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Nota a Cassazione, Sez. IV Pen., 20 gennaio - 7 aprile 2011, n. 13758
a cura di Giulio Perrotta
Nella verifica dell'imputazione causale dell'evento, occorre dare corso ad un
giudizio predittivo, sia pur riferito al passato e nella condotta omissiva, il giudice
si deve interrogare in ordine all'evitàbilità dell'evento, per effetto delle condotte
doverose mancate che, naturalisticamente costituiscono un “nulla”.
La Sent. Cass., Sez. IV del 20 gennaio - 7 aprile 2011, n. 13758 ha per oggetto l'assoluzione di un
professionista sanitario dal delitto di omicidio colposo, per omessa diagnosi ed omessa prescrizione
delle analisi cliniche dovute. Inoltre, il pregio della sentenza è quella di affrontare la tematica della
causalità nella responsabilità medica e in particolare della causalità omissiva, con la specifica del
giudizio che il giudice deve effettuare. E' una sentenza che assolve, nonostante riconosca la
condotta colposa a carico dell'imputato, per il fatto che la condotta, anche se fosse stata posta in
essere, non avrebbe (verosimilmente e probabilisticamente) portato alla non realizzazione
dell'evento lesivo dell'Infarto Miocardico Acuto con conseguente rottura della parete del Ventricolo
Sinistro.
Il Tribunale di primo grado, con sentenza del 22 dicembre 2008, condanna l'imputato, al delitto
di omicidio colposo con pena detentiva della reclusione di 2 anni, avendo avuto riguardo alle
attenuanti generiche.
La Corte d'Appello di Genova, con sentenza del 29 marzo 2010, ribalta la posizione della
sentenza di primo grado, riformandola interamente, assolvendo l'imputato con formula "perchè il
fatto non sussiste". Tate Corte territoriale riconosce e condivide, però, la valutazione del Tribunale
circa l'ascrivibilità colposa della condotta dell'imputata, in ordine alla dimissione dal Pronto
Soccorso del paziente affetto dalla tipica triade sintomatologica da infarto miocardico acuto (dolore
toracico, formicolio al braccio sinistro e ipertensione arteriosa) e la posizione dell'imputato era resa
attenutata dal fatto che l'esito del tracciato elettrocardiografico era negativo (per cui nulla di elettrodiagnostico strumentale poteva far presagire un Infarto Miocardico Acuto) ma aggravata dal fatto di
non aver prescritto immediatamente gli esami enzimatici cardiaci di laboratorio, quali la CPK e la
Troponina. Nonostante ciò, è stato ritenuto che, anche prescrivendo i sopracitati esami di
laboratorio, non ci sarebbero stati comunque elementi sufficienti per dimostrare che l'evento
ischemico-necrotico cardiaco si sarebbe verificato, ovvero si sarebbe verificato in epoca posteriore
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o di minore entità.
La Procura della Repubblica presso la Corte d'Appello di Genova, ravvisando un'ipotesi di
contraddittorietà della motivazione, propone ricorso per Cassazione, basandosi sul fatto che la
precedente sentenza non ha affrontato l'animus della questione dibattuta.
Il ricorso è però infondato. La Suprema Corte ha, infatti, evidenziato come le valutazioni espresse
dai precedenti giudici, in ordine alla sussistenza del nesso di derivazione causale tra la condotta
omissiva posta in essere in relazione ai dovuti accertamenti diagnostici e l'evento in concreto
verificatosi, seppur ispirandosi a criteri di "probabilità logica", intesa come la "verifica aggiuntiva,
sulla base dell'intera evidenza disponibile, dell'attendibilità dell'impiego della legge statistica
per il singolo evento e della persuasiva e razionale credibilità dell'accertamento giudiziale”
(Cass. Sez. Un., 11.9.2002 n. 30328)", abbiano in successiva sequenza effettuato divergenti
apprezzamenti in relazione all'evento cardiologico acuto sofferto dal paziente e all'evolversi della
condotta omissiva: a) nella sentenza di primo grado, si considera colpevole l'imputata, che omette di
prescrivere analisi di laboratorio necessarie al fine di una diagnosi preventiva della patologia
sofferta in ordine ai sintomi descritti, fidandosi ed affidandosi al solo esame strumentale
elettrocardiografico, non prendendosi cura per quanto il paziente stava soffrendo; b) la sentenza
d'appello ribalta tale descritta condizione, in quanto l'evento cardiologico acuto era in essere e la
prescrizione dei suddetti test cardiologici non avrebbe modificato il modus operandi della patologia
(seppur si riconosce una condotta omissiva).
Prima di esaminare nel dettaglio l'impostazione della Suprema Corte, occorre a mio avviso,
soffermarsi sull'escursus storico del nesso di causalità e sul dettaglio del nesso di causalità nei reati
omissivi, altrimenti si rischia di non riuscire a focalizzare cosa voglia intendere la Cassazione
quando parla di "giudizio predittivo".
Andando con ordine e analizzando il dettato normativo, secondo quanto riportato dalla Dottrina e
dalla Giurisprudenza, possiamo affermare che per comprendere cos'è il nesso o rapporto di
causalità, occorre fare riferimento all'art. 40 comma 1 del codice penale: "nessuno può essere
punito per un fatto previsto dalla legge come reato, se l'evento dannoso o pericoloso, da cui
dipende l'esistenza del reato, non è conseguenza della sua azione od omissione".
Appare quindi lampante che è "nesso di causalità", il collegamento tra la condotta, sia essa
commissiva che omissiva e l'evento naturalistico avvenuto. La Dottrina, per analizzare siffatto
collegamento, ha posto in essere quattro principali teorie, antagoniste tra loro, dove spicca
sicuramente per maggiore pregnanza quella della "condicio sine qua non" (anche detta
"condizionalistica"): <<l'azione A è causa dell'evento B, quando senza l'azione A, tenendo conto di
tutte le circostanze del caso concreto, l'evento B non si sarebbe verificato>>. Tale teoria muove
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dalla premessa che ogni evento è la conseguenza di molti fattori causali, che sono tutti egualmente
necessari affinché l'evento si verifichi: causa dell'evento è ogni azione che non può essere
"eliminata mentalmente" sulla base di leggi scientifiche, senza che l'evento concreto venga meno
(cd. procedimento dell'eliminazione mentale). Il giudice, per accertare la sussistenza del nesso
causalità, dovrà effettuare un giudizio controfattuale: verificherà se, eliminando quel
comportamento umano, l'evento concretamente realizzatosi si sarebbe verificato ugualmente
(se la risposta è positiva, il nesso è escluso; se è negativo, il nesso è affermato).
Tale teoria comporta però 2 inconvenienti, quali la impossibilità a trovare la risposta di come si sia
prodotto l'evento e l'estensione all'infinito della responsabilità (per cui è colpevole anche chi vende
l'arma con cui si è ucciso la vittima). Per ovviare a ciò, sono stati introdotti dei correttivi, sulla base
di "leggi generali di copertura", cioè il giudice dovrà valutare se il fatto concreto, nella sua unicità
e irripetibilità, possa essere considerato la manifestazione di una legge causale generale e ripetibile,
in quanto suscettibile di nuove concrete manifestazioni analoghe a quella effettivamente realizzatasi
nel caso specifico e del "criterio di sussunzione sotto leggi scientifiche", prima "universali" (per le
quali non sono ammesse eccezioni, es. un colpo di fucile alla tempia porta all'emorragia celebrale),
poi "statistico-probabilistiche" (per le quali sono ammesse eccezioni secondo la struttura delle
probabilità percentuali, es. il rischio di insuccesso dell'intervento di resezione del linfoma LH in un
paziente affetto da HIV conclamata è del 60%).
La Giurisprudenza, in tema di leggi statistiche, ha parlato (storicamente) di: 1) sufficienza di un
grado medio-basso di probabilità del nesso causale pari al 30% (Cass. Sez. IV, 12 luglio 1991);
2) richiesta di un alto grado di probabilità del nesso causale pari al 75% (Cass. 7 dicembre 1999);
3) richiesta del gradi di probabilità del nesso causa prossimale alla certezza e quindi prossimale al
100% (Cass. 28 settembre 2000); 4) le Sezioni Unite della Cassazione sono intervenute sul
contrasto giurisprudenziale, con la Sent. Cass. Sez. Unite, n. 30328/2002 (Franzese), affermando
la necessità della spiegazione dell'evento tramite le leggi scientifiche e massime d'esperienza, la
richiesta di un livello d'attendibilità del nesso causale, tale da escludere "ogni ragionevole dubbio"
e la netta distinzione tra la "probabilita' statistica", cioè la probabilità che ad un antecedente A
possa seguire il risultato B e la "PROBABILITA' LOGICA", cioè il livello di attendibilità e
plausibilità della spiegazione prospettata alla vicenda concreta. In altre parole, una volta verificato
il coefficiente di probabilità della legge statistica, occorre escludere la presenza di possibili
spiegazioni alternative che farebbero abbassare la probabilità logica della spiegazione causale (cd.
criterio della "certezza processuale"): nel caso concreto, deve risultare giustificata e
processualmente certa la conclusione che la condotta omissiva del medico è stata "condizione
necessaria e sufficiente" dell'evento lesivo con alto o elevato grado di credibilità razionale o
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probabilità logica. Se però nei reati commissivi il procedimento è dunque quello dell'"eliminazione
mentale", il discorso cambia se si tratta di reato omissivo. Il rapporto di causalità tra omissione ed
evento sussiste quando l'azione doverosa che è stata omessa, se fosse stata compiuta, avrebbe
impedito il verificarsi dell'evento, nel senso che, aggiungendola mentalmente (cd. procedimento
controfattuale dell'aggiunzione mentale) l'evento non si sarebbe verificato. L'accertamento del
rapporto di causalità tra omissione ed evento avviene utilizzando lo schema della condicio sine qua
non: bisogna chiedersi cioè se, aggiungendo mentalmente l'azione doverosa che è stata omessa, ne
sarebbe seguita una serie di modificazioni della realtà che avrebbero bloccato il processo causale
sfociato nell'evento. Questo nel caso di reato omissivo proprio, cioè reato dove manca l'evento
naturalistico. Nei reati omissivi impropri, invece, il giudice, deve porre mentalmente 2 condizioni
ipotetiche (cd. procedimento controfattuale del giudizio doppiamente ipotetico): a) deve supporre
un fatto non verificato (cioè la condotta che doveva avere l'agente); b) deve supporre le
conseguenze che si sarebbero verificate se l'obbligo giuridico fosse stato eseguito.
Ora, alla luce di quanto esposto circa il rapporto di causalità, appare facilmente comprensibile la
posizione della Suprema Corte sulla sentenza in esame, quando afferma che "nella verifica
dell'imputazione causale dell'evento occorre dare corso ad un giudizio predittivo, sia pure riferito
al passato: il giudice si interroga su ciò che sarebbe accaduto se l'agente avesse posto in essere la
condotta che gli veniva richiesta. Detta valutazione risulta di maggiore complessità in riferimento
alla fattispecie omissiva, nella quale il giudice, al fine della evidenziata ricostruzione controfattuale
del nesso causale, si interroga in ordine all'evitabilità dell'evento, per effetto delle condotte
doverose mancate che, naturalisticamente, costituiscono un "nulla".
Sulla scorta di tali considerazioni, la Suprema Corte ha negato la responsabilità dell’imputato sulla
base dell’assunto per cui, nel caso di specie, l'evento dannoso di Infarto Miocardico Acuto con
rottura della parete ventricolare sinistra non era collegabile causalmente alla condotta omissiva del
professionista sanitario; seppur omissiva nelle prescrizioni di laboratorio e di condotta clinicosanitaria alternativamente lecita (quale poteva essere la disposizione di ricovero presso il Pronto
Soccorso nelle dodici ore successive al tracciato elettrocardiologico effettuato), l'evento patologico
cardiaco si sarebbe comunque manifestato e non c'erano margini di ragionevole dubbio per
considerare la condotta omissiva, causa del suddetto drammatico evento. Inoltre, in considerazione
di un aggravamento della preesistente patologia cardiaca, la Suprema Corte ha insisto sul fatto che
non sussisteva un nesso causale sufficiente a spiegare tale tesi.
A parere di chi scrive, nonostante debba essere rispettata formalmente e sostanzialmente la
posizione della massima sentenza, credo sia opportuno criticare l'impostazione della ricostruzione
giuridico-logica posta in essere dalla Corte d'Appello e dalla Cassazione. Appurata la condotta
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omissiva dell'imputata, il risultato processuale avrebbe dovuto portare ad una dichiarazione di
colpevolezza e non di innocenza; l'imputata, tramite la sua condotta ha posto in essere sicuramente
un aggravamento della condizione patologica del paziente, tramite il ritardo di diagnosi e la prova è
senza dubbio data dall'esito negativo del tracciato elettrocardiografico. La condotta regolare sarebbe
stata quella di trattenere il paziente per la notte, prescrivere gli esami di laboratorio ed effettuare il
tracciato del ritmo cardiaco almeno ogni tre ore, in relazione ai sintomi sofferti e descritti in
anamnesi. Simile condotta, riconosciuta da tutte le sentenze prese in esame come omissiva, è
pertanto espressione di una "colpevolezza endo-giuridica".
Dott. Giulio Perrotta