Cultura | Tra arte e letteratura A Palazzo dei Diamanti, dal 24
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Cultura | Tra arte e letteratura A Palazzo dei Diamanti, dal 24
Cultura | Tra arte e letteratura uggiero, valoroso combattente, arriva davanti alle mura della città della maga Alcina, e di fronte a lui si palesa un corteo di creature incredibili: «Non fu veduta mai più strana torma / Più monstruosi volti e peggio fatti / Alcun’ dal collo in giù d’uomini han forma, / col viso altri di simie, altri di gatti; / Stampano alcun con piè caprigni l’orma / Alcuni son centauri agili ed atti..». Quando Ludovico Ariosto descrisse questa scena dalle tinte vivide e impressionanti nel sesto canto dell’«Orlando Furioso», quasi certamente aveva nello sguardo e nella mente una tela che Andrea Mantegna dipinse tra il 1497 e il 1502 per lo studiolo di Isabella d’Este a Mantova, il cosiddetto «Trionfo delle Virtù», ovvero l’irruzione di Minerva (con elmo, corazza e scudo) nel giardino delle Virtù, invaso dai Vizi che lo avevano trasformato in una palu- R A Palazzo dei Diamanti, dal 24 settembre all’8 gennaio 2017 la mostra offrirà un percorso di opere straordinarie per esplorare la tradizione figurativa che ha influenzato il poeta TIZIANO, Ritratto di Ludovico Ariosto, 1515 Nella pagina a fronte: GAUTIER MAP, «Lancillotto del lago, la ricerca del Sacro Graal, la morte di Artù» de. Ecco la satiressa con le zampe di capra, ecco una figura scimmiesca che, come recita un cartiglio, rappresenta l’odio immortale, la frode e la malizia, ecco anche un centauro che trasporta Venere, simbolo della lussuria. «Il legame fra quest’opera celeberrima e l’“Orlando Furioso” è evidente, ed è molto più che un’ipotesi», spiega il professor Adolfo Tura, specialista di cultura umanistica del Rinascimento. «Sicuramente Ariosto conosceva bene il quadro e lo aveva ammirato in occasione di una visita a Mantova nel 1507. Allo stesso modo, nella stesura del suo capolavoro, ebbe presenti anche altri riferimenti iconografici non solo del suo tempo, che lo ispirarono direttamente». Insomma, dentro all’«Orlando Furioso» c’è anche la grande storia dell’arte, c’è il fervore delle corti padane, c’è un universo di im- L’«Orlando Furioso», la meraviglia e il mito Ferrara festeggia i 500 anni dalla prima edizione del capolavoro di Ludovico Ariosto, che lo scrisse in una delle più raffinate e vivaci corti rinascimentali d’Europa, la casa d’Este. Ricco di suggestioni classiche e cristiane, rivisitate con l’estro di un vero artista visionario, il poema ebbe subito un successo senza precedenti. Influenzando così l’arte e la cultura, fino a noi di Stefano Marchetti 88 OUTLOOK - SETTEMBRE/OTTOBRE 2016 magini e di figure. Ed è proprio questo il «mondo» che Ferrara ha deciso di ritrovare e di riunire a Palazzo dei Diamanti, per celebrare i 500 anni dell’opera simbolo del Rinascimento (la prima edizione comparve il 22 aprile 1516). Dal 24 settembre e fino all’8 gennaio 2017, in un percorso di opere straordinarie provenienti da collezioni di tutto il mondo, scopriremo «Cosa vedeva Ariosto quando chiudeva gli occhi», ovvero quali suggestioni e quali modelli guidavano la sua fantasia, mentre si accingeva a raccontare «Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori», incantesimi, desideri, battaglie e tornei di paladini erranti. Organizzata dalla Fondazione Ferrara Arte e dal Ministero dei beni e delle attività culturali, e curata da Guido Beltramini e Adolfo Tura (affiancati da Maria Luisa Pacelli e Barbara Guidi, con un autorevole comitato scientifico) la mostra ha dunque un approccio nuovo. «Non volevamo realizzare un percorso dedicato alla fortuna dell’“Orlando Furioso”, e neppure una mostra sulle illustrazioni del poema», aggiunge Tura. «Piuttosto che guardare alla posterità, abbiamo preferito prendere una strada nuova ed esplorare la tradizione figurativa che ha nutrito Ariosto. È stato un lavoro impegnativo, iniziato già nel 2013, e anche una scommessa. Alcune opere erano sicuramente familiari al poeta, altre forse gli erano vicine: in questa logica, abbiamo cercato di rintracciare e di portare a Ferrara dipinti, sculture, arazzi, libri, manoscritti miniati, strumenti musicali, tutti di altissimo pregio». Dal Louvre di Parigi e dal Prado di Madrid, dal Kunsthistorisches Museum di Vienna o dagli Uffizi di Firenze, tante perle preziose si ritroveranno a Ferrara, per Cultura | Tra arte e letteratura PAOLO UCCELLO, «San Giorgio e il drago», c. 1458-60; olio su tavola, cm 52 x 90. Musée Jacquemart-André, Parigi SPADA DI FRANCESCO I, LUDOVICO ARIOSTO, «Orlando Furioso», G. Mazzocchi, Ferrara 1516. The British Library, Londra c. 1510-15; ferro forgiato, ANDREA MANTEGNA, «Minerva caccia i Vizi dal Giardino delle Virtù», 1497-1502; tempera su tela, cm 160 x 192. Musée du Louvre, Parigi, una grande festa di memorie e di colori. Da un millennio all’altro. La mostra è stata articolata in sette sezioni tematiche, e volutamente l’editio princeps dell’«Orlando Furioso» sarà esposta soltanto in una sala centrale: «Ci piace creare un’attesa, e soprattutto accompagnare i visitatori in questo viaggio», spiega il curatore. Ad accoglierci sarà innanzitutto il tema della giostra e della battaglia, reale o letteraria, una pergamena con la «Scena di battaglia» di Ercole de’ Roberti e un’incisione di Antonio del Pollaiolo con la «Battaglia di dieci uomini nudi», ma anche un prezioso arazzo in lana e seta con «La battaglia di Roncisvalle», dal Victoria and Albert Museum di Londra. Il combattimento di Roncisvalle viene evocato anche dall’evocativo olifante in avorio (dal Museo Dupuy di Tolosa), che secondo la leggenda venne fatto risuonare da Orlando tra i Pirenei. Negli occhi di Ariosto risplendevano le armature dei cavalieri e anche i loro elmi, come quello trecentesco (rarissimo) di Albert von Prankh, con due corna come cimiero, dalle collezioni di Vienna. Dalla Galleria Estense di Modena tornerà a Ferrara l’elegante sella (in legno, osso e cuoio) con le armi di Ercole I, mentre dalla Royal Library di Windsor giungerà un capolavoro affascinante, la «Scena di battaglia» che Leonardo da Vinci raffigurò con un’inedita inquadratura dall’alto e una delica- 90 OUTLOOK - SETTEMBRE/OTTOBRE 2016 La vita di corte si deliziava dell’erudizione e della raffinatezza, di belle arti e racconti mitologici: Ludovico Ariosto si formò in questi ambienti, e il suo poema riflette quei valori ideali. Non ultime le atmosfere fiabesche in cui Paolo Uccello aveva calato la leggenda di «San Giorgio e il drago» ta tecnica a gessetto rosso e nero. La vita di corte si deliziava dell’erudizione e della raffinatezza, di belle arti e racconti mitologici: Ludovico Ariosto si formò in questi ambienti, e il suo poema riflette i valori ideali di coloro a cui era destinato. Di Pisanello sarà esposto il «Ritratto di Lionello d’Este» (1441), accanto a una specchiera rotonda, in legno intagliato e dorato, che fu di Alfonso d’Este (1490-1505) e ora è conservata a Londra. In questa sezione, si staglia ovviamente la figura di Isabella d’Este, sposa di Francesco II Gonzaga, che fece di Mantova una corte eccelsa: amava la poesia, la letteratura, la musica (ce lo ricordano gli spartiti di alcune canzoni e sonetti accanto a una meravigliosa viola da braccio attribuita a Giovanni d’Andrea Veronese, 1511), e naturalmente dava ospitalità ad artisti di primissimo piano, come Andrea Mantegna, di cui ammireremo la tela di Minerva dal Louvre, oltre a un disegno di «Tre divinità» dal British Museum di Londra. L’incisione di una scenografia (opera del Bramante) aprirà una finestra anche sul teatro, una passione pure coltivata nelle corti: «Lo stesso Ariosto, prima di comporre l’“Orlando Furioso”, era noto come autore di commedie», sottolinea il professor Tura. E proprio per questo, comparirà qui anche l’iconico e famosissimo «Ritratto di Fedra Inghirami», dipinto da Raffaello proprio TIZIANO, «Il baccanale degli Andrii», c. 1523-26; ilio su tela, cm 175 x 193. Museo Nacional del Prado, Madrid attorno al 1515: Tommaso Inghirami detto «Fedra» fu il letterato ed erudito a cui si deve la rinascita del teatro antico a Roma, e le sue annotazioni si ritrovano anche in una copia delle «Comoediae» di Plauto degli inizi del XVI secolo. Per costruire l’immagine dei suoi cavalieri dell’VIII secolo, delinearne i tratti e farceli vedere attraverso i suoi versi, Ariosto si riferì certamente a un repertorio di figure di tutti i tempi. Come San Giorgio, patrono di Ferrara, effigiato in un piccolo olio di Cosmé Tura (dalla Fondazione Cini di Venezia) o Marte, che Antonio Lombardo scolpì nel marmo per Alfonso d’Este (dalla Galleria Estense di Modena), ma anche il guerriero moderno, il «Gattamelata» di Giorgione, nella sua stilizzata bellezza, in uno straordinario dipinto dagli Uffizi. Tutto l’«Orlando Furioso» è come un volo visionario nella meraviglia e nel mito che si alimenta di storie prodigiose, classiche e cristiane: quando chiudeva gli occhi, Ariosto vedeva certamente «La liberazione di Andromeda» di Piero di Cosimo, uno dei pittori più amati dai Vespucci e dai Medici, ma anche le atmosfere fiabesche in cui Paolo Uccello aveva calato la leggenda di «San Giorgio e il drago», emblema della lotta del bene contro il male e quintessenza dell’anima del cavaliere. La fascinazione di Ariosto per il mondo arabo è rappresentata dalla spada di Boabdil, l’ultimo sultano della Grana- Nell’«Orlando Furioso» vi sono due temi centrali. «I due poli fondamentali del desiderio e della follia», sottolinea Adolfo Tura, che insieme a Guido Beltramini, cura la mostra. «Quello di Ariosto, in effetti, è in tutti i sensi un poema sul desiderio: ciascun personaggio è instancabilmente all’inseguimento dell’oggetto dei propri sogni, qualcosa che non riesce a possedere» rame dorato e smalti, cm 0,94 x 0,14 x 0,06. Musée de l’Armée, Parigi da conquistata da Isabella di Castiglia. Arriverà a Palazzo dei Diamanti anche la straordinaria «Carta del Cantino», custodita alla Biblioteca Estense di Modena, uno dei gioielli della cartografia rinascimentale, disegnato nel 1502: è uno dei primi planisferi a rappresentare le coste dell’America, e vi compaiono anche i Monti della Luna, da cui Astolfo parte per recuperare il senno di Orlando. Sarà a questo punto del percorso che troveremo la prima edizione dell’«Orlando Furioso», quella stampata dall’officina tipografica di Giovanni Mazzocchi dal Bonden nella primavera del 1516: ne restano pochissimi esemplari in tutto il mondo, e quello in mostra proviene dalla British Library di Londra. L’«Orlando Furioso» dunque «entrerà in scena», «e sarà per noi l’occasione per introdurre alcuni altri temi collegati al poema, in particolare i due poli fondamentali del desiderio e della follia», sottolinea Adolfo Tura. «Quello di Ariosto, in effetti, è in tutti i sensi un poema sul desiderio: ciascun personaggio è instancabilmente all’inseguimento dell’oggetto dei propri sogni, qualcosa che non riesce a possedere». Una Venere di Botticelli (dalla Galleria Sabauda di Torino), «con bionda chioma lunga et annodata», sarà l’esempio dell’ideale di bellezza e di grazia femminile tratteggiato da Ludovico Ariosto nella prima edizione del suo lavoro: Venere, fulgida dea, SETTEMBRE/OTTOBRE 2016 - OUTLOOK 91 Cultura | Tra arte e letteratura Un’esperienza consolidata nel campo dei servizi alle imprese con particolare riguardo all’elaborazione delle buste paga e all’amministrazione del personale. Un team di professionisti che mettono a disposizione competenze mirate e operano in stretta collaborazione con Confindustria Modena CONTATTI Confindustria Servizi Modena srl - C.so Cavour, 56 - 41121 Modena - tel. 059 4228300 - fax 059 4228390 www.confindustriaservizimodena.it - e-mail: [email protected] Per maggiori informazioni sui servizi ed eventuali preventivi: Confindustria Modena - Area Marketing Associativo - Tel. 059 448361 e-mail: [email protected] come «Angelica bella», la donna capace di far perdere la ragione a Orlando. A loro volta, anche la follia e le passioni attingono a fonti letterarie e figurative: in un disegno di Giuliano da Sangallo, Lucrezio impazzito straccia i suoi libri, mentre dalle «Tragedie» di Seneca rispunta l’Ercole furens. L’opera di Ariosto riscosse un immediato successo, e la sua notorietà si diffuse velocemente. Lo dimostra una lettera che Niccolò Machiavelli indirizzò a Lodovico Alemanni nel 1517, l’anno successivo alla pubblicazione del poema: il filosofo toscano elogiava l’«Orlando Furioso», lo definiva «bello tutto et in di molti luoghi mirabile», ma lamentava il fatto che Ariosto avesse dimenticato di nominarlo. E la fortuna dei canti ariosteschi è come incastonata in un altro capolavoro su tela, «La maga Circe o Melissa» che Dosso Dossi, pittore di corte di Alfonso d’Este, dipinse appena due anni dopo l’uscita del poema. Nel dipinto, Melissa, maga benigna, sta annullando il sortilegio di Alcina, e libera i cavalieri che erano stati trasformati in fiori, alberi e animali. Dosso non scelse a caso l’episodio da illustrare: Melissa è colei che aiuta Bradamante a ricongiungersi con Ruggiero e le profetizza che avrà una discendenza illustre, quella estense. Eppure, nonostante la fama immediata, Ariosto non smise di lavorare sul testo, e continuò a riscrivere il suo Orlando, «un poema che si rifiutava di finire», come annotò Italo Calvino. Dopo la prima edizione, ne pubblicò una seconda nel 1521 e quindi una terza, fortemente rimaneggiata, nel 1532, dopo il suo ritorno a Ferrara. L’«Orlando Furioso» è un capolavoro in evoluzione, anzi «in trasformazione», come ci segnala l’ultima sezione della mostra. «Fra il 1516 e il 1532 cambiò tutto», fa notare il professor Tura. «Cambiò soprattutto lo scenario politico, con la battaglia di Pavia del 1525 e la vittoria dell’imperatore Carlo V su Francesco I di Francia. Ci fu dunque il tramonto dell’egemonia francese sulle corti padane». Uno strepitoso, enorme arazzo di scuola fiamminga, proveniente dal Museo nazionale di Capodimonte, raffigura proprio questo momento clou della storia del Cinquecento. Di fronte sarà esposta la mitica spada di Francesco I (dal Musée de l’Armée di Parigi), che venne sottratta dalla tenda del re di Francia e portata in Spagna, dove rimase fino a quando venne recuperata da Napoleone, che volle tenerla alle Tuileries. Protagonista di quegli anni fu anche l’ammiraglio Andrea Doria, nobile politico genovese, prima al servizio di Francesco I, poi alleato di Carlo V, e in questa veste Ariosto lo contemplò anche nell’«Orlando Furioso» del 1532: dalla Galleria Doria Pamphili di Genova giunge dunque il suo GIOVANNI D’ANDREA VERONESE, «Viola da braccio», c. 1511; legno, cm 81 x 26 x 7. Kunsthistorisches Museum, Collection of Historic Musical Instruments, Vienna ELMO CON CIMIERO di Albert von Prankh, c. 1350; ferro e cuoio. Kunsthistorisches Museum, Hofjagd und Rüstkammer, Vienna L’«Orlando Furioso», come è avvenuto in passato, è certamente l’occasione di celebrare i signori di Ferrara. Ma il genio di Ludovico Ariosto è aver reso vivido e presente un mondo immaginifico da cui tutte le generazioni successive si sono fatte conquistare ritratto, opera di Sebastiano del Piombo. «In parallelo alla svolta politica, quegli anni cruciali videro anche numerose svolte nelle arti», aggiunge il curatore. «Sia a Ferrara che a Mantova si affermò un mondo nuovo, che guardava a Roma, con Michelangelo e Raffaello, ma anche alla Venezia di Tiziano». Proprio l’artista che fra il 1523 e il 1526 realizzò «Il Baccanale degli Andrii» per il Camerino delle pitture di Alfonso d’Este, un quadro dalla storia avventurosa: quando la corte estense lasciò Ferrara nel 1598, il cardinale Aldrobrandini se ne appropriò, poi nel 1629 la famiglia Ludovisi, che l’aveva ricevuto in eredità, lo cedette al duca di Monterey che dieci anni dopo lo regalò a Filippo IV di Spagna. Grazie a un prestito eccezionale del Museo del Prado, il dipinto di Tiziano tornerà quindi in Italia dopo quasi quattrocento anni. «Anche questo quadro ha sicuramente influenzato Ariosto nella stesura dell’ultima versione dell’”Orlando Furioso”, anzi forse venne dipinto proprio con il concorso del poeta», dice convinto il curatore. «In primo piano, vediamo il nudo di una ninfa che coincide molto con il nuovo modello di bellezza sposato nell’edizione del 1532. Come la Venere di Botticelli accompagnava idealmente il primo “Orlando Furioso”, così la donna di Tiziano è una figura più carnale e più sensuale, molto vicina alle atmosfere dell’ultima versione del poema». Ludovico Ariosto si spense agli inizi di luglio del 1533, pochi mesi dopo la pubblicazione dell’edizione definitiva del suo «figlio» prediletto. Ci ha lasciato il suo genio, il suo guizzo, la malìa dei suoi versi. Ci ha lasciato anche la possibilità di immaginare il suo mondo: in fondo, basta chiudere gli occhi. • SETTEMBRE/OTTOBRE 2016 - OUTLOOK 93