Il confine Turchia-Grecia e la legislazione turca sull`asilo, fra
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Il confine Turchia-Grecia e la legislazione turca sull`asilo, fra
Il confine Turchia-Grecia e la legislazione turca sull’asilo, fra accoglienza e prigioni Sara Prestianni, Rete Migreurop La frontiera greco-turca La frontiera del paradosso, tra un paese europeo, la Grecia, che tende al rafforzamento del controllo degli ingressi, in linea con i dettami delle politiche europee e un paese di prima frontiera, la Turchia, geograficamente strategico per l’accesso sul territorio europeo, con i suoi 7200 Km di costa, crocevia delle rotte dall’Asia verso l’Europa, dal sud verso il Nord, vicino a paesi in conflitto. La Turchia é attualmente sia paese d’emigrazione sia di transito che di destinazione delle rotte migratorie e quindi d’installazione. Sono prevalentemente due i gruppi che transito per il territorio turco nell’obbiettivo di raggiungere l’Europa attraverso la Grecia e la Bulgaria : Irakeni, Iraniani e Afgani, attraverso la frontiera iraniana, ma anche molte persone in provenienza d’Africa subshariana. I dati sul transito dei migranti sul territorio turco non sono chiari e spesso contrastano tra loro, se da un lato le autorità dichiarano che tra il 2000 e il 2006 sono stati intercettati tra 60 000 e 100 000 migranti l’anno (di cui 94 000 nel 2005), l’OIM parla piuttosto di 200 000 l’anno. Il solo dato certo é l’aumento, negli ultimi anni, della presenza di migranti subsahariani, che in passato preferivano altre rotte, in direzione della Spagna e dell’Italia. Il motivo di quest’aumento è prevalentemente attribuibile al cambio delle rotte dell’immigrazione, l’aumento della durata del transito e alla moltiplicazione dei prezzi per le traversate che obbligano delle tappe più lunghe nei paesi di confine. Alcuni migranti arrivano via terra, attraversando la frontiera che separa il Libano dalla Siria, altri in aereo poiché riescono ad ottenere più facilmente il visto per la Turchia piuttosto che per i paesi europei. Per altri la rotta che li porta verso la Turchia é spesso un’imposizione più che una scelta, trovatosi sulle carrette del mare partite dalla Libia e convinti di arrivare in Italia, sbarcano invece sulle coste turche per un errore di traiettoria o per sfuggire ai controlli. Una volta arrivati sul territorio turco i migranti tentano quindi il passaggio in Grecia, sia attraverso la via marittima che quella terrestre. La via marittima é sicuramente quella più pericolosa, Fortresseurope (http://fortresseurope.blogspot.com/) denuncia che 766 persone sono morte a questa frontiera, di cui almeno 402 sono dispersi. Numerose sono le testimonianze delle tragedie che incombono in questo tratto di mare, verso le isole greche di Hiyos, Lesvos, Samos, Kos e Rodi. I gommoni che affondano a causa delle forti correnti, gli spari della polizia greca che cerca di allontanarli dalle coste, sono le immagini ricorrenti nei racconti dei migranti che traversano questa frontiera. L’alternativa è il guado del fiume Evros, verso nord. I migranti vengono portati nella foresta e li accompagnati dai trafficanti per un lungo tratto impervio di montagne e vallate. Questo tratto di frontiera è tristemente noto per i campi di mine, installate dopo la crisi diplomatica con Cipro nel 1974, che hanno provocato la morte di 88 persone. La maggior parte di coloro che arrivano ad attraversare la frontiera sono catturati e “riaccompagnati” in Turchia, spesso incarcerati a tempo indeterminato nelle prigioni per stranieri, meglio conosciute come “guest house”. Le espulsioni sono teoricamente giustificate degli accordi di riammissione, firmati dai due paesi nel 2001, ma nella pratica tutte le operazioni di respingimento alle frontiere avvengano nella più totale arbitrarietà, secondo il clima politico internazionale del momento. L’influenza delle politiche europee nella gestione dell’immigrazione in Turchia Le relazioni tra Turchia e Unione Europea cominciano nel 1963, con gli accordi di Ankara, che già preconizzavano una prospettiva d’integrazione nell’UE. La candidatura ufficiale della Turchia a far parte dei paesi dell’Unione arriva però solo nel 1999. Una candidatura costellata di dubbi, primo tra tutti il rispetto effettivo dei diritti umani in Turchia. Il dibattito attorno all’adesione della Turchia è particolarmente acceso dal 2000, momento in cui la questione dell’immigrazione diventa un argomento contro l’adesione: si tema una intensificazione delle migrazioni dei Turchi verso l’Unione Europea. Nel percorso di gestione delle politiche migratorie della Turchia si può notare una chiara influenza dell’Unione Europa, che tende, cosi come per altri paesi quali il Marocco, la Libia e l’Ukraina, ad esternalizzare il controllo delle sue frontiere. Si possono identificare varie fasi dell’applicazione di una politica di chiusura delle frontiere da parte della Turchia. Negli anni novanta la questione dell’adesione è ancora marginale e la Turchia, in un contesto di generalizzata chiusura dei sistemi legislativi d’immigrazione, porta avanti una politica poco restrittiva, soprattutto per quanto riguarda gli ingressi, permettendo ai cittadini di 51 paesi d’ottenere i visti direttamente negli aeroporti turchi. Non bisogna però dimenticare che dietro ad una politica aperta della gestione delle frontiere c’è anche una volontà di sviluppare delle relazioni commerciali con la Russia, l’Arabia Saudita, i paesi del Maghreb e dell’Africa subsahariana. A partire dall’inizio del 2000, in concomitanza con l’evoluzione delle relazioni Unione Europa/Turchia, si nota un reale cambio della gestione interna delle frontiere. Da un lato l’Unione Europea desidera che sia elaborata un politica comune d’immigrazione, dall’altro lato i flussi di migranti in provenienza del continente africano e d’Europa dell’Est si dirigono sempre di più alle frontiere orientali dell’Europa. In questo contesto l’Unione Europa comincia a fare delle pressioni sulla Turchia affinché eserciti un controllo più incidente dei flussi in transito per il suo territorio. Con la firma degli accordi d’adesione all’Unione Europa nel 2001 e l’apertura delle negoziazioni ufficiali nel 2003, L’UE dispone, a partire da questo momento, d’un quadro legale che gli permettra di fare delle pressioni sulla Turchia affinché adotti delle misure restrittive nell’ambito dell’immigrazione e dell’asilo. Attualmente per quanto riguarda l’immigrazione, la Turchia si trova ancora in un periodo di transizione, non ci sono dei testi che permettano di avere delle politiche chiare, per esempio non esiste alcuna legislazione chiara che fissi il tempo limite di detenzione dei migranti nelle prigioni. La gestione dell’immigrazione è attualmente completamente arbitraria, influenzata dei casi specifici e dal rapporto di forza che la Turchia ha con l’UE. Se da un lato la Turchia sembra cedere alle volontà dell’Unione Europea per quanto riguarda la gestione delle frontiere e il “burden sharing”, dall’altro lato risulta essere reticente su altri fronti quali l’asilo e i visti. L’equilibrio è instabile e lo dimostra il fatto che nel 2005 l’ Unione Europea propone un piano d’azione congiunto della durata di sette anni che permetta di regolare la gestione dell’immigrazione e la Turchia continua tutt’ora a porre delle condizioni per la sua applicazione. Se entro il 2002 e il 2005 la Turchia firma numerosi accordi di riammissioni quello con l’Unione Europea non è ancora stato firmato. Anche sull’asilo la negoziazione sembra non trovare una soluzione a breve termine perché in cambio dell’eliminazione della clausola geografica che limita l’accesso alla protezione internazione ai soli cittadini europei, la Turchia reclama di beneficiare dei fondi europei per l’accoglienza ai rifugiati e per il rafforzamento delle frontiere all’Est, così come un forte supporto monetario per l’acquisto di materiale per la detenzione di falsi documenti oltre che a dei programmi per il ritorno volontario. La procedura d’asilo in Turchia In questo contesto politico di continue negoziazioni la Turchia è diventata una reale anticamera dell’Europa per molti richiedenti asilo e migranti in transito verso la Grecia e la Bulgaria. Per capire la portata dell’asilo in Tuchia basta pensare che nel 2005 sono state deposte 7000 domande di protezione internazionale, di cui il 40% da parte di cittadini Iracheni, il 37 da Iraniani, l’8%da Afgani e un altro 8% da Somali. La Turchia, avendo firmato la Convenzione di Ginevra, ma con la clausola che sia applicata solo ai cittadini europei, impone una doppia procedura ai richiedenti asilo. La domanda è esaminata dall’ACNUR che, in caso di risposta positiva, procede alla reinstallazione, ma le autorità turche (Ministero dell’Interno) esaminano parallelamente la domanda alla scopo di rilasciare un permesso di soggiorno provvisorio per il tempo necessario alle pratiche burocratiche. La procedura d’asilo resta quindi nelle mani dell’ACNUR ma i tempi sono lunghissimi e vanno fino a tre anni per avere una prima risposta senza che in alcun momento i migranti possano usufruire di un sostegno economico e di un aiuto per l’inserzione nel mondo del lavoro. Il fatto di registrarsi alla polizia significa essere assegnato a residenza in una delle 28 città satelliti in Anatolia, lontano dalle metropoli e da eventuali possibilità di lavoro. Durante le procedure di registrazione alla polizia i migranti sono schedati, fotografati e vengono prese loro le impronte digitali. La paura di essere identificati, il fatto che una parte della famiglia non viva nella città satellite in cui sarebbero assegnati a residenza e che le sole opportunità di lavoro, per quanto precarie e mal pagate, siano a Istanbul e Ankara, spinge molti richiedenti asilo a non registrarsi e quindi a vivere illegalmente in Turchia. La legge sul soggiorno degli stranieri prevede, all’articolo 23, 17 e 25, delle pene da un mese a due anni per i richiedenti asilo che non sono registrati presso le autorità ministeriali turche. Le prigioni turche sono piene di richiedenti asilo che non sono registrati alla polizia ma che sono in regolare procedura di richiesta di protezione internazionale presso l’ACNUR ma anche di potenziali richiedenti asilo che preferiscono raggiungere il territorio europeo per richiedere la protezione internazionale e che sono bloccati alla frontiera. L’instaurazione del principio d’assegnazione a residenza va contro tutti i principi d’integrazione sia perché la scelta della città è fatta dalle autorità e non dal migrante secondo i legami familiari o le necessità di lavoro, sia perché che il richiedente asilo è obbligato a rendersi almeno due volte alla settimana in polizia per dimostrare di non essere partito e in caso volesse allontanarsi anche solo per un giorno è obbligato a chiedere l’autorizzazione. Le prigioni turche Gli stranieri trovati in situazione irregolare sul territorio turco possono essere condannati a delle pene di prigione secondo gli articoli 4/34/35 della “Legge sui Passaporti”, del 15 luglio 1950. Per il passaggio illegale delle frontiere sono previsti da un mese a sei mesi di detenzione. La legge sul soggiorno n° 5683 prevede la detenzione da un mese a due anni per il richiedente asilo che non rispetta l’assegnazione a residenza pronunciata dal Ministero degli Interni. In pratica la maggior parte delle persone che si trovano nelle prigioni per stranieri turche non sono detenute sulla base giuridica di queste leggi, ma per detenzione amministrativa in vista dell’espulsione dal territorio turco. Nella maggior parte dei casi i migranti sono stati arrestati mentre cercavano di passare il valico della frontiera greca o durante le retate nelle vie di Istanbul. L’assenza di una base giuridica per la detenzione porta ad una totale arbitrarietà delle procedure, sia per quanto riguarda il tempo della detenzione che risulta essere legato a fattori esterni, quali la corruzione dei poliziotti o le espulsioni, sia per il fatto che raramente il migrante può avvalersi dell’assistenza giuridica e del passaggio in tribunale. Gli stranieri per cui la procedura d’espulsione risulta difficile, come nel caso della maggior parte degli Africani, vengono liberati quando le prigioni sono saturate per permettere ad altre persone di essere detenute! Alla totale arbitrarietà delle procedure si aggiunge una mancanza d’accesso d’informazione proveniente dall’esteriore e una quasi totale assenza d’assistenza legale. Le numerose testimonianze dei migranti, uomini, donne e minori, detenuti nelle prigioni Turche parlano di condizioni degradanti di vita dovute alla mancanza d’igiene, al sovraffollamento, spesso si trovano in 15-20 persone in celle minuscole costretti a dormire al suolo. La mancanza di cibo, le violenze e la corruzione degenerano delle condizioni di detenzione già complesse. Durante la visita alla prigione d’Ismir, il delegato ACNUR di Ankara, nonostante l’importanza di mantenere buoni rapporti con il Ministero degli Interni, non aveva potuto evitare di lamentare le cattive condizioni di vita del centro dovute alla mancanza di aerazione, di spazio e d’igiene. Ma non sempre sono le prigioni in cui i migranti passano dei mesi incarcerati, a volte una semplice questura o locale di polizia può trasformasi in locale di detenzione, generalmente nella zona di frontiera con la Grecia e la Bulgaria. RACCONTO DI UNA TRAVERSATA Le récit d'un iraquien qui raconte ses trois tentatives de passage de la frontière grecqueturque et l'enfermement dans les centres de rétention turque. A travers son récit des éléments pour comprendre la situation à la frontière terrestre qui sépare la Grèce de la Turquie, les migrants qui continuent à mourir dans l'oubli, les politiques turques en matière d'immigration visées au refoulement des iraquiens, les conditions de vie des prisons turques et les quartiers de l"'attente à la traversée" à Istanbul. Paris, 6 octobre 2007 Fahadi, le nom qui a toujours donné aux policiers turcs en se faisant passer par palestinien, a quitté Bagdad en juin 2007, à l’age de 35 ans. Il a pris un avion jusqu’en Syrie, de là, avec un billet d’avion et un visa acheté en une agence de voyage pour 1000 dollars, s’est rendu en Turquie. En suivant les conseils des amis iraquiens est arrivé à Haxaray, quartier central d’Istanbul. Est là que la communauté iraquienne attende le passage vers l’Europe, dans des bâtiments où hommes, femmes et enfants vivent, par 10, en chambres de 5 mètres carrés. Là ils rencontrent les trafiquants, pour la plus parte des kurdes, contractent prix et modalités du voyage et attendent le départ. Fahadi m’explique que le choix du passeur est une question de confiance. Généralement sont des amis à qui est réussi la traversé qui conseillent le nom de leur passeur. Le fait d’avoir déjà fait arriver des personnes en Europe est une garantie de confiance. Les candidats au départ donnent 6000 dollars dans les mains du passeur qui promette de ne les encaisser que quand ils seront en Europe, si le voyage réussi. Fahdi attend un mois et demi, parce que les passeurs ne seraient pas partis avant avoir regroupé 500 personnes. Ils partent une nuit de fin juillet, en 8 bus, ils sont 500 : 20 turcs, 30 afghans et 450 iraquiens, dont 130 femmes, 75 enfants (âgés de quelque mois, d’un, deux, trois ans) et 300 hommes. Avec eux 4 passeurs et les 5 chauffeurs de bus. Après trois jours de voyage entre montagnes et vallées, l’autobus, dans la nuit, s’arrête. Les trafiquants, en les poussant et en craint comme si doivent faire sortir des vaches d’une ferme, les font descendre des bus et, couteaux à la main, les conduisaient entre les vallées et les forets. Ils marchent pendant trois heures, en courrant. Ceux qui ne tiennent pas le rythme sont laissés arrière, avec le risque de se faire attaquer par les loups et les animaux qui vivent dans le foret.