“Adolèscere”, crescere. L`adolescenza rappresenta una fase di

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“Adolèscere”, crescere. L`adolescenza rappresenta una fase di
La parola adolescenza deriva dal latino “Adolèscere”, crescere. L’adolescenza
rappresenta una fase di transizione segnata da profondi e continui cambiamenti e
quindi da incertezze, paure e cedimenti. Spesso, a torto, si dice che l’adolescente è
allo stesso tempo un bambino ed un adulto; in realtà egli non è più un bambino e non
e ancora un adulto ed è proprio questo duplice movimento - rinnegamento
dell’infanzia da una parte e ricerca di una nuova identità stabile di adulto dall’altra che costituisce l’essenza stessa del turbamento adolescenziale. Al disorientamento
vissuto da ogni adolescente, fa eco quello vissuto dai suoi genitori. Nelle consultazioni
cliniche si ha, spesso, l’impressione che l’adolescenza dei figli sia vissuta dai genitori
come un “giro sulle montagne russe”: una corsa composta da sofferenze, conflitti,
punti di arresto o movimenti rapidi e contraddittori, che non può essere fermata ed
alla quale si assiste con preoccupazione, dolore ed, a volte rassegnazione. “ Che
ragazzo/a diventerà, ce la farà, finirà la scuola, andrà all’università?” sono gli
interrogativi che muovono le angosce dei genitori di ogni adolescente. L’adolescenza
rappresenta, sempre, un punto nodale nel ciclo di vita dell’intera famiglia, un vero e
proprio banco di prova tanto per il ragazzo che per i suoi genitori, che sentono messa
in profonda discussione la loro stessa funzione genitoriale. L’adolescenza, infatti,
richiede ai ragazzi, innanzitutto, una ristruttrazione profonda della propria identità,
anche attraverso una rinegozziazione dei legami sociali ed affettivi, in primo luogo
con i propri genitori. Il rapporto genitori-figlio, diventa -in questo periodo- il luogo di
scambi emotivi intensi e conflittuali: I desideri di autonomia, il nuovo bisogno di
segretezza e le alzate di testa possono rappresentare vere e proprie ferite inflitte al
rapporto. Da una parte c’è un ragazzo, che attraversa molteplici e profondi
mutamenti: nella sfera della propria identità, grazie anche all’acquisizione di nuove
capacità cognitive; nella sfera fisica e sessuale, è il periodo dello sviluppo puberale e
nella sfera delle relazioni e del rapporto con la comunità, compaiono all’orizzonte
nuove figure di riferimento con le quali confrontarsi. Dall’altra ci sono i genitori, che
all’interno di questo processo attraversano momenti dolorosi caratterizzati dall’acuta
sensazione di stare perdendo il loro amato bambino. Entrambi, genitori e figlio sono
in ansia; entrambi vivono un disorientamento; entrambi hanno la necessità di
trasformare il rapporto da adulto-bambino ad adulto-adulto. I compiti di sviluppo
tipici del percorso di ogni adolescente (il processo di separazione e soggettivazione e
la costruzione dell’identità) possono assumere una qualità affettiva diversa quando si
intrecciano con una storia di adozione, rendendo il processo adolescenziale ancora
più complesso tanto per il ragazzo adottato che per i suoi genitori. Nei ragazzi
adottivi, più che in altri, possono permanere molto forti i bisogni di vicinanza e di
attaccamento e le spinte verso l’autonomia o le richieste che possono arrivare
dall’ambiente in questo senso, possono riattivare vissuti di abbandono, accompagnati
da stati depressivi o di rabbia. Il conflitto avvertito nella tensione tra questi due
bisogni può creare, poi, messaggi contrastanti, una sorta di "Lasciami solo, ma non mi
lasciare veramente". E’ importante, allora, che i genitori siano in grado di incoraggiare
l’indipendenza, restando tuttavia accessibili come fonte di supporto emotivo, quando
questo risulti necessario. I cambiamenti corporei e l’entrata in gioco della sessualità
possono, inoltre, rilanciare interrogativi e fantasie riguardo la propria
nascita, costringendo i ragazzi (ed i loro genitori) a maneggiare ancora una volta, il
tema della differenza e della doppia appartenenza. Il proprio corpo, specie se i ragazzi
hanno i caratteri somatici di un'altra etnia, può essere rifiutato, svalutato, attaccato o
nascosto, anche perché segnala la differenza e può essere ritenuto dai ragazzi, la
causa stessa della mancata integrazione all’interno della famiglia e della comunità.
Gli interrogativi tipici dell’infanzia sulla propria origine (“Da dove vengo?”), sulle
motivazioni dell’abbandono ( “cosa avevo di così sbagliato per non avermi voluto?”) e
sul perchè della nuova famiglia (“Perche mi avete preso?”) si ripropongono adesso
con modalità più drammatiche. I ragazzi - impegnati in un processo di ridefinizione
della propria identità -vivono con angoscia il non essere più ciò che sono stati ed il
non sapere ancora ciò che diventeranno.L’adolescente adottivo, in più, ha la
necessità di confrontarsi con 4 genitori ( “chi sono rispetto alla famiglia che mi ha
adottato?” “chi sono rispetto alla mia famiglia di origine?”); in questo periodo, più che
in altri, possono essere chiamati in gioco i genitori di origine, con quello che si
conosce o si immagina di loro. Affermazioni come: “voi non siete i miei genitori!”, o
“ho avuto una cattiva sorte nell’essere stato adottato da voi...”, o anche “mia madre
naturale mi avrebbe compreso!”, possono essere detti con voce drammatica
dall’adolescente e far sentire i genitori dolorosamente sotto scacco. Non è raro che i
ragazzi compiano dei veri e propri viaggi, sia materiali che spirituali, all’interno della
cultura di origine, dello stile di vita e dei valori noti o presunti che le attribuiscono. A
volte, la paura di poter assomigliare ai genitori di nascita dello stesso sesso per quel
che si sa o si immagina di negativo si può trasformare in una vera e propria fuga verso
un’ identificazione selvaggia, che metta al riparo dall’angoscia di non sapere chi si
diventerà.
Il fatto che nelle storie dei bambini adottati e dei genitori adottivi il trauma, il dolore e
l’imprevedibilità degli eventi hanno avuto generalmente una grande parte, aggiunge
un ulteriore livello di complessità e l’adolescenza può andare a risvegliare alcuni punti
dolenti, specie se non sono ancora stati elaborati a sufficienza. E’, infatti, proprio nella
fase adolescenziale che la famiglia tutta è impegnata nel grande ed, a volte, faticoso
lavoro che comporta la rielaborazione della propria storia di famiglia adottiva. I
genitori adottivi possono incontrare così, al di là delle difficoltà proprie del periodo
dell’adolescenza, questioni specifiche dovute all’adozione. Il fatto di non essere i
genitori biologici del loro figlio, per esempio, può far si che la legittimazione della
filiazione passi attraverso la trasmissione del sistema dei valori di cui la famiglia si
sente portatrice: Il figlio che discute con forza su questi valori, può aprire uno spazio
alle “fantasie del cattivo sangue”, ovvero alla fantasia che questo sia dovuto ad una
cattiva eredità genetica. Oppure genitori adottivi che non sono riusciti a leggittimarsi
nel proprio ruolo, possono mostrarsi particolarmente vulnerabili agli attacchi che
generalmente gli adolescenti compiono a questa età. Accade spesso che , in questo
periodo, i sentimenti ambivalenti in relazione all’adozione vengano a galla, e quando
non sono stati sufficientemente elaborati, possano impedire alla coppia genitoriale,
che non si senta confermata nel proprio ruolo, di affrontare con tranquillità e lucidità i
momenti di turbolenza dell’adolescente adottivo, andando a comprendere quello che
realmente sta angosciando il figlio. E’ importante- come suggerisce Chistolini - “che lo
sguardo dell’adolescenza non sia catturato unicamente dagli aspetti critici, ma sappia
cogliere le non poche risorse che i ragazzi, le ragazze e le loro famiglie sono in grado
di mettere in campo, in una prospettiva evolutiva che colloca questo stadio della vita
in un percorso più ampio che offre numerose occasioni di recupero e cambiamento.
In questa accezione l’adolescenza adottiva non è una malattia da curare, quanto un
periodo nel quale è importante accompagnare e sostenere genitori e figli affinché i
cambiamenti che l’attraversano siano correttamente gestiti e diano luogo a
trasformazioni evolutive.” L’adolescenza dei figli adottivi, con il suo portato relativo al
tema dell’identità ed delle origini, è, infatti, in grado di mettere a dura prova le
relazioni su cui si fonda la famiglia adottiva. Risulterà, allora, molto importante
preparare i futuri genitori adottivi, ed accompagnare i genitori che hanno già accolto
un figlio mediante l’adozione, a costruire e a mantenere aperto uno spazio
comunicativo, all’interno del quale il figlio potrà trovare negli anni, in un cammino
spesso non lineare, un sempre rinnovato punto di equilibrio tra le due dimensioni
indelebili della propria condizione adottiva (origine e nuova appartenenza), tra il suo
presente ed il suo passato.
L’esperienza ci ha insegnato che una buona adozione e’ direttamente legata alla
capacità della famiglia adottiva (genitori in primis, ma anche famiglia allargata e
comunità tutta) di accogliere compiutamente il loro figlio, di accompagnarlo in un
continuo processo di rielaborazione della propria storia e dei traumi subiti,
accogliendo e valorizzando i ricordi e le domande che egli porrà loro, e prima ancora
facendolo sentire libero di chiedere e di comunicare frammenti di ricordo o di
fantasie, di esprimere emozioni e sentimenti, per ricomporre gradualmente i capitoli
della sua storia. La disponibilità da parte dei genitori adottivi a mantenere un’apertura
meta familiare, infatti, è condizione indispensabile perché sia possibile sintonizzarsi
affettivamente con il figlio, sia quando il suo bisogno sembra quello di distanziare
l’origine biologica, sia quando, al contrario, l’esigenza del figlio sembri di segno
opposto. Come ci avverte David Chamberlain “ la verità è che molto di quello che
abbiamo tradizionalmente creduto dei bambini è falso. Abbiamo frainteso e
sottovalutato le loro capacità. Non sono esseri semplici, ma complessi e senza età,
con pensieri insospettabilmente grandi”. Non è raro, invece, che la
famiglia esplodaproprio quando è costretta a confrontarsi nuovamente con il tema
delle origini dei loro figli, assistendo con dolore muto alla confusa ricerca di identità
di alcuni ragazzi, che sembrano navigare a vista sotto un cielo coperto perennemente
di nuvole. Spesso accade che, anche quando i genitori si siano resi disponibili, in
precedenti fasi dello sviluppo, a raccontare al proprio figlio tutto ciò che sapevano sul
loro passato, il desiderio di sapere si faccia ugualmente strada. Del resto, sappiamo
che la narrazione della storia adottiva, non si esaurisce in un mero passaggio di
informazioni fattuali, né costituisce un evento puntuale nel tempo. Esso rappresenta,
piuttosto, un processo attraverso il quale sostenere il desiderio di comprensione, che
-da parte dei bambini- può riaffiorare più e più volte durante la crescita, man mano
che l’evoluzione cognitiva pone le stesse questioni in modo diverso, e “il noto diventa
nuovo” (Bozzo & Cavanna, 1994). Ad oggi, poi, è sempre più probabile che un ragazzo
che non ha avuto le risposte che cercava o nutre ancora una forte curiosità rispetto
alla sua famiglia di origine si rivolga ad internet, con l’aspettativa di trovare soluzione
alle sue domande nel web.Una ricerca condotta dal’Ipsos per Save the Children su di
un campione composto da ragazzi tra i 9 ed i 16 anni, ha messo in evidenza come la
quantità di ragazzi italiani che posseggono uno smartphone (90%) od un tablet (71%)
sia in continua crescita. Grazie a smartphone e tablet, che sono sempre più diffusi a
scapito di tecnologie come i lettori mp3 e le webcam, ormai integrate nei dispositivi di
nuova generazione, i nostri adolescenti sono connessi da qualsiasi luogo e in qualsiasi
momento della giornata. Tanto più che le nuove generazioni hanno comportamenti
sempre più flessibili nell’utilizzo delle nuove tecnologie, poichè la connessione
mobile, ovvero quella wifi o con un abbonamento internet da cellulare è in costante
crescita. Le “relazioni sociali” sono protagoniste delle loro interazioni: sono sempre di
più i ragazzi che utilizzano Whatsapp, cresce l’utilizzo di Instagram e diminuisce la loro
presenza su Facebook (75% nel 2015, 12 punti in meno dal 2013), anche se tra gli
adolescenti sono ancora molti a usarlo. Tra quelli che hanno un profilo sul più
popolare dei social network, il 39% degli intervistati afferma di essersi iscritto a 12
anni, avendo invece dichiarato, al momento dell’iscrizione, di averne 18. Altro dato
significativo è che più di uno su tre (36%) asserisce , inoltre, di non aver scelto un
livello di privacy “ristretto” sul proprio profilo. I giovani italiani intervistati, infatti,
usano WhatsApp (59%) e Instagram (36%) e pur conoscendo abbastanza bene le
regole che governano la privacy nella Rete (51%), non se ne preoccupano più di tanto
(57%). Gli adolescenti di oggi, hanno dunque a disposizione uno strumento con
grandi risorse, ma anche potenzialmente pericoloso se non si è accompagnati ad
usarlo in maniera corretta. L’avvento dei social network e di Facebook come
strumento sempre disponibile nella nostra quotidianità, ha reso relativamente facile
per i ragazzi adottati stabilire, in segreto, un contatto con la propria famiglia di
origine. Non possiamo non considerare che l’esplosione delle nuove tecnologie della
comunicazione ha, di fatto, annullato le barriere e le distanze, ed è destinato a
cambiare, forse per sempre, il modo stesso di pensare e di vivere l’adozione.
L’adozione ai tempi di Facebook pone nuove sfide a genitori, ragazzi ed operatori.
Questo cambiamento, che ci proietta in una società dalle comunicazioni sempre più
veloci ed istintive, ha da poco avviato anche in Italia una riflessione sulle conseguenze
sociali, culturali e politiche che si avranno sul mondo dell’adozione. Del resto, non si
può ignorare che, già oggi, le parti adottive si rintracciano ed entrano in contatto
sempre di più tramite i social network ed è ormai urgente e necessario preparare e
formare gli esperti e le famiglie adottive ai problemi che potrebbero essere legati
all’utilizzo di Facebook da parte dei loro ragazzi adottivi, per poter educare i loro figli a
fare un uso consapevole dei nuovi strumenti digitali.