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Abstract Convegno Internazionale “MODA CRITICA”
Univerità Cattolica del Sacro Cuore, Milano, 7- 8 Maggio 2009
Emilia Smiderle, docente a contratto presso IED Moda Lab Milano e Mis, Moda, Italian Style.
5. La moda dell’usato: Il second-hand come forma di rispetto dell’ambiente, come scelta di sobrietà e di
anticonformismo? Il Vintage: creatività e riciclo.
Controcultura o fenomeno di tendenza?
In molte occasioni, e nei viaggi relativi ai miei studi svolti in merito alla interazione fra arte e moda, ho potuto respirare il “profumo
del tempo” attraverso gli abiti vintage.
Il vintage come tendenza, ha saputo infatti resistere alla globalizzazione dello stile, alle imposizioni delle scelte commerciali dei
grandi marchi, facendo crescere un fenomeno di democratizzazione dei consumi. Alla fine degli Anni 90, il vintage si è poi evoluto
in quel fenomeno collettivo che ha interessato tutti gli strati sociali, rimescolando con nuovi linguaggi estetici, il passato con il
presente, il costoso con l’economico, aprendo un percorso che conduce alla più completa libertà espressiva nell’elaborazione di un
proprio stile personale.
La Factory di Andy Warhol a New York aveva negli Anni 60 già captato questa tendenza. Infatti le eccentriche personalità che
l’animavano, inventavano look alternativi ma di forte impatto con abiti di second-hand e vintage. Nei primi tempi probabilmente per
far fronte alla condiziona economica, ma poi successivamente con veri intenti espressivi di comunicare con la propria immagine.
Andy rappresentò nei suoi dipinti tutto il mondo dello star-system, consolidò nell’arte quelle icone mediatiche, che avevano saputo
imporre con le loro scelte individuali, mode e stili. Utilizzare abiti usati o preziosi capi unici del passato si inserisce in un vero
percorso performativo teso alla ricerca di nuove identità personali e sociali, volto a creare un autentico fenomeno culturale che
attinge sia alle culture popolari della strada come allo stesso tempo dal jet-set. New York, Parigi e Londra diventano così teatro di
continui fermenti creativi e la dimensione arte-vita dell’artista si fonde inesorabilmente in nuovi linguaggi di comunicazione.
In questa condizione trasversale e articolata si inseriscono i miei studi sulla storia della moda e la mia ricerca artistica iniziata nel
mio soggiorno a Londra mediante una collaborazione come volontaria con Oxfam, proprio nell’ambito del second-hand.
In Inghilterra questa associazione, tramite la raccolta di abiti usati permette a tante persone in difficoltà, di potersi inserire
dignitosamente nel tessuto sociale, infatti gli spazi Oxfam sono concepiti come veri negozi fashion, in armonia con l’area del
territorio che li ospita. Gli stimoli derivati da questa esperienza sono stati molto intensi, nello stesso periodo si sono incrociati risvolti
etici, ecologici, multiculturali ed estetici. Ho utilizzato la fotografia come strumento di indagine e rielaborato una serie di immagini che
successivamente sono state esposte in due mostre a Milano curate dalla galleria Luciano Inga-Pin, luogo ambientativo della Body Art.
I temi trattati hanno coinvolto gli aspetti della moda alternativa e dei luoghi tipici dei vari mercati dell’usato, formulando talvolta una
visione surreale dei paesaggi metropolitani. Arte, Moda e comunicazione, grazie alla potenza ed alla rapidità della tecnologia
ottengono un forte impatto mediatico, che si traduce in efficace messaggio etico a livello globale.
In Italia il vintage, si inserisce fra tradizione ed innovazione, diventando una costante in molte famiglie. Io stessa sono stata abituata
in modo molto naturale ad indossare da sempre abiti e accessori che sono appartenuti ai miei, lo consideravo come un rito affettivo
che si può inserire anche con l’accostamento di elementi moda attuali.
Questa nuova tendenza può quindi diventare una proposta alternativa o di integrazione al total look di un singolo brand, suggerire
nuovi sviluppi estetici ai patinati modelli femminili proposti dai giornali, evitare di avere il medesimo abito in un occasione
importante. Ma il vintage non consiste solo nell’indossare un abito usato di buona esecuzione, può avere un significato molto più
complesso che riguarda lo stile del trucco, dei capelli, la “silhouette” del corpo, elementi caratteristici di un’epoca storica. Può essere
vintage anche una linea ispirata allo stile di Liz Taylor, Sophia Loren, Grace Kelly, Audrey Hepburn, Jackie Kennedy. E’ in tal modo
possibile mescolare e creare concetti molto interessanti, inventandosi uno stile unico. Il confronto globale, la comunicazione istantanea ed
i viaggi low-cost hanno permesso che sia a New York, Parigi, Londra e Milano si possano vedere e comprare più o meno gli stessi abiti e
accessori, annullando quindi quella determinata costruzione artigianale riconducibile ad un luogo preciso.
Gli abiti vintage sono intesi come capi unici di qualità superiore, perché rappresentano un particolare periodo o, in quanto realizzati a
mano con le tecniche tipiche dell’Haute Couture. Lo stesso vale per gli accessori che, con la loro storia e meticolosa esecuzione si
sono trasformati in autentici pezzi di design. Affiancate alle evoluzioni del gusto, la tutela dell’ambiente impone politiche di riciclo
dei prodotti di uso e consumo, con un’esigenza di individuare nuovi metodi produttivi per capi più durevoli ed in armonia con
l’ambiente. Indubbiamente la ricerca tecnologica correlata alla moda, con la sperimentazione di nuovi materiali ecologici, potrà
diventare una chiave strategica per l’evoluzione etica e qualitativa del Made in Italy.
Riferimenti bibliografici
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Emilia Smiderle
“Notting Hill”, Londra, 2007
cm 50 x 70
N. 5 Esemplari
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