M3 - Hoepli Scuola
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MODULO 3 La cultura come parentela, economia, politica e religione Finestra Il valore del mercato nelle economie Riportiamo un estratto della conferenza tenuta dall’economista e filosofo francese Serge Latouche (Viennes, 1940) dal titolo “Confini economici e comunità in Africa”. Latouche parla del luogo fisico del mercato come luogo di incontro tra amici, parenti, come luogo per conoscersi e fare festa. Con queste importanti valenze sociali, questo luogo si può ritrovare in tutti i continenti del mondo, dove svolge, o ha svolto, sempre le stesse funzioni. “Tuttavia, i mercati colorati e ricchi di odori costituiscono, forse, uno degli ultimi baluardi contro il Mercato e i suoi effetti distruttivi. Tale scambio di merci mischiate alla parola dove ciascuno giudica l’altro per trovare il tasso di scambio che consente di mantenere la relazione è agli antipodi del supermercato, esaltato da Milton Friedman, nel quale si paga e si porta via la merce ‘senza che ci sia bisogno che le persone si parlino, né che si piacciano’. La gente non ha bisogno di piacersi o di conoscersi per fare affari. ‘Quindi Inno [nome di una catena di grandi supermercati francesi]’ – dice Guingane [J. P. Guingane, docente e scrittore di teatro nato nel 1947 a Garango, nel Burkina Faso] – ‘non è di fatto un mercato, non può essere un mercato, sono dei negozi. Sono dei numeri, scegli quello che vuoi, paghi e te ne vai’. ‘Un mercato?’ – dice Dominique Fernandez [scrittore e saggista francese nato a Parigi nel 1929] –, ‘che termine piatto e mercantile per designare il territorio magico dove si svolge la più fastosa delle cerimonie in onore dei colori e dei profumi!’. Questa affermazione, ancora valida (ma per quanto?) per i mercati dei villaggi e delle città dei nostri paesi latini, è cento volte più vera per i mercati africani. Un mercato senza odore rischia di non avere nessun successo. È questa la lezione dell’esperienza di Ziniaré, in Burkina Faso, raccontata da Jean-Pierre Guingane. Essendo divenuti maggioritari, i musulmani fecero pressioni perché si creasse un mercato ‘loro’, dove non sarebbero stati disturbati dall’odore del dolo (birra di sorgo) e da quello della carne di maiale. Tuttavia, dopo essere stati soddisfatti ‘rimasero delusi, perché non avevano neppure un cliente. Tutti seguivano l’odore del dolo e del maiale e voilà: non c’erano più acquirenti’. Fu così che rinegoziarono per ottenere un mercato unico con una separazione interna più netta. Il festival di colori e odori dei mercati africani è innan- © Ulrico Hoepli Editore S.p.A. 2012 zitutto uno spazio di socialità, prima di essere un luogo di scambio di merci. Il mercato diventa così l’occasione per incontrare gli amici, i parenti, la gente del villaggio, ma anche dei villaggi vicini. È un luogo dove si incrociano generazioni, sessi ed etnie diverse […] e persino in situazioni di conflitto più o meno aperto. Il mercato è un terreno neutro dove nemici e avversari possono avvicinarsi, cioè dialogare. Ciascuno depone le proprie armi prima di entrare. Delle palabres informali consentono di regolare affari di vario tipo. I giovani vengono da molto lontano (2030 km) per vedere le ragazze del loro circondario. ‘Gli spazi di vendita del dolo... o delle noci di cola’ nota Guingane a proposito del Burkina Faso ‘vengono presi d’assalto, non perché si abbia particolarmente sete o voglia di masticare cola, ma perché tali zone sono luoghi d’incontro amoroso’. Il lato erotico del mercato appare ancora più evidente nei mercati notturni, che diventano spesso occasione di trasgressione, cosa che spiega il loro successo a dispetto dei rischi reali, e ancora di più immaginari, che si corrono nel recarvicisi. Tuttavia, con le merci venute da lontano arriva anche lo straniero, oggetto di diffidenza, ma anche portatore di fascino. Il mercato africano, esterno alla cinta del villaggio, è un luogo neutro e pacifico dove si prende contatto e si inizia a conoscere l’altro. Arrivano le notizie del mondo esterno e il venire a conoscenza delle credenze e dei costumi altrui inquieta, ma spinge a uscire da se stessi e a relativizzare le cose. Il mercato è una scuola di tolleranza. Infine, benché la principale merce scambiata sia certamente la parola, anche la circolazione dei prodotti costituisce una ragione d’essere di queste fiere periodiche. Si può toccare con mano in questo contesto il fatto in apparenza paradossale che la diversità delle culture è la condizione basilare di un commercio sociale pacifico. In effetti, ogni cultura si caratterizza per la specificità dei suoi valori. Anche se regnassero un linguaggio e una moneta comune sul pianeta, ogni cultura accorderebbe loro dei significati propri e parzialmente diversi. Se i luoghi del mercato, i mercati-incontro sono stati, per secoli, in pressoché tutti i continenti, luoghi di scambio pacifico, di regolamento di conflitti, di circolazione matrimoniale, tra vicini e anche tra nemici, è perché le transazioni tra stranieri consentite dall’intermediazione monetaria, a dispetto del loro relativo anonimato, conservavano le qualità del dono scam- Luigi D’Isa, Franca Foschini - Scienze umane - Secondo biennio 1 3 La cultura come parentela, economia, politica e religione Approfondimento MODULO biato tra vicini. Grazie alle diverse scale di valore, Note bibliografiche ognuno ne usciva convinto di aver fatto un buon affare (cioè di aver fregato il suo partner, egli stesso persuaso di aver fatto lo stesso!). I mercati africani illustrano abbondantemente queste dispute del commercio pacifico tra culture diverse; ‘attribuendo un valore morale diverso agli effetti scambiati, ciascuno dei due attori si riterrà, secondo i suoi parametri, vincitore’. 2 Luigi D’Isa, Franca Foschini - Scienze umane - Secondo biennio Il testo della conferenza è scaricabile inserendo nel motore di ricerca il nome dell’autore e il titolo della conferenza. Nel brano sopra riportato, Latouche fa riferimento ai seguenti testi: D. Fernandez, L’or des tropiques, Paris, Grasset, 1993, p. 113; J.-P. Guingane, Le marcile africaiti, p. 17; M. Alme, La casa di nessuno, Torino, Bollati Borighieri, 2002, p. 114. © Ulrico Hoepli Editore S.p.A. 2012 MODULO 3 La cultura come parentela, economia, politica e religione Finestra Il potere del Big Man In questo brano vengono indicate le funzioni che svolge il Big Man nelle comunità degli Enga, un popolo che vive nelle vallate interne della Nuova Guinea. Il Big Man gestisce le ricchezze ed è in grado di mantenere la pace o di dichiarare guerra: la sua autorità è riconosciuta sia all’interno che all’esterno del clan di appartenenza. “Anche tra gli Enga della Nuova Guinea c’è un clan territoriale guidato da un Big Man che ne costituisce il portavoce per gli affari esteri e che, all’interno, ha la funzione di mobilitare il gruppo sia per la guerra che in occasioni cerimoniali. In questa società, le cerimonie sono molto numerose e riguardano aspetti come i matrimoni, le riparazioni in caso di morti provocate, alcune festività associate al ciclo di vita e infine le vere e proprie reti di scambi per lo più di oggetti di valore. Gli scambi e le restituzioni si intrecciano ad alleanze o violente rotture tra i clan, aspetti che richiedono una complessa mediazione cerimoniale. In questo contesto, il capo deve essere un grande oratore e mostrare intraprendenza e capacità politiche. La sua autorevolezza deriva proprio dalla sua dimostrata abilità ad influenzare le azioni individuali e ad esercitare un controllo su ricchezza e scambi. Essendo il clan costituito da sottoclan (ognuno con un suo capo), la competizione per raggiungere lo status di Big Man dell’intero clan è molto dura ed il successo dipende non solo dalle dimensioni del gruppo di parenti e sostenitori dell’aspirante capo, ma anche dai rapporti in- © Ulrico Hoepli Editore S.p.A. 2012 staurati con i capi degli altri sottoclan e persino degli altri clan. Il Big Man tra gli Enga gestisce dunque importanti aspetti del potere. Egli infatti riesce ad accumulare nelle sue mani una gran quantità di oggetti di valore (soprattutto maiali), di cui può fare uso nelle cerimonie, mentre esercita funzioni di vitale importanza che riguardano scambi e alleanze e, in ultima analisi, decidono della guerra o della pace”. (Tratto da: Francesca Giusti, I primi stati, Donzelli Editore, Roma, 2002, pp. 40-41). Luigi D’Isa, Franca Foschini - Scienze umane - Secondo biennio 1 MODULO 3 La cultura come parentela, economia, politica e religione Finestra Le origini del totemismo secondo Freud Nel 1915 Freud pubblica Totem e tabù un importante saggio antropologico su due fenomeni delle popolazioni primitive: il totemismo e il tabù. Il totem è un oggetto della natura, il più delle volte un animale, che è ritenuto sacro da una particolare popolazione. Il totem è il simbolo che rappresenta tutto il gruppo. All’emblema totemico sono collegati racconti mitici che hanno lo scopo di tenere unito il gruppo. Il tabù consiste in un divieto tassativo di stabilire il contatto con cose ritenute sacre o impure. I tabù di cui si occupa Freud sono quelli dell’incesto e parricidio, cioè l’uccisione del padre. Freud considera lo sviluppo individuale come ricapitolazione dell’evoluzione culturale dell’umanità ed è convinto che le società meno evolute siano ferme ai primi stadi dell’evoluzione socioculturale. Partendo da tali ipotesi svolge un’analisi unitaria dei fenomeni del totemismo e del tabù. Gli uomini civilizzati, studiando le cosiddette “società primitive”, è come se venissero a contatto con uno stadio antico della propria cultura. Analizzando la psiche individuale dell’adulto primitivo, hanno accesso alle stratificazioni più antiche della propria psiche. Freud osserva che i due comandamenti principali del tabù e del totemismo prevedono il divieto di uccidere l’animale totemico e il divieto di unione sessuale con le donne appartenenti allo stesso clan totemico. Da questo legame Freud deduce che i fenomeni del totemismo e del tabù, osservati nelle società primitive, derivano dal conflitto del padre con i figli per il possesso della madre. Freud ipotizza che in tempi remoti i fratelli, gelosi del padre per il suo possesso della madre, si alleano contro di lui per poi ucciderlo e mangiarlo. Questa azione cruenta provoca il rimorso. Per difendersi da tale sensazione di colpevolezza, il gruppo dei figli gelosi elabora il tabù, cioè pratiche complesse che servono da difesa contro i sentimenti incestuosi proibiti. Il fenomeno del totemismo rappresenta un’identificazione inconscia con il padre ucciso, sempre finalizzato a ridurre il senso di colpevolezza per l’omicidio commesso. L’animale totemico, infatti, rappresenta simbolicamente il padre ucciso. Del resto, i popoli primitivi adorano il totem appunto in quanto progenitore del clan. © Ulrico Hoepli Editore S.p.A. 2012 L’universale sentimento edipico che tutti i bambini conoscono nel corso del loro sviluppo, per Freud, trova la propria radice collettiva nel “peccato originale” del parricidio. Anche la stessa paura per alcuni animali, tipica dei bambini, è spiegata da Freud con il totemismo, in quanto gli animali totemici rappresentano il padre temuto, per la cui uccisione ci si sente in colpa. Totemismo e tabù sarebbero per Freud una manifestazione primitiva del sentimento religioso e delle proibizioni a esso connesse. Del resto Freud considera la figura del Dio onnipotente come una proiezione della figura paterna temuta e amata dal bambino. Le ipotesi di Freud sono prevalentemente di tipo speculativo, non avendo il fondatore della psicoanalisi compiuto direttamente ricerche antropologiche. Le osservazioni degli antropologi, contemporanei e successivi a Freud, non forniscono una conferma scientifica dell’interpretazione freudiana del totemismo e del tabù. Nonostante ciò, i concetti psicoanalitici elaborati da Freud sono utilizzati dagli antropologi come strumenti per l’analisi delle caratteristiche delle varie culture. Gli antropologi cercano di verificare sul campo se certi aspetti dello sviluppo infantile, come il complesso di Edipo, ritenuti da Freud e gli psicoanalisti fenomeni universali, sono presenti anche in culture molto diverse da quella occidentale. Gli studiosi hanno modo di constatare che in civiltà molto diverse da quella occidentale, lo sviluppo avviene secondo modalità diverse. Bronislaw Malinowsky, dopo il soggiorno alle isole Trobriand della Melanesia, dove esiste una società matrilineare, afferma che presso quelle popolazioni non esiste traccia del complesso di Edipo. La maggior parte degli antropologi sono colpiti più dalle differenze che dalle somiglianze con la cultura occidentale. L’impiego di concetti psicoanalitici (per esempio quello di fase dello sviluppo o il concetto di meccanismo di difesa) risulta utile per lo studio dei singoli e dei gruppi, se si tiene conto del loro contesto culturale. Nelle società primitive esiste ancora la pratica del totemismo. Nella foto, totem al Chicago Field Museum. Luigi D’Isa, Franca Foschini - Scienze umane - Secondo biennio 1 MODULO 3 La cultura come parentela, economia, politica e religione Finestra Il culto del cargo Il culto del cargo è costituito da una serie di movimenti religiosi che si sviluppano soprattutto nell’area melanesiana a partire dalla fine dell’Ottocento. Raggiunge la sua massima diffusione nel periodo immediatamente successivo alla Seconda guerra mondiale. Quando giungono in questi territori i primi colonizzatori con le loro grandi navi, piene di merci e di cibo, gli indigeni pensano che si tratti di doni inviati dagli dei e, in seguito, la stessa credenza si sviluppa nei confronti dei grandi aeroplani che trasportano merci, considerati “uccelli celesti”. L’arrivo dei bianchi in sé sarebbe però insufficiente a spiegare la trasformazione di tale credenza in un vero e proprio culto. Quest’ultimo, non a caso, si diffonde in quelle aree dove alcuni elementi delle religioni tradizionali dei nativi meglio si accordano con la nuova fede religiosa. È questo il caso delle cerimonie e dei sistemi rituali dei culti della Melanesia: essi ruotano attorno alla credenza che il cargo (vascello o aeroplano non importa), carico dei beni tipici della civiltà occidentale, è inviato dagli spiriti degli antenati al popolo per risollevarlo dallo stato di decadenza sociale e morale determinato dall’arrivo dei bianchi colonizzatori. Come risulta dalle analisi degli antropologi Peter Maurice Worsley (1924) e Peter Lawrence (1921-1987), con un atto creativo di natura religiosa le popolazioni del luogo trasformano la loro dipendenza dai bianchi © Ulrico Hoepli Editore S.p.A. 2012 in un elemento di riscatto nei confronti della cultura dominante degli stranieri e, in tal modo, riaffermano la propria identità etnica. A tale scopo sono utilizzati i simboli delle religioni native tradizionali, talvolta mescolati a elementi messianici. Quest’ultimo elemento è presente in quanto, in certi casi, il riscatto dai bianchi a opera degli antenati è proclamato al popolo da figure profetiche. Il culto del cargo cerca anche di esorcizzare e di appropriarsi della forza dei bianchi attraverso una manipolazione dei simboli della cultura occidentale. Nelle cerimonie degli adepti, perciò, si fa un grande uso di bandiere, scatolame, indumenti occidentali o congegni elettronici quali le radio ecc. Va specificato che, nonostante la tendenza ad assumere certe caratteristiche tipiche, i culti del cargo presentano tra loro delle differenze derivanti da elementi specifici, legati alle vicende dei vari territori. Per esempio, nel distretto di Madang (una zona a Sud della Papua Nuova Guinea) nel 1942 è presente la figura di Tagareb, leader di un culto che prospetta l’arrivo dei Giapponesi che avrebbero allontanato gli Europei. Nella stessa regione si sviluppano successivamente altri due culti del cargo sulla base di presupposti molto diversi, non legati a particolari elementi di sommovimento sociale o etnico. I due leader di tali movimenti sostengono, infatti, che per poter impossessarsi dei beni del cargo occorre continuare la cerimonia annuale del Kabu, una particolare cerimonia di iniziazione maschile. Luigi D’Isa, Franca Foschini - Scienze umane - Secondo biennio 1 MODULO 3 La cultura come parentela, economia, politica e religione Finestra Il familismo amorale Un problema presente nella società è quello di trovare un equilibrio tra gli interessi privati dei gruppi familiari e gli interessi più generali della collettività. È opinione comune che per la propria famiglia si debba cercare il meglio: una buona educazione per i figli, un’abitazione confortevole, il benessere economico. Può verificarsi, però, che le persone, cercando una condizione di benessere per sé e i propri familiari, non tengano conto delle esigenze dell’intera comunità di cui fanno parte. Evadere le tasse, non curarsi della pulizia dell’ambiente, cercare favoritismi per sé e i propri figli può comportare dei vantaggi immediati, ma si risolve in uno svantaggio collettivo che finisce per colpire tutti. Una certa dose di solidarietà e lealtà nei confronti della comunità è necessaria alla vita sociale e il ripiegamento su interessi particolaristici è segno di immaturità e mancanza di cultura civile. Queste caratteristiche non sono presenti solo in singoli individui e singoli gruppi familiari, ma possono appartenere a un intero gruppo culturale e raggiungere punte estreme in cui vi è una sorta di doppia morale: solidaristica verso i propri familiari e completamente indifferente verso la comunità. Nel 1958 l’antropologo americano Edward C. Banfield © Ulrico Hoepli Editore S.p.A. 2012 (1917-1999) compie una ricerca in un piccolo centro dell’Italia meridionale, caratterizzato dalla scarsità delle risorse e dalla mancanza di tradizioni culturali. Lo studioso scopre che gli abitanti del paese riconoscono solo i diritti dei parenti più stretti e sono convinti che qualsiasi azione, anche disonesta, sia lecita nei confronti di tutti gli altri. Valori come la giustizia e il dovere sono riconosciuti solo all’interno del gruppo familiare. Chi non fa parte della propria famiglia è visto come un rivale o, addirittura, come nemico potenziale. I vantaggi goduti dagli altri sono considerati beni sottratti ai componenti della propria famiglia. Perfino la carità verso i poveri è vista con ostilità. Chi riveste una carica ufficiale (come sindaco o assessore) è giudicato come una persona che cerca solamente una posizione di potere per il vantaggio della propria famiglia. Tale comportamento, del resto, è considerato normale: avvantaggiare la propria famiglia è un dovere superiore a qualsiasi altro. Il disinteresse verso la comunità porta gli abitanti del paese a essere molto permissivi nell’educazione dei figli, a cui non è richiesto di portare rispetto agli estranei; inoltre i bambini non vengono abituati all’autodisciplina, né a interessarsi a ciò che appartiene alla comunità. Luigi D’Isa, Franca Foschini - Scienze umane - Secondo biennio 1