Testo Otto Simboli Mongoli maggio 2004

Transcript

Testo Otto Simboli Mongoli maggio 2004
OTTO SIMBOLI MONGOLI
Capitolo X
“Una conversazione ministeriale a Mosca”
L’uomo stempiato dal viso largo, ben rasato, le labbra sensuali, molto
elegante nel suo abito scuro, sedeva all’imponente scrivania in stile
Impero accanto ad un tavolo che sembrava la plancia di una portaerei:
una centrale telefonica per le comunicazioni con tutto il mondo e
quattro telefoni a linea privata per le conversazioni riservatissime oltre
ad un computer molto potente.
Fuori brillava un sole straordinariamente limpido per il clima
moscovita, dove lo smog, se manca il vento, può essere ammorbante
.
Il Ministero degli Esteri, massiccio esempio del Costruttivismo
sovietico, realizzato dopo la seconda guerra mondiale dagli architetti
Minkus e Gelfreikh domina l’affollata ulitsa Arbat.
Dalla vertiginosa altezza del suo lussuoso e vasto studio, il potente
Ministro degli Esteri russo non poteva, né aveva il tempo di guardare
in basso e pensare a quello che fanno i comuni cittadini.
Il suo sguardo penetrante, allenato a cogliere le discrepanze nelle
discussioni durante i G8, era concentrato sul suo ambasciatore di
fresca nomina a Ulaan Baataar.
Elena Skutova era stata ricevuta dal ministro in via eccezionale con
un preavviso di pochi giorni e l’incontro era stato possibile per la
casuale presenza di Igor Ivanov in quei giorni a Mosca. Il colloquio
78
infatti poteva durare ancora pochi minuti poiché l’aereo ministeriale lo
attendeva per decollare alla volta di Teheran.
“ La politica della Cina tende a privilegiare le istanze asiatiche. E’
necessario erigere una diga a certe pressioni più o meno velate, quali
lei ha captato durante la conversazione con l’ambasciatore cinese a
Ulaan Baataar. La sua missione ha lo scopo di vagliare tutti gli indizi
per accertare le manovre in evoluzione in Mongolia verso l'Asia
Centrale. "
“ E le notizie che arrivano dalla Turchia?”
“ Sono oggetto di un’azione che si sta coordinando attraverso i canali
diplomatici.”
Il ministro tacque e Elena comprese che il colloquio era finito. Si alzò.
L’abito grigio chiaro disegnava il suo corpo elegante e lei capì che lui,
per un istante, si era distratto ad accarezzare con lo sguardo
quell’immagine molto femminile. Sentì addosso l’attenzione di quegli
occhi fino a quando lasciò quell’agghiacciante stanza del potere.
Mentre attraversava i vastissimi corridoi per trovare l’ascensore,
incontrò il capo della segreteria del ministro che conosceva da un
paio d’anni.
“ Ho saputo che ieri notte hai avuto una brutta avventura a
Pietroburgo,” disse l’alto funzionario che aveva organizzato il suo
colloquio con Ivanov.
“ Già,” rispose Elena poco sorpresa della rapida diffusione del
macabro avvenimento nel suo condominio.
79
“ Quale ruolo aveva all’interno del partito, Anna Melnikova, la vittima di
quello scempio?”
“ Era Responsabile dei Rapporti Internazionali del Partito Comunista e
presiedeva
anche
la
Commissione
Esteri
del
suo
gruppo
parlamentare. Pare che fosse ormai in aperto dissenso con la politica
occidentalista del Governo”, rispose il dirigente ministeriale, il quale,
molto cortese, l’accompagno fino all’ascensore.
---------------------------------------------Molto sollevata, Elena si ritrovò nell’area pedonale dell’ ulitsa Arbat. I
negozi di antiquariato, la sua passione, si allineavano poco distanti
uno dall’altro con le loro vetrine piene di tesori. Ma quei tesori ormai
avevano prezzi inaccessibili. Purtroppo anche alcuni fast food
spandevano i loro aromi scadenti sulla strada.
Le case d’epoca degli artisti della vecchia Arbat, però, erano state
conservate intatte e trasformate in musei dalle facciate accuratamente
dipinte in colori pastello. Insomma la classica atmosfera bohemienne
si ritrovava ancora insieme agli artisti, ai musicisti, ai poeti da strada.
Nelle vie traverse i condomini pre rivoluzionari, progettati per i ricchi
moscoviti, erano adorni di torrette e di statue di cavalieri.
Durante la sua passeggiata, Elena ripensava alla conversazione con il
ministro e al macabro episodio della sera prima a Pietroburgo. Era
tornata a Mosca subito poiché il suo aereo per Ulaan Baataar partiva
alle sette del mattino seguente.
80
Si diresse verso Komsomolskaja, la fantasmagorica stazione della
metropolitana, disegnata dal celebre Aleksej Shchusev e decorata con
preziosi stucchi e candelieri scintillanti.
Doveva tornare a casa e trascorrere l’ultima serata con Stephan che
si era trasformato per qualche ora da giornalista internazionale in
casalingo e stava organizzando una cenetta nella loro romantica oasi
al penultimo piano della ulitsa Lenivka. Mentre aspettava il metrò,
ammirò i mosaici dorati raffiguranti parate militari e figure storiche di
Pavel Korin. Quella stazione, monumento artistico nazionale, aveva
meritato l’attenzione della Fiera mondiale di New York che l’aveva
premiata.
Elena entrò nel vagone che silenziosamente scivolò in avanti
acquistando subito velocità. Adorava le stazioni della metropolitana di
Mosca, veri e propri palazzi in miniatura: alcune con i pavimenti che
imitano il disegno dei tappeti bielorussi. Intanto non riusciva a togliersi
dagli occhi la macabra scoperta della sera precedente.
“ Questo efferato omicidio è di chiara matrice politica. Forse Anna
Melnikova
ha interferito malamente nei piani di qualche potente oligarca”, le
aveva detto Stephan tentando di costruire un movente per quel fatto di
sangue che aveva turbato la loro serata a San Pietroburgo.
Uscì all’aria aperta felice e triste in vista della separazione del giorno
seguente e camminò di buon passo fino alla sua casa.
Quando lui aprì la porta dell’appartamento, Elena provò la sensazione
di essere arrivata in un’oasi di pace al riparo dagli orrori umani.
81
Era rientrata da pochi minuti quando squillò il telefono.
“ Sono Vladimir Melnikov, fratello di Anna, la parlamentare
assassinata ieri a San Pietroburgo. Ho saputo dagli inquirenti che lei
si trovava nel suo appartamento quando mia sorella è stata uccisa.
Volevo sapere se aveva udito o notato qualcosa di diverso dal solito.”
“ Mi dispiace, tutto quello che so, l’ho detto alla polizia. L’unico fatto, a
mio avviso irrilevante per l’indagine, è stato un gemito soffocato che
avevo scambiato per il miagolio di un gatto,” rispose Elena con voce
rattristata. E, dopo aver espresso le condoglianze di rito, riattaccò.
-------------------------------La Land Rover aveva percorso la via della pace e stava lasciando
Ulaan Baataar attraverso il quartiere industriale di Songino Khair
Khan.
Sulla destra, in lontananza, si vedeva la ferrovia transiberiana che
sale in Buriazia verso Ulan Ude.
Elena diede un’occhiata alla sua compagna di viaggio, intenta ad
ammirare la prateria in fioritura dell’immenso altopiano. Il suo bel viso
era disteso, ma in fondo agli occhi c’era un’espressione malinconica.
Dalah aveva mantenuto la promessa di accompagnarla a visitare il
Khara Khorum. Nemmeno per il viaggio aveva abbandonato la sua
veste preferita e indossava un lungo Del marrone, sotto al quale
spuntavano larghi pantaloni dello stesso colore. Calzava i classici
stivali mongoli con la punta arrotondata verso l’alto.
Elena, invece, si era liberata del suo tailleur istituzionale: in jeans,
polo bianca e scarpe da jogging aveva però nella sacca di tela tutto
82
l’occorrente per un campeggio notturno in gher con temperature vicino
allo zero.
Quella gita “fuori porta” era stata organizzata da Elena il giorno prima
in occasione del fine settimana. E Dalah si era mostrata disponibile ad
accompagnarla facendosi sostituire da un collega nel suo turno alla
clinica veterinaria.
La strada era asfaltata, ma piena di buche.
L’autista della jeep, un dipendente russo dell’ambasciata, compiva
miracolose gimcane per evitarle, mettendo a dura prova la colonna
vertebrale delle passeggere.
Le due giovani donne, però, erano abituate a strapazzi peggiori.
Intanto avevano percorso un’ottantina di chilometri.
“ Sulla sinistra c’è la riserva naturale del Khuustan Uul che fu scelta
per riportare nel paese la razza dei cavalli Przewalski”, disse Dalah
molto integrata nel suo compito di cicerone.
“ Strano nome polacco per una razza di cavalli di stanza in
Mongolia”,osservò Elena.
“ Si tratta del nome dell’esploratore che per primo scoprì queste
grandi mandrie di cavalli selvaggi chiamati Takhi, estinti in seguito dai
bracconieri che li cacciavano per la loro carne. Il Takhi è l’ultimo
cavallo selvaggio rimasto al mondo ed è il precursore del cavallo
addomesticato, come risulta dai dipinti scoperti in alcune grotte in
Francia”.
L’immensa landa era una teoria di praterie inondate da luce fortissima
che esaltava i colori e sembrava nascere dalla terra per uno strano
83
fenomeno di rifrazione. Qua e là il biancore di una gher e la sagoma di
un uomo a cavallo interrompevano l’orizzonte piatto.
Ivan, l’autista, arrestò la jeep sul ciglio erboso. Aveva notato un
cavaliere che galoppava dietro di loro, il quale rallentò subito e si
avvicinò premuroso. La cortesia dei mongoli proveniva dal cuore e
dalla mancanza di conflittualità dovuta alla scarsa densità della
popolazione: tre milioni di persone nel grande territorio mongolo, sette
volte più vasto dell’Italia. Attaccato alla sella del bellissimo baio, Elena
notò subito il cellulare satellitare, oggetto ampiamente diffuso, con il
quale i nomadi si tengono in contatto con il mondo abitato.
Senza
scendere di
sella,
il giovane rassicurò i
passeggeri
sull’itinerario e disse che ci volevano almeno tre ore per arrivare alla
meta.
“ Khara Khorum, che significa “ anello nero,” era l’antica capitale della
Mongolia nel XIII secolo e uno dei maggiori centri abitati nel mondo di
allora. Fu Ogedei, il figlio prediletto di Gengis Khan, a edificarla
insieme ad una grande Stupa a cinque piani, il suo palazzo reale di
maestosa imponenza per quell’epoca. Il francescano Guglielmo di
Rubruk, al ritorno da una missione esplorativa in Mongolia, fece ampia
descrizione di quella ricchezza e di quello splendore a Luigi IX di
Francia.”
“ Possibile che di tutto ciò nulla sia rimasto?”, chiese Elena.
“ Nel 1832, le orde cinesi degli imperatori Ming invasero e rasero al
suolo Khara Khorum senza lasciarne traccia. Per secoli si dubitò che
84
fosse realmente esistita e per i viaggiatori d’oriente divenne una sorta
di fata Morgana: un viaggio verso il nulla.”
Dopo circa tre ore di spiacevole e faticoso sballottamento, la jeep
arrivò davanti ad una imponente muraglia.
85