2004 Sentenza n. 11343-04 Corte di Cassazione

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2004 Sentenza n. 11343-04 Corte di Cassazione
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
II Sezione civile
Sentenza n. 11343
Del 10 marzo-17 giugno 2004
Svolgimento del processo
Con atto notificato il 15 novembre 1990 R. P., G. P. e I. P. convennero O. N. innanzi al Pretore di
Bracciano, al quale chiesero di «dichiarare l'illegittimità della finestrella da quest'ultimo aperta nella
parete divisoria tra le loro proprietà», e di condannarlo alla sua chiusura (se considerata veduta) o
alla sua regolarizzazione (se considerata luce).
Il convenuto si costituì e rispose che l'apertura era stata praticata dal costruttore dal fabbricato,
prima dell'acquisto, da parte degli attuali condomini, delle singole unità immobiliari; e chiese quindi
il rigetto della domanda.
Istruita la causa, il Pretore pronunziò il 10 giugno 1997 sentenza con cui, qualificata luce la detta
apertura, condannò il convenuto alla sua regolarizzazione.
Con la sentenza indicata in epigrafe il Tribunale di Roma ha rigettato l'appello del soccombente. Ha
in particolare affermato che l'eccezione con cui il convenuto aveva sostenuto di aver acquistato, in
relazione alle caratteristiche della apertura, una servitù per destinazione del padre di famiglia ai
sensi dell'articolo 1062 Cc era stata tardivamente formulata in primo grado (con la comparsa
conclusionale), e dunque che era inammissibile in appello; e che la motivazione della sentenza non
era contraddittoria, come sostenuto dall'appellante, per le ragioni nel dettaglio esposte.
O. N. ha chiesto la cassazione della sentenza impugnata per due motivi, che ha illustrato con
memoria.
I. P. ha resistito con controricorso, nel quale è stata richiamata, non anche trascritta, la procura
conferita al difensore apposta in calce alla copia notificata del ricorso.
Gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva.
Motivi della decisione
Il controricorso è inammissibile, perché manca la prova che I. P. ha rilasciato la procura
all'avvocato che l'ha redatto in data anteriore alla notificazione dell'atto; prova che, essendo stata la
procura scritta in calce alla copia notificata del ricorso, non può essere tratta dalla mera circostanza
che di essa si faccia menzione nel controricorso, essendo necessario a tal fine anche la sua
trascrizione in quest'ultimo (cfr. le sentenze di questa Corte 3292/94; 7544/95; 5893/96).
Con il primo motivo del suo ricorso O. N. denunzia la nullità del procedimento di primo e secondo
grado e la nullità delle relative sentenze, osservando che l'immobile al quale dà aria e luce l'apertura
per cui è causa appartiene per una metà a lui, e per l'altra metà ad E. C., che era ed è, dunque,
litisconsorte necessaria, e nei cui confronti non è stato integrato il contraddittorio.
Per provare la comproprietà dell'immobile, il ricorrente ha esibito un atto notarile, ai sensi
dell'articolo 372 del codice di rito.
La censura è inammissibile.
La nullità della sentenza in relazione alla quale è consentita la produzione di nuovi documenti nel
giudizio di cassazione - ai sensi dell'articolo 372 del codice di rito - è quella che deriva da vizi della
stessa pronuncia per mancanza di requisiti essenziali di sostanza e di forma e non anche quella
originata in via mediata e riflessa dai vizi del procedimento, quale l'irregolare costituzione del
rapporto processuale. Non è pertanto ammissibile il deposito di un documento tendente a provare il
presupposto dì fatto di un litisconsorzio necessario non rilevato dal giudice del merito (vedi le
sentenze di questa Corte 2778 e 5900/87; 6287e 3001/98; 7701/94; 7083/95; 2239/96; 5931/01).
Nella sua memoria depositata ai sensi dell'articolo 378 del codice di rito il ricorrente afferma che il
documento in questione era già in atti, allegato in particolare alla relazione del consulente tecnico di
ufficio, al quale era stato esibito.
Tale allegazione non può essere presa in esame dalla Corte, perché le memorie consentite
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dall'articolo 378 del codice di rito possono essere utilizzate esclusivamente per illustrare e chiarire i
motivi di impugnazione ritualmente proposti con ricorso, e non per integrare il contenuto dei motivi
originari.
Con il secondo motivo del suo ricorso O. N. afferma che all'atto della sua costituzione in giudizio
egli eccepì di aver acquisito il diritto di conservare la luce che è stato condannato a regolarizzare, in
virtù dell'apparenza delle sue caratteristiche e per destinazione del padre di famiglia, e che sia il
Pretore, sia il Tribunale avrebbero dovuto esaminare la sua eccezione, ed accoglierla, dal momento
che hanno «riconosciuto l'esistenza delle condizioni oggettive che avrebbero consentito
l'applicazione dell'articolo 1062 del Cc».
Il ricorrente denunzia pertanto violazione dell'articolo 112 del codice di rito, e contraddittorietà
della motivazione.
Il motivo è inammissibile, per carenza di interesse.
L'eccezione proposta da O. N. è infatti infondata in diritto, perché il possesso di luci irregolari,
sprovvisto di titolo e fondato sulla mera tolleranza del vicino, non può condurre all'acquisto per
usucapione o per destinazione del padre di famiglia della relativa servitù, in quanto la servitù di aria
e di luce - che è negativa, risolvendosi nell'obbligo del proprietario del fondo contiguo di non
operarne la soppressione - non è una servitù apparente, perché l'apparenza non consiste soltanto
nella esistenza di segni visibili ed opere permanenti, ma esige che queste ultime, come mezzo
necessario all'acquisto della servitù, siano indice non equivoco del peso imposto al fondo vicino, in
modo da far presumere che il proprietario di questo ne sia a conoscenza. Né la circostanza che la
luce sia irregolare è idonea a conferire alla indicata servitù il carattere dì apparenza, non essendo
possibile stabilire dalla irregolarità se il vicino la tolleri soltanto, riservandosi la facoltà di chiuderla
nel modo stabilito dalla legge, ovvero la subisca come peso del fondo, quale attuazione del
corrispondente diritto di servitù o manifestazione del possesso della medesima.
Tale principio è stato affermato dalle Su di questa Corte (vedi la sentenza 10285/96), che nella
circostanza hanno affermato che la contraria opinione, seguita in precedenza da talune isolate
pronunce di questa stessa Corte, impedirebbe l'applicazione della norma di cui all'articolo 902 Cc,
per la quale un'apertura che non abbia i caratteri di veduta o prospetto è considerata come luce,
anche se non sono state rispettate le prescrizioni di cui all'articolo 901 ed il vicino ha sempre facoltà
che essa sia regolarizzata in conformità delle prescrizioni.
Nulla sulle spese, per l'inammissibilità del controricorso di cui si è detto innanzi.
PQM
La Corte rigetta il ricorso.
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