Accertamento del nesso di causalità nei reati colposi

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Accertamento del nesso di causalità nei reati colposi
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PENALE
Responsabilità medica
Accertamento del nesso
di causalità nei reati colposi
del settore medico
Il punto della situazione alla luce del nuovo orientamento della Corte di Cassazione
sul nesso di causalità. Superato il criterio della “probabilità statistica”,
sostituito con quello della “probabilità logica”.
a cura di Stefano Maccioni
Avvocato
LA QUESTIONE
Quando è possibile configurare la responsabilità penale di un sanitario per un reato colposo omissivo improprio, quale l’omicidio o le lesioni personali?
Quale ruolo riveste la perizia o la consulenza medico legale?
È possibile basare esclusivamente il giudizio di responsabilità su criteri statistici?
INTRODUZIONE
L’aumento del numero dei procedimenti penali per responsabilità medica, riconducibili essenzialmente ai reati di lesioni personali ed omicidio colposo, rende necessario approfondire
uno dei temi più controversi, ossia l’accertamento del rapporto di causalità nei reati colposi
omissivi impropri, che ha sempre posto particolari problemi interpretativi.
Prima dell’intervento delle Sezioni Unite la giurisprudenza fondava il rapporto di causalità
esclusivamente sulla base di un criterio probabilistico/statistico. Successivamente è stato, invece, adottato il criterio della “probabilità logica” espresso come “alto o elevato grado di probabilità razionale”.
Risulta opportuno, pertanto, esaminare, sulla base del nuovo parametro di giudizio, quale
debba essere l’iter argomentativo che il giudice deve seguire nel definire un giudizio per responsabilità medica e come tale nuova valutazione possa influire non soltanto nella fase dibattimentale, ma anche e soprattutto nel corso delle indagini preliminari, richiedendo una
particolare attenzione nel loro svolgimento.
LE NORME
Codice penale
Art. 40 – Rapporto di causalità
Art. 41 – Concorso di cause
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Art. 43 – Elemento psicologico del reato
Art. 113 – Cooperazione nel delitto colposo
Art. 589 – Omicidio colposo
Art. 590 – Lesioni personali colpose
Codice di procedura penale
Art. 192 – Valutazione della prova
LA FATTISPECIE
Com’è noto la distinzione tra reato omissivo proprio ed improprio fonda le sue radici nella
produzione o meno di un evento.
Si possono, pertanto, definire propri quei reati omissivi che consistono esclusivamente nel
mancato compimento di un’azione che la legge penale impone di compiere (es. art. 593 c.p.,
omissione di soccorso). Viceversa si ha il reato omissivo improprio quando l’autore con la
propria condotta non impedisce il verificarsi di un determinato evento (es. art. 590 c.p., lesioni colpose). Tale causalità cosiddetta “omissiva” ipotetica (o “normativa ipotetica”), sancita nell’art. 40 cpv c.p., enuncia il principio generale di equivalenza tra il mancato impedimento dell’evento e il cagionarlo.
Ebbene con riferimento all’attività medico-chirurgica, sia la dottrina che la giurisprudenza si
sono poste il problema di definire quando un determinato evento, quale le lesioni personali o
il decesso di un paziente, sia ascrivibile alla responsabilità di un sanitario per non essersi quest’ultimo attivato utilmente per evitare simili conseguenze. La dottrina maggioritaria ritiene
che in tali ipotesi non si possa far riferimento alla teoria della condicio sine qua non, generalmente ritenuta quale fondamento dell’art. 40 c.p. ed in base alla quale è considerata “causa” ogni condizione, cioè qualsiasi antecedente in mancanza del quale l’evento non si sarebbe verificato, per cui vengono posti sullo stesso piano causale tutti gli antecedenti necessari
all’evento. Ne deriva che la condotta dell’uomo diventa causa ogni qual volta rappresenta una
delle condizioni, tra le tante, che concorrono a produrre l’evento. La dottrina citata, infatti,
ritiene che la teoria della condicio sine qua non sia stata in effetti formulata e verificata essenzialmente in rapporto a fattispecie di reati commissivi dolosi, ove più facile risulta riconoscere – alle volte intuitivamente – l’efficacia causale del comportamento umano rispetto all’evento oggetto del reato. Al contrario, proprio in relazione alle fattispecie colpose, commissive ed omissive, si è assistito ad un fenomeno di progressiva sostituzione ed integrazione dell’operazione logica nella quale si sostanzia la tesi della condicio sine qua non a favore della
utilizzazione di principi generali, siano essi “leggi universali” (tali da determinare in termini
di assoluta certezza che al verificarsi dell’evento X sia invariabilmente accompagnata la verificazione dell’evento Y), siano al contrario semplici “leggi statistiche”, destinate esclusivamente ad affermare – in termini scientificamente verificabili – in quale misura percentuale ad
un determinato evento ne consegua un altro.
Subentra, quindi, in tali ipotesi il problema della individuazione del “grado di certezza” richiesto in sede di accertamento della causalità omissiva, che ha costituito l’oggetto di un ampio e contrastante dibattito giurisprudenziale.
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LA GIURISPRUDENZA
Il contrasto giurisprudenziale si è formato in merito ai criteri di determinazione e di apprezzamento del valore probabilistico della spiegazione causale, incentrandosi sul grado di probabilità richiesto quanto all’efficacia impeditiva e salvifica del comportamento alternativo, omesso ma
supposto come realizzato rispetto al singolo evento.
Recentemente, infatti, in giurisprudenza si era affermato un orientamento secondo il quale
per giungere al riconoscimento della penale responsabilità del sanitario fosse richiesta la prova che il comportamento alternativo dell’agente avrebbe impedito l’evento con un elevato grado di probabilità “prossimo alla certezza” e cioè con una percentuale di casi “quasi prossima
a cento”.
Non sarebbe stato più sufficiente, pertanto, come per il passato, la dimostrazione, per l’azione impeditiva dell’evento, di “serie ed apprezzabili probabilità di successo” anche con ridotti
coefficienti di probabilità. La Suprema Corte aveva affermato in proposito che quando è in
gioco la vita umana anche scarse probabilità di successo pari al 30% o al 50% fossero sufficienti a far pervenire ad una affermazione della penale responsabilità del sanitario.
Peraltro tale valutazione statistica veniva rimessa in ogni caso al giudizio di consulenti o periti che, in tal guisa, assumevano una indiscussa centralità nel processo, decidendone in maniera significativa gli esiti.
La posizione della Suprema Corte sull’accertamento del nesso causale
Sul punto è stato necessario l’intervento delle Sezioni Unite1 per dirimere tale evidente contrasto interpretativo, venutosi a creare all’interno della quarta sezione della Suprema Corte.
Nella decisione de qua la Corte evidenzia come nella causalità omissiva non possa essere accertato – per la contraddizione che non lo consente – un rapporto naturalistico di causazione tra la condotta omessa e l’evento. Il giudice, quindi, è sempre tenuto ad accertare positivamente, attraverso un ragionamento adeguato e logicamente coerente, che se l’azione
doverosa omessa fosse stata realizzata, si sarebbe impedito il verificarsi dell’evento di reato
che, solo così, può essere oggettivamente imputato (causalità normativa) alla condotta
omissiva dell’agente, quando il nesso tra omissione ed evento non sia interrotto da cause
estrinseche del tutto anomali ed eccezionali che si collochino al di fuori della normale, ragionevole prevedibilità.
Comunque, l’inevitabile spostamento dal piano deterministico a quello probabilistico (statistico) rappresenta indubbiamente una complicazione nella formulazione nel giudizio causale. Anche se la costruzione del processo ipotetico non esclude ed anzi impone che nella successiva comparazione tra questo ed il processo reale si debbano individuare quegli elementi
che consentono di concatenare la condotta omissiva all’evento di reato.
Le Sezioni Unite ritengono, quindi, che il «nesso causale possa essere ravvisato quando, in
base ad un giudizio controfattuale effettuato sulla base di una generalizzata regola di esperienza o di una legge scientifica, si accerti che ipotizzandosi realizzata dal medico la condotta impeditiva dell’evento hic et nunc, questo non si sarebbe verificato, ovvero si sarebbe verificato in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva».
1)
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Cass. pen., Sez. Unite, 10 luglio 2002, n. 30328, in Guida al Diritto, 2002, 38, 62.
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Criteri di determinazione del valore probabilistico
La sentenza in esame passa, così, ad esaminare i criteri di determinazione e di apprezzamento del valore probabilistico della spiegazione causale, ossia prende in considerazione
quale debba essere «il grado di probabilità richiesto quanto all’efficacia impeditiva e salvifica
del comportamento alternativo, omesso ma supposto come realizzato, rispetto al singolo
evento lesivo».
In merito la Corte non condivide quell’indirizzo interpretativo secondo il quale, alla luce
delle accentuate difficoltà probatorie nel settore della responsabilità medica e alle aspettative di protezione rafforzata dei beni primari della vita e della salute il giudice non sarebbe tenuto a pervenire ad un accertamento rigoroso della causalità e dovrebbe riconoscersi sufficiente, ai fini di una appagante valenza persuasiva, di «serie ed apprezzabili probabilità di successo dell’ipotetico comportamento doveroso del medico».
Ciò perché con tale definizione «si finisce per esprimere coefficienti di probabilità indeterminati, mutevoli, manipolabili dall’interprete, talora attestati su standard davvero esigui».
D’altronde anche le supposte difficoltà di prova di tale tipo di responsabilità non possono
legittimare, secondo la Suprema Corte, un’attenuazione del rigore nell’accertamento del
nesso di condizionamento necessario e quindi una nozione debole di causalità, che comporterebbe un’abnorme dilatazione della responsabilità omissiva in violazione dei principi
di legalità e tassatività della fattispecie e della garanzia di responsabilità per fatto proprio.
Le Sezioni Unite, pertanto, sottolineano giustamente l’importanza della fase di accertamento
processuale della causa penalmente rilevante. In tale sede, attesa la natura preminentemente
induttiva dell’accertamento in giudizio, non si può pretendere una spiegazione causale di «tipo deterministico e nomologico-deduttivo, secondo criteri di utopistica certezza assoluta».
Il giudice non può, quindi, sostenere automaticamente l’ipotesi accusatoria sulla esistenza del nesso causale in base al coefficiente di probabilità espresso dalla legge statistica, ma
è tenuto a verificarne la validità nel caso concreto con tutte le circostanze a disposizione
al fine di dimostrare che la condotta omissiva del medico è stata condizione necessaria dell’evento lesivo con “alto o elevato grado di credibilità razionale” o “probabilità logica”.
Pertanto anche criteri medio-bassi di probabilità per tipi di evento se corroborati dal positivo riscontro probatorio possono essere utilizzati per il riconoscimento giudiziale del necessario nesso di condizionamento.
L’ORIENTAMENTO PIÙ RECENTE: IL CRITERIO DELL A PROBABILITÀ LOGICA
Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, Sez. dist. Caserta, 13 maggio 2004, n. 509
Ai fini dell’affermazione della responsabilità del medico, non è necessario individuare il nesso di causalità tra condotta ed evento in termini di certezza oggettiva (storica e scientifica), risultante da elementi probatori altrettanto inconfutabili sul piano dell’oggettività, essendo sufficiente che l’individuazione predetta ricorra in termini di certezza processuale, ossia di certezza acquisita dal giudice sulla base dell’evidenza disponibile all’esito dell’istruttoria e a seguito della ricostruzione ed interpretazione logica degli elementi di prova. (Nell’affermare il principio massimato, il tribunale ha evidenziato che, se così non fosse, dovrebbe
giungersi alla conclusione di escludere la responsabilità del medico tutte le volte in cui non sia stata eseguita un’autopsia ovvero laddove questa sia stata male eseguita, non essendo certa la causa della morte del soggetto. Tutto ciò, però, è in contrasto
con i principi del libero convincimento del giudice, dell’atipicità della prova in diritto processualpenalistico e, infine, dello stesso
concetto di prova indiziaria, come regolato dall’art. 192 del c.p.p., che consente di ritenere provato un fatto pur dovendolo presumere dall’esistenza di indizi gravi, precisi e concordanti (Guida al Diritto, 33, 2004, 86 s.).
Cassazione pen., Sez. IV, 15 novembre 2002, n. 38334
In tema di responsabilità per colpa professionale omissiva del sanitario, per poter affermare sussistente il nesso causale, è ne-
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cessaria al riguardo la “certezza processuale”, che deve essere desunta dal giudice valorizzando tutte le circostanze del caso
concreto, secondo un procedimento logico – analogo a quello seguito allorquando si tratta di valutare la prova indiziaria, la cui
disciplina è dettata dal comma 2 dell’articolo 192 c.p.p. – che consenta di poter ricollegare un evento a una condotta omissiva
“al di là di ogni ragionevole dubbio” (vale a dire, con “alto o elevato grado di credibilità razionale” o “probabilità logica”).
Cassazione pen., Sez. Unite, 11 settembre 2002, n. 30328
In ordine al problema dell’accertamento del rapporto di causalità, con particolare riguardo alla categoria dei reati omissivi impropri e allo specifico settore dell’attività medico-chirurgica, devono essere enunciati i seguenti principi di diritto: a) il nesso causale può essere ravvisato quando, alla stregua del giudizio controfattuale condotto sulla base di una generalizzata regola di esperienza o di una legge scientifica – universale o statistica – si accerti che, ipotizzandosi come realizzata dal medico la condotta
doverosa impeditiva dell’evento hic et nunc, questo non si sarebbe verificato, ovvero si sarebbe verificato ma in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva; b) non è consentito dedurre automaticamente dal coefficiente di probabilità espresso dalla legge statistica la conferma, o meno, dell’ipotesi accusatoria sull’esistenza del nesso causale, poiché il giudice deve verificare la validità nel caso concreto, sulla base delle circostanze del fatto e dell’evidenza disponibile, così che, all’esito del ragionamento probatorio che abbia altresì escluso l’interferenza di fattori alternativi, risulti giustificata e processualmente certa la conclusione che la condotta omissiva del medico è stata condizione necessaria dell’evento lesivo con “alto o elevato
grado di credibilità razionale” o “probabilità logica”; c) l’insufficienza, la contraddittorietà e l’incertezza del riscontro probatorio
sulla ricostruzione del nesso causale, quindi il ragionevole dubbio, in base all’evidenza disponibile, sulla reale efficacia condizionante della condotta omissiva del medico rispetto ad altri fattori interagenti nella produzione dell’evento lesivo, comportano la
neutralizzazione dell’ipotesi prospettata dall’accusa e l’esito assolutorio del giudizio. Alla Corte di Cassazione, infine, quale giudice di legittimità, è assegnato il compito di controllare retrospettivamente la razionalità delle argomentazioni giustificative – la
cosiddetta giustificazione esterna della decisione inerenti ai dati empirici assunti dal giudice di merito come elementi di prova, alle inferenze formulate in base a essi e ai criteri che sostengono le conclusioni.
Cassazione pen., Sez. IV, 10 giugno 2002, n. 22568
In tema di responsabilità per colpa professionale omissiva del sanitario, per ritenersi sussistente il nesso causale tra la condotta dovuta, ma omessa, e l’evento dannoso, non può farsi ricorso al concetto di “probabilità statistica”, basato cioè sulla verifica
empirica di casi pregressi che conduca a una enunciazione percentualistica dei casi in cui, data una certa premessa, si verifica
una determinata conseguenza, vuoi che si intenda tale concetto come “probabilità confinante con la certezza”, vuoi, addirittura,
come “probabilità identificabile con la certezza”. Al contrario, occorre adottare il diverso concetto della “probabilità logica”, che
involge un giudizio complessivo del quale la probabilità statistica è solo una componente e che si risolve in un’affermazione di
elevata credibilità razionale – in un senso o nell’altro – del risultato dell’operazione logica compiuta dal giudice. In una tale ottica, il giudice potrà e dovrà giungere alle proprie conclusioni facendo ricorso anche alle regole desumibili dalle leggi di copertura di carattere universale, dalle leggi semplicemente statistiche e dalle massime di comune esperienza, ma tenendo in considerazione tutti gli specifici fattori presenti e quelli interagenti sì da poter pervenire a un giudizio di elevata credibilità razionale (“al
di là di ogni ragionevole dubbio”), secondo i criteri di valutazione della prova previsti per tutti gli elementi costitutivi del reato.
L A POSIZIONE PRECEDENTE: ALTO GR ADO DI PROBABILITÀ PROS SIMA A CENTO
Cassazione pen., Sez. IV, 16 gennaio 2002, n. 1585
In tema di nesso di causalità (articolo 40 c.p.), la rilevanza causale del fatto nella produzione dell’evento dannoso deve essere
accertata in termini di assoluta certezza, il che è dire – in termini giudiziari – con una probabilità confinante con la certezza, non
è tale un’elevata probabilità anche al novanta per cento. (In applicazione di tale principio la Suprema Corte ha censurato la motivazione del giudice di merito, il quale – nel ricostruire la dinamica di un infortunio sul lavoro avvenuto in un reparto stampaggio e consistito nella discesa improvvisa dello stampo mentre l’operaio era intento al prelievo del pezzo stampato – afferma l’esistenza del nesso di causalità, pur non sussistendo, riguardo alle cause della ripetizione del colpo esaminate dal perito, elementi
di certezza ma solo di elevata probabilità, anche per la carenza di documentazione relativa alla macchina, costruita da società
fallita da tempo, priva di un protocollo manutentivo chiaro).
Cassazione pen., Sez. IV, 9 marzo 2001, n. 9780
In tema di causalità omissiva, è possibile ravvisare il nesso causale se l’azione doverosa omessa avrebbe impedito l’evento con
alto grado di probabilità logica ovvero con elevata credibilità razionale, cioè con una probabilità vicina alla certezza che può ritenersi raggiunta quando, sulla base di una legge universale o di una legge di statistica, sia possibile effettuare il giudizio controfattuale (supponendo realizzata l’azione doverosa omessa e chiedendosi se in tal caso l’evento sarebbe venuto meno) con una
percentuale vicino a cento.
Cassazione pen., Sez. IV, 28 novembre 2000, n. 14006
In tema di responsabilità medica, il rapporto di causalità deve essere accertato avvalendosi di una legge di copertura, scientifica o statistica, che consenta di ritenere che la condotta omissiva, con una probabilità vicina alla certezza, sia stata causa di un
determinato evento. (Fattispecie nella quale si è accertato che un tempestivo ricovero in ospedale di un paziente colpito da in-
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farto acuto del miocardio avrebbe consentito un adeguato trattamento terapeutico che, con un alto grado di probabilità – in termini di elevati coefficienti percentualistici vicino a cento o quasi cento –, avrebbe migliorato notevolmente la prognosi del paziente ed evitato l’evento letale verificatosi solo dopo pochi giorni).
Cassazione pen., Sez. IV, 1° febbraio 2000, n. 1126
In tema di responsabilità per colpa professionale del medico, nella ricerca del nesso di causalità tra la condotta dell’imputato e
l’evento, al criterio della certezza degli effetti della condotta, si può sostituire quello della probabilità di tali effetti e dell’idoneità
della condotta a produrli; probabilità che deve essere seria ed apprezzabile e avere alto grado di possibilità di successo.
(Fattispecie in cui i giudici di merito avevano apprezzato una probabilità di sopravvivenza del settantacinque per cento ove fossero intervenute una diagnosi corretta e cure tempestive).
L’ORIENTAMENTO DEL PA S S ATO : SERIE E APPREZZABILI PROBABILITÀ DI SUCCES S O
Cassazione pen., Sez. IV, 18 gennaio 1995, n. 360
In tema di colpa professionale, sussiste responsabilità del medico che colposamente ometta un intervento chirurgico necessario, quando anche esso non sia tale da garantire in termini di certezza la sopravvivenza del paziente, se vi sia una limitata, purché apprezzabile, probabilità di successo, indipendentemente da una determinazione matematica percentuale di questa.
Cassazione pen., Sez. IV, 7 luglio 1993, n. 6683
In tema di responsabilità per colpa professionale medica, sussiste rapporto di casualità anche quando l’opera del sanitario, ove
correttamente e tempestivamente intervenuta, avrebbe solo avuto seria e apprezzabile probabilità di successo, potendosi al criterio della certezza degli effetti della condotta sostituire quello della probabilità, anche limitata, e dell’idoneità della stessa a produrli. (Fattispecie in tema di omicidio colposo conseguente a mancato tempestivo ricovero di paziente visitato superficialmente
nel reparto di pronto soccorso).
Cassazione pen., Sez. IV, 7 marzo 1989, n. 1278
In tema di responsabilità penale per colpa professionale, nella ricerca del nesso di causalità tra la condotta dell’imputato e l’evento al criterio della certezza degli effetti può sostituirsi quello delle probabilità e della idoneità della condotta a produrre tali effetti, nel senso che il rapporto causale sussiste anche quando l’opera del sanitario, se correttamente e tempestivamente intervenuta, avrebbe avuto non già la certezza, ma solo serie ed apprezzabili possibilità di successo, tali da far ritenere che la vita del
paziente sarebbe stata probabilmente salvata. Invero, quando è in gioco la vita umana, anche limitate probabilità di successo sono sufficienti a configurare la necessità di operare. Pertanto sussiste sempre il nesso di causalità tra la condotta negligente del
sanitario che non si sia adoperato per un urgentissimo intervento chirurgico, in ordine al quale gli spettava di provvedere, e l’evento mortale che ne è seguito quando tale intervento, anche se non sarebbe valso con certezza a salvaguardare la vita del paziente, avrebbe avuto notevoli probabilità di raggiungere detto scopo.
La stessa Corte arriva poi a quantificare tale dato indicando il limite del 50% di probabilità.
LA DOTTRINA
L’indirizzo assunto dalle Sezioni Unite è riscontrabile in dottrina negli scritti di Stella che, richiamandosi agli studi dell’autore tedesco K. English, non pone il problema dell’accertamento del nesso di causalità in termini di certezza affermando che «l’evento può essere imputato
all’agente solo quando l’asserzione relativa all’esistenza del nesso di condizionamento soddisfa il requisito dell’alto grado di “conferma” o di “credibilità” e tale requisito può considerarsi soddisfatto in tutte le ipotesi in cui il giudice, dopo aver enunciato le leggi universali o
statistiche pertinenti (…) abbia accertato che si sono verificate le relative condizioni iniziali,
sempreché, sulla base della “evidenza” disponibile, risulti improbabile che l’evento si sia realizzato per l’intervento di “altri” processi causali (ai quali sia estraneo il comportamento dell’agente)»2.
Dalla concezione di Stella non sembra, quindi, che derivi la necessità che, in base a leggi sta2)
STELLA, Leggi scientifiche e spiegazione causale nel diritto penale, Giuffré, 2000, 316.
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tistiche o universali, la causalità debba essere oggetto di un giudizio di certezza, o prossimo
alla certezza, essendo sufficiente che questo giudizio trovi un alto grado di conferma o credibilità. L’autore, anzi, configura la spiegazione mediante leggi dell’accadimento lesivo come
spiegazione a struttura probabilistica, precisando come l’enunciato esplicativo debba apparire «razionalmente credibile; meglio ancora deve risultare provvisto di grado elevato di credibilità razionale»3.
Un’altra parte della più recente dottrina (Taruffo, Garbolino, Catalano) che ha approfondito
la teoria della prova dei fatti giuridici sottolinea, inoltre, come, mentre la “probabilità statistica” attiene alla verifica empirica circa la misura della frequenza relativa nella successione degli eventi entro generi di eventi ripetibili, la “probabilità logica”, seguendo l’incedere induttivo del ragionamento probatorio per stabilire il grado di conferma dell’ipotesi formulata in ordine allo specifico fatto da provare, a fronte della pluralità dei possibili schemi esplicativi, contiene la verifica aggiuntiva, sulla base dell’intera evidenza disponibile, dell’attendibilità dell’impiego della legge statistica per il singolo evento e della persuasiva, elevata credibilità razionale dell’accertamento giudiziale, che deve altresì reggere alla prospettiva di falsificazione
dell’ipotesi di partenza e all’urto dialettico degli elementi di prova antagonisti a sostegno della contro-ipotesi.
Si è sottolineato (Amato), pertanto, come il richiamo delle Sezioni Unite al criterio della
“probabilità logica”, cioè della credibilità razionale quale criterio da porre alla base dell’apprezzamento giudiziario, consente di pervenire, nelle diverse fattispecie concrete, alla soluzione più equilibrata, attraverso la disamina di tutti gli elementi che hanno caratterizzato, oggettivamente e soggettivamente, l’attività diagnostica e/o terapeutica del medico e le scelte
tecniche che quest’ultimo si è trovato a operare, non sempre suscettibili di poter essere valutate secondo le rigide leggi aritmetico/statistiche. Queste ultime, laddove esistenti e laddove
ritenute applicabili, devono certamente costituire la base di partenza del ragionamento giudiziario, ma non possono esaurirlo.
Per ulteriori approfondimenti dottrinali
– AMATO, «Con la verifica al caso concreto le leggi statistiche perdono peso processuale», in Guida al Diritto, 2003, 6, 74;
– AMATO, «Per l’attribuzione della colpa professionale considerati gli elementi del caso concreto», in Guida al Diritto,
2002, 39, 103;
– AMMIRATI, La responsabilità penale del medico, Cedam, 2004;
– CANZIO, «Trattamenti terapeutici e responsabilità penale», in Dir. pen. e proc., 2001, 665;
– CATALANO, «Prova indiziaria, probabilistic evidence e modelli matematici di valutazione», in Riv. dir. proc., 1996, 514;
– DE LUCA, GALIONE, MACCIONI, La responsabilità medica, Il Sole 24 Ore, 2004;
– FIANDACA, «Causalità (rapporto di)», in Digesto delle discipline penalistiche, II, 1998;
– FIANDACA e MUSCO, Diritto Penale, Zanichelli, 2004;
– GARBOLINO, «Probabilità e prova in un’ottica operativa», in Dir. pen. e proc., 1995, 998;
– MACCIONI, «Per l’accertamento del nesso causale non bastano i coefficienti di probabilità», in Guida al Diritto, 2002,
38, 71;
– MANTOVANI, Diritto Penale, Parte generale, Cedam, 2001;
– STELLA, Leggi scientifiche e spiegazione causale nel diritto penale, Giuffré, 2000;
– TARUFFO, La prova dei fatti giuridici, Giuffré, 1992.
3)
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STELLA, cit., 315.
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LE CONCLUSIONI
Nell’accertamento del nesso eziologico nel caso di reato colposo omissivo improprio, in
particolare con riferimento alla responsabilità medico-chirurgica, la giurisprudenza ha superato il criterio della “probabilità statistica”, sostituendolo con quello della “probabilità
logica”.
Sarà possibile, pertanto, giungere alla affermazione della penale responsabilità del sanitario per tali fattispecie di reato non tanto quando sussista una legge statistica che consenta
di ritenere che la sua condotta omissiva, con una probabilità vicina alla certezza, sia stata
causa di un determinato evento, ma quando il giudice, peritus peritorum, alla luce di tutte
le risultanze probatorie dichiari che la condotta omissiva del medico è stata condizione necessaria dell’evento lesivo con “alto o elevato grado di credibilità razionale” o “probabilità
logica”.
Ne deriva un aumentato valore della attività investigativa del pubblico ministero, ma anche
del difensore della persona offesa4, ai fini della acquisizione di quegli elementi che successivamente potranno essere assunti come prove nel corso dell’istruttoria dibattimentale.
LA PRATICA
Aspetti procedurali
4)
5)
Termine per proporre la querela e contenuto della denuncia
Nel caso in cui un paziente abbia riportato delle lesioni, a seguito di una colposa condotta di un sanitario, potrà proporre nei confronti di quest’ultimo sia una azione civile di risarcimento del danno che una azione penale, mediante la presentazione di una querela. Al
riguardo preme sottolineare che il termine per la proposizione di tale atto è ai sensi dell’art. 124 c.p. di tre mesi decorrenti dal giorno della notizia del fatto costituente reato.
Tuttavia la giurisprudenza5 ha precisato che tale termine decorre dalla conoscenza certa
del fatto, da parte della vittima, non solo sotto il profilo oggettivo, ma anche sotto quello
soggettivo, concernente l’identificazione dell’autore del reato, che è indispensabile perché
la parte offesa dal reato, anche intuitu personae, possa fare quella scelta che la legge rimette alla sua discrezione.
Pertanto nell’ipotesi di lesioni colpose dovute a malpractice medica, il termine per proporre querela nei confronti dei responsabili decorrerà dal momento in cui la persona offesa abbia avuto piena conoscenza della sussistenza dei profili di responsabilità penale. Sarà,
quindi, necessario per la vittima ricorrere al parere di un consulente medico di parte che,
all’esito di un attento esame del caso e della documentazione sanitaria, si pronunci in merito alla eventuale sussistenza del reato.
Se si è verificato, invece, il decesso di un paziente e si ha il sospetto che possano sussistere dei profili di responsabilità medica, sarà sempre preferibile sporgere immediatamente
denuncia, richiedendo al pubblico ministero l’effettuazione dell’esame autoptico ed il sequestro della relativa documentazione sanitaria.
Cfr. artt. 391-bis, 391-ter, 391-quater, 391-quinquies, 391-sexies, 391-septies, 391-octies, 391-nonies e 391-decies c.p.p.
Cassazione pen., Sez. V, 16 marzo 2000, n. 3315, CED Cassazione, 2000, 215580.
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PENALE
Responsabilità medica
IL CASO CONCRETO
La sig.ra C. si ricoverava presso l’ospedale X, al termine di una gravidanza che non aveva presentato alcun problema.
La paziente veniva sottoposta a monitoraggio mediante il controllo del battito cardiaco fetale e delle contrazioni uterine a partire
dalle ore 18 e 30 dello stesso giorno del ricovero. Successivamente veniva trasferita alle ore 23 in sala travaglio. Alle ore 1 e 30
veniva praticata l’amnioressi (c.d. “rottura delle acque”). Alle ore 6 e 30 si disponeva l’effettuazione di taglio cesareo di urgenza per sofferenza fetale acuta. Il bambino, che presentava evidenti segni di asfissia, decedeva nello stesso giorno.
A seguito della denuncia dei genitori, effettuata dopo un certo lasso di tempo, il pubblico ministero provvedeva al sequestro della
cartella clinica ed alla nomina dei propri consulenti, che ravvisavano un nesso di causalità tra il decesso del bambino e l’omessa
o errata valutazione dei tracciati cardiotocografici. In base a tali elementi, oltre che a quanto riferito dai genitori nella loro denuncia,
veniva disposto il rinvio a giudizio della ostetrica, che aveva seguito il travaglio della partoriente, per il reato di omicidio colposo,
per non aver ravvisato dei chiari segni di sofferenza fetale dalla lettura dell’esame che riportava le frequenze cardiache del feto.
Nel corso del dibattimento di primo grado si accertava, inoltre, a sostegno di quanto affermato dai consulenti della pubblica accusa,
che nel momento della “rottura delle acque” il liquido amniotico si presentava scuro, in particolare verdastro. Elemento quest’ultimo
che attestava la presenza di una sofferenza fetale in atto, nonostante che in cartella clinica la stessa ostetrica avesse riportato che il
liquido si presentava chiaro. Nemmeno la mancanza di autopsia era dal Tribunale considerata elemento tale da impedire l’esatto accertamento delle cause del decesso, sussistendo elementi per affermare con certezza, che le cause della morte del bambino dovevano essere ravvisate in una condotta colposa dell’imputata, per non aver adeguatamente monitorato la paziente. In particolare, sulla
base di un giudizio controfattuale si affermava implicitamente che una diversa condotta dell’imputata – corretta lettura del tracciato cardiotocografico con immediata richiesta di intervento del medico già alle ore 1 e 30 – avrebbe potuto impedire la morte del neonato.
Il giudice di primo grado giungeva, pertanto, all’affermazione della penale responsabilità dell’ostetrica, non tanto mediante criteri statistici forniti dai consulenti del pubblico ministero, quanto su una valutazione logico-scientifica di tutti i dati emersi dal dibattimento.
La decisone veniva confermata sia in Appello6 che in Cassazione7.
(Tribunale di Roma 8 maggio 2001, n. 7709)
6)
7)
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Corte di Appello di Roma 14 febbraio 2003, n. 1377.
Cassazione pen., Sez. IV, 29 gennaio 2004, n. 137, CED Cassazione.
N°1 - novembre 2004