Testo Otto Simboli Mongoli maggio 2004
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Testo Otto Simboli Mongoli maggio 2004
OTTO SIMBOLI MONGOLI Capitolo XI I templi sacri del Khara Khorum Con un certo sollievo, le due giovani donne scesero dalla Land Rover a sgranchirsi le gambe. Nel sole di mezzogiorno, l’immenso altopiano, a 1800 metri di altitudine, conservava una temperatura freschissima. Raffiche di vento gelido spazzavano il piazzale pietroso dove era stata parcheggiata la macchina. Elena indossò subito la sua lunga giacca a vento imbottita e Dalah fece altrettanto. “ Ci troviamo davanti al monastero di Erdene Zuu, che fu eretto sulle rovine dell’antica capitale da Altan Khan, l’uomo che elevò la setta buddista dei “berretti gialli” a religione ufficiale di Stato per eliminare lo sciamanesimo. Un obiettivo raggiunto solo in parte poiché continua a essere praticato in tutta la Mongolia e in altre regioni del pianeta”, raccontò Dalah. Avevano varcato l’alto portale aperto e si inoltrarono nello spazio erboso delimitato dal perimetro delle mura. Nel gigantesco cortile interno, a sinistra, vi erano tre pagode dalle caratteristiche architettoniche cinesi. Regnava un’atmosfera strana in quel luogo ai confini del mondo: un senso di solitudine mistica, accentuato dalla natura sconfinata che avvolgeva l’essere umano di passaggio. E gli faceva desiderare di 86 poter vivere per sempre come quei nomadi che non conoscevano la prigionia delle ambizioni e degli agi. Loro potevano godere ogni giorno del profumo della terra vergine e ogni notte sentirsi protetti dal velluto del cielo illuminato di stelle mai così scintillanti. Quel sole senza eguali, poiché solo in cima alle vette altissime esiste simile purezza d’aria, scombussolava l’anima: la metteva a nudo. Quella desolazione così splendida, così lontana dalle bassezze umane, dava una carica di forza psicofisica mai provata. Era forse da quell’aria e da quella natura che i mongoli antichi avevano tratto la forza per dominare il mondo? Entrarono nel primo tempio dove, su un altare di legno dorato e d’ebano, si vedevano tre immagini del Buddha. “ Simboleggiano il passato, il presente e il futuro. Le sculture più piccole, poste fra le divinità maggiori, sono opera dei discepoli di Zanabazar.” “ Chi era Zanabazar?”, chiese Elena. “ Un grande leader religioso della Mongolia, famoso scultore e pittore che visse nel sedicesimo secolo: uno dei personaggi più eclettici del nostro antico passato. Rappresenta la più alta espressione della fusione tra problematiche religiose e culturali. A 14 anni venne mandato in Tibet a studiare il buddhismo presso il Dalai Lama. Come discendente di Gengis Khan fu anche dichiarato reincarnazione del ramo Jonangpa del buddhismo tibetano, e divenne oltre che eccelso artista anche l’uomo politico del rinascimento mongolo. Nel 1686 inventò un nuovo alfabeto, il cosiddetto “soyombo”, per mezzo del 87 quale si possono tradurre le parole dal sanscrito e dal tibetano. Oggi qualcuno potrebbe biasimarlo per aver ceduto la patria mongola all’impero Manciù senza combattere. In realtà, alla luce della sua filosofia inneggiante alla pace, e di un’analisi della situazione politica esistente in quel momento in Asia centrale, ci si può convincere che Zanabazar dimostrò grande saggezza politica nello scegliere il minore fra i due mali”, disse Dalah. “ Ci vorrebbe qualche capo di stato alla Zanabazar anche ai giorni nostri”, commentò Elena dopo aver ascoltato con sincero interesse l’esposizione accurata della colta Dalah. Nella seconda pagoda, ricca di fregi dorati, si vedeva la statua del Buddha giovane. Alla sua sinistra la raffigurazione di Avid, simbolo della giustizia: alla sua destra quella di Otoc Manal, simbolo della medicina. Dalah era una compagna preziosa: sapeva spiegare dettagliatamente i significati sacri e profani di ogni simbolo. Elena aveva la sensazione che quella terra fosse ancora uno dei pochi luoghi incontaminati dove la gente aveva conservato freschezza purissima e grande spontaneità di sentimenti. Si lasciava andare immemore, immersa in quello spazio mistico, purificato dall’ossigeno e dal vento dove quel giorno sostavano in preghiera soltanto una decina di fedeli. Il sole stava calando. Era il momento adatto per ripartire alla ricerca dell’accampamento di gher dove avrebbero passato la notte. -------------------------------------88 Il campo cintato si trovava a cinque chilometri da Erdene Zuu. Le tende di feltro erano attrezzate come nel periodo invernale. Le due donne si rifugiarono in quella a loro assegnata dalla guardiana del campo e si addossarono alla stufa accesa che emanava un magnifico tepore. Anche all’interno si respirava profumo di campo, misto all’odore delle braci: esaltava il senso di pace che sovente cala addosso all’essere umano quando è circondato dalla grande natura. Non era il caso di perdere tempo a fare toilette. Posate le sacche, si avviarono verso la tenda principale dove avrebbero potuto cenare. Fra le due donne si era stabilita una corrente di simpatia e di muta comprensione: un allegro cameratismo che le faceva sorridere e scherzare. Erano eccitate come due studentesse e dagli occhi di Dalah la tristezza sembrava scomparsa. Mangiarono con sano appettito formaggi di capra e una calda zuppa di verdure chiacchierando come due vere amiche. Elena guardò con simpatia la ragazza. “ Perché il tuo sguardo è triste? Come mai? Non sei soddisfatta della tua vita, del tuo lavoro?” “ Amo moltissimo il mio lavoro e mi piace vivere nel mio Paese, ma sono innamorata di un uomo per il quale non costituisco che un piacevole passatempo”, rispose Dalah sinceramente. “ E tu continui ad amarlo?” “ Si: non riesco a lasciarlo.” “ E’ strano che tanta devozione non tocchi il cuore di quest’uomo. Quanti anni ha?” 89 “ Cinquantadue, credo. Ma non lo so con precisione. Non gliel’ho mai chiesto.” In un secondo, Elena ricordò la conversazione all’ambasciata cinese e il tono con il quale Dalah aveva parlato di Sergheij. “ Si tratta di Irbis Zargal o mi sbaglio?” “ E’ lui. Come hai fatto a capirlo?” “ Ho sentito come parlavi di lui. La tua voce aveva toni inequivocabili da donna innamorata.” “ E allora? Tu lo conosci? Che cosa devo fare?” “ Non lo conosco. So che un uomo formidabile con un passato speciale alle spalle. Un passato che gli pesa ancora addosso. E’ venuto in Mongolia a ritrovare se stesso. Fossi in te, non farei nulla: gli darei tempo. Vedrai che fra non molto si renderà conto di quanto sei preziosa. Anzi sono sicura che l’ha già capito, ma forse non vuole ammettere di avere bisogno di una donna vera come te.” Dalah la guardò con gratitudine. Solo altri quattro avventori si trovavano ad un altro tavolo: uno di essi era un lama. “ E’ un monaco molto rispettato nel nostro paese”, bisbigliò Dalah all’orecchio dell’amica. “ E’ qui per trascorrere un mese di meditazione e tutti vengono da lui a raccogliere le sue benedizioni. E’ anche un uomo di scienza: parla cinese, kazako, giapponese e molti altri dialetti dell’Asia Centrale. “ E che cosa ci fa in questo accampamento?” 90 “ Non so risponderti: nessuno conosce il suo alloggio qui. Molti dicono che trascorre la notte all’aperto.” Elena osservò più attentamente il religioso. Sopra la tunica arancione portava una sopravveste di feltro che lo copriva fino ai sandali: sul capo rasato un berretto mongolo con i para orecchi rialzati. Stava seduto in posa ieratica, servito premurosamente da quelli che dovevano essere due discepoli. Davanti a lui c’era solo una ciotola di riso. Sembrava non prestare attenzione a nessuno. I suoi occhi guardavano lontano in un punto impreciso, forse ultraterreno. “ Quale età può avere?, chiese Elena sempre più incuriosita. “ Nessuno la conosce: il suo viso è privo di segni,” sussurrò Dalah.. Elena era stanca. Dopo un’ultima occhiata al lama che sembrava una statua del tempio principale, si diressero verso la loro tenda. Alcune candele erano state accese dalle inservienti del campo. Gettavano lunghe ombre tremolanti sulle pareti circolari di stoffa. Fuori le raffiche si erano calmate, ma la temperatura era scesa sotto lo zero. “ Le docce e le toilettes sono a trenta metri da qui,” disse Dalah. Mentre si svestiva e infilava una caldissima tuta in pile nero, Elena gettò uno sguardo sulla bella ragazza orientale che si era tolta il Del e, sfidando il freddo, si accingeva a coricarsi sotto le ruvide coperte di lana caprina senza nulla addosso. Quando si girò verso di lei per augurarle la buonanotte, Elena vide uno strano tatuaggio rosso sulla sua spalla sinistra. Non riusciva a capire cosa raffigurasse. Allora glielo chiese. 91 “ E’ uno degli otto simboli mongoli del bene e della saggezza: mi protegge e mi porta fortuna,” rispose Dalah. -------------------------------------Nonostante la giornata di viaggio, Elena non riusciva a dormire. Probabilmente non era abituata a quel giaciglio durissimo: una tavola di legno ammorbidita dalla sola coperta. Dalah, invece, si era addormentata subito. Elena si rimise le scarpe e il giaccone e uscì nella notte stellata a fare quattro passi. Il silenzio era totale. Le altre gher, completamente buie, sembravano bianchi padiglioni deserti. Decise di avviarsi verso il limite del recinto stando bene attenta a non inciampare. Quando arrivò accanto all’ultima tenda del campo, udì una voce maschile che parlava sottovoce in russo, ma non abbastanza da non poter capire quello che diceva. Guardò meglio la tenda e vide che era chiusa, ma dalla sommità trapelava un debole chiarore: probabilmente quello di alcune candele. Nessuno aveva potuto udire i suoi passi attutiti dal suolo erboso. Quasi tutti i mongoli parlano bene il russo. Ma quale motivo potevano avere due mongoli a esprimersi fra loro in quella lingua? La voce continuava e aveva le inflessioni tipiche dei Balcani. L’altra invece rispondeva con un accento siberiano del Krasnoyark. “ Non possiamo lavorare a un ritmo più rapido: dobbiamo fare attenzione a seguire la vena che siamo riusciti a scoprire con tanta fatica.” 92 “ Eppure è necessario intensificare i turni per accelerare le spedizioni dei camion. I fratelli asiatici non possono aspettare troppo a lungo. Hanno bisogno di supporto se vogliamo dar loro la possibilità di diventare una vera forza politica in grado di ostacolare le malversazioni e la corruzione di certi ministri che stanno già esportando miliardi di dollari in Occidente.” “ Noi siamo tecnici mercenari. Non ce ne frega niente dei vostri intrighi politici. Se volete che intensifichiamo il lavoro ci occorre più mano d’opera e anche più soldi per il nostro ingaggio.” Ci fu un lungo silenzio. “ Quanto volete?” “ Almeno diecimila dollari a testa in più al mese e la possibilità di assumere altri trenta uomini. Poi abbiamo bisogno di altri dieci camion.” Un’altra pausa seguì queste parole. “ Se accetteremo le vostre nuove esigenze chi ci assicura che manterrete la parola?” “ Vi dovete fidare di noi: non avete scelta.” “ Neppure voi potete scherzare. Se non porterete a termine il vostro incarico sapete cosa vi aspetta.” “Manterremo la nostra parola.” “ Va bene. Domani, quando sarete in città, passate alla solita banca. La somma che chiedete sarà già a vostra disposizione.” A quel punto Elena non riusciva a contenere la sua curiosità. Fece un giro intorno alla tenda per cercare uno spiraglio. Lo stretto portello di 93 legno che chiudeva la gher era ermeticamente chiuso. Nessuna possibilità di riuscire a vedere quei due. Stava tornando indietro quando udì che qualcuno stava aprendo il portello per uscire dalla gher. Fece appena in tempo a mettersi al riparo per non essere vista. L’uomo passò a pochi metri da lei diretto all’uscita del campo, oltre la quale incominciava la pista. Quando arrivò vicino alla luce della tenda principale lo riconobbe. Lui salì su una jeep parcheggiata proprio davanti all’accampamento, e partì a tutta velocità nel buio della notte. 94