Economia finanza

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Economia finanza
LA SICILIA
SABATO 1 FEBBRAIO 2014
Economia finanza
IL COMMENTO
MILANO
LE BORSE
Ftse All Share
Ftse Mib
Ftse Mid Cap
Ftse Italia Star
+0,07
+0,03
+0,43
+0,16
Francoforte
Londra
Parigi
Madrid
Tokyo
Usa Dow 30
Usa Nasdaq
Usa S&P 500
-0,71
-0,43
-0,34
-0,44
-0,62
-0,94
-0,47
-0,43
Dollaro Usa
Euro
ieri 1,3516
precedente 1,3574
Yen
Euro
138,13
139,28
.13
LA CRISI. Il segretario generale aggiunto della Uil, Carmelo Barbagallo, pronto ad affrontare l’emergenza di Etna Valley
Borse, timori
per deflazione
Rush finale
Milano +0,07% «Devastante la situazione dell’edilizia: sbloccare subito i fondi strutturali»
«Interverremo subito per il caso Micron»
RINO LODATO
Con un vero e proprio colpo di coda
nell’ultima mezz’ora Piazza Affari
da un calo dell’1,75% è riuscita a
chiudere con un leggero margine
positivo dello 0,03%. Nonostante
l’Europa sia riuscita a limitare i danni nel finale, si è comunque chiuso
ieri il peggior inizio d’anno dal 2010
complice il sell-off in Europa - alimentato da rinnovati timori di deflazione - e la debolezza in Asia.
Nel gennaio del 2009 l’azionario
aveva perso l’8,8% ancora in scia alla crisi legata al fallimento di Lehman Brothers e in vista dei minimi
del marzo successivo. Il primo mese del 2010 si conclude con un-4,4%
Le tensioni nei mercati emergenti
non sono ancora finite con il fiorino
ungherese, la lira turca e il rand sudafricano ancora sotto pressione.
Ma anche dagli Stati Uniti le notizie
pervenute non erano certo di aiuto
ai mercati. L’indice Ism Pmi di Chicago a gennaio è sceso a 59,6 punti dai precedenti 60,8 punti di dicembre. Il dato risulta al di sopra
delle attese, visto che gli analisti
avevano messo in conto un indice
pari a 59 punti. E poi è arrivata la fiducia dei consumatori misurata
dall’Università del Michigan che,
per quanto nella misura attesa dagli analisti, è pur sempre scesa a
81,2 punti dagli 82,5 del mese precedente.
La stima preliminare era a 80,4
punti. L’indice della situazione corrente è a 96,8 punti, quello delle
aspettative a 71,2.
In Europa investitori preoccupati per l’andamento dell’inflazione
che a gennaio èdi nuovo scesa allo
0,7% dallo 0,8% di dicembre, rendendo nuovamente di attualità i timori di deflazione. In più la disoccupazione, sebbene non sia peggiorata, a dicembre si è confermata
al 12%, livello considerato di guardia. La stima flash sull’indice dei
prezzi, dunque rende sempre più
consistente lo scenario di deflazione, nonostante lo stesso numero
uno della Banca centrale europea,
Mario Draghi, abbia cercato di fornire rassicurazioni a più riprese.
Milano chiude il mese di gennaio con un rialzo del 2,37%. Ieri
Ftse AllShare a 20645 (+0,07%). Tra
i titoli a maggiore capitalizzazione,
ieri le vendite hanno colpito Cnh
dopo i conti annunciati l’altro ieri.
In calo Telecom, su cui si spegne
la speculazione legata a un possibile interesse di Naguib Sawiris, mentre i risultati di bilancio hanno premiato Ferragamo, che ha fatto segnare la migliore prestazione di
giornata sul Ftse Mib. In ordine
sparso le banche, con i rialzi di Intesa Sanpaolo e Mps a fare da contraltare alla flessione accusata da Ubi
Banca.
ANDREA LODATO
CATANIA. Carmelo Barbagallo, nuovo segretario generale aggiunto della Uil,
chiede un giornale. Non lo legge, lo
scompagina. Poi prende una pagina e
con cura e con calma e con grande perizia realizza un cappello di carta. Quello
dei muratori, quello che ieri i sindacati
hanno portato unitariamente in piazza
a Catania, con la marcia chiamata, appunto, dei “cappelli di carta”. Perché qui
la situazione è già precipitata. da tanto.
«L’edilizia è sempre stato volano per
la nostra economia, in Sicilia come nel
resto del Paese. Oggi registriamo la perdita di 500 mila posti nel comparto e
250 mila nell’indotto diretto, quindi a
fornitori di cemento, legno, laterizi in
genere, macchina per le movimentazioni. E 750 mila posti perduti rappresentano il triste record assoluto in Italia
per un comparto».
A Barbagallo non va giù questa cosa.
Perché, spiega con accanto anche il segretario generale di Catania della Uil,
Angelo Mattone, i presupposti per far ripartire questo settore, da sempre anticiclico per eccellenza, ci sarebbero. Eccome.
«Certo, non parliamo dei grandi appalti, fermiamoci agli interventi che si
potrebbero fare per la messa in sicurezza dell’edilizia pubblica, delle scuole
nelle nostre città. Si tratterebbe di decine e decine di cantieri utili a generare lavoro, ma anche a elevare gli standard di
sicurezza e il decoro. Ma non si riesce a
mettere in moto questo meccanismo,
anche se i soldi ci sono. Ci sono i fondi
nazionali e quelli europei. Ma niente».
Niente, niente. Però, su questo punto,
il dubbio sorge: questi benedetti soldi di
cui si parla da anni, ci sono o non ci sono? Stanno, cioè, effettivamente nella
disponibilità della Regione, oppure sono
risorse virtuali? Perché se ci sono davvero, bisognerebbe pur capire chi ne ritar-
da e perché la spesa.
«Ci sono, altro che. Perchè non si
spendono? Intanto per una questione
squisitamente legata ai percorsi tortuosi della burocrazia regionale. Si ferma
tutto, si impantanano gli iter tra le maglie dei funzionari, negli uffici, per le
autorizzazioni».
E poi c’è quel timore delle infiltrazioni mafiose, aggiunge Barbagallo, che andrebbe affrontato in modo diverso per
evitare che diventi un ostacolo allo sviluppo.
«Assurdo. Per evitare questo corto circuito si nomini un generale della Guardia di Finanza, un super poliziotto. Ma
gli si diano anche canali privilegiati per
potere dire sì o no ai progetti, alle opere,
agli appalti».
Il segretario generale della Uil prova
ad indicare alcune vie d’uscita. E ora che
sta ai vertici nazionali del sindacato si
spera anche che adeguate scorciatoie
possano essere trovate per arginare que-
sto massacro sociale che si è abbattuto
sull’Isola. E che, per esempio, si pensi alla questione del credito.
«Altra faccia del dramma, certamente.
Con i mutui bloccati il mercato non si
muove e siamo arrivati ad un crollo del
50%. Gli imprenditori onesti avrebbero
bisogno di denaro pulito per costruire,
non avendo i canali sporchi che altri utilizzano. Ma c’è ancora questa chiusura
da parte delle banche. Neanche Obama
ha realizzato negli Usa la riforma del sistema finanziario. Ma forse da noi non ci
abbiamo ancora nemmeno provato».
La mission di Barbagallo ai vertici della Uil partirà, annuncia, dal tentativo di
salvare quel che qui funziona.
«Va difeso il patrimonio di Micron,
gli investimenti della St, le professionalità che sono cresciute. Perché dobbiamo puntare soprattutto su ciò che può
fare la differenza e che guarda al futuro.
Per questo incontrerò i vertici della St
per trovare una soluzione».
L’INTERVISTA. Cappello, presidente della Piccola industria regionale di Confindustria: «Un patto col governo regionale»
«Pmi siciliane, export triplo entro il 2020»
MARIO BARRESI
NOSTRO INVIATO
RAGUSA. Prima c’era il “modello Ragusa”, un bijoux
di produttività, benessere, ottimismo. Oggi non c’è
più, o forse restano gli ultimi brandelli di speranza.
Che annegano nel mare del default della Regione Siciliana. La luce è fioca, in fondo al tunnel. Perché nel
Mezzogiorno fa più buio di mezzanotte, per mutuare un detto che però nella versione dialettale rende
meglio. Nell’ultimo anno hanno chiuso la saracinesca 17mila imprese del Sud, nell’ultimo trimestre
del 2013 il livello produttivo degli impianti ha toccato il record negativo del 47%. E allora da dove ripartire? Dalla faccia sincera e dalle parole schiette
di Giorgio Cappello, imprenditore-globe trotter con
il cuore e l’anima a Ragusa, presidente della Piccola industria di Confindustria Sicilia. La quale rappresenta 3.500 pmi dell’Isola, «la vera spina dorsale
dell’economica», con un approccio di puro pragmatismo ibleo, «perché io non sono un politico né un
professore: io non gioco a Wall Street, ma vado a
sbattere i pugni sul tavolo del direttore di banca».
Cappello, il tema “L’Italia riparte dal Sud” non è originalissimo. Perché dovrebbe succedere ciò che
non è mai accaduto dall’Unità ai giorni nostri?
«Il titolo del convegno racconta innanzitutto di una
svolta nella Piccola industria di Confindustria: c’è
un nuovo presidente nazionale, Alberto Baban, un
veneto eletto con la Sicilia fra i suoi maggiori sostenitori, in un percorso alla fine unitario che ha voluto dare un forte segnale al Paese. E adesso il presidente fa la sua prima uscita in Sicilia, chiamando a
raccolta la sua squadra, di cui fa parte come vice nazionale il gelese Rosario Amarù, per tre giorni di
“brain storming” a Ragusa. Il segnale è chiaro: il
Mezzogiorno non è una palla al piede, ma il motore da cui deve ripartire l’intero sistema Paese».
Ma glielo avete spiegato, al presidente Baban, in
che condizioni si trova la Sicilia?
GIORGIO CAPPELLO
«Lo sa benissimo e gli presentiamo anche dati emblematici: nel Pil siciliano la pubblica amministrazione pesa per circa il 30%, mentre l’industria per il
13 e l’agricoltura per il 4. In Lombardia la pubblica
amministrazione vale il 12%, l’industria il 30. Se
pensiamo ancora che la pubblica amministrazione
possa risolvere i problemi della Sicilia siamo degli
illusi. La politica e la società civile devono mettere
al centro l’impresa».
Ma quale impresa, in una terra sempre più vittima
di una desertificazione industriale?
«Secondo i dati di Bankitalia, nel 2012 la Sicilia ha
fatto export per 13 miliardi. Di questi 9,7 sono legati al settore petrolifero, appena 3,3 sono prodotti dal
manufatturiero. Ora, io faccio l’imprenditore e sono abituato a tracciare bilanci e a pormi degli obiettivi. E ce n’è uno che proporremo al governo Crocetta: fermo restando la quota del petrolio, bisogna triplicare quei 3,3 miliardi entro il 2020: devono diventare dieci miliardi, con un valore aggiunto di 6,7
miliardi e un risvolto occupazionale incredibile».
Ma come si può fare in questo momento disastroso per la Sicilia a pensare così positivo? È ottimismo
confindustriale per il sodale Crocetta?
«Guardi, io non sono né di destra né di sinistra, non
sono né contro i sindacati né contro le banche. Ho
solo la consapevolezza che la barca sta affondando
e che fra un anno rischiamo di annegare tutti. Serve un piano industriale serio e concreto, con investimenti sulle infrastrutture e un’ottimizzazione
delle risorse comunitarie su pochissimi ma fondamentali obiettivi. Noi non chiediamo soldi, ma certezze di tempi e di regole. Perché oltre alla battaglia
contro la mafia criminale, quella delle estorsioni, c’è
l’altra contro la mafia bianca, la burocrazia, che
non sappiamo nemmeno quantificare, al contrario
del racket. Quanto costa una mancata autorizzazione per aprire un impianto, o un ritardo di anni? ».
Ma non risciate di restare delusi come per la Finanziaria regionale?
«Sulla Finanziaria regionale sono disgustato, prima
come cittadino che come imprenditore o rappresentante di categoria. Disgustato e scoraggiato. Perché c’erano tre cose - Irsap, artigiani e cave per sintetizzare brutalmente - che potevano rispondere ad
alcune istanze delle categorie produttive. Sono state cassate tutt’e tre! E quando poi parli col presidente Crocetta o con chiunque dei deputati regionali ti
dice: “Abbiamo fatto il possibile, non è colpa nostra”. E allora io con chi me la devo prendere? Ma
non è una questione di Confindustria, perché la posizione è comune a tutto il Tavolo delle sigle produttive: ci appelleremo a Letta e a Napolitano».
Voliamo altrove, ma poi ritorniamo qui. La Fiat fa i
bagagli, nell’Inox Valley si prova a resistere con
salari polacchi. La flessibilità dei contratti potrebbe essere una soluzione anche in Sicilia?
«Pagare meno la manodopera ci farebbe comodo,
ma sarebbe una soluzione tampone che non favorirebbe la competitività. A me non serve pagare meno i miei operai, ma vorrei che guadagnassero anche di più per poter far girare tutta l’economia. Allora il tema, non solo siciliano, è quello del cuneo fiscale: bisogna ridurre l’enorme peso fiscale, semmai. E per farlo non c’è bisogno di modelli polacchi».
twitter: @MarioBarresi
L’EVENTO DI OGGI A RAGUSA
RAGUSA. Oggi a Ragusa è in programma il
convegno nazionale della Piccola Industria di
Confindustria, “L’Italia riparte dal Sud: sistemi
locali, manifattura e capitale sociale”, nello
stabilimento della Lbg Sicilia, a partire dalle 9.
Dopo i saluti del presidente di Confindustria
Ragusa, Enzo Taverniti, e del sindaco, Federico
Piccitto, aprirà i lavori il presidente della
Piccola industria regionale, Giorgio Cappello.
Dopo un intervento di Antonio Tajani,
vicepresidente della Commissione Europea
una doppia tavola rotonda. Nella prima, sui
“Sistemi locali”, il direttore generale della
BapR, Giambattista Cartia; il vicepresidente di
Confindustria, Alessandro Laterza; l’ad di Lbg
Sicilia, Giancarlo Licitra; e l’assessore
regionale alle Attività produttive, Linda
Vancheri. La seconda, dedicata al
“Manifatturiero” e al “Capitale Sociale”, vedrà
il vicepresidente della Piccola Industria di
Confindustria, Rosario Amarù; il presidente
della Sosalt, Giacomo D’Alì Staiti; il
vicepresidente di Confindustria Ivan Lo Bello; il
coordinatore del Tavolo regionale per la
crescita e lo sviluppo, Filippo Ribisi; e il Capo
dipartimento per l’impresa e
l’internazionalizzazione del ministero dello
Sviluppo economico, Giuseppe Tripoli. Subito
dopo, Antonello Montante, presidente di
Confindustria Sicilia, verrà intervistato dal
giornalista Salvo Toscano. Infine il
governatore Rosario Crocetta, il ministro dei
Trasporti, Maurizio Lupi, e di Antonio Tajani,
vicepresidente della Commissione Europea.
Concluderà i lavori, il presidente della Piccola
Industria di Confindustria, Alberto Baban.
Disoccupati in lieve calo, ma potrebbe essere illusorio
è solo uno 0,1%, per il premier Letta segnale positivo
I DEBITI DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE
ROMA. La disoccupazione fa un minuscolo passo indietro, con il tasso che a
dicembre scende al 12,7%. Un calo ancora lieve, che arriva dopo una correzione
al rialzo su novembre, quando con il
12,8% era stato toccato il record storico.
Il livello resta alto e ci si deve accontentare di un decimo in meno. Sarà pure un
segnale debole ma ha un valore particolare: come sottolinea il presidente del
Consiglio, Enrico Letta. «E’ un miglioramento - sottolinea il premier - che giunge per la prima volta dopo un bel pò».
Era da giugno che la quota dei senza lavoro non aveva fatto altro che crescere.
Stesso discorso vale per la disoccupazione giovanile, in diminuzione di 0,1
punti a fronte però di un tasso al 41,6%,
con 671mila ragazzo senza impiego. Ba-
ROMA. Con 170 giorni di attesa media
delle imprese per poter riscuotere, la
pubblica amministrazione italiana si
guadagna la maglia nera del Paese peggior pagatore, sforando di ben 140 giorni il limite di 30 imposto dalla Ue sui
tempi di pagamento (60 in casi particolari). Le imprese europee aspettano al
massimo 61 giorni. Un record negativo
che fa pendere su Roma l’avvio della
procedura d’infrazione di Bruxelles annunciata dal vicepresidente Antonio
Tajani, che potrebbe portare a una sanzione salata, pari a “un anno di Imu”.
Un record negativo al quale si somma un
altro pessimo primato in Europa: l’Italia
ha il maggior debito commerciale della
Pa verso le imprese, pari al 4% del Pil nazionale.
sti pensare che in un anno tra gli under25 sono stati persi 100mila posti.
Andando a guardare più da vicino le
stime dell’Istat, rese note ieri, si può intravedere cosa c’è dietro. Con tutta probabilità i 32mila disoccupati in meno
sono andati a finire, non nei ranghi degli occupati, ancora in calo di 25mila
unità, ma in quelli degli inattivi, in aumento di ben 51mila. Il termine inattivi
nasconde un mondo vario, dai pensionati agli studenti, passando per le casalinghe, in tutto 14 milioni 408mila persone, accomunate da un solo fatto: non
hanno un’occupazione né la cercano.
Non lascia alcuno spazio all’ottimismo il confronto con dicembre dell’anno prima: in questo caso l’Istat registra
tutti segni meno, con la perdita di
424mila occupati e l’aumento sostenuto dei senza lavoro, che si mantengono
ben sopra i 3 milioni (+10%). Intanto
nell’Eurozona la disoccupazione rimane
stabile al 12%, con l’Italia che quindi si
colloca ancora sopra la media. Per non
parlare dei giovani, visto che la Penisola quasi raddoppia il valore registrato
nell’Ue a 17.
Il dato nuovo di dicembre per l’Italia
non sta nei numeri presi in sé e per sé
ma nel confronto con novembre e nella
seppure tenue inversione di rotta. Letta
con un tweet spiega come il miglioramento registrato dopo mesi è “un’ulteriore spinta a fare del lavoro la priorità
2014”. Dal mondo dei sindacati e delle
associazioni di categoria arrivano commenti molto cauti, con le preoccupazio-
ni che restano: Confcommercio parla
di un mercato del lavoro che presenta
“segnali di una conclamata patologia”;
mentre l’Ugl non ravvisa alcuna “buona
notizia” e la Cisl denuncia la riduzione
degli occupati. Sulla stessa linea Italia
Lavoro, l’Agenzia del ministero di via
Veneto. Per l’economista del servizio
studi di Intesa Sanpaolo, Paolo Mameli,
è ancora troppo presto per cantare vittoria, visto che “in media nel 2013 il
tasso dei senza lavoro è risultato pari al
record di 12,2%”. Per vedere scendere la
disoccupazione, invece, bisognerà
aspettare almeno “la seconda metà dell’anno”. Così anche per Unicredit, che
stima per il 2014 un tasso di senza lavoro al 12,8%.
MARIANNA BERTI
È l’Italia il Paese peggior pagatore
L’Ue minaccia la procedura d’infrazione
Dalla Bei tuttavia nel 2013 sono arrivati quasi 11 miliardi di prestiti alle imprese italiane, soprattutto Pmi. Tornando
alla Pa “lumaca”, Tajani ieri ha raccolto
l’appello delle pmi, lunedì vedrà il report
Ance. Quello di Confartigianato, presentato ieri, è chiaro: dal 1° gennaio 2013,
entrato in vigore del decreto sui pagamenti, la situazione è peggiorata. Ciò è
costato finora a imprese e professionisti
italiani 2,1 miliardi di maggiori oneri finanziari. Gli imprenditori sono costretti
a chiedere prestiti per finanziare la carenza di liquidità causata da fatture non
saldate. Infine ci sono i ritardi nell’applicazione dei Decreti sblocca-debiti: finora risultano pagati 21.623 mln, pari al
79,4% dei 27.219 stanziati per il 2013,
PAOLA BARBETTI