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INSERTO N.1
Maggio 2009
il rossio_rec
cinema
musica
DE OFRIVILLIGA
Robert Östlund
ETERNAL KINGDOM
Cult of Luna
letteratura
MILANO È UN’ARMA
Francesco Gallone
di Serena Agusto
di Valerio Terreri
di Federico Zagni
È quasi estate in Svezia, dove le
piccole sbandate sembrano
moltiplicarsi. Leffe per esempio,
ama fare lo stupido per i suoi amici
e giocare scherzi spinti, soprattutto
quando ha bevuto. A scuola, una
maestra è troppo zelante: pensa che
i suoi colleghi abbiano bisogno di un
po’ di istruzione. E poi ci sono
queste due adolescenti a cui piace
fare baldoria e foto sexy; ma una
sera, una di loro viene trovata
completamente ubriaca, svenuta, da
uno sconosciuto in un parco. «Non
avere che delle idee suggerite e
crederle spontanee: tale è l’illusione
propria al sonnambulo e anche
all’uomo sociale». Così Gabriel
Tarde, criminologo, sociologo e
filosofo francese della seconda metà
dell’800. A lui sembra ispirarsi
Ruben Östlund, il regista di De
ofrivilliga (involuntary), pellicola
svedese in cui gli attori sono usati
come cavie da laboratorio, per
dimostrare la nefasta influenza del
gruppo sull'agire individuale. Come
si spiega altrimenti il
comportamento di Leffe che, per
scherzo, si infila in bocca il pene
dell’amico? E perché Olle lo lascia
fare? Le situazioni descritte da
Östlund lasciano esterefatti, la sua
mise en scène, che fa della
sperimentazione visiva la propria
cifra stilistica, piacevolmente colpiti.
Le inquadrature hanno sempre un
punto di vista radicale e volutamente
frammentario: campi lunghissimi si
alternano a primissimi piani al
limite della trasfigurazione.
L'obiettivo è uno solo: mantenere
vigile e attivo lo spettatore. Il
risultato è un’opera imperfetta e un
po’ didascalica, ma dal linguaggio
visivo potente ed evocativo.
Con Eternal Kingdom, i Cult of Luna
si impongono come vero e proprio
punto di riferimento nella scena postcore/doom/sludge. Fin dal primo
ascolto dell'album si nota la maturità
artistica e compositiva della band
svedese, supportata da una
registrazione impeccabile, attenta a
rendere appieno lo spirito
psichedelico e morboso di questo
progetto dalla genesi ben precisa. Il
gruppo scandinavo, trovandosi a
suonare presso un ex penitenziario
psichiatrico, si sarebbe imbattuto
casualmente, dopo tanti anni, nel
diario di un internato, e da questo
avrebbe preso ispirazione. Il diario,
intitolato Tales of Eternal Kingdom,
conterrebbe le dichiarazioni di tale
Holger Nilsson, che, accusato di
uxoricidio, si proclama innocente
imputando come colpevoli alcune
entità fantastiche del folclore svedese.
Non stupiamoci, quindi, se i testi
parlano, fra gli altri, di uomini albero
e uomini gufo. Ci troviamo di fronte a
un concept album cupo e delirante,
ma sicuramente d’atmosfera e dal
sapore d’altri tempi, sorretto da
chitarre pesanti ma anche
estremamente delicate, quasi
accennate, che si intrecciano fra di
loro, e da una sezione ritmica
coinvolgente e ipnotica.
Abbandonate, almeno per ora, le
tematiche socio-politiche, Eternal
Kingdom è un viaggio nella mente
umana, distorto e affascinante,
popolato da creature bizzarre, come
quelle illustrate nel bellissimo
artwork. Nell’era del mando-avantivelocemente-che-se-non-mi-piace-locancello, i Cult of Luna ci dimostrano
ancora una volta che per fare buona
musica bisogna essere almeno in due:
chi suona e chi ascolta.
Affollata, caotica, anarchica,
interrazziale Milano. Il commissario
Camporosso, il Gatto, il Pugile e il
Brucia compongono la variegata
compagnia che ha il compito di
risolvere il caso del Kontenitore, il
centro sociale distrutto da un
incendio in cui un giovane
anarchico ha perso la vita. Lo
sconclusionato filo delle loro
indagini li porterà a vagare tra nazi,
rumeni, punkabbestia e ultras, in
una Milano che, in quanto a
violenza, non ha nulla da invidiare
ai sobborghi delle sue pari
americane. Seguendo gli indizi in
cui lentamente inciampano, i
personaggi si troveranno incastrati
in una storia più grande di quanto
immaginavano, e in una serie
interminabile di risse, rivolte e
disordini urbani, offrendo così
spunti per un’imprevista analisi
sociale che, per quanto a volte
semplicistica, scuote il lettore. In
questo Milano è un’arma,
l’esordiente Francesco Gallone
mescola ingredienti familiari (fin
troppo) con ambientazioni alquanto
originali. L’intento surreale del
romanzo viene spesso contaminato
dall’impulso realista del “giallo”,
anche se resta strettamente legato a
diversi clichè del romanzo di genere,
dando così un’impressione simile a
quella offerta da un buon dipinto
rattoppato con giunture
improbabili. Il risultato è un noir in
cui si sente il lavoro della mano
inesperta, ma promettente. Un libro
che sa di fumetti, kebab, malavita e
action movies, ma che tradisce parte
delle aspettative iniziali, pur
regalando al lettore una storia a
tinte forti senza dubbio sopra le
righe.
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