Untitled - Barz and Hippo

Transcript

Untitled - Barz and Hippo
Una famiglia svedese è in vacanza per una settimana di sci sulle Alpi francesi. Il sole splende, la vista è
spettacolare, ma durante un pranzo sulla terrazza dell’albergo una valanga cambia il loro destino: le loro vite
sono salve, ma nelle loro menti scatta qualcosa, ed è un punto di non ritorno. Ruben Östlund stupisce critica e
pubblico con un film che s'impone per stile ed equilibrio, tra suspense, tensione, ironia e umorismo.
scheda tecnica
durata:
nazionalità:
anno:
regia:
sceneggiatura:
fotografia:
suono:
montaggio:
scenografia:
costumi:
trucco:
musiche:
distribuzione:
118 MINUTI
SVEZIA, NORVEGIA, DANIMARCA
2014
RUBEN ÖSTLUND
RUBEN ÖSTLUND
FREDRIK WENZEL
KJETIL MØRK, RUNE VAN DEURS, JESPER MILLER
RUBEN ÖSTLUND, JACOB SECHER SCHULSINGER
JOSEFIN ÅSBERG
PIA ALEBORG
ERICA SPETZIG
OLA FLØTTUM
TEODORA
interpreti:
JOHANNES KUHNKE (Tomas), LISA LOVEN KONGSLI (Ebba), CLARA WETTERGREN (Vera),
VINCENT WETTERGREN (Harry), BRADY CORBET (Brady), KRISTOFER HIVJU (Mats), FANNI METELIUS (Fanni),
KARIN MYRENBERG (Charlotte).
Premi e nomination:
2015 - Golden Globe, Nomination Miglior film straniero. 2014 – Festival di Cannes sez.
Un certain regard - Premio della giuria
Ruben Östlund
Ruben Östlund (Styrsö, 13 aprile 1974) è un regista svedese. Ha iniziato la sua attività negli anni novanta come
regista di video sciistici, per poi andare a studiare alla scuola di cinema di Göteborg, presso la quale si è laureato
nel 2001. È il cofondatore, assieme al produttore Erik Hemmendorff, della casa di produzione Plattform
Produktion, che produce i suoi film. Nel 2004 ha diretto il suo primo lungometraggio non documentaristico,
Gitarrmongot (noto anche come The Guitar Mongoloid). Il film ha vinto il premio FIPRESCI alla 27ª edizione del
Festival cinematografico internazionale di Mosca ed è stato candidato al Nordic Council Film Prize. Il
cortometraggio di Östlund Händelse vid bank (o Incident by a Bank) ha vinto il Golden Bear come miglior
cortometraggio alla 60ª edizione del Festival internazionale del cinema di Berlino e il Grand Prix al Tampere Film
Festival nel 2011. Nel 2008 e nel 2011 rispettivamente, Östlund ha diretto altri due lungometraggi, De ofrivilliga
(o Involuntary) e Play. Forza Maggiore, con i premi e le candidature che ha meritato, lo ha imposto all'attenzione
della critica e del pubblico internazionali.
La parola ai protagonisti
Note di regia
Istinti primari
Forza maggiore trae origine da una domanda che mi ha affascinato a lungo: come reagiscono gli esseri umani in
situazioni improvvise e inaspettate come una catastrofe? Il film racconta di una famiglia in vacanza che rischia di
essere travolta da una valanga e il padre, Tomas, scappa via in preda al terrore. Quando è tutto finito, deve
convivere con la vergogna di essersi abbandonato a un istinto primario, quello della paura.
Uomini in fuga
Questa storia nasce da un aneddoto per me impossibile da dimenticare. Qualche anno fa una coppia di amici era
in vacanza in Sudamerica, quando sono sbucati dal nulla dei tizi con la pistola e hanno aperto il fuoco: il marito
istintivamente è scappato, lasciando sola la moglie. Tornati in Svezia, dopo un bicchiere o due di vino, lei iniziava
a raccontare questa storia e continuava a ripeterla... La mia immaginazione ha cominciato a correre, ho fatto
ricerche su altre storie vere simili a questa e ho scoperto che in situazioni estreme la gente reagisce in modi del
tutto inaspettati e di grande egoismo. Ci sono degli studi che dimostrano che buona parte delle coppie che
sopravvivono alle catastrofi finiscono per divorziare. Secondo i canoni della società in cui viviamo, gli uomini
dovrebbero proteggere le loro donne e loro famiglie, senza indietreggiare davanti al pericolo. Invece, in queste
situazioni, sembra siano proprio gli uomini a reagire più spesso con la fuga.
Natura selvaggia
Da questi spunti sono arrivato all’idea di un dramma esistenziale in un villaggio sciistico, proprio perché le
vacanze sulla neve contribuiscono alla sensazione di avere il pieno controllo della propria vita. Le vacanze sono
anche il periodo in cui solitamente il padre di famiglia medio “ripaga” la famiglia della propria assenza nei giorni
lavorativi. Ma in Forza maggiore l’uomo civilizzato deve confrontarsi con la Natura. E per Natura intendo
innanzitutto la parte selvaggia di sé, poiché il suo istinto lo porta a pensare solo a se stesso durante la valanga.
Tomas, il protagonista, è costretto a fronteggiare il fatto di essere egli stesso soggetto alle forze della Natura e di
non essere riuscito a nascondere la più basilare delle pulsioni, l’istinto di sopravvivenza.
Agli antipodi di Hollywood
In una famiglia ciascun membro ha un ruolo da interpretare e si aspetta che gli altri facciano lo stesso. Anche se
magari a livello inconscio, la maggior parte delle persone crede che alla madre spetti di accudire i figli nella vita
quotidiana mentre il padre debba ergersi a protettore nel caso di una grande minaccia improvvisa. D’altra parte,
nelle società occidentali odierne, questo tipo di pericoli fisici imprevisti sono molto rari e tale aspettativa verso gli
uomini (anche da parte degli uomini stessi) è spesso disconnessa dalla realtà… Forza Maggiore è in qualche
misura l’opposto di un film hollywoodiano. Qui di solito c’è una famiglia che vive in pace; all’improvviso arriva
una minaccia esterna e il padre deve usare la violenza come difesa (non vorrebbe, ma è costretto a farlo). Una
volta fatti fuori i cattivi, la famiglia può tornare a vivere in pace. Questo arco narrativo rappresenta un modo
ideologico di guardare alla vita e alla società.
Combattere, combattere e combattere
L’improvvisazione per me è fondamentale, durante il casting, le prove e il giorno prima di una scena. Anche
durante le riprese stesse sono abituato a ripensamenti, riscritture o alle aggiunte fatte dagli attori. Da una parte,
ogni cosa procede secondo il copione, dall’altra se ne allontana e lo trasforma. Il fatto è che ogni giorno sul set è
una battaglia: tu hai una visione di quello che vorresti fare, ma quando ti ritrovi a girare ti rendi conto che quello
che hai davanti non corrisponde mai alle tue aspettative. E devi combattere, combattere e combattere per
provare a ottenere quello che vuoi. Per questo non si può seguire alla lettera un copione, ma bisogna essere
aperti all’improvvisazione.
Solidarietà inaspettata
Nel finale del film, ci accorgiamo che tutte le persone scese dal pullman si vergognano di aver esagerato le
proprie emozioni. Ma dopo un po’, percepiscono una connessione fra loro, una specie di solidarietà,
camminando insieme per la strada. Questo vuol dire essere umani. Noi viviamo delle montagne russe emotive
che ci spingono a indossare una maschera fissa per non mostrare quello che siamo davanti agli altri. Nel forte e
inaspettato momento di condivisione del finale, per un attimo queste maschere sembrano cadere.
Recensioni
Matteo Bordone. Internazionale
Cos’è. È un film svedese, coprodotto tra Svezia, Norvegia e Francia, scritto e diretto da Ruben Östlund. I
protagonisti sono Johannes Bah Kuhnke e Lisa Loven Kongsli, marito e moglie sulla quarantina, due bambini al
seguito, che vanno a fare una settimana bianca sulle alpi francesi. Il primo giorno, seduti al tavolo sulla terrazza
del ristorante sulle piste, assistono a una slavina controllata, di quelle fatte da chi gestisce gli impianti per evitare
valanghe vere. Nella concitazione del momento, sembra che la valanga stia per raggiungere i tavoli. Il marito
Tomas è preso dal panico e scappa senza preoccuparsi di moglie e figli. Rientrato il falso allarme, la famiglia
riprende la vacanza. Ma la consapevolezza del gesto istintivo di Tomas incrina la fiducia che Ebba nutre nei suoi
confronti, e nel gigantesco chalet di legno che è l’hotel in cui pernotta la famiglia si consuma una crisi familiare
profonda.
Com’è. Fotografato con il nitore dei documentari girati in digitale, diretto con tutta la discrezione che prevede
una storia delicata e fatta di sfumature (non ci sono quasi movimenti di macchina), Forza maggiore è un raro
caso di film dedicato a una crisi familiare pura e semplice, che non ha niente a che vedere con trame
sentimentali, tradimenti, grandi passioni o dolori lancinanti. Non è un caso che sia un film che viene dal paese
che ha quasi solo classe media, dove avere una casa, due figli, un labrador e una Volvo è quasi una condizione
standard. (...) La recitazione è notevole, il film è scritto e diretto con grande attenzione e vive di una normalità
molto efficace.
Perché vederlo. Forza maggiore è un film molto insolito nell’impianto. La trama prende spunto da un falso
allarme che produce risposte vere, una simulazione di crisi che ne genera una reale. Si respira la tensione che c’è
nelle relazioni quando qualcosa di profondo non va e non se ne può parlare, o si può evitare di parlarne, ma
l’argomento è presente, tangibile. Per quanto sembri un film sull’amore, si rivela piuttosto un film sulla sicurezza,
o meglio sulla necessità di convivere con l’insicurezza. Almeno io l’ho vissuto così. Non è un film a tesi né un film
esplicito, e non è nemmeno chiaro se sia ottimista, pessimista, agnostico. C’è anzi grande equilibrio tra le
posizioni, qualsiasi sia il tema che tratta. Anche la rappresentazione di uomini e donne, delle loro esigenze e dei
loro punti di vista nel contesto familiare, è sempre lontana da luoghi comuni e facilonerie. Non è un film
facilissimo, insomma, ma è un film semplice.
Perché non vederlo. Ovviamente se avete voglia di azione questo non è un film per voi. Mi dicono anche che il
doppiaggio italiano, alle prese con i non detti e le sfumature di tono, faccia un po’ fatica. Ma io l’ho visto in lingua
originale, quindi non posso esprimermi. L’avvertenza seria però è un’altra. Se siete magari un po’ in crisi. Se è un
periodo un po’ no. Se preferite stare sereni e non pensarci. Se state con una persona che ama parlare di certe
cose e voi invece no, o viceversa siete di quelli che ci sguazzano al contrario del partner, magari evitate di andare
a vedere questo film, soprattutto in coppia. Perché può essere che ne usciate molto fortificati, ma non è proprio
garantito. (...)
Gabriele Capolino. Blogo
Il cinema ha ufficialmente un nuovo autore dallo stile riconoscibile e dalla poetica chiara e personale. Si tratta di
Ruben Östlund, svedese classe 1974, con alle spalle tre film più quest'ultimo Force Majeure (titolo originale e
internazionale, ma in Svezia si chiama semplicemente Turist).
Östlund è stato portato alla ribalta dal suo terzo lungometraggio, Play, presentato a Cannes nel 2011. Il film si
caratterizzava per lo stile molto particolare, per il ritmo pacato ma che catturava sin dal magistrale
pianosequenza iniziale, e poi ancora per il discorso politico forte e per la violenza che strisciava sottopelle.
Alcune di queste qualità le ritroviamo in Force Majeure, che potrebbe forse essere la prova della sua definitiva
maturità artistica. Siamo davanti ad un cinema totalmente imprevedibile, che non si sa bene come prendere e
che comunque entusiasma, fa ridere fino alle lacrime e addirittura spaventa. Non c'è in giro un autore come
Ruben Östlund, poco ma sicuro.
La storia di "Forza Maggiore" è ambientata durante una settimana bianca in Francia. (...)
Volendo proprio sintetizzare al massimo e ricondurre Force Majeure ad un genere, si potrebbe dire che si tratta
di un distaster movie in cui viene dato ampio spazio alle conseguenze della catastrofe. Ma davvero, non siamo
vicini neanche in minima parte alla natura dell'opera, che è veramente un ufo unico e particolare. Come se
Michael Haneke avesse deciso di darsi alla commedia senza snaturarsi troppo.
Le inquadrature del piccolo hotel/villaggio turistico sulle montagne innevate, l'uso in alcune sequenze di raccordo
di un montaggio musicale e altre piccole delizie tecnico-espressive ci dicono molto dell'idea di cinema di Östlund.
Però è l'insieme multiforme e variegato che fa saltare sulla poltrona dalla gioia: ti ritrovi a ridere, e il momento
successivo hai i brividi lungo la schiena, poi un minuto dopo sei semplicemente ammirato.
Force Majeure è un film controllatissimo e di un rigore totale, anche se mai ingessato. La scena della valanga è
tutta un piano sequenza con la macchina da presa fissa che lascia a bocca aperta, in un crescendo di suspense da
maestro. Per non parlare poi di tutti i quadretti famigliari quotidiani, scritti con astuzia (quei bambini che si
vorrebbero ribellare, e invece...!) e messi in scena con intelligenza rara.
Ci sono poi scene intere di discussioni, confronti e litigate che valgono il prezzo del biglietto. La prima è tra la
coppia di protagonisti e un'altra coppia, composta da una donna piuttosto libertina che hanno conosciuto
nell'hotel e un turista americano (Brady Corbet): si tratta del momento in cui la moglie "accusa" il marito di
essere fuggito via durante la valanga, e lui nega. La seconda è con un'altra coppia di turisti, e parte sempre dalle
stesse premesse: solo che la coppietta invitata a cena viene coinvolta attivamente nell'autoanalisi senza
esclusione di colpi dei protagonisti. La risata è assicurata, interrotta a sorpresa da un bel balzo sulla sedia.
Gesti, espressioni e dettagli del linguaggio del corpo fanno scaturire il lato più grottesco delle relazioni. Man
mano che procede, la trama fa accumulare ai personaggi - e soprattutto al marito - una notevole quantità di
stress, tanto che ogni situazione potrebbe essere quella buona perché qualcuno "scoppi", come durante il
momento in cui il protagonista e un altro turista si riposano al sole dopo una scìata e stanno per far scattare una
rissa (sulle note altissime di Reload).
Diviso in sei giornate, corrispondenti a sei "scìate" e a tutti gli avvenimenti successivi, Force Majeure si presenta
come uno studio tra il cinico e il grottesco sulle ansie dell'essere umano in situazioni di stress emotivo. Proviamo
però semplicemente a leggerlo come la descrizione di una piccola vacanza in famiglia: credo che anche solo così
il film possa definirsi quasi geniale. Tutta la parte finale sul pullman in viaggio di ritorno ne è la conferma
definitiva.
Marianna Cappi. Mymovies.it
Tomas e Ebba sono i genitori di Vera e Harry. Tomas lavora molto, dunque questa vacanza sulle Alpi, hotel di lusso
e giornate dedicate allo scii tutti insieme, parte con grandi aspettative. Ma accade un imprevisto. (...)
Basta questo breve resoconto dell'incipit del film per capire che siamo in presenza di un'ottima idea, che il regista
svedese, già autore del notevole Play , sa sfruttare al meglio.
Colpito dai risultati di una serie di ricerche che osservavano un incremento dei divorzi nelle coppie sopravvissute
ad un'esperienza fortemente drammatica (un dirottamento o uno tsunami, per esempio), Ostlund raccoglie la
suggestione e la trasforma in cinema, innescando un parallelismo tra il percorso inarrestabile di un'emozione e
quello del tutto simile di una slavina.
Come nel miglior cinema d'alta montagna, allora, il corpo e la psiche degli attori si muovono in silenziosa
corrispondenza con la natura, libera e minacciosa, ma non si pensi ad un film drammatico, perché con Turist si
ride moltissimo. Come in una commedia degli equivoci, infatti, il virus che ha colpito Tomas e Ebba si diffonde
rapidamente ad intaccare le certezze dei loro ospiti più giovani, modificandosi per adattarsi alle diverse
condizioni della loro coppia ed esacerbare i loro specifici non detti.
La trasferta della famiglia svedese nelle montagne francesi è anche l'occasione, per il regista, per guardarsi
dall'esterno e criticare il mito della solidarietà scandinava di contro alla legge della giungla dell'individualismo,
del dialogo come pratica consolidata di contro agli accessi d'ira o alle scenate d'isteria, e soprattutto del discorso
di genere politicamente corretto, per cui le differenze tra uomini e donne sono diventate un argomento
curiosamente tabù.
Le lunghe inquadrature a macchina fissa, marchio di fabbrica del regista e dichiarazione aperta di una poetica che
aspira a mescolare ironia ed entomologia, si arricchiscono in quest'occasione della potenza evocativa che viene
dal paesaggio, dal suo bianco destabilizzante e dalle profondità delle gole, in esterni, ma anche dall'architettura
degli interni, tanto moderna quanto a suo modo alienante, e del commento musicale, pensato -non senza
divertimento- come una sorta di "destino che bussa alla porta".
Come in Play, il finale è la parte meno sicura e più stiracchiata dell'insieme, ma in generale Turist è una
graditissima conferma del talento di Ostlund e del suo cinema dell'assurdo sociale, intelligente e rivelatore.
Roy Menarini. Mymovies.it
La voce popolare afferma che da un granello si può scatenare una valanga. In Forza maggiore di Ruben Ostlund
accade esattamente il contrario: un sommovimento di neve pauroso e apparentemente letale si rivela un atomo
di polvere che finisce nell'ingranaggio della famiglia - due genitori e due figli - che sta passando una settimana di
vacanza sulle Alpi.
Già questa inversione metaforica, resa letterale dagli avvenimenti che aprono il film, la dice lunga sull'intelligenza
narrativa dell'opera, che mette in crisi le aspettative degli spettatori tanto quanto quelle dei personaggi - in
particolare quello della moglie, che si vede sottratte tutte le certezze sulla solidità del marito e della propria
famiglia. Forza maggiore è tutto così, attraversato da correnti invisibili, da elementi discordanti, da contraddizioni
umane che sono già annunciate dallo stile. Il ricorso massiccio alla camera fissa, dove gran parte della tensione
viene costruita internamente all'inquadratura, richiama di solito un cinema rigoroso, ponderato, da dramma
piscologico, e invece Ostlund lavora più come Tati che come Bergman. Si ride con preoccupazione, persino con
rispetto, accorgendosi (via via che il racconto procede) della vera natura di Forza maggiore: la commedia.
I protagonisti si fanno mettere in crisi da una sciocchezza, e cominciano a dissolversi come coppia (prima ancora
che come famiglia) nel serrato confronto con se stessi e con persone diverse da loro. Queste ultime funzionano
come i personaggi minori nelle commedie americane classiche, magari di Howard Hawks: hanno un carattere e
un'anima tali da reggere la sottotrama con brillantezza e personalità, e aiutano i protagonisti (e gli spettatori) a
capire meglio che cosa sta succedendo. Che di contraddizioni felici si nutra Forza maggiore lo dimostra anche la
sequenza più intensa del film, dove il capofamiglia - ormai spogliato del suo ruolo patriarcale di protettore ed
eroe - decide di lasciarsi andare tutto in una volta, mostrando le proprie debolezze. Eppure, finisce con
l'esagerare. Il suo pianto sempre più disperato - invece che costituire il punto topico di un dramma da camera diventa il più esilarante degli stratagemmi comici. L'imbarazzo e la deformazione, sia pure nella gabbia
geometrica della macchina da presa e dell'hotel-alveare dove tutto si svolge, prendono il sopravvento. (...)
Forza maggiore ha dalla sua tutte le qualità di chi sa costruire un film senza dover sottostare alle griglie d'attesa,
tanto più visto che nel cinema d'autore, nel cinema del reale, e anche nel cinema sociale, la comicità sembra
nemica della riflessione, del dramma o dell'analisi politica. Ostlund sulla famiglia borghese dice più e meglio di
tante parabole laiche e ricattatorie, proprio perché insinua, distanzia e spiazza. Non ama i suoi personaggi, ma
nemmeno li detesta. Sembra quasi che ci chieda di rispecchiarci, perché noi spettatori d'élite pensiamo di valere
più degli altri, e invece - al primo pericolo - fuggiremmo dalla sala a gambe levate lasciandoci alle spalle un
cumulo di rovine fumanti.
Adriano de Grandis. Il Gazzettino
(…) "Forza maggiore" è un magnifico film che interiorizza ogni esteriorità: la verità atroce, che cambierà in un
secondo ogni prospettiva di coppia e di famiglia, disintegra ogni sicurezza, più di qualsiasi montagna di neve che
possa sommergere i malcapitati. Un paesaggio idilliaco, che sembra uscire da uno scatto di Ansel Adams, anziché
consacrare bellezza e pace, diventa agente di una crisi familiare spaventosa, dove la moglie scopre che il marito,
nel momento di grande pericolo per sé e per i figli, preso dal panico, è fuggito per mettersi in salvo, fregandosene
degli altri, dimostrando la sua incapacità di essere, agli occhi della moglie dei figli, un eroe.
Allo svedese Ruben Östlund riesce l’idea di raccontare tale crepa esistenziale, attraverso elementi visivi, dalla
montagna improvvisamente minacciosa, scandagliata con lunghissime panoramiche; alla struttura dell’albergo,
che a lungo sembra essere una specie di Overlook disadorno e senza ospiti (appena un inserviente a controllare,
a spiare), dove la camera fissa accentua la sensazione della prigione.
Se cadenze, sguardi, ritmi sono di glaciale dominanza nordica, Östlund rovescia tutta questa fissità, dei corpi e
adesso anche dell’anima, con perfidi e corrosivi dialoghi (a tratti da feroce commedia americana), dove la moglie
passa a elencare, durante banali serate con amici, tutto il disprezzo che prova verso il marito, incapace di
assolvere il compito, storico e culturale, di protettore della famiglia, in una sorta di crisi di identià dei maschi e di
decadenza della figura del padre.
Così lascia qualche perplessità la scelta, pur con scene di impatto notevole, di risolvere la questione con una
doppia catarsi, che se non riporta all’origine la serenità della famiglia, almeno fa presagire che un riscatto sia
comunque possibile. Ma "Forza maggiore" rimane comunque un’opera evocativa sulla paura, che mostra come i
rapporti affettivi prima ancora che sociali siano costruiti spesso sulla neve.
Ilaria Feole. FilmTv Rivista
Una famiglia, bella come quelle degli spot dei frollini, posa per l’obiettivo di un fotografo, che dà indicazioni
precise: stringersi, inclinare la testa, allacciarsi l’uno all’altro in modo simmetrico. La macchina da presa sta un
passo indietro a quella fotografica, e già sogghigna della messa in quadro artificiosa, costruita, di questo nucleo
familiare tonico e scintillante, in vacanza sulle Alpi francesi per cinque giorni. Dopo nemmeno 36 ore, mentre
pranzano, una valanga controllata sul monte vicino pare abbattersi sul ristorante: solo una spaventosa illusione,
ma durata il tempo necessario al fascinoso babbo per afferrare guanti e cellulare e fuggire senza controllare lo
stato di salute di consorte e pargoli. L’episodio termina nel sollievo, ma si annida nella quiete vacanziera
allargando una frattura fra i coniugi: (...) Ogni successivo dialogo, da soli o con amici e conoscenti, diventa teatro
del dilemma e tavolo chirurgico su cui dissezionare, a suon di ipotesi e ricostruzioni, le dinamiche di coppia e le
certezze su cui si fondavano. Lo svedese Östlund, vincitore con questo film del Premio della giuria al Certain
regard 2014, guarda i personaggi col distacco sarcastico di un entomologo annoiato: inquadrature fisse dove
uomini e donne si accapigliano, si umiliano e non riescono a comprendersi, così come la macchina da presa non
si cura nemmeno di comprendere nel quadro le loro teste, se cambiano posizione. «Vorrei che avessimo lo stesso
punto di vista», pretende stremata, ma non disposta al compromesso, la moglie di fronte alla negazione del
marito, e un filmato sul telefonino viene consultato per cercare la verità nelle immagini. La posa fotografica
dell’apertura del film è spezzata, la famiglia da spot messa alla berlina: l’unica soluzione per ricomporre la foto è
allestire un’altra messinscena, una finta per ricucire lo strappo. Anche quella di Östlund è una “valanga
controllata”: un esperimento provocatorio di scoperto cinismo, tant’è vero che i momenti cruciali del film sono
ricalcati su video virali di YouTube, di cui il regista è appassionato fruitore (vedere per credere: il crollo emotivo
del marito è ispirato al celebre Best Cry Ever, mentre il finale riprende Idiot Spanish Busdriver Almost Kills
Students). Portando lo spettatore fuori da ogni reale condivisione emotiva e dandogli in pasto quello humour
anti-empatico che è misura dei nostri tempi.
Alberto Mazzoni. Ondacinema.it
La neve immacolata. Dal finestrino dell'aereo, le Alpi sembrano più paradisiache delle nubi sovrastanti, un
susseguirsi frattale di valli bianche e vette. Scendendo ad altezza d'uomo, andando nei luoghi degli uomini sulle
montagne, i dettagli artificiali emergono ed è su questi che si sofferma Ostlund, il talentuoso
regista/sceneggiatore di "Forza maggiore". Non c'è inquadratura fissa o carrellata sulle nevi che non includa un
tubo per le esplosioni controllate, i pali e i cavi della teleferica o simili, e le piste di notte sono percorse da file di
gatti di neve come insetti meccanici. L'azione di sciare è bella, ma per quei minuti di discesa si pagano tutta una
trafila di code, armadietti, mettersi e togliersi tute e scarponi, e su queste azioni Ostlund si concentra.
Pare evidente la metafora sulla famiglia. (...) la famiglia borghese è l'impianto sciistico, pieno di scricchiolii,
forzature, dettagli che rovinano l'insieme e operazioni che dobbiamo fare ma eviteremmo volentieri. Non che il
libero amore sia la soluzione - i personaggi secondari della cougar in libera uscita e della coppia lui quarantenne
divorziato lei ventenne alternativa appaiono tristi come la famiglia dissezionata dal film, solo più superficiali
perché è mancato loro il momento di verità che per i protagonisti è stata la valanga allo chalet in cui il padre ha
preso lo smartphone (ci torniamo), i guanti e ha lasciato sola la madre a proteggere i figli. Non è successo niente,
ma avrebbe potuto.
Visto che Ostlund (anche sceneggiatore) ai punti deboli della famiglia ci ha pensato, il problema vero è tanto
l'atto in sé quanto la miseria dei comportamenti messi in atto dal padre per far sopravvivere la famiglia con
questa verità. Primo passo, far finta di nulla. Secondo passo, negare l'evidenza. Terzo passo, spostare i riflettori
sull'impropria reazione della moglie, piuttosto che sulle proprie azioni. Il quarto passo, quello più meschino:
"Sono fatto così". Per fortuna la storia si muove principalmente a fianco della moglie - cosa deciderà di fare? cosa desidera adesso e cosa deve fare per ottenerlo?
"Forza maggiore" è un bel film, pieno di idee narrative e registiche. Non è lo "Scene da un matrimonio" dei nostri
tempi, sarebbe troppo chiedere, ci sono alcuni passaggi forzati e il potenziale del film forse non si dispiega fino in
fondo. Si ha la sensazione (la speranza) che per il regista e i suoi spettatori il meglio debba ancora venire. Ma non
si può non festeggiare quando un autore finora conosciuto solo in patria si affaccia sulla scena europea con
questo stile.
Ostlund sa selezionare le inquadrature in modo tale che siano belle a vedersi e funzionali alla storia. Per questo
molte sono fisse per scene intere e i personaggi si dibattono all'interno di cornici immobili. Particolarmente
efficace, ad esempio, la cena con gli amici, tutti a sedere ben visibili, tranne la madre che cammina
nervosamente attorno al tavolo con la testa tagliata dall'inquadratura, quasi fosse un fantasma. L'economia dei
movimenti di macchina è un efficace principio, ma non raggiunge gli estremi del rigore di un Mungiu: la tensione
del leggero restringersi dell'immagine può alternarsi a movimenti sereni e ariosi. E non si ha mai, mai la
sensazione di scene dilatate oltre misura. Ci sono anche tre brevi scene "aliene", a riprova della libertà
espressiva: una scena di e(c)stasy da discoteca quasi onirica, e due soggettive fulminee, una presa da un drone
giocattolo e una dalla telecamera "da casco" dell'amico di famiglia. Questo personaggio (che, me lo sono chiesto
tutto il film, è in effetti interpretato dal vice-capo dei Bruti in "Trono di Spade") è anche protagonista di un'altra
scena a camera fissa eccezionale: lui e il padre sulle sdraio al rifugio che cercano di riposarsi, in silenzio in mezzo
alla musica, in mezzo alla folla ma soli nell'inquadratura, finché una giovane ragazza non invade il loro spazio...
Dai droni agli smartphone, "Forza maggiore" è anche un film in cui la sceneggiatura, senza farlo pesare, ben
rappresenta l'estensione e la continuità dell'impatto delle tecnologie personali nelle nostre vite, e non a caso il
regista afferma di essere partito da un video virale amatoriale di una situazione analoga a quella della valanga, e
il video stesso girato dal padre nell'occasione avrà un certo ruolo nella vicenda. Visto che ai video virali amatoriali
dovevamo pure l'esistenza di "Spring Breakers", direi che iniziamo a essere decisamente debitori verso questa
forma di comunicazione...
Oltre all'ottimo lavoro sulla sceneggiatura e sull'immagine, un altro aspetto notevole di "Forza Maggiore" è la
cura dell'aspetto sonoro. Il silenzio può essere progressivamente riempito dal risuonare del vuoto degli alberghi
stile "Shining", dal battito cardiaco di chi è in scena, da una lontana e fastidiosa musica da discoteca, e il vento
può essere sostituito dal cigolare di una teleferica, in una soggettiva dei suoni che aggiunge un livello veramente
ricco alla pellicola. Dato che, oltre all'usuale degrado dell'immagine, tutto questo aspetto del film andrà perso se
vedrete il film in televisione o su un portatile, fatevi il favore di vederlo al cinema se leggete questa recensione in
tempo.
Lorenzo Colapietro. Cinematographe.it
(…) Ruben Östlund indaga, attraverso il film, sugli istinti primari dell’uomo di fronte al pericolo, il dilemma sulla
scelta della strada da seguire di fronte ad un disastro viene visto come in un enorme esperimento sociologico in
cui al centro c’è una famiglia felice – a volte quasi eccessivamente melensa – che si ritrova catapultata in una
sorta di incubo; nel momento del pericolo, colui che dovrebbe proteggere il nucleo familiare scappa in preda al
panico abbandonando le persone che dovrebbero contare di più, trasformando il “prima le donne e i bambini”
nel più egoistico “si salvi chi può“. Il regista analizza proprio il comportamento del modello maschile – quello che
secondo la società dovrebbe sacrificarsi, ma che in base alle statistiche ha il più alto tasso di sopravvivenza – e lo
fa in maniera contraddittoria ed infantile con Tomas incapace di accettare quello che è successo negando
apertamente l’evidenza. Il contrasto con l’inizio della pellicola è evidente, la presentazione di una famiglia che
sfiora la perfezione ma che viene “travolta dalla valanga” sia in senso letterale che metaforico, evento che porta
la povera Ebba in una sorta di crisi profonda dalla quale non riesce ad uscire soprattutto perché non trova
riscontro oggettivo nelle dichiarazioni dell’uomo che ama, o amava, ostinato a negare la realtà pur di non fare i
conti con se stesso. Dal canto suo Tomas è quasi infantile, incapace di accettare quella sua parte “nascosta”
reagendo anche in più di un’occasione in maniera grottesca, in contrasto con il modello stereotipato del padre di
famiglia, una comicità cruda e brutale quella di Östlund che non risparmia anche l’evidente dramma psicologico
che si consuma.
Tecnicamente eccelso, e con una fotografia nitida, quasi asettica, il grande problema di Forza Maggiore è proprio
l’eccessiva pesantezza di alcune sequenze. In alcuni momenti il film si perde in interminabili dialoghi che non
giovano all’attenzione dello spettatore e man mano che si va avanti nella visione si perde l’empatia e la gamma di
emozioni (smarrimento, paura, ecc.) che la pellicola dovrebbe trasmettere. Lo stesso finale è stiracchiato e non
infonde il senso di solidarietà che il regista tenta di presentarci. Nonostante qualche piccolo difetto, tuttavia,
Forza Maggiore è un film che trascina lo spettatore nel suo percorso narrativo minando certezze e raccontando la
storia di una crisi coniugale in maniera originale e sarcastica