una possibile esistenza aliena. << Scusate ma sono davvero stanca, credo che me ne andrò a schiacciare un pisolino. Grazie mille signor Cutler, a domani Miriam>> Disse Kate ancora stordita. Una volta a casa, si preparò per andare a letto, e prima di dormire, prese di nuovo in mano la lastra per provare a capire ciò che era successo nel pomeriggio. Allo stesso modo, Talamh ripeté l’operazione di poche ore prima… “Ehilà! C’è nessuno?” pensò Kate, sentendosi tra l’altro molto stupida. “Si, chi sei?” chiese Talamh di rimando. “Mi chiamo Kate, ho 16 anni e sono di Boston. Tu invece?”. “ Io sono Talamh, ho 17 anni e vivo a Kassy…Precisamente dov’è Boston? Non ne ho mai sentito parlare.” “Davvero?! E’ la capitale del Massachusetts, hai presente gli Stati Uniti d’America? Dai, non puoi non conoscerla!” rispose Kate in modo scherzoso. “ Seriamente non so di cosa tu stia parlando! Nessuno in tutta Kassybill ne ha mai proferito parola!”. “ Dov’è Kassybill?” “KASSYBILL E’ IL PIANETA IN CUI VIVIAMO!” pensò Talamh scioccato. “Oook, quindi vorresti dirmi che ci troviamo in due pianeti diversi?” disse scettica. “Perché scusa tu da quale pianeta verresti?”. “ Dalla Terra ovviamente!”. “ Che si trova esattamente…” pensò in attesa di un chiarimento. “ Nella Via Lattea, nella terza orbita dal Sole” rispose Kate sconsolata. “Cosa!? Ma anche Kassybill si trova nella stessa orbita…questo significa che nella terza orbita ci sono due pianeti…” “Già, mi sa che è proprio come hai detto tu…”rispose scioccata. Ad un certo punto Kate si sentì chiamare da sua madre: <<Kate! Kate! Vieni a cenare che è pronto!!>> <<Arrivo subito mamma!!>>le rispose. “Scusami ma mia madre mi sta chiamando per andare a cena – disse la ragazza toccandosi la voglia e contemporaneamente la lastra – mi rifarò viva appena finito…va bene?” “Certo ci sentiamo dopo” rispose Talamh . Intanto, su Kassybill il ragazzo stava cercando di decifrare lo strano messaggio che aveva trovato il filosofo Perisikan contenente la sua strana macchia e, per farlo, decise che appena fosse stato possibile ne avrebbe parlato con quella ragazza che aveva una voce talmente melodiosa e attraente da far sciogliere anche i ghiacciai del monte KB, il monte più alto del suo pianeta. Talamh si ritoccò la spalla e la lastra sperando che anche la ragazza lo facesse e così successe. Proprio nello stesso istante pensarono: “Ci sei?” e si misero a ridere. “Eccomi, sono tornata e adesso possiamo continuare il nostro discorso…se vuoi” “Certo! – rispose Talamh entusiasta – volevo parlarti di uno strano pezzo di legno in cui è inciso una specie di codice…tu ne sai qualcosa?” 14 “Si, anche io ho trovato qualcosa di simile… e lo sto tenendo in mano in questo momento” “Forse insieme potremmo capire quello che c’è scritto… il tuo pezzo che dice?” “Non lo capisco, ma provo a leggertelo: pada putri dari tanah harus…”, cominciò esitante la ragazza. “Ma questa è la mia lingua!!” Esclamò sbalordito il ragazzo. “Perfetto! Allora puoi tradurre queste parole! Ascolta: pada putri dari tanah harus ikut dengan itu tanda dari tanah pada putra dari Kassybill jadi bahawa kembali itu lengkap harmoni. Cosa vogliono dire?” “Beh…sulla figlia della Terra e il marchio della Terra sul figlio di Kassybill si dovranno riunire in modo che ritorni la completa armonia. E tu potresti tradurre il mio codice?”. “Certamente, dimmi pure” “ … Fin dal principio un presagio di morte e distruzione gravava ogni 81 anni sull’allineamento dei pianeti Terra e Kassybill. Il marchio di Kassybill.” “Oh cielo! Questo significa …” disse Kate ripetendo poi ciò che fino a poco prima era solo un mucchio di simboli. “Wow… sembra che la tua parte sia la continuazione della mia; proviamo a metterle insieme…” Ed entrambi pensarono contemporaneamente: ‘Fin dal principio un presagio di morte e distruzione gravava ogni 81 anni sull’allineamento dei pianeti Terra e Kassybill. Il marchio di Kassybill sulla figlia della Terra e il marchio della Terra sul figlio di Kassybill si dovranno riunire in modo che ritorni la completa armonia.’ “ E dovremmo essere noi i prescelti?!” pensò Kate sconvolta. “Aspetta, qui parla di un marchio…certo, ora che ci penso…tu hai mica una voglia dalla forma strana?” rispose Talamh cercando di tranquillizzarla. “Si, sulla spalla destra, perché ce l’hai anche tu?” chiese Kate agitandosi sempre di più. “Si, sulla spalla sinistra”. I ragazzi rimasero in silenzio, per rendersi conto della grandezza della situazione. Dopo qualche minuto Kate si congedò pensando: “Io sono troppo stanca per riflettere adesso, che ne dici se ci risentiamo domani?”. “ Si, mi sembra la cosa più giusta. Allora a domani..ciao!” rispose Talamh, sentendo già la mancanza di quella voce mozzafiato nella sua testa. “Si, ciao!” pensò Kate di rimando. La ragazza esitò un ultimo istante con le dita sulla sua voglia, sperando di poter ascoltare ancora i pensieri di quel ragazzo che sembrava averle cambiato la vita, e infine si rassegnò preparandosi per andare a dormire. La mattina dopo, Kate si alzò di buonora e scese al piano inferiore per fare colazione con la sua famiglia. Biascicò un “buongiorno” con la voce impastata dal sonno, ma non le fu prestata la minima attenzione dato che sembravano tutti molto concentrati sul telegiornale mattutino. Un po’ offesa Kate ripetè il saluto ad alta voce e sua madre si voltò verso di lei per intimarle di fare silenzio e di ascoltare. La ragazza si sedette al suo posto e vide un servizio giornalistico in diretta su un ciclone a non molta distanza da casa loro. Appena il telegiornale fu terminato venne informata dai genitori che una serie di eventi simili avevano tempestato le più svariate parti degli Stati Uniti. Udendo ciò, Kate si ricordò di quella profezia “…un presagio di morte e distruzione…”. Che fossero trascorsi quegli 81 anni, e che fossero proprio loro i prescelti per la salvezza della Terra? Kate salì di corsa le scale, impaziente di sapere cosa stava accadendo su Kassybill e ancor di più di sentire Talamh. La mattinata a scuola le sembrò durare un’eternità, e, una volta a casa, non perse tempo in chiacchiere. Finalmente in camera sua, tirò fuori da sotto il letto la sua parte di profezia e, contemporaneamente, si sfiorò la voglia, anzi il marchio, sulla spalla. Silenzio più assoluto. Niente voce, niente Talamh. Aspettò cinque minuti in quella posizione, poi si arrese all’evidenza e andò in cucina per poter ascoltare il telegiornale pomeridiano. 15 Altre novità: un terremoto aveva scosso il territorio di Arizona e Nuovo Messico. I morti ed i feriti cominciavano ad essere una cifra notevole. Se davvero quella profezia diceva la verità, allora dovevano fare qualcosa, non potevano restare a guardare mentre tutto ciò che conoscevano e le loro stesse vite andavano in frantumi. A questo punto, l’unica cosa che Kate trovasse ragionevole fu di aspettare la “connessione” di Talamh. Passò tutto il pomeriggio a spasso per la camera attendendo un qualsiasi segno di vita da parte del ragazzo. Questo però non si fece sentire, né quella sera né per i tre giorni successivi. La ragazza stava per avere un esaurimento nervoso, quando il quarto giorno riuscì finalmente a comunicare con Talamh. “ Alleluja! Si può sapere dov’eri finito?! Qui sulla Terra accadono catastrofi su catastrofi e tu non ti degni nemmeno di dirmi che succede?!” esplose Kate. “ Scusa, ma anche su Kassybill la situazione è tragica. Sono già state evacuate le quattro città che correvano i rischi maggiori, ho avuto molto da fare.” Cercò di difendersi il ragazzo. “Dobbiamo fare qualcosa, Talamh, e il più velocemente possibile. Qui rischiamo di lasciarci tutti le penne!”. “Certo, ma cosa? La profezia diceva che i due marchi si dovranno riunire, quindi noi dovremmo trovare il modo di incontrarci, a tutti i costi.” “Ma come facciamo? Non possiamo usare un’astronave, siamo giovani, senza esperienza, senza un minimo di studio al riguardo…non ce la faremo mai!” pensò Kate sull’orlo delle lacrime. Sentirla così era per Talamh un tormento enorme. “Cerchiamo di non farci prendere dal panico. Allora, noi comunichiamo con il pensiero, toccando contemporaneamente la nostra voglia e la parte di profezia che abbiamo trovato…magari ampliando i nostri sensi riusciremo a fare anche qualcosa di più. Proviamo a stare con gli occhi aperti mentre ci parliamo…” La serata continuò così tra molti tentativi inutili e, ormai stufa, Kate si arrestò davanti allo specchio di camera sua guardando sconsolata la sua immagine riflessa, pensando che probabilmente era lei il problema. Nell’udire questo, Talamh la consolò con frasi molto dolci. Mentre entrambi si beavano di quel momento, Kate vide il suo riflesso nello specchio modificarsi ed assumere l’aspetto del ragazzo più angelico che avesse mai visto. In quell’istante la mente di entrambi si arrestò per lo sbalordimento. L’immagine fece un passo in avanti con le braccia tese, che oltrepassarono il vetro come se non esistesse. <<Talamh?>> riuscì a malapena a sussurrare Kate. Il ragazzo, materializzatosi nella sua stanza, annuì lentamente, poi si aprì in un sorriso smagliante e disse:<< Problema risolto.>> <<Sei...sei…>> cominciò la ragazza ancora frastornata. <<…bellissima>> finì il ragazzo ammaliato. A quel punto, scoppiarono entrambi in una risata imbarazzata. Dopo qualche minuto di silenzio Talamh prese la parola, dicendo di avere il pezzo di legno con sé. Così Kate gli mostrò la sua lastra e lentamente li avvicinarono in modo che le due parti combaciassero perfettamente. Come una calamita, i pezzi si incollarono tra di loro, trasformandosi in un unico blocco di un nuovo materiale, in una lingua che tutti e due comprendevano. Semplicemente incredibile. Un attimo dopo il blocco scomparve, smaterializzandosi, e tutto fu invaso da un fascio di luce. <<Non è stato poi così difficile>>. <<Parla per te, è già tanto che non sia impazzita, vista la situazione!>> <<Non lo dire neanche per scherzo, ci sarei stato io a proteggerti.>> replicò il ragazzo, senza lasciarle il tempo di rispondere, bloccandola con un dolcissimo bacio. 16 <<Modesto l’alieno!>> rispose lei, facendogli la linguaccia e incrociando le dita con le sue. A prima vista, sembravano una normalissima coppietta a spasso per il parco, eppure un particolare li distingueva dagli altri… LA FINE DEL MONDO a cura di Azzurra Palazzini e Beatrice Zonfrillo Dal momento in cui mi alzai al mattino, sentii dentro di me che quel giorno avrebbe cambiato la mia vita, non sapevo come o quando, ma ero certa che quella giornata sarebbe stata diversa per tutti quanti. Dovetti per forza andare a scuola, contro ogni mia volontà, mi alzai da letto e mi trascinai a fare colazione. Quella mattina avevano un gusto diverso anche i cereali, i quali normalmente mi danno la carica per affrontare intere ore di lezione del professore di fisica, che bastava aprisse bocca per far addormentare tutti. Il telegiornale della sera prima aveva affermato che durante la giornata si sarebbero potute percepire delle piccole scosse di terremoto dovute all’assestamento della terra a causa del terremoto del 5 maggio del 2283. Mentre la classe dormiva nell’ora di fisica, fingendo di ascoltare ogni singola parola del PDC (Prof. Addormenta Cervelli), i banchi furono scossi rumorosamente risvegliando la maggior parte dei miei compagni… Il professore continuò a spiegare come se non fosse accaduto niente, ma il mio cuore batteva troppo forte per poter tornare a dormire, così le ore passarono lentamente come i lunghi minuti di attesa dal dentista. Il suono della campanella d’uscita mi riempì di sollievo: non vedevo l’ora di rilassarmi un po’!! Purtroppo, però, quel pomeriggio non fu tranquillo come speravo, le scosse, infatti, via via che si susseguivano, aumentavano la loro potenza e ben presto iniziò a tremare tutta la casa! Queste scosse persistettero fino a sera; la paura era tanta e cresceva quando i cittadini, me compresa, pensavano a come poter passare la notte senza correre il rischio che il tetto crollasse addosso nel sonno. Iniziai a preoccuparmi di questa cosa, quando, origliando dal corridoio, sentii i miei genitori discutere in salotto: «Secondo me bisogna dormire fuori, in macchina» questo era il babbo. «Ma che stai scherzando, vuoi per caso morire di freddo? Assolutamente no, noi dormiremo dentro la nostra casina e non ci succederà un bel niente» la mamma era stata decisa su quello che voleva, ma il babbo insisteva: «Ma lo vedi che le scosse stanno via via aumentando di potenza? Se dormiamo in casa ci crolla tutto quanto addosso!! Io non rischierei e dormirei fuori. In questo modo saremo tutti più tranquilli». Alla fine, l’idea del babbo ebbe la meglio, già alle nove di sera eravamo dentro l’auto parcheggiata per strada e ci apprestavamo a trovare una posizione giusta per prendere il sonno… Di solito, io non riesco a dormire facilmente nemmeno con il mio guanciale morbido e il mio pupazzetto Teddy, figuriamoci quella sera in cui tutto il mondo era in pericolo e non avevo spazio neanche per distendere la schiena! Erano più o meno le undici e ancora i miei occhi non si volevano chiudere, anzi da quanto ero terrorizzata li tenevo più aperti di sempre e sbattevo le ciglia rapidamente ogni quindici secondi, sì esatto proprio quindici precisi, perché, siccome non sapevo cosa fare, mi ero messa a contare l’intervallo delle mie palpebre. Il fatto di non esser riuscita a dormire è stato solo una grande fortuna, infatti alle tre, sei minuti e trentaquattro secondi iniziò un rumore strano, simile a quello di quando si cammina sopra dei pezzi di vetro rotti vicino ai cassonetti dell’immondizia; mi venne da scrutare al di fuori del finestrino incuriosita, ma anche un po’ terrorizzata. Devo ammetterlo, non sono una ragazza coraggiosa. Intorno all’auto dove stavamo 17 dormendo era nata una crepa che si stava espandendo nel terreno facendo un giro completo proprio nella terra dove eravamo noi! Bastò un mio urlo spontaneo per far svegliare di soprassalto i miei genitori, che, accortisi di quello che stava accadendo, si gettarono fuori dalla macchina e mi urlarono in coro di saltare dall’altra parte della crepa cioè nel terreno stabile… Appena atterrata in malo modo con il sedere nell’erba bagnata, mi voltai e subito e davanti ai miei occhi, quel pezzo di terreno dove poco prima eravamo noi, sprofondò, creando un grande foro la cui fine era misteriosa. Il mio cuore stava per uscire dal petto da quanto batteva forte, ma, la cosa che mi preoccupava di più, era la mia voce… Non riuscivo a emettere suoni dallo shock, le mie labbra si muovevano, ma le parole non uscivano ed io mi dimenavo sempre più anche solo per dire: «Tutto bene? Che facciamo adesso?». Solo dopo qualche minuto mi tornò la voce, ma avevo un tono tremolante e non squillante come invece era mio solito! Il babbo fece l’uomo forte e ci accompagnò, a me e alla mamma, fino a uno stabile di cui aveva sentito parlare al telegiornale: era una vecchia scuola antisismica che il comune aveva usato come riparo per tutti i cittadini. Entrammo, stupiti da non credere ai nostri occhi: la scuola non era poi così grande come mi aspettavo, ma la gente era molto di più numerosa del previsto, così, senza fare alcuna considerazione, ci posizionammo in un angolo dell’enorme e unica sala dello stabile e io ne approfittai per guardarmi attorno e ascoltare quali erano i discorsi delle persone… I problemi erano tutti diversi: chi aveva bambini e si preoccupava per loro, chi aspettava un neonato e non poteva correre se avesse dovuto mettersi in salvo, chi voleva capirci di più per cercare di rassicurarsi e chi invece come me stava zitto in disparte e si teneva tutto dentro… Vidi lontano quasi dalla parte opposta della stanza una ragazza della mia stessa età (la riconobbi dagli abiti che portava e dall’atteggiamento che assumeva) così chiesi il permesso di assentarmi per qualche minuto e pensando che mi volessi rinfrescare un po’ andando al bagno, i miei genitori, accolsero volentieri la mia richiesta. Mi avvicinai cauta, non sapevo neanche cosa le avrei detto, ma avevo bisogno di parlare con una coetanea! Iniziai la conversazione con un timido «Ehi ciao!», dopo il cui la ragazza alzò gli occhi con fare sacrificato, stava leggendo, dalla copertina doveva essere un libro molto interessante. «È carino il libro?» le chiesi, ma non ebbi alcuna risposta, sembrava quasi che le avessero tagliato la lingua e dovesse rispondere a cenni e grugniti. Ci fu un momento d’imbarazzo o almeno per me fu così… Ma poi per fortuna arrivò da dietro le mie spalle un ragazzo alto, abbastanza robusto, capelli scuri, occhi di un verde smeraldo che interruppe il silenzio facendo una battuta sulla ragazza che mi stava di fronte per prenderla in giro; da prima pensai fosse il suo ragazzo, ma da come si parlavano capii immediatamente che erano fratelli e pensai che per me c’era ancora una speranza di poter fare amicizia!! Il ragazzo, Jake, dava l’impressione di essere molto più solare di Holly, anche se ancora non c’eravamo detti molto… «Ciao, io sono Jake» «Piacere, Jessica» «Lei è mia sorella Holly». Anche se all’inizio sembrava molto timida, dopo un po’ che chiacchieravamo anche lei si “sciolse” e mi fece sentire la sua voce così squillante e gioviale. Passarono molte ore da quando ero andata al bagno, così inventai a mia mamma che mi ero persa, anche se molto difficile da credere dal momento che c’era solo una stanza!!! In quella scuola passammo più di cinque giorni, senza mai uscire o dormire in veri letti caldi. Trascorrevamo il giorno a parlare di scuola, di sport, a giocare a carte o a indovinare la parola che stavamo pensando di nascosto aiutandosi con degli indizi, molto spesso non chiari. Non è che mi divertii tanto in quei giorni, ma perlomeno feci amicizia con Jake e provai a parlare con Holly. Quel poco tempo mi bastò anche a capire che mi piaceva Jake, ma lo tenni nascosto per me ancora non certa dei miei sentimenti verso di lui. 18 Nella mattinata del settimo giorno tutto era calmo e la giornata sarebbe passata nello stesso modo delle altre, in modo noioso. Invece nel primo mattino tutta la terra cominciò a tremare in modo fortissimo, cascarono dei banchi e nella scuola si scatenò un putiferio. Alcune persone cercarono di mantenere la calma e di ripristinare l’ordine, ma nessuno di loro fu ascoltato perché tutti i genitori erano concentrati a ritrovare i propri figli e ogni persona a riunirsi con parenti e amici. In quel momento, io ero a fare colazione con Jake e Holly e mi andò il latte di traverso, macchiandomi tutta la maglietta!! Corsi dai miei genitori mentre i miei amici facevano altrettanto e insieme andammo fuori dalla casa per cercare di salvarsi. Infatti, per buona parte intorno a noi si era creato un cratere e si espandeva sempre di più. Era evidente cosa dovevamo fare, bisognava correre fino a mettersi in salvo. «Vai, corri, più veloce che puoi!» mi disse la mamma, mentre anche lei iniziava a correre. Dietro di noi si sentivano le urla e i pianti di che aveva deciso di rimanere dentro sperando che fosse la cosa più sicura, ma ormai si rendeva conto che aveva fatto la scelta sbagliata. Corsi a perdifiato come non avevo mai fatto nei miei quattordici anni, e ce la feci per un soffio; all’ultimo mi toccò saltare la crepa che si era creata sotto i miei piedi. Continuai a correre, percependo dietro di me altre persone che correvano. Poi, un urlo lancinante squarciò l’aria. Mi girai immediatamente continuando a correre e quello che vidi mi fece gelare il sangue. Holly era inciampata in una crepa sotto di sé e aveva perso l’equilibrio. Era cascata e rotolando nel terreno era scivolata dentro il crepaccio. Urlai anch’io, volevo tornare indietro e cercare di salvarla, la mia mente non accettava che fosse ormai impossibile. Mi fermai ancora sconvolta e mossi qualche passo in direzione del crepaccio, sperando che Holly tornasse balzando su dal cratere. Sua madre era inginocchiata accanto ad esso e piangeva, mentre suo padre cercava di spostare via sua moglie per salvarla. Jake era immobile dieci metri più avanti e si vedeva che fra poco sarebbe svenuto. Andai a reggerlo e lo aiutai a sedersi un po’ di metri più là. Non dava segno di aver compreso l’accaduto, forse non voleva rendersene conto. La situazione però era ancora pericolosa e, se volevamo salvarci, dovevamo continuare a correre. Tutti erano come storditi, non riuscivano neanche a provare paura. Dopo alcuni minuti, quando la terra tremò di nuovo e più forte, tutti si “risvegliarono” e iniziarono a correre di nuovo, come spinti da un istinto di sopravvivenza. Passato il primo pericolo, iniziammo a camminare e non smettemmo fino all’alba del giorno dopo, quando trovammo una casa con molte persone. Ci rifugiammo lì, ma eravamo solamente dodici, contro i 102 che c’erano nella scuola. Eravamo rimasti io, la mamma, il babbo, i genitori di Jake e lui, Vincenzo, un caro amico di famiglia, altre tre persone che non conoscevo, Lucia, la nostra vicina di casa e suo marito in pensione. Ci accolsero volentieri e ci cedettero i loro materassi per riposarci del sonno perduto, ma non riuscii a chiudere occhio. Quanto a Jake, non parlava più e lo trovai a piangere nel gabinetto. Non sapendo cosa fare o cosa dire per consolarlo, stetti lì impacciata per un po’, poi lui mi venne incontro e mi abbracciò. Ricambiai anch’io l’abbraccio e, quando lui si calmò, tornammo in salotto, a vedere la tv. Spegnemmo comunque quasi subito, perché i pochi telegiornali che si riuscivano a vedere parlavano di catastrofi e di fine del mondo. Una cosa capimmo, però, non bisognava mai stare nello stesso posto, perché sennò non avevamo possibilità di scampo. Stemmo lì per un altro giorno, il tempo di portarci via qualcosa da mangiare e di scegliere dove andare. Eravamo a circa 50 km dalla nostra città, dalla nostra casa e dai nostri amici e non avevamo la più pallida idea di dove potevamo dirigerci. Decidemmo alla fine di andare verso nord con la macchina, perché tanto il pericolo era lo stesso e in questo modo si viaggiava più velocemente. Montammo in una macchina in sei, noi e la famiglia di Jake e andammo più lontano possibile. Dal telegiornale avevano detto, infatti, che verso nord i pericoli diminuivano, almeno per quanto fosse possibile. 19 I giorni trascorrevano lenti e con terrore. Tutti erano nervosi, me compresa. In macchina nessuno parlava, c’era un silenzio di tomba ma nessuno riusciva a dormire. Eravamo tutti tesi, non ci scambiavamo parola per la paura di non riuscire a sentire qualcosa che potesse anticipare il terremoto. La notte dormivo sempre male e poco, mi svegliavano a turno i pianti di Jake o dei suoi genitori. Io cercavo di pensare a cose positive, felici o almeno allegre, ma non mi risollevavano il morale e sembrava fossi uno zombie circondato da altri zombie!! Dopo una settimana passata in questo modo decisi di rompere il silenzio, mi misi a raccontare a tutti la mia storia, quello che facevo, che mi succedeva o che sentivo. All’inizio nessuno mi prestava attenzione, parlavo da sola ma mi bastava anche solo quello, poi iniziarono ad ascoltarmi prima Jake, poi la sua famiglia e infine la mia. Parlai e parlai, fino a che non ebbi più voce. Raccontai tutta la mia vita, i miei segreti, le mie avventure, le mie paure. Continuai finché non arrivammo in un paesino nel nord della Francia. Siccome i pericoli non erano stati grandi, qualche scossetta ma tutto finito lì, e via via che viaggiavamo diminuivano gli edifici distrutti, i grandi decisero di fermarci in un albergo, almeno per quella notte. Ah, com’era comodo un letto, com’era bello dormire distesi!! Com’era bello fare una colazione in hotel, con tutto quel bendiddio!!! Finalmente una casa, non ce la facevo più dei “muri” della macchina!!! A tutta la famiglia si era risollevato il morale, ora potevamo anche scherzare. Scoprii che il babbo di Jake, Carlo, era molto simpatico e sapeva raccontare barzellette divertentissime!! A metà pomeriggio eravamo a giocare a carte su un tavolino della hall, quando il lampadario si mosse lentamente, poi più velocemente e infine cadde. Tutti ci eravamo già alzati e ci dirigevamo verso le uscite di sicurezza veloci come un fulmine, quando partì l’altoparlante. Capii solo alcune parole in francese: “Tout le monde… immédiatement… sortie de secours…”. Ci fecero allontanare un chilometro, poi potemmo fermarci a vedere cosa succedeva: la terra stava “gonfiando” come un’enorme bolla, poi, con un boato tremendo, esplose. Al suo posto si era formata una gigantesca montagna. Tutti, a causa della forte esplosione, erano “volati” lontano e ora assistevamo a una scena incredibile. Il vulcano che si era formato davanti a noi mandò del fumo grigio, poi la lava iniziò a scendere rapidamente. A quel punto andammo alla macchina e cercammo di metterci in salvo, ma non ci riuscimmo. La lava ci raggiunse, bruciò le gomme e iniziò a fondere la macchina, che si abbassava lentamente sciolta dal vulcano. Il caldo era infernale, ma in quel momento non me ne importava, l’importante era salire sulla macchina, nel tetto. Quando l’avemmo fatto non vedevamo più alcuna soluzione, la lava sarebbe arrivata a noi. Eravamo come un’isola circondata dal mare che si sta abissando velocemente, non dando nessuna possibilità di scampo per i suoi abitanti. Ero terrorizzata, non riuscivo a pensare, non volevo morire. Non so cosa successe dopo, svenni e quando mi risvegliai mi ritrovai su un prato, distesa, dietro a Jake. Altre persone erano distese, una alla mia destra e una alla mia sinistra, ma non conoscevo che fossero. Stetti a guardare il cielo nuvoloso per un po’, poi improvvisamente ricordai, urlai e mi alzai subito in piedi. «Tranquilla Jessica, va tutto bene, non ti preoccupare e calmati» Jake sì che era calmo, al contrario di me. «Come fai a stare calmo? Non so cosa è successo, non so dove sono né come ci sono arrivata. Come faccio a stare calma?» «Se ti siedi, ti spiegherò tutto», attese qualche istante e poi riprese: «Quando ci trovavamo in cima alla macchina sei svenuta e sei caduta. Tuo padre ti ha ripreso in tempo perché non finissi nella lava, ma ha perso l’equilibrio ed è cascato pure lui. Il mio babbo l’ha tenuto per la mano affinché si reggesse e l’ha salvato. Purtroppo si è lo stesso ustionato i piedi e le caviglie, anche se non ha toccato la lava, per fortuna. Subito dopo, quando ormai eravamo spacciati, il vulcano ha smesso di 20 eruttare mentre una pioggia gelata iniziava a cadere. A contatto con la lava ha sprigionato una nebbia intensissima, che però ci ha permesso di salvarci e di arrivare in questo prato. Tuo padre si è buttato in terra e ha iniziato a dormire, ormai è un giorno e mezzo che non si sveglia. Tu invece ogni tanto ti svegliavi, urlavi e tornavi a dormire.» «Io non mi ricordo nulla di tutto questo, l’ultimo mio ricordo è stato quando la lava stava fondendo la macchina.» Appena il babbo si fu svegliato, la mattina dopo, ci mettemmo in cammino, noleggiammo un’auto e continuammo il viaggio. La nostra destinazione era il polo nord, l’unico posto sicuro che sapevamo. In macchina mi sedetti accanto a Jake, il quale si addormentò subito. Ebbi modo di guardarlo per ore, in quella posizione accanto al finestrino. Era molto bello, io suoi occhi soprattutto. Era anche simpatico e divertente, sapeva scherzare e tranquillizzare le persone nei momenti più difficili. Adesso ero sicura che mi piacesse, anche molto. Avevo appena iniziato a fantasticare su cosa sarebbe successo se fossi piaciuta anche a lui quando mi addormentai, continuando i miei pensieri dentro il sogno. Arrivammo al polo nord due settimane dopo, senza incontrare altri intoppi per la strada. Intanto c’eravamo attrezzati per la stagione polare con tutto il necessario. Dai vari telegiornali che avevamo potuto vedere la situazione andava sempre a peggiorare. Città intere che sprofondavano, vulcani che eruttavano come mai prima, maremoti immensi che distruggevano ogni cosa. Le situazioni più gravi erano in Australia, nel sud dell’Africa e in Argentina. Via via le cose “miglioravano” procedendo verso nord, anche se fra poco il disastro sarebbe arrivato anche lì. Al polo nord non sapevamo dove andare o come orientarci. Che cosa facevamo in quel posto sperduto del mondo, senza acqua né cibo? Volevamo per caso morire assiderati o di fame? Non sapevamo cosa sarebbe successo, il nostro unico scopo era l’assurda convinzione che al centro esatto del polo nord ci sarebbe stata la salvezza. Procedevamo con lentezza, gli stivali affondati nel ghiaccio che rompevamo, con le parole che non ci uscivano dalla bocca. Avevo l’impressione di morire congelata, dal freddo che faceva. Anche se solo gli occhi erano la parte più “scoperta” (erano “solamente” coperti da un grosso paio di occhialoni), il freddo più intenso lo percepivo alle mani e ai piedi, non riuscivo più a muoverli. Non mangiammo per un giorno, alla fine, quando ormai i crampi allo stomaco m’impedivano di continuare a camminare, incontrammo altre tre persone, anche loro nella stessa nostra disperata situazione. Erano una famiglia canadese composta di moglie, marito e figlia piccola (6 anni). Il marito lavorava nei servizi segreti e aveva saputo da un suo informatore che un’astronave al centro del polo nord sarebbe decollata per portare in salvo i superstiti della fine del mondo. Infatti, alcuni astronauti otto mesi prima avevano scoperto un pianeta dove esisteva la possibilità di vita, anzi, c’era già. Da quel momento in poi avevano dedicato tutto il corpo e tutta l’anima a costruire un motore che potesse raggiungere quel posto e, solamente tre mesi fa, ci erano riusciti. La navicella spaziale non era ancora stata provata, ma tanto ormai era l’unica speranza per noi di salvezza, non avevamo nulla da perdere a questo punto. I canadesi divisero le loro scorte di cibo con noi, poi, recuperate le forze, ci incamminammo tutti insieme, perché secondo la moglie l’arrivo era vicino. La notte riposammo per modo di dire in una caverna, dove avevamo acceso un fuoco, poi la mattina riprendemmo il viaggio e verso sera, finalmente, arrivammo a destinazione. Davanti a noi c’era un’enorme astronave colorata, parcheggiata sul una piattaforma in cemento. Provammo a urlare per farci sentire ma nessuno ci rispose. Provammo a bussare alla porta d’accesso e finalmente un indiano venne ad aprirci. Con gesti e parole facemmo capire che volevamo entrare ma lui rispose «No, no entry». Disperati cercammo di dirgli che volevamo parlare con il comandante, e lui, dopo che avemmo insistito un po’, acconsentì. Invece del 21 comandante ci apparve Vincenzo e appena ci vide fece la faccia più stupita che sia a questo mondo. «Che ci fate voi qui?» volle sapere immediatamente. «Cerchiamo di salvarci e di scappare in un altro mondo, ma non ci fanno entrare. Tu invece come hai fatto a salire a bordo?» chiese il babbo. «Io sono il comandante di quest’astronave, sono io che l’ho costruita.». «Non è possibile!» bisbigliò la mamma, ma nessuno la sentì. «Allora siccome tu hai il potere di farci salire a bordo, in nome della nostra vecchia amicizia, facci il favore di farci entrare» «Mi dispiace, ma non so se sarà possibile, i posti a bordo sono completi», disse, pensò un attimo e poi riprese, cambiando il tono della voce «Ma forse per voi potrei fare un’eccezione, potreste sistemarvi nel corridoio…» Il babbo intervenne prima che cambiasse idea «Certamente, a noi va bene qualunque posto». «D’accordo allora … Benvenuti a bordo!!». Era passata una settimana da quando la nave era salpata dalla terra per raggiungere il pianeta xy, dove tutti i passeggeri avrebbero potuto ricostruire una nuova vita con la propria famiglia. Dormivamo nel corridoio, come ci aveva detto Vincenzo, in una specie di rientranza del muro simile a quelle che ci sono nelle navi. Quella notte non mi ero addormentata del tutto, ero in una specie di dormiveglia, i miei pensieri fluttuavano senza veramente pensare a nulla, quando un borbottio alla mia destra mi riportò alla realtà. «Si si… fai come ti pare… … prendilo pure, è nel garage.» era Jake che parlava nel sonno, dovevo stare attenta per capire le parole. «NO! Jessica NO!» ora le parole si distinguevano perfettamente, stava quasi urlando. Quando sentii il mio nome, il cuore prese a battermi forte e mi miei occhi si spalancarono: il sonno mi era passato del tutto. «Non andare via! … Non mi abbandonare mai … ma si dai … ho bisogno di te! … …eheyheuuu … frrt» adesso le parole erano incomprensibili ma quelle di prima speravo con tutto il cuore che fosse la verità. Per tutta la notte non riuscii a chiudere occhio, i suoi discorsi mi avevano sconvolto e non potevo fare a meno di non pensarci. Se ci provavo, ritornavano subito nella mia mente, come un boomerang, se lo mandi via, ritorna prima o poi. Ero sicura che la mattina successiva quando mi avrebbe guardato negli occhi mi sarei imbarazzata tantissimo, ma quando accadde non immaginavo che la mia timidezza fosse così grande!!! Infatti, non riuscii a guardarlo neanche per un momento in faccia, era più forte di me, il mio cuore voleva guardarlo, ma la mia testa era contraria. Lo vidi benissimo: era sorpreso del mio comportamento. Forse non si ricordava di questa notte? Tutto quello che aveva detto si era sparso nell’aria e per lui era stato solo un sogno, non se ne ricordava nemmeno. Mi ero fatta troppe illusioni che ora mi si ritorcevano contro. Invece lui era proprio cosciente di quello che aveva detto. Me ne stavo per andare, quando mi bloccò, sicuramente voleva sapere come mai avevo quest’atteggiamento, ma io non avevo il coraggio di raccontargli la verità e non sapevo quale scusa inventare; qualcosa però dovevo fare e anche in fretta! “Su cervello pensa!!”, mi incitavo, ma lui non ne aveva alcuna intenzione. Mi voltai, ero agitata, le mani mi stavano grondando di sudore, presi coraggio e cominciai a parlare: «Durante quest’avventura ho capito una cosa molto importante…» Mi guardò con fare interrogativo, ma poi dette cenno di capire subito cosa intendevo… «Anch’io ho capito una cosa importante…» E subito mi baciò. Quel momento cambiò tutta la mia vita, il mio cuore stava per scoppiare, la mia testa iniziò a girare come una trottola e le mie ginocchia presero a tremare. Uno scossone ci interruppe, eravamo atterrati nel nuovo pianeta… 22 3 settembre 2285 pianeta xy, Primo villaggio, casa V Caro diario, ormai sono due anni che viviamo in questo nuovo pianeta. La vita è piacevole, mi mancano un po’ le tecnologie ma mi sono abituata a vivere a contatto con la natura. La Terra è esplosa schiacciata da un enorme meteorite un anno e cinque mesi fa. Ho pianto moltissimo, tutte le persone a cui volevo bene sono morte. Però ho imparato che la vita va avanti e non dovevo stare a disperarmi troppo. Con Jake va alla grande, abbiamo un’intesa straordinaria e ho conosciuto nuovi amici che mi sono ritrovata in classe alla scuola “University xxl.” Anche i miei genitori, ora, hanno trovato un’occupazione che adorano, insieme ai genitori di Jake, così alla fine delle lezioni noi due andiamo a piedi al loro negozio. Tutto qui è fantastico, mi sto ancora adattando, ma per adesso va tutto bene, ci risentiamo più tardi, con affetto tua Jessica. FUTURAMA a cura di Giulio Piras e Andrea Sbragi Siamo nel 5° miliardesimo anno dopo Cristo. Ormai, tutto l’universo è stato scoperto e l’uomo (così per dire) è riuscito ad arrivare al pianeta più lontano, Plutone. 5 mila anni fa, la cometa di Halley si è spenta e quella di Hel Bob si è disintegrata dopo l’impatto con un satellite. Nel 2013 gli scienziati avevano previsto che il sole si sarebbe spento tra 5 miliardi di anni; la notizia fu appresa con superficialità, tranne che da un gruppo di scienziati tra cui Jonh Robinson; egli aveva studiato alla scuola di psicopedagogia dell’Università di Firenze verso gli anni ’70. Per quanto riguarda la “notizia solare”, egli dedicò la seconda parte della sua vita a provare a costruire, con i migliori macchinari di quel tempo, il Robot perfetto. Esso doveva contenere ogni organo( il cuore, il cervello, i polmoni, il fegato, lo stomaco, ecc..), in modo preciso, di ogni essere vivente, in modo da far continuare a vivere l’uomo e la specie umana con la trasfusione dei dati in microcip il quale, dopo circa un mese, si trasformava in un bambino. Jonh si scervellò tanto, ma alla fine ci riuscì: aveva, dopo tanti sforzi e tanti esperimenti, creato il robot perfetto, “The Robotage”. Egli collocò tutti i suoi robots in un casolare enorme, grandissimo, che ne potesse contenere milioni e milioni. Nel 4.9 miliardesimo di anno il sole si spense e gli uomini dissero: “Cavolo, non abbiamo pagato la bolletta!”. Nel giro di qualche decennio la temperatura scese in modo maestoso, incredibile; tutto ciò perché l’ atmosfera si dissolse nell’universo, ed ogni essere vivente aveva subito una metamorfosi, da uomo a robot(gli animali erano tutti morti). Ogni robot era speciale, poteva correre in modo velocissimo, ma sprecava gran parte della sua batteria che, se usata in modo esatto, durava all’incirca un mese; tutti avevano una gran forza per poter svolgere anche i lavori più pesanti. Adesso, il mondo è come prima, solo che al posto del sole c’è una stella spenta e noi abbiamo occhi bionici per vedere al buio. Un fattore negativo di tutto ciò è che, anche se noi abbiamo organi umani, non dormiamo più. 23 La giornata è sempre uguale: tutta la notte rimaniamo svegli perché non dormiamo dato che siamo dei robot, la mattina dobbiamo nutrirci sempre di cibo e andiamo tutti a lavorare fino alla sera. La sera torniamo tutti a casa per cenare e per poi dormire o fare altre cose. Chi invece ha dei figli è costretto a lavorare mezza giornata e il resto deve accudire il proprio figlio o figlia, la mattina il bambino/a va al scuola. Il professore Jonh Robinson è ancora vivo, perché prima di morire si congelò, portandosi così integro all’anno da lui voluto, il 5° miliardesimo. Egli però ha cambiato nome in Sten Switer ed anche il suo fedele assistente(Frank Gion) ha cambiato il nome in Kalim Benzaimes. I due continuano sempre i loro studi sulla scienza e hanno scoperto che tra due anni Marte si schianterà sulla Terra causando un esplosione che porterà alla distruzione dei due pianeti e di Mercurio, Venere, Giove e Saturno e tutti i loro satelliti. Di conseguenza, Stem e Kalim si concentrano giorno e notte su una soluzione che avrebbe salvato tutti. Dopo un mese di ricerca, i due ci riuscirono trovando una bomba che, posta su Marte, avrebbe portato un cambiamento di rotta e non la sua distruzione. Il 26 dicembre del 5.000.000.002, un mese prima dell’impatto previsto da Sten, gli astronauti partirono con una navicella per Marte rilasciando sulla parte verso la Terra la bomba che, nel giro di due ore scoppiò facendo cambiare rotta al pianeta e disperdendolo nello spazio. La Terra si salvò così per la seconda volta; così, un anno dopo, Sten ottenne il premio Nobel per la pace. H7 34 E L’INIZIO DELLA FINE a cura di Ilaria Andreozzi e Giulia Fantini 21 Dicembre 2080: Sono salvo…ma mi ricordo ancora gli occhi vuoti di quella bambina. Era il 31 maggio 2060, avevo 14 anni, e, durante una gita scolastica in America, dove appunto abitavo, la nostra professoressa ci disse di non allontanarci e soprattutto di non dirigerci verso l’avvallamento sotto la montagna dove stavamo salendo. Ma si sa, i ragazzi sono fatti così... quando gli proibiscono di fare qualcosa, la fanno subito. Così, chiesi al mio amico se voleva vedere con me cosa c’era nell’ avvallamento sotto la montagna; ma lui ,fifone com’era, disse che era stupido. Così, senza essere scoperto, ci andai da solo. Appena giunto all’avvallamento, mi trovai di fronte un enorme struttura, che non avevo mai visto. Sembrava disabitata, ma qualcosa mi disse che c’era una cosa che mi stava aspettando. Mi avvicinai alla struttura ed entrai nel primo corridoio alla mia destra. Mi accorsi che davanti a me c’era qualcuno che mi stava fissando. Per un attimo ebbi paura, ma poi mi accorsi che quel qualcuno era una bambina…o almeno è quello che pensai per ben 3 mesi. Io esitante le chiesi, avvicinandomi ancora di più :-Chi sei?-. Lei rispose:- Non lo so, mi sono ritrovata qua dentro e non ricordo nienteMa ti ricordi almeno come ti chiami?Lei mi si avvicinò e per la prima volta vidi come era. Avrà avuto fra i 6/7 anni, aveva delle trecce bionde con fiochi celesti, tutto che assomigliasse ad una bambina, tranne una cosa: i suoi occhi vuoti. Mi chiamo H7 34Guarda che mi puoi dire il tuo nome non ti mangio mica!Ti ho detto che mi chiamo H7 34Ok, lasciamo perdere, mi sai dire almeno che posto è questo?- 24 Ma non sai leggere??E con il braccio indicò un cartello con scritto a grandi caratteri:“Area di assoluta sicurezza”. Io lessi e rimasi esterrefatto, chi l’avrebbe mai detto: era l’area 51. Impaurito, uscii dalla struttura portandomi dietro la bambina, ma ebbi una brutta sorpresa: davanti a me c’era la professoressa Johnson : - Non ho parole Jake da te proprio non me lo aspettavo! Non…. Potevi morire la dentro !!.Ma…ma prof. non sapevo cosa era quel posto, ero solo curioso. E lei chi è??15 Giugno 2060:Finalmente era finita la scuola, ma non avrei passato le vacanze come tutte le altre volte. Infatti la bambina, che sosteneva ancora di chiamarsi H7 34,e di non ricordarsi nulla del suo passato,fu adottata dai miei. Era una bambina all’apparenza felice e canticchiava sempre canzoni incomprensibili, ma nonostante questo io ero convinto che non avesse mai provato felicità. Io ero l’unico della famiglia ad essermi accorto che qualcosa in lei era diverso dagli altri esseri umani. Per esempio un giorno andai al mare con i miei amici e mi toccò portarmi dietro la bambina che ormai era diventata per me come una sorella minore. Mentre stavamo giocando a beach volley uno dei miei amici la offese e lei ,arrabbiata,non so come, ma scateno una tempesta in piena regola. Quando io e i miei amici raccontammo tutto ai miei genitori, loro, come era prevedibile, non ci credettero e ci dissero di chiederle scusa per averla offesa. Successero molti altri eventi come questo, ma, un giorno, mi spaventai veramente per la prima volta. Ero in camera mia, che era diventata anche la sua, quando mi accorsi che stava cantando una delle sue solite canzoncine, però questa volta compresi alcune parole:- La fine è vicina, sono stata portata qui per la fine... la fine… la fine…fine... fine…-. Poi si accorse che la stavo guardando e smise di canticchiare. Io dissi: - Ma che cosa stavi canticchiando?Lei mi rispose:- Non lo so, ma ora mi ricordo che degli esseri che provengono dal cielo, mi hanno portata qui per la fine… ma non ricordo nient’altro.-E si rimise a giocare con le bambole. -Sei troppo fantasiosa H7 34 o come ti chiami-. Ma dentro di me credevo alle sue parole. E facevo bene a crederle. 1 Agosto 2060:Il giorno dell’inizio della fine. Come tutti gli altri giorni io ero in camera al computer, lei mi stava guardando in modo pensoso e io le chiesi:- Che succede?-.E lei rispose:- Credo di ricordarmi perché ero nell’area 51, ora mi ricordo chi sono e perché sono stata portata qui. Io ti racconto tutto, ma tu mi devi promettere di non dirlo a nessuno-. -ok te lo prometto, ma non mi raccontare bugie-. Lei si affacciò alla finestra e indicò un punto nel cielo vicino al sole:- Io sono nata a Anacondras, settima stella a ovest e poi oltre Mercurio..-. Non mi starai mica dicendo che sei un’aliena? Non ci credo neanche morto-. Invece si che lo sono, altrimenti non saprei fare questo-. Così mi ritrovai a testa in giù, volteggiando nell’area con il suo dito che mi puntava. Impaurito le dissi :- Ok, va bene, ti credo! -. Lei mi fece ritornare a sedere sulla mia sedia e continuò. – Tikara è sempre stato un pianeta meraviglioso, anche se un po’ selvaggio tutto procedeva con tranquillità, fino a quando un giorno scoprimmo che la Terra era abitata e pensammo che i terrestri fossero pericolosi per noi. Così fu portata sulla Terra una tikaraniana che aveva il compito di portare distruzione sulla Terra… la fine del mondo. – mi guardò ancora più intensamente con i suoi occhi vuoti e finì: - quella sono io. -. Io rimasi di sasso e mi allontanai da lei. Iniziai a correre e mi ritrovai in cucina. Lì c’era mia madre intenta a cucinare e appena mi vide così stravolto mi chiese cosa stesse succedendo. Io deglutii e le raccontai tutto: - H7 34 … chi? – la bambina mi ha detto che sta per venire la fine del mondo e lei è un’aliena…- 25 Jake non dire certe cose, non ci posso credere che ancora non ti sei abituato a lei e che ancora la prendi così in giro -. H7 34 era alla porta: aveva sentito tutto e se ne andò in camera con la furia che nasceva dentro di lei. - visto che l’hai offesa!! Vai a scusarti! – io stavo per entrare in camera, quando una fortissima scossa di terremoto fece crollare gran parte della casa e traballare tutto. Così andai in cucina dove mia madre impaurita stava guardando la tv. I telegiornali dicevano che forti scosse di terremoto a 10° avevano distrutto intere metropoli. Poi tutto divenne buoi. L’elettricità era scomparsa in tutta la terra, grossi uragani si abbatterono in gran parte del mondo. Io, che ero rimasto sotto le macerie, capii che dovevo fare assolutamente qualcosa. Ma non riuscivo a rialzarmi. Il fatidico 2012 a cura di Rachele Coppola e Agnese Verdi I giornali:LA NAZIONE. -1000 Notizia bomba…IL MONDO “ESPLODE”. Secondo i Maya,il mondo subirà una trasformazione tra ben 2 anni..Perchè non crederci?Siamo davvero in pericolo?.. Era una mattina,come tante altre e Peter si trovava su quella panchina a leggere il suo solito giornale..Quando ad un certo punto,consapevole e spaventato,da cioè che aveva appena letto;decise di recarsi immediatamente a casa del suo amico Jhonny,per saperne di più. Jhonny è uno studente dell’Università di Sorbona a Parigi,che studia per laurearsi in geologia. Passarono tutto il giorno in casa per cercare notizie sul 2012 e per farsi nuove ipotesi.Jhonny e Peter cercando,cercando trovarono le solite notizie banali che non potrebbero mai manifestarsi sulla Terra,ad esempio un nuovo mondo con altre forme di vita parallele a noi oppure l’esplosione del Sole con la conseguenza di un lungo periodo di buio. Ma no,no non cercavano questo!Volevano di più..molto di più,quello che nessun umano potrebbe mai immaginare! I giorni passarono e non trovarono niente di esilarante solamente le solite sciocchezze della televisione. E così all’alba del giorno 1 Dicembre,i due ragazzi decisero di guardare in faccia la realtà e di far qualcosa che possa aiutare tutta l’umanità.E alla fine partirono,arrivarono in Arizona e appena atterrati all’ aeroporto noleggiarono un’automobile,con la quale avrebbero girato tutto il Paese..Ma voi adesso vi chiederete,ma perché proprio in Arizona? Ebbene si ,qualche notte prima a Peter apparve in sogno una figura inanimata la quale gli sussurrò di partire per l’Arizona. Agli occhi di tutti credere ad un sogno può sembrare una stupidaggine,ma a Peter non importava voleva solo inseguire il suo desiderio. Per trovare cioè che cercavano girarono tutta l’Arizona,ma oramai si era fatta notte,Johnny e Peter stanchi e oramai privi di speranze;passarono la notte in macchina vicino ad un grande campo di grano. Erano circa le 3.oo di notte,quando dal cielo scese un fortissimo getto di luce che cadde nel grano e provocò un forte rumore da far svegliare i due ragazzi ,che scesero impauriti dall’auto,per capire che cosa era successo..Ma non ebbero nemmeno tempo di uscire che si trovarono due orribili creature davanti ai loro occhi.Non c’era dubbio erano dei veri e propri Alieni. Cominciarono a parlare,ma Johnny e Peter non capivano un bel niente di ciò che dicevano;allora gli alieni cominciarono a gesticolare e alla fine riuscirono a farsi capire dai due.Quello che gli volevano comunicare era che non gli volevano fare del male,ma solamente aiutarli. Gli spiegarono che nel giro di venti giorni la Terra sarebbe esplosa e non ci sarebbe più stata speranza per gli umani. 26 Peter e Johnny si spaventarono,non volevano crederci ma dovevano trovare una soluzione a tutti i costi,e fortunatamente gli extra terrestri gli riassicurarono dicendogli che sarebbero stati loro a salvare tutta l’umanità. A i due ragazzi non rimaneva altro che fidarsi delle parole degli alieni. Nel giro di pochi giorni tornarono in Francia,per diffondere la notizia e renderla pubblica.All’inizio nessuno credeva a questa storia;ma quando arrivo il 21 Dicembre 2012 a tutti non rimaneva che crederci. Atterrò una enorme navicella sulla Terra,comandata da extra terresti,la quale risucchio in un enorme vortice tutti gli uomini e li porto in un nuovo sconosciuto pianeta,Alien. Ebbene si,gli alieni avevano ragione la Terra era esplosa e se non fosse stato per loro,a quel momento non c’era più persone,erano tutti morti. E così da quel giorno ci fu un bellissimo rapporto tra gli alieni e gli umani, ed essi non smisero mai di ringraziarli per averli salvato la vita e aiutati a abituarsi a un posto per loro sconosciuto.