ANALISI, PROPOSTE, PROGRAMMA

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ANALISI, PROPOSTE, PROGRAMMA
3° Congresso del PCL
DOCUMENTO 1 – POLITICO - ed EMENDAMENTI
INDICE:
DOCUMENTO POLITICO
Parte 1: Lo scenario internazionale
p. 2-10
Parte 2: La crisi italiana
p. 11-19
Parte 3: La proposta del PCL
p. 20-36
Parte 4: La linea di costruzione del PCL
p. 37-46
____________________________________________________________________________
EMENDAMENTI:
POL1: sostitutivo della parte 1 - Lo scenario internazionale (Carboni e al.)
p. 47
POL2: aggiuntivo a “Per una svolta nelle forme di lotta” (Carboni e al.)
p. 51
POL3: aggiuntivo a “La battaglia dei rivoluzionari nei sindacati” (Bacchiocchi)
p. 51
POL4: sostitutivo a parte di “La battaglia dei rivoluzionari nei sindacati” (Bacchiocchi)
p. 52
POL5: sostitutivo del capitolo “L'unicità del PCL e …” (Liverani, Canfarini e al.)
p. 53
POL6: “Per un metodo leninista nel rapporto con le elezioni” (Liverani, Canfarini e al.)
p. 54
POL7: aggiuntivo a “Rafforzare il lato politico del nostro intervento di massa” (Doro e al.)
p. 56
POL8: “Il ruolo del PCL nell’emigrazione italiana” (Liverani, Canfarini e al.)
p. 56
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DOCUMENTO 1 – POLITICO - ed EMENDAMENTI
I PARTE: LO SCENARIO INTERNAZIONALE
[qui emendamento POL1, sostitutivo sino a p.10, testo a p. 47]
LA CRISI CAPITALISTA INTERNAZIONALE
Da ormai sette anni la crisi capitalista segna lo scenario mondiale. Per i suoi caratteri e
la sua durata, è la crisi più profonda che il capitalismo mondiale ha attraversato negli
ultimi 80 anni.
Questa crisi non è uniforme. Anzi si è retta su uno sviluppo ineguale e combinato: crisi in
Occidente, sviluppo a Oriente e nell'area Brics.
Tale contraddizione tuttavia non è statica. Lo sviluppo prolungato della Cina, come
l'ascesa dei paesi “neosviluppati” dell'Asia (India), dell'Africa (Sudafrica), dell'America
Latina (Brasile), ha parzialmente ammortizzato la crisi americana ed europea. Ma non è
stata in grado di riassorbirla e superarla in direzione di una ripresa reale dell'economia
mondiale. Viceversa, la crisi del capitalismo occidentale- che ha spostato il proprio
baricentro dagli USA all'Europa- si è riverberata sulle cosiddette “economie emergenti”,
producendo un rallentamento dei tassi di sviluppo della Cina e dell'India, e di riflesso
sull'intera area Brics (in particolare sul Brasile).
Oggi - contraddittoriamente - proprio il rallentamento dell'area Brics, unita alla recenti
ipotesi di restrizione della politica monetaria della FED (attualmente sospese), sta
provocando un parziale ritorno di capitale finanziario e investimenti nell'occidente
imperialista e in Giappone: ciò che da un lato può sospingere una loro limitata “ripresa”,
dall'altro aggrava ulteriormente la crisi dei Brics. Che a sua volta rischia di riverberarsi
sull'economia mondiale.
L'economia mondiale è dunque in una impasse instabile e contraddittoria. Che oggi non
delinea una prospettiva di reale ripresa complessiva. Ed anzi accumula nuovi fattori di
crisi.
Crisi capitalista e fattori storici
Il marxismo e l'intera esperienza storica mostrano che il ciclo capitalistico alterna
fisiologicamente crisi e riprese. La loro portata e il ritmo stesso della loro alternanza
tendono a variare nelle diverse fasi storiche del capitalismo. Ma si intrecciano anche con
fattori storici che trascendono il puro dato economico e che al tempo stesso incidono in
modo impressionante sulla stessa sfera dell'economia capitalista.
La grande crisi del 1929/33, e la sua ricaduta nel 1937, non furono “risolte” dal “normale
ciclo economico” e neppure dalle terapie Keynesiane del New Deal. Furono “risolte”
dalla seconda grande guerra imperialista. Che operò la distruzione concentrata e
radicale delle forze produttive in eccesso, creando le condizioni eccezionali di uno
sviluppo capitalistico trentennale.
La grande crisi capitalista di sovrapproduzione che oggi attraversa il mondo si confronta
anch'essa col quadro storico generale. Ben più che negli anni 30, non può essere
“risolta” e affrontata con l'espansione della domanda pubblica: a causa dello sviluppo
abnorme dell'indebitamento dei principali stati imperialisti; dell'esaurimento (da 40 anni)
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di quel boom economico post bellico che ne consentiva il riassorbimento; del peso
enormemente maggiore della spesa pubblica sul PIL, ereditato proprio dalla fase di
sviluppo post bellico.
Al tempo stesso non sono mature le condizioni di una terza grande guerra, radicalmente
distruttiva delle forze produttive eccedenti. Certo, si approfondiscono le contraddizioni e
tensioni internazionali, in particolare tra gli USA e la Cina, su un crinale che, in una
prospettiva storica, contiene la possibilità della guerra. Tuttavia appare improbabile una
precipitazione bellica generale a tempi brevi. Oggi il ricorso alla guerra è sicuramente più
problematico per le potenze imperialiste che in ogni altra epoca storica, per il livello
raggiunto dal potenziale distruttivo globale.
L'attuale impasse della crisi capitalistica internazionale si pone dentro questa cornice,
non solo strettamente economica.
Crisi capitalista e fenomeni connessi, economici e politici
L'impasse capitalista è tutt'altro che immobile. Al contrario sostiene dinamiche
importanti, economiche e politiche.
1) La perdurante sovrapproduzione mondiale, la nuova recessione in Europa
(2011/2012), il rallentamento dei “poli di sviluppo” (a partire dalla Cina) hanno alimentato
una nuova gigantesca bolla finanziaria: nutrita dalle politiche di “keynesismo finanziario”
a sostegno delle banche e dalle politiche “espansive” delle banche centrali (in particolare
della FED e della banca centrale giapponese). Questa nuova bolla ha una consistenza
superiore a quella che ha preceduto il crack del 2007/8. Coinvolge la stessa Cina. E’
strettamente connessa alla crisi bancaria. E rappresenta una mina vagante per l'intera
economia mondiale.
2) Recessione europea e rallentamento cinese producono nuove contraddizioni tra i
blocchi capitalistici. Incentivano politiche protezioniste in Europa contro la Cina (con la
significativa eccezione tedesca), e in Cina contro l'Europa. Sospingono la ricerca di
(faticosi) accordi di cartello tra USA e UE, mirati, in buona misura, contro la Cina. Hanno
alimentato le politiche espansive di USA e Giappone (acquisto massiccio di titoli e bond
da parte delle banche centrali, per svalutare debiti e moneta): politiche mirate - tra l'altro
- alla concorrenza anticinese su un mercato europeo ristretto dalla crisi, e alla
concorrenza anti europea su un mercato cinese rallentato. Favorendo al tempo stesso
sovrapproduzione e bolla finanziaria.
3) Nella lunga crisi, si acuisce il contrasto tra USA e Cina per la spartizione delle zone di
influenza. In Africa: dove la massiccia espansione del capitalismo cinese a caccia di
materie prime, indebolisce i tentativi di rilancio della presenza americana sul continente.
Ma soprattutto lungo la linea del Pacifico, nuovo punto di gravitazione del contenzioso
tra USA e Cina: un continente dove si sta sviluppando una “guerra di posizione” per
spostare a proprio vantaggio i rapporti di forza attraverso un sistema complesso di
accordi economici e/o pressioni militari. E dove le potenze intermedie e i soggetti terzi (a
partire dall'India) cercano di “usare” i due forni e la loro concorrenza in funzione del
proprio rafforzamento.
La contraddizione Usa/Cina. La crisi di direzione dell'imperialismo
Complessivamente la contraddizione tra USA e Cina si conferma come uno degli assi
della politica mondiale.
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L'imperialismo USA resta la principale potenza mondiale, ma aggrava la propria crisi di
ruolo politico internazionale. La vecchia linea Bush di sfondamento “imperiale” ed
espansionismo militare è clamorosamente fallita, a partire dal disastro dell'Irak e
dell'Afghanistan. La “svolta” dell’amministrazione Obama verso una politica di
concertazione internazionale sotto egemonia americana si è anch'essa risolta in un
sostanziale fallimento. A partire, clamorosamente, dalla zona strategica del Medio
Oriente.
La Cina ha rafforzato la propria posizione, sullo sfondo della crisi americana ed europea.
Ma è lontana dal disporre delle leve centrali di una possibile egemonia alternativa
globale. E vede acuirsi tutte le contraddizioni del suo impetuoso sviluppo. Sul terreno
economico (crisi delle esportazioni connessa alla recessione europea, bolla immobiliare
legata alla sua massiccia urbanizzazione, crisi del sistema bancario, livello insostenibile
degli investimenti sul pil, intorno al 50% ). Sul terreno sociale (con l'ascesa del livello di
mobilitazione sociale e di crescita dei conflitti di classe). Sul terreno politico: dove lo
scontro fra le cordate di regime si intreccia con la crisi sociale e fatica a risolversi in un
nuovo stabile equilibrio.
La crisi dell'egemonia USA e l'assenza di un egemonia alternativa segnano nella loro
combinazione la crisi di direzione politica internazionale dell'imperialismo, con lo
sviluppo incontrollato di nuovi protagonismi, in diversi scacchieri e a diversi livelli (nuovo
corso nazionalista del Giappone, nuovo attivismo dell'imperialismo russo, ambizioni
turche e ruolo crescente delle petromonarchie in Medio Oriente..). Che a loro volta
aggravano la crisi di direzione imperialista. I diversi tentativi di ricomporre un equilibrio
mondiale, dopo il crollo dell'URSS, hanno mancato il proprio obiettivo. Sullo sfondo della
più grande crisi capitalista degli ultimi 80 anni, l'imperialismo attraversa la più grande
crisi di direzione politica del dopoguerra.
LA LOTTA DI CLASSE INTERNAZIONALE
Negli anni della crisi, la lotta di classe nel mondo ha registrato una dinamica molto
differenziata, tra aree continentali e nelle stesse aree continentali.
Si conferma una indicazione del marxismo rivoluzionario e della sua tradizione teorica:
non esiste una relazione meccanica tra crisi capitalista e radicalizzazione di massa. La
crisi può favorire la radicalizzazione come una dinamica di arretramento e
disgregazione. Così, una ripresa capitalistica può, a certe condizioni, sospingere
l'ascesa della lotta di classe o favorirne il ripiegamento. Tutto dipende dalla relazione
dialettica che si viene a determinare tra l'evoluzione economica, il contesto politico, la
precedente dinamica della lotta di classe.
Questo rapporto complesso tra crisi capitalista e movimento operaio, trova oggi un suo
riscontro sia nelle aree direttamente investite dalla crisi, sia nei poli di sviluppo. Dentro
una dinamica segnata dal tratto ricorrente delle “brusche svolte”.
La dinamica differenziata della lotta di classe
Nelle aree investite direttamente dalla grande crisi capitalista, il livello di risposta e
mobilitazione presenta un quadro molto diversificato da Paese a Paese.
Complessivamente è possibile delineare due diverse tendenze.
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Da un lato una crisi profonda del movimento operaio nell'area dei paesi imperialisti
(USA, UE, Giappone): dove la crisi capitalista ha fatto irruzione dentro un processo
prolungato di arretramento e di scomposizione del proletariato, favorendo dinamiche di
ripiegamento.
Dall'altro lato, importanti processi di ascesa e radicalizzazione del movimento operaio e
dei movimenti di massa in paesi capitalistici a medio sviluppo (Grecia, Portogallo); o in
paesi arretrati a capitalismo restaurato, segnati da processi di industrializzazione legati
alle delocalizzazioni imperialiste (Romania, Bulgaria).
Anche all'interno dei cosiddetti “poli di sviluppo”, si registrano processi differenziati.
Da un lato fenomeni di brusca svolta sociale, sospinta dalla crisi delle classi dirigenti e
dall'esaurimento tendenziale del ciclo economico di ascesa, ma in cui la classe operaia
è ancora marginale o sostanzialmente passiva nel grosso delle sue forze (Turchia,
Brasile).
Dall'altro lato fenomeni di ascesa della lotta di classe, e della stessa classe operaia
industriale: sia come effetto indiretto dello sviluppo prolungato e del conseguente
rafforzamento strutturale del proletariato; sia come effetto congiunto dei primi sintomi di
crisi, che impattando sull'ascesa di massa, favoriscono fenomeni di sua ulteriore
radicalizzazione.
E’ il caso - in forme e intensità diverse - dell'Asia: in paesi capitalistici altamente
sviluppati come Cina e India, e in realtà arretrate come Bangladesh e Thailandia. E’ il
caso anche, in un altro contesto, di paesi dell'America Latina tra loro molto diversi: come
l'Argentina, che a conclusione di un ciclo di sviluppo seguito al crack del 2001, e sullo
sfondo della crisi del peronismo Kichnerista, conosce uno espansione significativa del
movimento operaio industriale. O della Bolivia: dove lo sviluppo di un movimento di
classe indipendente dal nazionalismo piccolo borghese dominante e in contrapposizione
ad esso assume una valenza politica di estrema importanza.
Infine, in un contesto ancora differente, si registrano fenomeni di sviluppo e di ascesa
del movimento operaio in aree diverse dell'Africa. Sia in Nord Africa, in un rapporto di
intreccio con la rivoluzione araba. Sia in Sudafrica, a partire dalle miniere e sullo sfondo
di una strisciante crisi politica del “regime” ANC. Sia in aree centrali del continente
(Nigeria, Congo..), segnate da uno sviluppo economico distorto trascinato dal prezzo
crescente delle materie prime (legato a sua volta allo sviluppo capitalistico cinese), ma
anche caratterizzate perciò stesso dalla crescita del proletariato e delle sue
rivendicazioni.
L'arretratezza della coscienza di classe
Dentro questo quadro mondiale differenziato, emerge un dato prevalente: l'arretratezza
del livello di coscienza e organizzazione del movimento operaio internazionale, a fronte
della profondità della crisi capitalista e della crisi di egemonia politica della borghesia
mondiale. E’ un dato che segna il proletariato dei paesi imperialisti. Ma anche le stesse
dinamiche di ascesa di classe di altre aree e paesi neosviluppati: dove una giovane
classe operaia, di recentissima formazione, è spesso priva di riferimenti politici e
sindacali elementari. Complessivamente, di fronte alla più grande crisi capitalista
internazionale degli ultimi 80 anni, il livello di coscienza e organizzazione del movimento
operaio è infinitamente più arretrato di quello con cui affrontò la grande crisi degli anni
20/30.
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Lo scarto tra la profondità della crisi capitalista e l'arretratezza del movimento operaio
alimenta fenomeni diversi :
1. Una crisi diffusa di egemonia proletaria sulle più ampie masse oppresse e
sfruttate (disoccupate, precarizzate, immigrate o marginalizzate): a partire dalle
grandi realtà metropolitane dei paesi imperialisti e non.
2. Uno sviluppo di populismi reazionari di massa, in particolare in Europa, che
capitalizzano la crisi dell'egemonia proletaria sugli strati inferiori delle classi
medie, colpite dalla crisi, per indirizzarli contro il proletariato. E che spesso
penetrano nell'immaginario e coscienza di settori di massa del proletariato
stesso.
3. Lo sviluppo, all'opposto, di movimenti progressisti (“democratici” e interclassisti),
che da un lato segnano positivamente la crisi delle classi dominanti e dei loro
regimi, ma dall'altro, in forme diverse, misurano la crisi del proletariato e della
sua egemonia (movimento di massa in Iran nel 2009, movimento anti Erdogan in
Turchia, movimento di massa in Brasile).
Complessivamente, la combinazione storica della crisi del capitalismo e della crisi del
movimento operaio, apre una fase internazionale di destabilizzazione dei vecchi equilibri
e delle forme politiche dominanti. L'instabilità politica e sociale, il succedersi di rapidi
capovolgimenti di fronte, tende a segnare l'intero scenario mondiale.
LE RIVOLUZIONI NEI PAESI ARABI
Le rivoluzioni nei paesi arabi hanno rappresentato e rappresentano un'espressione
concentrata e particolare di tanti fattori dello scenario mondiale: crisi di direzione
dell'imperialismo
USA;
dinamica
delle
brusche
svolte;
polarizzazione
rivoluzione/reazione; peso dell'elemento “democratico” nelle mobilitazioni; crisi del
movimento operaio.
L'ascesa della rivoluzione nei paesi arabi non è stata l'effetto diretto della crisi
capitalista. Certo, questa ha influito sui prezzi alimentari e sugli equilibri sociali, a partire
dalla Tunisia e dall'Egitto, concorrendo all'esplosione. Ma il tratto determinante
dell'innesco rivoluzionario e della sua propagazione è stato politico: la rivolta
democratica contro regimi oppressivi, logori e screditati, da parte di masse popolari
prevalentemente cittadine e giovanili, assieme al comune fondamento nazionale arabo.
Non a caso, il peso specifico del fondamentalismo fu marginale o assente nella prima
fase della rivoluzione, in tutti i principali paesi coinvolti (Tunisia, Egitto, Libia, Siria).
L'assenza di uno spazio di stabilizzazione “democratica”
Ma il corso della rivoluzione, nei tre anni trascorsi, conferma l'assenza di uno spazio
reale di stabilizzazione democratico borghese in terra araba e nell'intero Medio Oriente.
La pressione della crisi capitalistica; la precipitazione della crisi economico sociale dei
paesi coinvolti; la fragilità delle leadership borghesi, liberali o democratiche, dopo
decenni di regimi bonapartisti o totalitari; la stessa dinamica travolgente della
mobilitazione di grandi masse che hanno sperimentato sul campo una propria forza
inaspettata e vogliono agire come fattore attivo degli avvenimenti: sono tutti elementi
che, combinati insieme, erodono gli spazi oggettivi di un possibile “equilibrio
democratico”. Si conferma, nel vivo degli avvenimenti, la teoria marxista della rivoluzione
permanente: o la classe lavoratrice si pone alla testa della mobilitazione popolare,
conquista il potere politico e porta a compimento, sul terreno della rivoluzione socialista,
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i compiti fondamentali della rivoluzione democratica (inclusa la rottura con
l'imperialismo); o tendono ad affermarsi sbocchi reazionari, siano essi fondamentalisti o
militari. E’ la lezione della Tunisia, dell'Egitto, e in forme diverse, il rischio dell'irrisolta
dinamica siriana.
Ipotesi intermedie, come l'affermazione di regimi bonapartisti piccolo borghesi di tipo
nasseriano o bathista, capaci di misure sociali progressive e di una relativa autonomia
dall'imperialismo, furono possibili sullo sfondo del boom post bellico e della presenza
internazionale dell'URSS. Appaiono assai improbabili nell'attuale contesto arabo e
mondiale.
Rivoluzione e controrivoluzione
Peraltro, sia la rivoluzione che la controrivoluzione si confrontano con le proprie
debolezze.
Per un verso, il crollo del governo dei Fratelli musulmani in Egitto, l’indebolimento di
Ennhada in Tunisia, le difficoltà del nuovo regime militare bonapartista in Egitto, rivelano
la problematicità di ogni stabilizzazione reazionaria. Sia per il peso della mobilitazione
popolare, sia per la crisi economica, interna e internazionale, che abbatte gli spazi di
manovra dei governi reazionari.
Al polo opposto, si rivela la difficoltà speculare del movimento operaio arabo. La classe
lavoratrice ha svolto un ruolo importante e decisivo nella dinamica delle principali
rivoluzioni dei paesi arabi. In Tunisia il sindacato è stato il principale riferimento della
sollevazione contro Ben Alì ed oggi della mobilitazione democratica anti Ennhada. In
Egitto gli scioperi operai hanno avuto un ruolo decisivo nella caduta finale del regime di
Mubarak, hanno rappresentato un fattore importante dell'opposizione di massa al
governo militare di Tentawi e a quello successivo dei Fratelli. E’ la conferma delle grandi
potenzialità del proletariato arabo. Ma, nel suo insieme, il movimento operaio e le sue
rivendicazioni sociali non hanno conquistato la direzione della rivoluzione. Anche nelle
sue espressioni più alte (Tunisia ed Egitto), il livello di coscienza e di autorganizzazione
è stato inferiore a quello del movimento operaio arabo e mediorientale in altri contesti
storici (ad es. l’Iran del 79 con lo sviluppo consiliare delle Schoras).
A loro volta, i limiti del movimento operaio e la sua subordinazione al fronte democratico
- in assenza di una direzione rivoluzionaria alternativa - hanno pesato enormemente
sulla dinamica della rivoluzione, indebolendo le stesse rivendicazioni democratiche e
spianando la strada alle derive reazionarie (Egitto).
Equilibrio instabile e crisi dell'imperialismo
Complessivamente, le rispettive debolezze della rivoluzione e della controrivoluzione
concorrono ad un equilibrio instabile, esposto a ripetute rotture e capovolgimenti di
scenario. Nel quale le potenze imperialiste, spiazzate dalla caduta dei vecchi regimi
amici, hanno cercato e cercano ogni volta un proprio reinserimento, per via economica o
militare: ma sempre a rimorchio degli avvenimenti e senza riuscire a stabilizzare la
situazione (caos egiziano con continui cambi di cavallo dell'imperialismo Usa, incognite
della guerra civile siriana e contraddizioni interimperialiste, vacanza di potere in Libia
dopo la “vittoria” militare..). A vantaggio delle petromonarchie del Golfo e della Russia di
Putin, che allargano il proprio autonomo gioco di relazioni e influenze, a partire dalla
Siria e dallo stesso Egitto.
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LA CRISI EUROPEA
L'Unione Europea è l'epicentro della crisi capitalistica e della crisi di egemonia politica
borghese. L'Europa è innanzitutto l'unica area continentale ad aver vissuto una dinamica
ravvicinata di doppia recessione (2008/9, e 2011/13). Non si può escludere una parziale
ripresa nel 2014. Ma la debolezza dell'Unione Europea, ben al di là della congiuntura
economica, è legata a un intreccio di fattori strutturali, che ha amplificato le ricadute
interne della crisi capitalistica:
a) La contraddizione tra moneta comune e assenza di uno Stato Federale, che priva la
BCE di una copertura istituzionale di ultima istanza, a differenza delle altre banche
centrali imperialiste.
b) Il divario strutturale crescente nell'area euro tra la Germania (e il blocco a lei più
strettamente legato) e larga parte delle economie della periferia (in particolare sud
europea e mediterranea, ma non solo): un divario progressivamente approfondito dalla
stessa dinamica della crisi capitalista e dalle politiche d’austerità.
c) La fragilità del sistema bancario: grande acquirente dei titoli pubblici, e proprio per
questo esposto all'indebitamento pubblico degli Stati e a cicliche crisi patrimoniali.
d) Il progressivo indebolimento dell'Unione nell'arena mondiale: dove l'Europa non solo
non si avvantaggia della crisi americana, ma viene penalizzata dalla crescente
polarizzazione tra USA e Cina.
L'impasse dei processi di “unificazione” e “disgregazione” della UE
L'insieme di questi fattori mette a rischio, da tempo, la stessa tenuta dell'Unione. Senza
peraltro delineare uno sbocco risolutivo: né in direzione dell'integrazione imperialista; né
in direzione di un arretramento verso un'area di libero scambio (con relativa fine
dell'Euro). Entrambe le direzioni di marcia sono bloccate da enormi difficoltà.
La marcia di una più avanzata unificazione politica è ostacolata dalla natura imperialista
degli Stati fondamentali dell'Unione e dalle loro contraddizioni, esaltate dalla stessa crisi.
L'imperialismo tedesco proietta sempre più i propri interessi sul versante asiatico, con
una relativa riduzione della propria proiezione in Europa: anche da qui la resistenza della
finanza tedesca ad ogni ipotesi di reale socializzazione del debito pubblico europeo
(Eurobond). L'imperialismo francese è indisponibile a rinunciare al proprio “sovranismo”,
a vantaggio dei propri interessi indipendenti e del proprio spazio di manovra e di
influenza (in particolare in Africa). In questo quadro gli stessi progetti di Unione
Bancaria, a copertura delle banche private e delle finanze pubbliche, si riducono a
soluzioni minimali.
La disgregazione dell'Euro è contrastata da fattori ugualmente potenti. La sua
dissoluzione trascinerebbe con sé la fine del Mercato Comune europeo: con l'inevitabile
sviluppo di una nuova ondata protezionista nel cuore stesso dell'Europa e una nuova
spinta alla recessione internazionale. Per questo tutte le potenze “concorrenti” non solo
non tifano oggi per il crollo dell'Unione, ma accorrono a sostegno della sua tenuta. E’ il
caso in primo luogo degli Usa. E’ il caso della stessa Cina: che non vuole mettere a
rischio la propria esposizione commerciale e finanziaria in Europa.
Siamo di fronte alla stabilizzazione relativa della crisi dell'Unione. Questo equilibrio potrà
esser sbloccato, in una delle due direzioni, sulla base di significative spinte esterne, di
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carattere economico (nuovi crolli finanziari o pressioni protezioniste) o politiche (guerre
significative).
La crisi politica delle borghesie europee
Sulla crisi del capitalismo europeo si innesta la crisi politica delle borghesie europee. La
borghesia europea scatena la più grande offensiva sociale del dopoguerra contro il
proletariato, nel momento stesso di una sua grave crisi di consenso.Questa crisi di
consenso delle politiche di austerità ha generato e genera riflessi politici diffusi, tra loro
combinati.
1) Una rapida consunzione dei tradizionali governi borghesi, che al di là della propria
sopravvivenza esauriscono in tempi brevi il proprio ciclo espansivo (da Cameron, a
Rajoi, a Hollande..).
2) Una crisi ripetuta degli stessi regimi d'alternanza, a partire dalla disarticolazione degli
schieramenti che ne rappresentavano il tradizionale supporto (governi “d'emergenza” di
unità nazionale in Grecia e Italia, crisi del bipolarismo in Portogallo, crisi tendenziale del
bipartitismo in Spagna, netto indebolimento del meccanismo bipolare in Francia..).
3) Una crescente polarizzazione politica, sui due versanti opposti. Da un lato a sinistra
delle socialdemocrazie tradizionali: o come sottoprodotto di ascese sociali (Izquierda
unida in Spagna, PC e Bloqueo in Portogallo..); o come effetto della crisi di consenso
della socialdemocrazia di governo (Fronte de Gauche in Francia..); o come risultante di
entrambi i fattori (Syriza in Grecia).
Dall'altro lato in direzione reazionaria. Con la dovuta distinzione tra un settore
apertamente fascista o fascistoide (Alba Dorata in Grecia, Jobbik in Ungheria, FN in
Francia, …) e una più vasta area di populismo reazionario, che tende a rafforzarsi negli
stessi paesi imperialisti e ad esercitare maggiore incidenza sugli equilibri
politici/istituzionali.
Complessivamente, in forme e intensità diverse, si manifesta una crisi politica della
governabilità borghese nel vecchio continente.
La lotta di classe in europa e i suoi livelli differenziati
Alla crisi della governabilità borghese fa riscontro una dinamica complessa delle
mobilitazioni sociali e di classe.
Negli anni della prima recessione (2008/2009) il dato prevalente è stata la difficoltà del
movimento operaio. A partire dal 2010 si sono manifestate tendenze di ripresa delle
mobilitazioni contro l'austerità. Ma dentro un ventaglio di livelli molto ampio.
In Romania e Bulgaria - nel disinteresse della sinistra europea - abbiamo assistito nel
2013 a vere crisi rivoluzionarie: la classe operaia e vaste masse popolari si sono
sollevate contro le politiche di austerità con atti concentrati e radicali (marcia sui palazzi
del potere in Romania contro il piano sanitario del governo, ribellione di massa in
Bulgaria contro l'aumento delle tariffe elettriche..), sino al rovesciamento dei rispettivi
governi.
In Grecia abbiamo assistito ed assistiamo ad una crisi pre rivoluzionaria prolungata: che
combina un alto livello di mobilitazione di massa, sia pure non rettilinea, una grave crisi
politico/istituzionale della borghesia, una drammatica crisi sociale. La polarizzazione alle
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estreme dei flussi elettorali (Syriza a sinistra, Alba Dorata a destra) è la registrazione
distorta della crisi prerivoluzionaria. Che è tuttora aperta.
In Spagna e Portogallo si è sviluppata dal 2011 un'ascesa di massa con riflessi politici
sull'indebolimento dei rispettivi governi: senza ancora una precipitazione diretta della
crisi politico/istituzionale, ma con la possibilità che questa maturi anche in tempi
ravvicinati.
In Francia e Gran Bretagna, la mobilitazione di massa ha conosciuto una dinamica a
sinusoide, ma con tendenza negativa. In Francia il prolungato movimento di lotta sulle
pensioni nel 2010 (seppure con un'ampiezza limitata), è rifluito dopo una sostanziale
sconfitta. Ed oggi l'ampio disincanto verso il governo Hollande non si accompagna alla
radicalizzazione. In Gran Bretagna abbiamo assistito nel 2010 ad un ampio e combattivo
movimento di lotta del Pubblico impiego contro il governo Cameron. Ma il movimento è
rifluito, pur a fronte di un aggravamento dell'offensiva governativa e alla crescente
impopolarità del governo.
In Italia, come vedremo, la parabola è stata negativa.
In Germania assistiamo ad una dinamica ancora diversa,. La recessione del 2008/2009
non ha registrato significative lotte sociali. Oggi, dentro la ripresa economica e nel
momento stesso del suo rallentamento, si sviluppa - unico caso in Europa - un ciclo
importante di lotte salariali, nel settore pubblico e privato: il proletariato tedesco chiede a
modo suo di partecipare allo “sviluppo” tedesco, in reazione alla stretta sociale subita dal
2001.
Da questo quadro differenziato, emerge un dato prevalente: la difficoltà del movimento
operaio europeo nei principali paesi imperialisti, ed in particolare della classe operaia
industriale. A sette anni dall'inizio della grande crisi -- con l'unica eccezione della
Spagna - il livello di mobilitazione del proletariato europeo nei paesi imperialisti è
diminuito rispetto al decennio pre crisi (in Francia nel 95 contro Juppè e nel 2004 contro
Villepin, in Italia nel 2001/2003 contro Berlusconi..). Lo stesso sviluppo del populismo
reazionario nei paesi imperialisti ha un rapporto con la crisi del movimento operaio.
Rivoluzione o reazione in Europa
E tuttavia nulla sarebbe più sbagliato che immaginare una stabilizzazione della
situazione europea, che al contrario resta altamente instabile. Non solo nei paesi
periferici, ma negli stessi paesi centrali. A fronte della nuova recessione, la borghesia
europea dispone di risorse più limitate che nel 2008. Gli equilibri politici sono ovunque
più fragili. La crisi di egemonia, dopo sette anni di crisi, si è fatta più acuta. La gestione
del fiscal compact, a partire dal 2015, sarà una prova molto impegnativa. Questo
scenario non determina meccanicamente, come abbiamo visto, processi di
radicalizzazione di classe. Ma certo moltiplicherà le occasioni di possibili brusche svolte
della mobilitazione di massa. Non solo nell'ipotesi della continuità della recessione, ma
anche in quella di una possibile ripresa. La borghesia europea “non può più governare
come prima”. Questo è il lato rivoluzionario oggettivo della crisi europea. Dentro una
polarizzazione sociale e politica destinata, in forme diverse, ad approfondirsi.
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3° Congresso del PCL
DOCUMENTO 1 – POLITICO - ed EMENDAMENTI
II PARTE LA CRISI ITALIANA
La situazione italiana riassume in forma particolare molti aspetti dello scenario europeo.
E concorre come mai in passato alla crisi della U.E. La crisi della borghesia italiana e
quella parallela del movimento operaio, definiscono, nel loro bilanciamento, la cornice
della situazione nazionale.
LA CRISI DEL CAPITALISMO ITALIANO: DEPRESSIONE E DEBITO PUBBLICO
La crisi della borghesia italiana ha radici profonde.
In primo luogo siamo di fronte a una crisi strutturale che va al di là degli effetti
congiunturali della recessione.La recessione del 2008/2009, e quella del 2011/2013 si
sono sovrapposte alla stagnazione del precedente decennio. Per questo la doppia
recessione italiana ha assunto i caratteri di vera e propria depressione industriale: calo
del 9% di Pil rispetto al 2007 (a fronte del -5,6% della Spagna e del+ 4,3% della
Germania); calo del 25% della produzione industriale (a fronte del – 16% della Francia,
secondo dato peggiore tra i paesi imperialisti); crollo senza precedenti degli investimenti
(- 17% a fronte di una media euro del -10% e di un + 5,5% del capitalismo tedesco); crisi
di tutti i settori della grande impresa, (automobilistica, cantieristica, siderurgica..), in un
quadro di concentrazione industriale già molto minore della media dei concorrenti
imperialisti.
In secondo luogo la depressione industriale si accompagna ad una crisi straordinaria del
debito pubblico, che non ha punti di paragone tra i paesi imperialisti (con l'eccezione del
Giappone). Il debito pubblico, detenuto in maggioranza dalle banche italiane quale
riflesso della natura imperialista dell'Italia, si riversa perciò stesso sulle banche. La cui
situazione è critica: deprezzamento dei titoli pubblici, crescita massiccia della inesigibilità
dei crediti, crisi immobiliare (con relativo deprezzamento del patrimonio immobiliare delle
banche). La stretta del credito all'industria si rivela non solo più consistente che in altri
paesi, ma anche dagli effetti più pesanti sui processi di capitalizzazione a causa delle
caratteristiche italiane delle imprese e del mercato finanziario (prevalenza prestiti
bancari). Infine la ricapitalizzazione statale delle banche è più complicata che altrove,
proprio per il massiccio debito pubblico. Mentre l'ombrello protettivo della BCE strappato
da Monti nel giugno 2011 (impegno alla possibile ricapitalizzazione straordinaria delle
banche italiane e all'acquisto straordinario di titoli pubblici) è ancora in attesa di quella
Unione Bancaria europea che sta segnando il passo.
Disarticolazione del blocco dominante e attacco frontale al mondo del lavoro
Questo livello di crisi produce due effetti combinati. Da un lato ha favorito un processo di
disarticolazione del blocco dominante, sui terreni della gestione del conflitto, della
rappresentanza, degli equilibri di potere (uscita della Fiat da Confindustria nel segno di
un'autonoma gestione delle relazioni industriali, scontro tra aziende manifatturiere ed
energetiche, conflitti sulle fondazioni bancarie , scioglimento dei patti di sindacato”..).
Dall'altro lato ha sospinto un attacco senza precedenti contro Welfare e lavoro, quale
terreno di ricomposizione generale del blocco dominante (pensioni, sanità, istruzione,
servizi e prestazioni sociali; art.18 e ridimensionamento diritti sindacali; massiccia
espulsione di forza lavoro dalle aziende e introduzione della licenziabilità dei dipendenti
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3° Congresso del PCL
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pubblici; ulteriore precarizzazione, smantellamento del contratto nazionale di lavoro..).
Mentre il divario tradizionale Nord Sud conosce un nuovo ampliamento in fatto di reddito
medio, livello di occupazione, diffusione della povertà, sotto la cappa dell'intreccio
strutturale tra borghesia del Nord e del Meridione, tra capitalismo “legale” e criminale.
Il capitalismo italiano, più ancora di altri paesi imperialisti, non dispone di reali margini
“riformisti”. Il sommarsi di una straordinaria depressione produttiva e di una straordinaria
crisi del debito pubblico, lo spingono strutturalmente sulla via dell'aggressione a Welfare
e lavoro. Tanto più dentro la crisi europea e i nuovi termini della competizione
internazionale. In questo quadro, i vincoli pesantissimi del fiscal compact, a partire dal
2015, trascineranno un’ulteriore stretta sociale.
LA CRISI POLITICA E ISTITUZIONALE DELLA SECONDA REPUBBLICA
In parallelo alla crisi economico sociale, l'Italia conosce una crisi politico istituzionale
senza precedenti negli ultimi 20 anni. E’ la crisi della “seconda Repubblica”: dell'assetto
scaturito dalla dissoluzione, nel 91/93, delle forme politiche del dopoguerra.
La crisi della Seconda Repubblica è per molti aspetti più grave di quella della Prima. Non
solo perché ha come sfondo una crisi capitalista e sociale assai più profonda. Ma anche
perché manca ad oggi di un asse di svolgimento e di una prospettiva definita di sbocco.
All'inizio degli anni '90, la borghesia italiana guidata dalla grande impresa investiva in un
progetto strategico: l'ingresso organico del capitalismo italiano nell'Europa di Maastricht,
nella prospettiva dell'euro; la concertazione come calmiere sociale e garanzia dei
sacrifici; il centrosinistra come miglior formula politica di rappresentanza degli interessi
generali del grande capitale. Questo progetto marciò, com'è inevitabile, tra mille intoppi
e contraddizioni. Ma era un progetto segnato da un asse. Che orientò lo stesso sviluppo
della riforma elettorale dell'assetto bipolare di alternanza.
Oggi, un grande capitale disarticolato dalla crisi non ha un'opzione politica organica.
Mentre da 2 anni la crisi del bipolarismo precipita al buio, senza ancora liberare una
linea di tendenza e ricomposizione che possa indicare un approdo per le stesse classi
dirigenti. Nei fatti l'Italia è oggi l'unico paese imperialista a non disporre, dentro la crisi
capitalista, di un quadro certo di governabilità politico/istituzionale.
La crisi del vecchio bipolarismo
Le forme di alternanza che hanno incardinato 20 anni di politiche borghesi hanno subito
una destabilizzazione. La crisi e le politiche di austerità hanno minato sensibilmente il
consenso dei partiti di centrodestra e centrosinistra, approfondendo le contraddizioni dei
loro blocchi sociali e concorrendo alla fluidità dei flussi elettorali. Dalle elezioni del 2008
a quelle del 2013, 10 milioni di voti hanno abbandonato PDL e PD: dopo sette anni di
crisi capitalista, nessuno dei due poli dispone della forza elettorale e politica per gestire
in proprio - l'uno “contro” l'altro - le politiche sociali dominanti. Mentre lo sviluppo
straordinario di un terzo polo populista capitalizza ed aggrava la crisi dei vecchi equilibri.
Da qui i governi di unità nazionale. Parallelamente i vecchi schieramenti di centrodestra
e centrosinistra hanno conosciuto un processo di sfaldamento politico. Mentre gli stessi
partiti cardine su cui si imperniano vedono precipitare la propria crisi, ben al di là delle
mutevoli fortune elettorali. I principali partiti borghesi sono cantieri di lavori in corso
senza direzione dei lavori.
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3° Congresso del PCL
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Il PDL non si è mai emancipato dal controllo padronale di Berlusconi, e dalla sua
capacità di richiamo elettoral populista. Ed oggi si trova massimamente dipendente da
Berlusconi proprio nel momento della precipitazione della vicenda giudiziaria del
Cavaliere. Tutti i nodi irrisolti del PDL finiscono così col presentarsi insieme,: continuità
del primato del partito azienda, o partito strutturato e contendibile; soggetto
“antieuropeo” o sezione italiana del PPE; partito segnato da un marchio populista oppure
legato all'interesse generale di sistema. Il bivio è reso più stringente dalla vicenda
Berlusconi, ma anche dalla profondità della crisi capitalistica. Generando
fisiologicamente spinte divaricanti nel partito. Berlusconi è stato ed è il collante unitario
delle contraddizioni interne. Ma proprio per questo un suo declino può precipitare una
dinamica esplosiva del suo mondo, con effetti a cascata sull'intero scenario politico.
Il PD vede acuirsi tutte le contraddizioni dell'”amalgama mal riuscito” (D'Alema). Nato
come partito borghese di sistema, dopo un lungo processo di transizione, il PD è stato
organicamente fedele agli interessi del capitale e alle sue richieste politiche (rinuncia alle
elezioni anticipate nel novembre del 2011, sostegno a Monti e alle politiche lacrime e
sangue contro i lavoratori; approdo travagliato al governo Letta di unità nazionale, dopo
il fallimento elettorale e politico del centrosinistra). Ma queste politiche hanno
accompagnato la crisi del partito, su tutti i lati della sua fragile costruzione: crisi di
rapporto con ampie fasce dell'elettorato operaio e popolare; crisi dell’equilibrio tra
vecchie cordate e processi di loro dissoluzione; crisi ripetuta di rapporto tra gruppi
dirigenti e gruppi parlamentari; contrasto con potenti aree mediatiche e d'opinione che
sono parte da sempre della costituzione materiale del centrosinistra (quotidiano
Repubblica” ). L'ascesa del Renzismo è al tempo stesso la registrazione della crisi del
PD e un suo fattore di possibile approfondimento. Il renzismo è un fenomeno politico
ibrido che tiene in sé elementi diversi (rampantismo generazionale, trasformismo
disinvolto, populismo, rappresentanza di nuovi interessi borghesi emergenti..). Dentro la
crisi del PD, e quale possibile candidato vincente alle future elezioni, Matteo Renzi si sta
configurando come punto di attrazione e ricomposizione di settori crescenti del vecchio
apparato. Ma anche come fattore destabilizzante sia degli equilibri di governo, sia degli
equilibri interni al PD. L'uomo della possibile riscossa elettorale del PD diventa al tempo
stesso un ulteriore fattore di crisi del PD. Il partito che sino al febbraio 2013 appariva
l'unico punto di tenuta del bipolarismo e della seconda repubblica si è trasformato in un
epicentro della sua crisi.
Unità nazionale e nuovi equilibri istituzionali
I governi di unità nazionale che segnano dal 2011 lo scenario italiano sono stati al tempo
stesso effetto e concausa della crisi politica e istituzionale. Registrando un sostanziale
fallimento della propria missione.
Il governo Monti, sospinto dal combinarsi della crisi finanziaria e della crisi del
berlusconismo, ha realizzato le misure di sfondamento sociale per cui era nato (su
pensioni e lavoro) in accordo con l'Unione Europea: ma ha fallito l'obiettivo di ripristinare
il “normale” bipolarismo. Concorrendo anzi a destabilizzarlo (sconfitta elettorale del
centro sinistra, fallimento di una ricomposizione di governo tra Bersani e Monti, recupero
populista di Berlusconi “contro” le politiche fiscali di Monti, sfondamento del populismo
grillino).
Il successivo governo Letta, sospinto dalla precipitazione della crisi politico istituzionale
connessa alla elezione della Presidenza della Repubblica era nato con un progetto
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ambizioso: la stabilizzazione politica, sociale, istituzionale. Ma la crisi politica irrisolta ed
anzi aggravata di tutti i partiti della sua maggioranza si è rapidamente riversata sul
governo. Mentre la profondità della crisi capitalista, dentro i vincoli delle politiche di
bilancio, ha esaltato tutte le contraddizioni del suo composito blocco sociale di
riferimento in ordine alle politiche fiscali e di spesa. In queste condizioni, il governo Letta
Alfano, nato con ambizioni superiori a quelle del governo Monti, si rivela in realtà
nettamente più debole dell'esecutivo precedente. Mentre la condanna giudiziaria di
Berlusconi, per i suoi effetti diretti e indiretti, pone serie ipoteche sulla sua prospettiva e
durata. In ottobre il tentativo di Berlusconi di far cadere il governo e ottenere elezioni
anticipate è fallito per l'opposizione compatta della borghesia e dell'ala ministeriale del
PDL. Ma il governo, pur rafforzato nell'immediato dall'indebolimento di Berlusconi, resta
esposto alle contraddizioni irrisolte del PDL e all'avanzata del renzismo nel PD, in un
contesto generale di precarietà che ripropone in prospettiva la possibilità di nuove
precipitazioni di crisi.
Questo quadro di estrema precarietà ha trascinato con sé una modifica strisciante degli
equilibri istituzionali. Napolitano ha di fatto allargato, nella costituzione materiale della
democrazia borghese, i poteri reali della Presidenza della Repubblica. Nella definizione
diretta delle soluzioni di governo. Nel condizionamento della loro agenda. Nel rapporto di
forza con altri poteri della Stato (Parlamento). I governi Monti e Letta, per la loro genesi
e il loro mandato, hanno in parte rappresentato dei governi “presidenziali”. Retti in primo
luogo sul sostegno e protezione della Presidenza. In un sistema politico fuori controllo,
dentro una drammatica crisi sociale, la Presidenza della Repubblica è apparsa agli occhi
della grande borghesia e della sua stampa come l'unico possibile ancoraggio.
Anche da qui lo sdoganamento di una possibile riforma gaullista, quale soluzione della
crisi italiana. In un quadro in cui tuttavia il ginepraio delle contraddizioni è tale da
ostacolare pesantemente quella stessa riforma istituzionale che vorrebbe sbloccare
l'impasse.
Il populismo reazionario grillino
Lo sviluppo del terzo polo populista (M5S) è il principale beneficiario della crisi congiunta
dei partiti borghesi (e del movimento operaio). Si tratta, elettoralmente, del più grande
movimento populista che si sia affacciato nel dopoguerra.
Il Grillismo ha raccolto un blocco sociale interclassista. Con una presenza centrale di
settori giovanili di precariato intellettuale metropolitano. Ma con un irradiamento
progressivo sia nel lavoro salariato, anche industriale, sia tra i disoccupati (dove il M5S è
il primo partito), sia nel piccolo e medio padronato (in particolare nel Nord Est). La crisi
dei blocchi sociali dei principali partiti si è travasata, da versanti opposti, nell'espansione
del movimento, al di là dell'iniziale confine nordista e metropolitano.
Le contraddizioni che compongono la sua base elettorale, il suo corpo attivo, la sua
rappresentanza istituzionale, non debbono far velo alla reale natura del M5S. Singole
bandiere e motivazioni “progressiste” (opposizione alle missioni militari, difesa dei beni
comuni, ambientalismo..) sono incorporate in un progetto complessivamente reazionario;
socialmente (attacco a dipendenti pubblici e pensioni per tagliare l'IRAP al padronato;
chiusura delle “fabbriche improduttive”; “salario di cittadinanza” come indennizzo a
lavoratori pubblici e privati di cui si chiede di fatto il licenziamento; abolizione del valore
legale del titolo di studio..); e politicamente reazionario (attacco ai migranti; abolizione
del sindacato; abolizione dei partiti, regime plebiscitario fondato sull'onnipotenza della
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Rete..): il regime dispotico nel M5S è la prefigurazione del regime reazionario che
Casaleggio e Grillo vorrebbero imporre quale sbocco della crisi della seconda
Repubblica. A differenza di altri soggetti reazionari sulla scena italiana (v. Lega Nord), il
M5S non è disponibile a logiche di coalizione: il suo obiettivo strategico è la conquista
del potere e la sua concentrazione esclusiva nelle proprie mani. La ricerca dello
sfondamento populista è in funzione di questo obiettivo centrale. Al quale viene piegata
ogni mutevole scelta tattica: inclusa la campagna per Rodotà presidente o a “difesa della
Costituzione”. Per questo il grillismo agisce come potente concausa della crisi del
bipolarismo.
LA CRISI DEL MOVIMENTO OPERAIO
Il vero punto di forza della borghesia, è stata ed è la crisi del movimento operaio, che ha
consentito alle classi dominanti di reggere l'impatto di una crisi politica fuori controllo.
Il movimento operaio italiano nella crisi capitalista
A differenza di altri paesi dell'Europa mediterranea, in Italia la crisi capitalistica e le
politiche di austerità non hanno registrato una risposta significativa del movimento
operaio e dei movimenti di massa. La dinamica di lotta ha al contrario conosciuto un
arretramento.
Tra il 2008 e il 2011, la presenza del governo Berlusconi trascinava una mobilitazione
politica “democratica” di opposizione, sebbene con una minor forza che nel decennio
precedente. Una mobilitazione che in parte compensava le difficoltà di risposta alla crisi
(movimento dell'Onda). Mentre l'aggressione della FIAT alla FIOM, e l'opposizione della
FIOM alla FIAT, definiva una linea simbolica riconoscibile di resistenza operaia, quale
possibile punto di ricomposizione dell'opposizione sociale (manifestazione nazionale
FIOM del 16 Ottobre 2010)
Tra il 2011 e il 2013, la sconfitta della FIOM, a partire dalla FIAT, ha privato il movimento
operaio di un possibile riferimento, accentuando fenomeni di demoralizzazione. Mentre
la caduta del governo Berlusconi per mano dei mercati finanziari, ha rimosso il bersaglio
centrale e simbolico della mobilitazione politica. Il movimento a difesa dell'art.18 ha
rappresentato un occasione preziosa di controtendenza. Proprio per questo la sua
sconfitta ha rafforzato la dinamica di ripiegamento.
Questo arretramento ha ragioni molteplici. Per un verso ha un rapporto col contesto
politico e sociale della crisi. La grande recessione del 2008/2009 ha fatto irruzione a
ridosso dell'esperienza del governo Prodi (2006/2008), che registrò il punto più basso di
scioperi rispetto a tutto il decennio precedente. Un governo che - col sostegno decisivo
delle sinistre politiche e della CGIL - colpì e disperse quelle domande di “svolta” di cui si
era nutrita la stagione di mobilitazioni dei primi anni 2000. Dentro questa parabola
discendente, la recessione ha finito col rafforzare la dinamica di arretramento: perché ha
colpito il mondo del lavoro proprio nel momento del ripiegamento sociale e della
delusione politica.
La responsabilità centrale della cgil
Questa analisi riporta alla ragione decisiva dell'arretramento operaio: la responsabilità
delle sue direzioni, politiche e sindacali. Ed in particolare della burocrazia CGIL: l'unica
direzione di massa del movimento operaio.
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Negli anni della crisi la principale preoccupazione della burocrazia CGIL è stata quella di
riconquistare la collaborazione col padronato; e di favorire una ricomposizione di
governo di centrosinistra, come sponda per la collaborazione sociale.
Sotto il governo Berlusconi, che emarginava la CGIL attraverso gli accordi separati con
CISL e UIL, la burocrazia sindacale ha fatto a suo modo un’“opposizione” controllata: per
spingere il padronato alla ripresa della collaborazione, in una prospettiva di ricambio
politico borghese (accordo del 28 giugno 2011 sulla deroga ai contratti).
La nascita del governo Monti spiazzò le aspettative della CGIL. Non a caso la burocrazia
sostenne sino all'ultimo momento, anche in contraddizione col PD, la necessità di
elezioni anticipate. Ma il coinvolgimento del PD e la necessità di coprire a sinistra la
segreteria Bersani, motivò il lasciapassare della CGIL (in particolare su pensioni e
articolo 18), concedendo al nuovo governo ciò che lo stesso Berlusconi non avrebbe
potuto realizzare. La pugnalata della CGIL al movimento di massa per la difesa
dell'art.18 è stata decisiva per la sua sconfitta. La ragione politica della burocrazia
restava la stessa: coprire il PD nell'anno di “transizione” in vista di un accordo di
concertazione con un governo Bersani, che veniva considerato scontato.
La clamorosa sconfitta elettorale di Bersani nel febbraio 2013 e l'approdo travagliato al
governo Letta Alfano, hanno perciò rappresentato una nuova sconfitta della burocrazia
CGIL. Tuttavia l'impossibilità di reggere in un limbo indefinito e la volontà di aprire alla
nuova direzione confindustriale di Squinzi, ha sospinto il grande accordo di
ricomposizione tra CGIL, CISL, UIL, e Confindustria attorno alla “esigibilità dei contratti”:
che completa e consolida l'accordo del 28 giugno 2011 nella direzione voluta dal
padronato. Cui si aggiunge una sorta di blocco dei produttori con Confindustria, a favore
di una nuova operazione sul cuneo fiscale (a vantaggio dei padroni) e il lasciapassare a
Letta sulle misure di ulteriore precarizzazione del lavoro.
Questa politica della burocrazia CGIL, se ha mancato sinora l'incontro coll'atteso
governo di centrosinistra, ha invece centrato un risultato di fondo: il disarmo del
movimento operaio. Con effetti drammatici non solo sociali, ma anche politici.
L'incapacità della FIOM nella costruzione di una alternativa
Il gruppo dirigente della FIOM è stato del tutto incapace di una alternativa di direzione
alla burocrazia della CGIL. Ed ha anzi accentuato progressivamente gli elementi di
subordinazione alla linea della confederazione.
Questo gruppo dirigente “sabatiniano” ha perseguito e persegue un “normale” ripristino
della dialettica col padronato, a partire dalla difesa del proprio ruolo sindacale. Per
questo si è opposto allo sfondamento della FIAT contro i diritti individuali e collettivi, ha
contrastato gli accordi separati, ha criticato linea e scelte della maggioranza CGIL in
passaggi cruciali (risposta a Marchionne, accordi del 28 giugno 2011), si è differenziato
all'ultimo congresso della Confederazione. Perciò stesso la FIOM ha richiamato su di sé,
a più riprese, attenzioni e aspettative di una parte importante della classe operaia
italiana. Tuttavia questo stesso gruppo dirigente si è rifiutato di trasformare le proprie
differenziazioni in una linea di massa alternativa.
Da un lato ha accettato il quadro di frammentazione dello scontro stabilimento per
stabilimento, per di più rinunciando ad una radicale risposta di lotta anche quando ve ne
erano le condizioni soggettive e la necessità oggettiva (mancata occupazione di Termini
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Imerese nel 2009): col risultato di subire il terreno di scontro cercato dal padronato e di
incoraggiare di fatto la sua linea di sfondamento progressivo.
Dall'altro lato ha cercato di surrogare la sconfitta con un accentuato manovrismo politico,
finalizzato a ottenere per via politica (e giudiziaria) ciò che appariva precluso sul terreno
dello scontro sociale: a partire da una nuova legge sulla rappresentanza. Da qui prima
l'azione di fiancheggiamento e di pressione sulla coalizione di centrosinistra, considerata
vincente. Poi il corteggiamento, a più riprese, dello stesso grillismo, quale interlocutore
della FIOM. Alla fine ha cercato di mascherare l'impasse della propria linea con
l'allineamento all'accordo CGIL, CISL, UIL, Confindustria su rappresentanza ed
esigibilità dei contratti: sino a presentare come “vittoria” della FIOM la rinuncia alla libertà
di lotta e di contestazione giudiziaria dei contratti.
L'allineamento FIOM nell'imminente congresso della CGIL, pur in presenza di limitate
distinzioni formali e di un feroce scontro di potere, sancisce la sua subordinazione nel
momento stesso della massima responsabilità della CGIL per la sconfitta del movimento
operaio.
L'arretramento della coscienza di classe
L'arretramento del movimento operaio per responsabilità delle sue direzioni, ha prodotto
a sua volta conseguenze politiche negative su diversi piani complementari.
In primo luogo sulla coscienza dei lavoratori. Sovrapponendosi ai processi di
scomposizione materiale della classe di più lungo percorso, e combinandosi con la crisi
verticale della sinistra, la sconfitta sociale del movimento operaio ha favorito un diffuso
indebolimento tra i lavoratori della stessa auto rappresentazione della propria ragione
sociale. Questo fenomeno ha investito anche settori di massa sindacalmente e
politicamente attivi : egemonia dell'antiberlusconismo liberale anche su settori combattivi
(a Torino il voto a Fassino filo FIAT di tanti lavoratori di Mirafiori che si erano schierati
per il No alla Fiat); penetrazione populista grillina in settori di classe operaia industriale,
sfiduciati e disperati (Sulcis). Qui si manifesta una differenza importante con i primi anni
90. Allora il combinarsi di un ciclo di lotte di massa (autunno dei bulloni del 92 - grande
sciopero generale del 94 contro il primo governo Berlusconi) con lo sviluppo di
Rifondazione comunista (in qualche modo relazionato anche a quel ciclo di lotte) fece
argine, nonostante tutto, al populismo leghista, contenendo la sua espansione nella
classe operaia. Oggi l'argine anti populista è infinitamente più debole (socialmente e
politicamente), a fronte di una crisi sociale assai più profonda.
In secondo luogo, l'arretramento del movimento operaio e della sua coscienza, ha
indebolito tutti i movimenti di massa, a partire da quello studentesco. Liberando uno
spazio più ampio, dentro la crisi sociale, per lo sviluppo di movimenti popolari a
egemonia reazionaria (Forconi): nei quali strati superiori delle classi medie costruiscono
la propria egemonia sugli strati inferiori della piccola borghesia e su più ampi settori
popolari. Mentre il grosso della popolazione povera del Meridione vive con un senso
diffuso di impotenza il peggioramento della propria condizione. Parallelamente lo stesso
arretramento della mobilitazione e della coscienza di classe indebolisce i movimenti
democratici e socialmente progressivi che si sviluppano su importanti terreni specifici
(dal movimento a difesa dell'acqua pubblica al movimento No Tav, ecc). Movimenti che
hanno occupato uno spazio rilevante sia per le proprie importanti ragioni di merito, sia
anche, paradossalmente, per l'arretramento della frontiera centrale dello scontro sociale.
E che al tempo stesso, proprio per questo, subiscono l'assenza di un riferimento
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unificante che possa dare prospettiva alle loro rivendicazioni spostando i rapporti di forza
complessivi.
GLI OSTACOLI ALLA RIPRESA DI MASSA. LE POTENZIALITA’DI UNA BRUSCA
SVOLTA
Oggi permangono diversi ostacoli alla ripresa della mobilitazione di classe e di massa.
Uno sviluppo del movimento politico di classe e di massa per propagazione da singole
vertenze esemplari è ostacolato sia dalla dinamica della crisi (che spinge ogni vertenza
a ripiegare sulla propria specificità), sia dall'assenza di un investimento della direzione.
Tanto più a fronte dell'involuzione in corso della FIOM. Parallelamente, le tante lotte oggi
presenti (precariato, sanità, trasporto locale, casa..) non paiono in grado di avviare una
ricomposizione unificante. Ed anzi registrano una difficoltà di generalizzazione persino
sul proprio terreno specifico. Un'eccezione importante, però circoscritta, è rappresentata
dalle lotte nella logistica del centro nord: ma non a caso questa eccezione è legata alla
presenza soggettiva di una direzione alternativa, grazie ad un piccolo sindacato classista
(Si Cobas). Tuttavia la situazione non è affatto stabilizzata. Si accumulano le fascine di
una possibile svolta.
Sul piano politico, la borghesia “non può più governare come prima” e ha enormi
difficoltà a definire un nuovo equilibrio. L'instabilità politica e istituzionale moltiplicherà
contraddizioni e fratture nelle forze dominanti, già esposte a una grave crisi di credibilità:
aprendo continuamente nuovi varchi per la possibile irruzione di iniziative di massa.
Sul piano sociale, la borghesia è priva di un margine di manovra e concessioni che le
consenta di recuperare consenso. Ed anzi è costretta dalla gravità della crisi capitalista,
e dai vincoli annunciati del fiscal compact, a intensificare le politiche di austerità proprio
nel momento della sua crisi di egemonia; dell’accumulo di miseria e disperazione nel
lavoro salariato e in ampi strati popolari; della massima crisi di tutti i tradizionali
ammortizzatori (sociali, familiari, clientelari), sia nel Nord che nel Mezzogiorno.
Parallelamente l'assenza di una socialdemocrazia con basi di massa priva la borghesia
di un ammortizzatore politico del conflitto sociale, quale quello rappresentato nella prima
Repubblica dal PCI, e negli anni 90 in misura minore dai DS, caricando questo onere
sulla sola CGIL. Mentre il diversivo mediatico/populista a 5 Stelle, che pure ha
elettoralmente attecchito nello stesso lavoro salariato, non dispone di una presenza
organizzata nei luoghi di lavoro (il grillismo non è il peronismo).
In questo quadro, lo spazio oggettivo di una brusca svolta sociale è interamente
presente. E costituisce una fonte reale di preoccupazione borghese. Naturalmente è
impossibile prevedere quali saranno tempi, canali e dinamiche di una ripresa e
ricomposizione del fronte di lotta. Possono realizzarsi le più diverse combinazioni di
fattori sociali e politici, tutte “improbabili”, tutte possibili, capaci di innescare la miccia
della svolta (inclusi fatti incidentali, come in Turchia o Brasile..). Le varianti sono
potenzialmente infinite. Ciò che rende possibile l'innesco è il sottosuolo della profonda
crisi sociale e politica borghese.
Rivoluzione o reazione in Italia
Nell'attuale quadro della crisi politico istituzionale, una eventuale ripresa reale del
movimento di massa potrebbe trasformarsi in un fattore dirompente. Ciò che sinora ha
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consentito il dispiegarsi indolore del caos della seconda Repubblica, è stata la relativa
pace sociale. Proprio per questo una rottura sociale sarebbe gravida di effetti
destabilizzanti, più che in altri paesi. Sino a configurare una possibile crisi pre
rivoluzionaria. Ma è vero anche l'inverso. Senza una reale ripresa del movimento
operaio e dei movimenti di massa, la profondità della crisi italiana rischia di alimentare
una deriva reazionaria.
Dinamiche reazionarie sono già operanti. E si vanno aggravando. La repressione sta
conoscendo in alcuni contesti un salto di qualità, sul terreno del cosiddetto ordine
pubblico: col ricorso inedito a configurazioni di reato obiettivamente abnormi
(“terrorismo”, “devastazione e saccheggio “) contro ordinarie manifestazioni di conflitto.
L'intero dibattito sulla “Riforma istituzionale” (v. presidenzialismo) rivela che la tendenza
informale al bonapartismo e alla rottura con la tradizione costituzionale ha fatto
obiettivamente un passo avanti. Il populismo grillino ha conquistato una base di massa
ad un progetto reazionario di rottura istituzionale ben più profonda di quella “gaullista”.
Queste tendenze reazionarie non compongono un unico disegno. Sono anzi segnate da
contraddizioni. Ma certo siamo in presenza di una massa critica di spunti reazionari
obiettivamente nuova. Che misura la profondità della crisi, e il drammatico ritardo del
movimento operaio a imporre la propria soluzione.
Rivoluzione socialista o reazione politica: questa è dunque in termini storici la vera
alternativa di prospettiva.
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III PARTE LA PROPOSTA DEL PCL
LA SOLUZIONE SOCIALISTA E RIVOLUZIONARIA
La prospettiva socialista e rivoluzionaria indica l'unica possibile soluzione storicamente
progressiva della crisi del capitalismo. Sul piano mondiale. Su scala europea. Sul
terreno nazionale.
In particolare l'esperienza di questi anni di crisi in Europa conferma una volta di più
l'inconsistenza e l'inganno di ogni ipotesi riformista. Le suggestioni di un “Europa sociale
e democratica” in ambito capitalistico, seminate a piene mani dalle sinistre riformiste e
da tanta parte dell'area centrista, sono prive di ogni fondamento materiale e storico.
Prima l'esaurimento del boom postbellico dalla metà degli anni 70 e poi il crollo del Muro
di Berlino avevano già colpito da tempo lo spazio storico “riformistico” del dopoguerra.
La grande crisi capitalistica e, in essa, la crisi europea, lo hanno seppellito.
Oggi tutte le borghesie europee - sotto ogni governo - muovono all'attacco del Welfare e
del lavoro. Con un salto di qualità rispetto alla dinamica degli ultimi 20 anni. Ciò non
dipende da “errate politiche liberiste” (teoria smentita dal più grande intervento statale di
tutta la storia, a sostegno del capitale). Dipende dalla profondità della crisi e dalla
competizione mondiale dentro questa crisi.
Le basi materiali dell'attacco a welfare e lavoro in europa
L'attacco al Welfare è trascinato dalle necessità del pagamento del debito pubblico; dalla
ricerca disperata di risorse per i “propri” capitalisti, contro concorrenti degli altri paesi;
dalla necessità di nuove riduzioni fiscali per le “proprie” imprese in un quadro
internazionale in cui la riduzione delle tasse sui capitalisti è diventato una voce centrale
della concorrenza mondiale; dalla volontà di assicurare con le privatizzazioni del Welfare
nuovi spazi di accumulazione del capitale.
Così, il passaggio dalle politiche di precarizzazione al nuovo attacco ai contratti nazionali
è sospinto dalla concorrenza sul mercato mondiale della forza lavoro: a fronte di bassi
salari asiatici e di salari medi americani tornati ormai al livello del 1980 e inferiori del
25% ai salari medi tedeschi.
L'illusione delle soluzioni riformiste: “europa sociale” o “moneta nazionale”
Le terapie ideologiche che pensano di rimediare a tutto questo nel quadro capitalista
cadono nel grottesco.
Le formazioni della “Sinistra Europea” (Syriza, Fronte de Gauche, Linke, Izquierda Unida
e ciò che resta del PRC) propongono ingegnerie democratiche e Keynesiane: riforma
della BCE quale prestatore diretto agli Stati, ristrutturazione “concordata” del debito
pubblico; audit per separare il debito “legittimo” da quello “illegittimo”. Queste proposte
non solo sono prive di un riferimento di classe; ma muovono alla ricerca utopica di un
“compromesso” progressivo col capitalismo europeo, nel momento stesso della sua
massima crisi e della massima aggressione al lavoro. Dal punto di vista politico sono un
certificato di “responsabilità” e di “realismo” da esibire alle classi dirigenti europee per
rivendicare il diritto a un proprio futuro ruolo di governo.
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3° Congresso del PCL
DOCUMENTO 1 – POLITICO - ed EMENDAMENTI
Altre formazioni, per lo più di estrazione stalinista, propongono invece l'uscita dall'Euro:
o in direzione delle vecchie monete nazionali (che nel quadro del capitalismo e della sua
crisi sarebbe solo un’occasione di saccheggio speculativo su salari e risparmi); o in
direzione di una “moneta comune” del Sud Europa, per “un'alleanza tra Stati che possa
avere più potere contrattuale a livello continentale”, sulla base di un blocco sociale
esteso a “settori di borghesia nazionale” (v. il documento per la 2° Conferenza nazionale
della Rete dei Comunisti): una suggestione non solo priva di ogni fondamento, ma che
rimuove l'autonomia di classe e che ha come vero risvolto la negazione della rivoluzione
socialista. Nel nome dell'ennesima evocazione di una (immaginaria) “tappa democraticoprogressiva”.
Per gli Stati Uniti Socialisti d'Europa
L'avanguardia di classe va liberata da queste fantasie. L'alternativa non è tra euro e
moneta nazionale. E’ tra capitale e lavoro. Tutte le rivendicazioni fondamentali della
classe operaia e degli sfruttati sono incompatibili col capitalismo europeo; con l'Unione
dei capitalisti e dei banchieri, (con le sue istituzioni, leggi, trattati); con ogni quadro
capitalistico “nazionale”; con ogni cartello di Stati capitalisti.
Il recupero, la difesa, l'ampliamento del salario sociale; la difesa, la riqualificazione, la
ripartizione del lavoro; lo sviluppo di un grande piano di nuovo lavoro, richiedono un
piano di misure anticapitaliste radicali e un potere che le possa realizzare. In altri termini
una prospettiva di rivoluzione e di governi dei lavoratori. In ogni Paese e su scala
Europea.
La prospettiva degli “Stati uniti socialisti” d'Europa è l'unica reale prospettiva di
progresso per il mondo del lavoro e la maggioranza della società europea. L'alternativa
reale è una nuova profonda regressione sociale e lo sviluppo di derive politiche
reazionarie in tutto il vecchio continente.
IL GOVERNO DEI LAVORATORI: UNICA SOLUZIONE DELLA CRISI ITALIANA
La profondità della crisi pone l'esigenza di un'alternativa politica di classe: tanto radicale
quanto radicale è la crisi di sistema. Se le classi dominanti hanno fallito, una nuova
classe deve prendere le redini della società. Se la Repubblica borghese ha fallito, è
necessario battersi per una Repubblica dei lavoratori. La battaglia per un governo dei
lavoratori, su un programma anticapitalista, ha una propria specifica radice proprio nella
crisi italiana.
Il fatto che il movimento operaio sia arretrato, che la sua coscienza abbia subito
involuzioni profonde, che il tema di un governo dei lavoratori sia oggi lontano dalla
visione della stessa avanguardia, non giustifica una rimozione di quella prospettiva. Al
contrario. Proprio perché il movimento operaio è arretrato, proprio perché la sua stessa
avanguardia è disorientata, è necessario promuovere un intervento controcorrente,
tenace, paziente, che lavori a sviluppare la coscienza dei lavoratori al livello delle
necessità oggettive che la stessa crisi della borghesia oggi pone. Elevare la coscienza
soggettiva al livello delle necessità oggettive, è la ragione stessa di una politica
comunista. Questa battaglia e proposta politica contrasta apertamente gli indirizzi
presenti nelle sinistre attorno al nodo dell'”alternativa”.
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3° Congresso del PCL
DOCUMENTO 1 – POLITICO - ed EMENDAMENTI
Riformisti e centristi sulla questione dell'alternativa
Le sinistre cosiddette “radicali” hanno usato la domanda di un alternativa di governo,
presente in settori di massa e dell'avanguardia, per giustificare la propria subordinazione
alla borghesia liberale, in cambio di ministeri (o assessorati). La loro critica ideologica
alla “vecchia” concezione della “conquista del potere” proletario, è servita solo a
mascherare la ciclica candidatura alla gestione del potere borghese.
Aree e soggetti di tipo centrista (né riformisti, né rivoluzionari) hanno combinato negli
anni il rifiuto della prospettiva del “governo dei lavoratori”, con gli atteggiamenti più
disparati. A seconda delle proprie diverse soggettività.
Sinistra Critica ha fatto parte della maggioranza Prodi dal 2006 sino alla fine del 2007
(da Mastella a Turigliatto), votando la fiducia 22 volte al governo “democratico”
dell'imperialismo italiano e alle sue misure anti operaie. La sua successiva opposizione
“anticapitalista”, pur autonoma dal centrosinistra, ha continuato a contrapporre alla
prospettiva del potere dei lavoratori l'illusione subalterna di una “democrazia
partecipativa” (Porto Alegre) rimuovendo il concetto di rottura rivoluzionaria.
Altre aree e soggetti centristi, rinnovano l'illusione di soluzioni “intermedie” tra governo
borghese e governo dei lavoratori (il governo di “emergenza popolare” avanzata dai
CARC; o di “liberazione nazionale” attorno al ritorno alla lira, avanzata dal MPL; o di
blocco sociale con la ”piccola borghesia e settori di borghesia nazionale”, rivendicato
dalla Rete dei Comunisti..). Queste “soluzioni” immaginarie pretenderebbero maggiore
“realismo”. Ma il loro unico risvolto reale è l'opposizione alla prospettiva del potere
proletario. A copertura di un minimalismo programmatico spesso combinato col retaggio
della tradizione stalinista (l'eterna suggestione della “tappa democratica” formalmente in
direzione del “socialismo”, in realtà in contrapposizione al socialismo).
Altri soggetti rimuovono totalmente la questione della prospettiva politica per ripiegare su
una pura dimensione di antagonismo di movimento (aree diverse dei Centri sociali,
dell'anarchismo, dell'”Autonomia”..). A volte mitizzando il valore di una specifica lotta,
vista ogni volta come nuovo paradigma (v. No Tav). A volte teorizzando l’“alternativa” non meglio precisata - come sommatoria progressiva di “spazi liberati”, in una logica neo
riformista. A volte risolvendosi in strumento di pressione negoziale sulle istituzioni o sulla
sinistra riformista (come per i Disobbedienti verso il Centro sinistra, il gruppo dirigente
FIOM e SEL). Più volte combinando insieme tutti questi elementi.
Il tratto comune di queste culture è un antagonismo senza centralità di classe e senza
rivoluzione. Che contribuisce a privare lotte e movimenti di una prospettiva unificante a
danno delle loro specifiche ragioni.
Per un programma anticapitalista, fuori da ogni illusione
La prospettiva del governo dei lavoratori si fonda invece su un principio di realtà. Le
esigenze e le rivendicazioni fondamentali dei lavoratori, dei movimenti sociali, della
maggioranza della società, riconducono alla necessità della rivoluzione sociale
anticapitalista. Una rivoluzione sociale anticapitalista è inseparabile da un alternativa di
potere. Solo la classe lavoratrice, nella sua attuale composizione ed estensione - a
partire dalla classe operaia industriale - ha la forza potenziale per unificare attorno ad un
programma anticapitalista l'insieme delle domande ed esigenze di svolta, e per
conquistare il potere politico. Solo un potere politico fondato sul blocco storico alternativo
tra classe operaia e masse oppresse e sfruttate, del Nord e del Sud, può sgomberare il
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3° Congresso del PCL
DOCUMENTO 1 – POLITICO - ed EMENDAMENTI
campo dalla dittatura del capitale. Fuori da questa prospettiva resta di fatto una sola
conclusione: la convivenza con la società borghese e il suo Stato. La necessità di un
governo dei lavoratori è posta dalla natura stessa delle misure necessarie per l'uscita
dalla crisi.
La difesa del lavoro richiede il blocco dei licenziamenti, con l'esproprio sotto controllo dei
lavoratori delle aziende che licenziano; la sua ripartizione con la riduzione progressiva
dell'orario a parità di paga; un grande piano di opere di pubblica utilità (a partire
dall'ambiente e dal Mezzogiorno), finanziato da un aumento massiccio della tassazione
progressiva dei grandi redditi e da una tassazione radicale dei grandi patrimoni
(immobiliari e finanziari).
La difesa, la riconquista, l'estensione delle protezioni sociali e dei servizi (pensioni,
sanità, scuola, trasporti) è inseparabile dall'abolizione del debito pubblico verso le
banche; dall'esproprio e nazionalizzazione delle stesse banche, senza indennizzo per i
grandi azionisti dalla loro concentrazione in un’unico istituto pubblico, quale strumento di
pianificazione democratica dell'economia al servizio dell'interesse collettivo e mezzo di
liberazione dal cappio di mutui usurai.
Non c'è domanda sociale di svolta - in nessun settore delle classi oppresse - che possa
prescindere da queste misure. Non c'è possibilità di realizzare queste misure nel quadro
del capitalismo, grazie a un ministro di “sinistra” o a una pressione dei movimenti.
Solo un governo dei lavoratori, fondato sulla loro organizzazione e la loro forza, può
realizzare queste misure in una prospettiva socialista. Non a caso le sinistre riformiste o
centriste, che respingono la prospettiva di un governo dei lavoratori, rimuovono la
necessità di quelle misure o finiscono col distorcerle, per cercare di renderle
(virtualmente) compatibili col quadro capitalista.
Il PRC, che al governo ha votato la massiccia riduzione delle tasse per banchieri e
industriali (IRES dal 34% al 27,5% nel 2007), una volta all'opposizione ha vagheggiato,
di tanto in tanto, la “nazionalizzazione delle banche”: salvo poi precisare che il punto
decisivo è la.. “riforma della BCE” (alla coda dei professori liberali).
Settori centristi hanno assunto la rivendicazione dell'abolizione del debito pubblico
(anche per effetto della nostra battaglia controcorrente). Ma la loro preoccupazione è
quella di dissolvere la portata anticapitalista di quella rivendicazione: o in direzione
dell'”audit” o svincolandola dalla nazionalizzazione delle banche.
Così riformisti e centristi, in qualche occasione, hanno ripreso la parola d'ordine della
“nazionalizzazione” di una industria (Fiat o Ilva). Ma tacendo sul punto decisivo
dell'indennizzo, cercando la copertura della Costituzione borghese (che infatti prevede in
ogni caso l'indennizzo), rimuovendo la questione centrale del controllo operaio,
comunque rifiutando di estenderla all'insieme delle aziende che licenziano o inquinano.
In altri termini trasformando una possibile rivendicazione anticapitalista nel recupero
delle vecchie partecipazioni statali, dentro un quadro capitalista “riformato”. Tutto questo
dimostra una cosa sola: la costante preoccupazione dei dirigenti riformisti di apparire
“realisti” agli occhi dei liberali. E dei dirigenti centristi di apparire “realisti” agli occhi dei
riformisti.
La preoccupazione del PCL e dei rivoluzionari, è e deve essere esattamente opposta.
Quella di gettare un ponte tra le esigenze delle masse e la necessità delle rivoluzione. E
dunque di assumere la prospettiva del governo dei lavoratori come coronamento
decisivo della propaganda e agitazione anticapitalista. Contro ogni illusione.
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3° Congresso del PCL
DOCUMENTO 1 – POLITICO - ed EMENDAMENTI
PROPOSTA E POLITICA DEL FRONTE UNICO
La prospettiva del governo dei lavoratori implica una politica di massa. Non
l'autorecinzione settaria dei rivoluzionari. Ma la lotta per conquistare le masse, e
innanzitutto l’avanguardia, alla prospettiva della rivoluzione.
La politica leninista del “fronte unico” è parte di questa politica di massa. Essa ha una
base oggettiva: la necessità di unire i lavoratori e attorno ad essi tutti gli sfruttati, in
contrapposizione alle classi dominanti. Questa esigenza è tanto più stringente in un
quadro di grande crisi, di offensiva contro il lavoro, di unità di tutti i partiti padronali in
questa offensiva, di nuove pericolose tendenze reazionarie.
Sulla base di questa esigenza avanziamo una proposta incalzante di fronte unico di lotta
all'insieme della sinistra. A differenza che in altri paesi europei, in Italia l’attuale assenza
di una rappresentanza politica maggioritaria del movimento operaio e la riduzione della
sinistra politica ad un arco di forze molto modesto, non consente di tradurre la proposta
di fronte unico in una esplicita formula politica direttamente leggibile a livello di massa
(come in Grecia ad es. una proposta di “fronte unico Syriza - KKE sulla base di un
programma anticapitalista” ). Per questo la proposta di fronte unico mantiene ad oggi un
carattere generale e indeterminato: come proposta rivolta a “tutte le sinistre politiche,
sindacali, associative, di movimento” perché uniscano le forze in una azione di difesa dei
lavoratori; rompano ogni collaborazione col padronato e i suoi partiti; sviluppino un piano
di mobilitazione di massa unitaria e radicale, proporzionale all'attacco delle forze
dominanti; in ultima analisi si battano per una alternativa politica anticapitalista.
Questa politica leninista ha un risvolto tattico importante: entrare nelle contraddizioni tra i
gruppi dirigenti del movimento operaio e i settori più avanzati e combattivi della loro base
di massa; sviluppare la loro attenzione verso la proposta dei rivoluzionari; estendere la
conoscenza e influenza della proposta dei rivoluzionari all'interno del movimento
operaio, per costruire una sua direzione alternativa. Che è il fattore decisivo per lo
sviluppo e il successo della prospettiva di rivoluzione.
Al tempo stesso la politica di fronte unico non si limita ad un'azione di propaganda, per
quanto fondamentale. Ma dentro questo orizzonte generale, si traduce in azione politica:

nella partecipazione, col proprio programma, ad ogni movimento o scadenza di
lotta che abbia carattere progressivo, al di là dei limiti politici della sua
piattaforma e della natura delle forze promotrici.

nella critica costante alla frammentazione delle scadenze di lotta e mobilitazione,
dovuta a logiche di concorrenza, veti reciproci, primogeniture, tanto frequente
nella prassi di forze riformiste e centriste, politiche e sindacali.

in accordi di unità d'azione con altre sinistre su obiettivi parziali comuni, al di là
delle contraddizioni dei nostri temporanei alleati.
L'essenziale è non confondere mai una espressione, anche organizzata, di unità
d'azione su specifici obiettivi (come ad es. il No Debito) con un soggetto politico comune;
e/o concepirla come un accordo di cartello, escludente a priori altri soggetti e
componenti del movimento operaio.
Per noi ogni espressione di fronte unico va concepita come tassello particolare della
proposta generale di fronte unico anticapitalistico.
Per le organizzazioni riformiste e centriste conta essenzialmente l'auto conservazione
del proprio spazio e ruolo particolare. Per i rivoluzionari la bussola di riferimento è
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3° Congresso del PCL
DOCUMENTO 1 – POLITICO - ed EMENDAMENTI
sempre l'interesse generale del movimento operaio, nella prospettiva della rivoluzione.
Ciò che passa per una politica di unità di classe. Per questo il PCL, sul terreno
dell'azione di classe, è in un certo senso il soggetto più unitario della sinistra italiana.
PER L'INDIPENDENZA DI CLASSE
La proposta di fronte unico anticapitalistico, e la politica di fronte unico, si accompagna
ad una nostra proposta di svolta del movimento operaio: in direzione della piena
autonomia di classe; e sul terreno della azione di classe.
La proposta di fronte unico di classe è inseparabile dalla contrapposizione alla
borghesia, ai suoi governi, ai suoi partiti.
La rottura col PD
La rottura col Partito Democratico è la prima necessità politica del movimento operaio.
Nonostante la sua natura compiutamente borghese, e i suoi solidi legami con la
borghesia, il PD ha continuato ad inglobare nella propria area di riferimento la maggior
parte del “popolo della sinistra”, grazie alla finzione distorta del gioco bipolare
(“contrapposizione a Berlusconi”). Specularmente, la subordinazione al PD del grosso
delle sinistre politiche e sindacali ha contribuito in modo decisivo a coprire e consolidare
l'equivoco del bipolarismo, e con esso l'influenza del liberalismo su ampi settori di
massa. Solo una rottura col PD può dunque liberare uno sviluppo indipendente del
movimento operaio, della sua azione di massa, politica e sindacale, della costruzione di
un'alternativa di classe. Questa battaglia per la rottura del movimento operaio col PD è
resa oggi ancor più attuale dalla crisi profonda del PD.
La crisi della seconda Repubblica, unita all'esperienza dei governi di unità nazionale tra
PD e Berlusconi (Monti e Letta) hanno introdotto un fatto nuovo nel rapporto tra il PD e
una parte del suo “mondo” di riferimento: che tende a ribellarsi, sino a fenomeni di rigetto
del partito stesso (abbandono elettorale, crollo delle iscrizioni). Questo fenomeno è
segnato da molti limiti. Non è maturato, per lo più, da un versante di classe ma da un
confuso versante democratico. Non è precipitato in reazione a misure anti operaie, come
art. 18 e legge Fornero. E’ precipitato piuttosto in reazione al “tradimento” del
bipolarismo (accordo di governo con Berlusconi), alla sconfessione delle promesse
elettorali. E’ la misura di quanto a lungo abbia scavato l'inganno bipolare, e della crisi del
movimento operaio italiano. E tuttavia, in una forma distorta e su un terreno spurio, si
esprime un fenomeno inedito, che può avere una ricaduta di classe. Mai come oggi si è
fatto profondo lo scollamento tra il PD e un settore importante di lavoratori e popolo di
sinistra. Mai come oggi si pone l'occasione di una battaglia per l'emancipazione politica
del movimento operaio dal liberalismo e dal bipolarismo.
Le sinistre politiche e sindacali lavorano contro questa prospettiva. SEL lavora alla
ricomposizione col PD, e oggi segnatamente con Renzi, dentro il rilancio del vecchio
bipolarismo. La burocrazia Cgil assiste silente alla crisi del PD, nell'eterna attesa di un
futuro governo cui poter appendere la concertazione col padronato. Il gruppo dirigente
Fiom continua a lavorare come lobby per e verso un “nuovo” centro sinistra, in parte
quale sponda a Sel. Il risultato di queste politiche è che la crisi profonda del PD può
risolversi a “destra”: liberando consensi verso il renzismo e/o il grillismo. Con nuovi effetti
pesantemente negativi sul movimento operaio.
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3° Congresso del PCL
DOCUMENTO 1 – POLITICO - ed EMENDAMENTI
Contro queste politiche, la battaglia per un fronte unico di classe, autonomo e alternativo
al Pd, è oggi centrale: tra i lavoratori, nei movimenti sociali, nelle organizzazioni di
massa, in tutta la sinistra italiana.
La rottura col populismo
Parallelamente si pone la necessità di una piena indipendenza del movimento operaio
dal populismo reazionario. Il grillismo non è un possibile alleato, magari infido e
contraddittorio, del mondo del lavoro. E’ un suo avversario. Esso non contribuisce
solamente a corrompere e dirottare un potenziale di lotta di classe sul binario truffaldino
della “lotta alla casta”. Lavora a incorporare una parte dello stesso lavoro salariato al
proprio progetto reazionario.
I gruppi dirigenti delle sinistre politiche e sindacali hanno avuto pesanti responsabilità
nell'ascesa del grillismo e nella sua diffusione tra i lavoratori. Non solo per la propria
subordinazione al capitalismo in crisi. Ma anche per una politica criminale di
abbellimento del fenomeno Grillo dopo la sua esplosione. La rappresentazione del
grillismo come possibile componente di un “fronte democratico” da parte di SEL; la
prolungata apertura di credito da parte del PRC, ai tempi di Ingroia; la ricerca
dell'interlocuzione da parte del gruppo dirigente FIOM; il silenzio da parte della CGIL,
hanno contribuito in modo decisivo a legittimarlo anche agli occhi di settori
d'avanguardia.
Parallelamente, ancor più grottesca è stata l'apertura al M5S da parte di gruppi centristi:
da Cremaschi e la maggioranza del No Debito; ad ambienti del sindacalismo di base;
sino alla campagna elettorale a favore di Grillo dei CARC. Tutte espressioni dell'infinita
leggerezza del centrismo: che non avendo un programma, ma vivendo di suggestioni
estemporanee, finisce per salutare come espressione di movimento una manifestazione
(reazionaria) della sua crisi.
All'opposto, è necessario sviluppare tra i lavoratori e in tutte le organizzazioni di massa
una campagna sistematica di controinformazione sulla natura del grillismo. A partire dal
rifiuto di un immaginario culturale che, anche a sinistra, ha sostituito i lavoratori con i
“cittadini”, la politica borghese con “la politica”, i partiti borghesi con “i partiti”. Restituire
alle cose il loro nome, è il presupposto stesso di un fronte unico di classe.
PER UNA SVOLTA UNITARIA E RADICALE DI LOTTA
La conquista dell’autonomia di classe si lega ad una svolta unitaria e radicale del
movimento operaio. Una svolta capace di unire ciò che la crisi divide. E al tempo stesso
capace di elevare la risposta del movimento operaio a un livello di scontro storicamente
nuovo.
Il senso strategico della “vertenza generale”
L'esperienza di questi anni di crisi capitalista ha confermato non solo i guasti devastanti
delle politiche concertative col padronato o i governi borghesi. Ma anche il fallimento
delle linea di difesa atomizzata, in ordine sparso, delle singole trincee del mondo del
lavoro (linea Fiom). Si conferma l'esigenza di una grande vertenza unificante del mondo
del lavoro, dei precari, dei disoccupati, attorno ad una piattaforma rivendicativa
indipendente. Questa proposta di svolta risponde al nuovo quadro della crisi capitalista e
all'esigenza di una nuova cultura del movimento operaio. Che rompa definitivamente con
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3° Congresso del PCL
DOCUMENTO 1 – POLITICO - ed EMENDAMENTI
ogni sorta di concertazione. Ma superi anche definitivamente i vecchi limiti del
tradunionismo sindacale.
La cultura delle vecchie sinistre sindacali si è formata alla fine degli anni 60. Quando
ancora il lascito del boom capitalistico del dopoguerra (sviluppo industriale,
concentrazione operaia, margini riformisti) consentiva una dinamica di conquiste parziali
e progressive, singole vertenze aziendali o di categoria che innescavano un
trascinamento generale. E’ l'esperienza del lungo autunno caldo italiano (1969/76). La
fine del boom, la lunga stagnazione e infine la precipitazione della crisi capitalista, più di
35 anni di arretramenti, hanno distrutto le basi di una simile dinamica. Nel chiuso delle
singole trincee di stabilimento, si vive e subisce un rapporto di forza impari. Che certo
non elimina la necessità della resistenza. Ma elimina la reale possibilità di perseguire,
azienda per azienda, in ordine sparso, la ripresa generale del movimento operaio.
Uscire dal chiuso delle trincee aziendali, unificare le forze in un movimento generale,
capace di confrontarsi in campo aperto con le classi dominanti: questo è il senso
strategico della proposta di vertenza generale, rivolta a tutte le organizzazioni del
movimento operaio. Una proposta di fronte unico che richiama due necessità
complementari : una piattaforma di svolta; una svolta generale delle forme di azione di
massa.
Per una piattaforma di lotta indipendente e unificante
La piattaforma per una vertenza generale deve selezionare un'insieme di rivendicazioni
mirato a unificare l'azione di massa del mondo del lavoro, dei precari, dei disoccupati,
attorno alle esigenze più urgenti e drammatiche. Ponendo la classe operaia, a partire
dalla classe operaia industriale, come perno di ricomposizione del blocco sociale
anticapitalista. In questo senso proponiamo:

Blocco dei licenziamenti e pieno ripristino dell'articolo 18.

Ripartizione del lavoro attraverso la riduzione generale dell'orario a parità di paga
(30-32 ore settimanali), senza flessibilità e annualizzazioni, senza finanziamento
ai padroni, a spese dei profitti, con una drastica limitazione del lavoro
straordinario e controllo operaio sui ritmi.

Cancellazione di tutte le leggi di precarizzazione, varate negli anni dai governi di
centrosinistra, centrodestra, unità nazionale; trasformazione di tutti i contratti
atipici o particolari in contratti a tempo pieno e indeterminato

Parità di diritti tra lavoratori italiani e migranti, permesso di soggiorno a tutti i
lavoratori extra comunitari e alla loro famiglie.

Salario minimo intercategoriale per legge a 1500 euro nette mensili.

Salario garantito di 1200 euro ai giovani in cerca di prima occupazione e ai
disoccupati che cercano lavoro, sino all'acquisizione di un lavoro a tempo pieno e
indeterminato.

Aumento generale di salari e stipendi privati e pubblici, col pieno recupero di
quanto perduto negli ultimi 15 anni.

Cancellazione delle leggi Gelmini su scuola e università: e grande piano di
investimento nella scuola pubblica.

Cancellazione della legge Fornero sulle pensioni, e ripristino del sistema
pensionistico a ripartizione,come precedentemente alla controriforme degli ultimi
decenni.

Cancellazione delle leggi reazionarie sul Pubblico impiego, e ripristino dei diritti
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3° Congresso del PCL
DOCUMENTO 1 – POLITICO - ed EMENDAMENTI
dei pubblici dipendenti.
La nostra piattaforma raccoglie in definitiva tutte le sofferenze sociali delle classi
subalterne del Nord e del Sud, cumulatesi nel tempo e aggravate dalla crisi, per tradurle
in una piattaforma di riscatto generale: una piattaforma tanto radicale quanto radicale è
stato l'attacco subito.
Per una svolta nelle forme di lotta
Parallelamente, si pone l'esigenza di una svolta nelle azioni di lotta. Il vecchio
armamentario riformista (scioperi simbolici di pura propaganda, forme tradizionali di
pressione negoziale..) non regge da tempo i nuovi livelli di scontro. A maggior ragione
non regge la prova della crisi capitalista e la nuova escalation dell'aggressione sociale.
La necessità di contrapporre alla borghesia e ai suoi governi una forza di massa uguale
e contraria emerge in ogni passaggio come questione decisiva. Da qui una proposta
generale di svolta.
[qui inserire emendamento POL2, testo a p. 51]
La svolta è necessaria nelle vertenze aziendali. Occupare le aziende che licenziano;
generalizzare l'indicazione dell'occupazione; coordinare le aziende occupate; costituire
una cassa nazionale di resistenza, a sostegno del prolungamento della lotta: significa
capovolgere il quadro frammentato di infinite vertenze aziendali in una controffensiva
unificante e radicale. L'unica che possa riconnettere la forza materiale della classe, a
partire dall'industria. L'unica che, in un quadro di drammatizzazione del conflitto, possa
oltretutto strappare il blocco dei licenziamenti.
La svolta è necessaria nel movimento di massa: riconducendo le diverse lotte particolari
alla prospettiva di uno sciopero generale prolungato (combinato con l'occupazione delle
aziende che licenziano), capace di paralizzare il paese, di coinvolgere attorno ai
lavoratori tutti i settori oppressi e sfruttati, di ingaggiare una prova di forza che possa
piegare la resistenza avversaria.
La stessa esperienza di lotta di classe in Europa, tanto più in questi anni di crisi,
dimostra che solo un azione concentrata e radicale di massa, che impaurisca la
borghesia, può realmente strappare risultati fosse pure parziali (v. Romania e Bulgaria).
Mentre ogni frantumazione della lotta disperde le forze e manca gli obiettivi persino in
contesti di elevata mobilitazione: com'è il caso della Grecia, con la moltiplicazione degli
scioperi generali di protesta sotto la direzione di socialdemocratici e stalinisti, in
contrapposizione alla parola d'ordine dello sciopero generale prolungato (avanzata non
a caso dai nostri compagni del EEK, sezione greca del CRQI).
Proposta d'azione e prospettiva politica
La proposta di una svolta unitaria e radicale del movimento operaio (vertenza generale,
nuove forme di azione) non è solo una proposta “sindacale”, fosse pure radicale. Pone la
prospettiva politica di un'esplosione sociale, concentrata e radicale, contro le classi
dominanti, guidata dalla classe lavoratrice. Getta un ponte tra le esigenze del movimento
operaio e un programma anticapitalista. Salda il terreno dell'azione sindacale alla
prospettiva del governo dei lavoratori.
Per questo i gruppi dirigenti riformisti o centristi della sinistra si contrappongono alla
nostra proposta, o si differenziano da essa. Non semplicemente per un minor
radicalismo “sindacale”, ma per una diversa prospettiva politica.
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3° Congresso del PCL
DOCUMENTO 1 – POLITICO - ed EMENDAMENTI
E’ la stessa ragione per cui il PCL è l'unico partito della sinistra ad avanzare una
proposta di svolta radicale dell'azione di massa sullo stesso terreno sindacale. A farne
terreno centrale di battaglia politica tra i lavoratori e nelle organizzazioni sindacali. A
lavorare nella lotta di classe per il suo concreto sviluppo.
E’ la riprova che solo una prospettiva di rivoluzione può liberare un intervento e una
proposta di massa all'altezza delle nuove necessità del movimento operaio.
LA BATTAGLIA DEI RIVOLUZIONARI NEI SINDACATI
[qui inserire emendamento POL3, testo a p. 51]
La proposta di una svolta unitaria e radicale del movimento operaio va investita in una
battaglia di fondo in tutte le organizzazioni sindacali della sinistra. Il nostro secondo
congresso ha definito l'indirizzo generale del nostro intervento sindacale e il criterio
leninista su cui si fonda: l'intervento dei rivoluzionari nei sindacati non ha come obiettivo
“spostare a sinistra” un sindacato, scegliere “il sindacato più a sinistra” o la costruzione
di un “proprio” sindacato. Ma è parte della battaglia politica per la conquista delle masse
alla prospettiva della rivoluzione socialista. [qui emendamento POL4, sostitutivo delle
ultime 4 righe del paragrafo, testo a p. 52] La scelta dei sindacati di massa come
luogo privilegiato discende da questa impostazione. Il cui fondamento non è sindacale,
ma politico. Da qui, nel contesto italiano, la obiettiva centralità della battaglia nella CGIL,
contro la sua burocrazia dirigente, sulla base di un programma anticapitalista.
La battaglia nella CGIL contro la burocrazia sindacale
La profondità della crisi italiana ha aggravato le responsabilità della burocrazia CGIL.
L'aggravamento non riguarda, propriamente, la linea sindacale. La burocrazia CGIL
continua a negoziare contro i lavoratori, sul terreno richiesto dal padronato e dai suoi
governi, da più di 35 anni (distruzione della scala mobile, demolizione della previdenza
pubblica, precarizzazione del lavoro). Oggi la precipitazione della crisi trascina la politica
concertativa nella manomissione del contratto nazionale e dei diritti sindacali. Oggi come
ieri, il ruolo della burocrazia sindacale resta quello di “agenzia della borghesia nel
movimento operaio”(Lenin).
Il vero salto delle responsabilità è politico. Dentro la crisi della seconda Repubblica, con
l'approdo dei DS a un partito borghese liberale, con la crisi verticale della sinistra
riformista, la CGIL si carica di un ruolo straordinario di supplenza politica. Presidio della
pace sociale e strumento disgregatore della resistenza di classe, la burocrazia CGIL
rappresenta oggi, sul versante di massa, il principale fattore di tenuta del regime
borghese nel momento della sua massima crisi sociale/politica/istituzionale.
La CGIL può svolgere questo ruolo a vantaggio della borghesia, proprio perché
organizza e controlla la maggioranza delle masse sindacalmente attive, a partire dalla
classe operaia industriale. Che è la ragione per cui il grosso della borghesia italiana - a
partire dall'attuale Confindustria - ricerca un punto di equilibrio e di accordo con la
burocrazia CGIL.
Per questa stessa ragione la battaglia dei rivoluzionari nella CGIL non ha solo valenza
sindacale. E’ parte della battaglia per la conquista della classe operaia, per una
soluzione rivoluzionaria della crisi della Repubblica.
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3° Congresso del PCL
DOCUMENTO 1 – POLITICO - ed EMENDAMENTI
Le sinistre riformiste guardano diversamente al nodo CGIL, non perché hanno una
diversa “posizione sindacale”, ma perché hanno una diversa prospettiva politica.
Esse si diversificano tra sostegno alla burocrazia CGIL (Politica e Lavoro, cioè il gruppo
di Patta e Nicolosi); affidamento al gruppo dirigente FIOM (in forme diverse, SEL e
PDCI); subordinazione alla FIOM, anche nel momento in cui questa si adatta alla
maggioranza CGIL (PRC). L'elemento comune è la subordinazione della scelta
sindacale ai propri interessi politici, per lo più sul terreno delle relazioni negoziali col
centrosinistra (come è avvenuto in tutta la storia di Rifondazione, dal 96).
Per i marxisti rivoluzionari il punto di partenza è invece, come sempre, l'interesse del
movimento operaio e della prospettiva rivoluzionaria. La battaglia per una svolta unitaria
e radicale del movimento operaio è apertamente contro la burocrazia CGIL e in
alternativa alla burocrazia di “sinistra” della FIOM.
Lo sviluppo di questa battaglia passa per la costruzione di una tendenza sindacale
rivoluzionaria nella CGIL, basata su un programma d'azione sindacale anticapitalistico,
radicata nel sindacato e nei luoghi di lavoro, capace di assumersi le proprie
responsabilità nel rapporto coi lavoratori sul terreno della lotta di classe.
In questo senso, la nascita della componente “Rete 28 Aprile - opposizione CGIL” è un
passo avanti nella lotta alla burocrazia sindacale. Non si tratta, ad oggi, di una tendenza
sindacale rivoluzionaria. La sua direzione attuale (Cremaschi) ripropone limiti
programmatici del centrismo e contraddizioni irrisolte, sia sul terreno dell'azione di
classe che della stessa prospettiva della componente. L'assenza di un progetto
rivoluzionario, la sovrapposizione con confuse operazioni politiche centriste (“Rossa”),
alcuni elementi personalistici, ostacolano la sua evoluzione. Ma la nascita della
componente, di natura certamente classista, segna un terreno di confronto più avanzato
nell'avanguardia. Sta ai rivoluzionari in CGIL sviluppare, da questa posizione più
avanzata, una battaglia di qualificazione rivoluzionaria della componente. Non possiamo
prevederne l'esito. Ma questa battaglia sarà comunque importante per la costruzione di
una tendenza sindacale rivoluzionaria in CGIL.
La battaglia nei sindacati di base, contro la logica sindacale del centrismo
La battaglia sindacale dei rivoluzionari non si esaurisce in CGIL, ma si sviluppa anche
nei sindacati di base. Queste organizzazioni - che si fondano positivamente, in linea
generale, su posizioni anticoncertative -raggruppano un settore limitato dell'avanguardia
(complessivamente, in termini reali, dai 100000 ai 150000 lavoratori), prevalentemente
nel pubblico impiego e nei servizi. E’ giusto rilevare differenze di impostazione e diversi
livelli di radicalità (come dimostra ad es. la lotta esemplare condotta dal Si Cobas nella
logistica). Ma la crisi capitalista e l'innalzamento del livello di scontro, hanno tanto più
evidenziato i limiti profondi di questi sindacati (USB, CUB, Confederazione Cobas..),
prevalentemente legati alla natura politica centrista dei loro gruppi dirigenti: logiche
autocentrate (“proprie” scadenze di sciopero e di lotta, spesso senza rapporto con la
dinamica e i tempi della mobilitazione di massa); teorizzazioni in qualche caso
dell'irrilevanza del proletariato industriale e del superamento del sindacato di classe
verso un “sindacato metropolitano” (come nel caso dell'USB); rissosità reciproca con veti
incrociati e logiche di “primogenitura” (ostacolando azioni sindacali comuni);
contrapposizione ad azioni di massa radicali , quando si è svolto un ruolo dirigente su
settori di massa (SDL nel 2008 in Alitalia); assenza o carenza di regole interne
democratiche (in particolare nella USB).
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3° Congresso del PCL
DOCUMENTO 1 – POLITICO - ed EMENDAMENTI
Il PCL è impegnato incondizionatamente a difendere e sviluppare i diritti dei sindacati di
base contro ogni normativa concertativa o corporativa mirata a cancellarli o ridurli.
Al tempo stesso la battaglia per una svolta unitaria e radicale del movimento operaio
passa anche per una battaglia contro i limiti del sindacalismo di base. Che spesso
avvantaggiano il controllo della burocrazia CGIL sul movimento reale delle masse e
ostacolano lo sviluppo di una direzione delle lotte alternativa.
La battaglia contro i limiti del sindacalismo di base è un risvolto della battaglia politica
contro il centrismo. Organizzazioni centriste, prive di una reale prospettiva rivoluzionaria,
hanno fondato (e/o controllano) “propri” sindacati in ragione dei propri interessi politici: o
come strumento di demarcazione e autoconservazione di gruppo (la Rete dei Comunisti
con RDB e USB); o come strumento di relazioni pubbliche e di movimento (Bernocchi
con i Cobas). Cogliere la valenza politica dei limiti del sindacalismo di base è importante
per la battaglia dei rivoluzionari che militano nelle loro fila.
Anche dentro i sindacati di base è dunque necessario lavorare alla costruzione di
tendenze rivoluzionarie, sulla base di un programma e di un'azione sindacale di classe.
PER UN'EGEMONIA
“DEMOCRATICA”
DI
CLASSE
SUL
TERRENO
DELLA
BATTAGLIA
I marxisti rivoluzionari non confondono la centralità di classe coll’ambito economico
sindacale. All'opposto si battono per un'egemonia di classe su ogni terreno di lotta e in
ogni movimento socialmente o politicamente progressivo (ambientalista, di genere,
anticlericale, antirazzista, antifascista, antimperialista..).Il secondo congresso del PCL ha
affrontato, in questa direzione, l'articolazione di settore dell'intervento rivoluzionario.
Oggi la gravità della crisi della seconda repubblica e lo sviluppo di tendenze reazionarie
aggiunge una particolare rilevanza alla battaglia di egemonia di classe sul terreno di lotta
“democratico”, in tutte le sue forme ed espressioni.
L'antifascismo anticapitalista
Sul terreno dell'antifascismo vanno contrastate apertamente le concezioni tradizionali
della sinistra. Tanto più a fronte dell'attuale crisi sociale e dello sviluppo reale - seppur
molto disomogeneo - di aree fasciste militanti in realtà degradate metropolitane e in
alcuni ambienti studenteschi.
Per le sinistre riformiste l'antifascismo è un puro richiamo di “valore” con cui giustificare
la subordinazione alla borghesia “democratica” dentro il comune richiamo alla
Costituzione (borghese).
Per la composita area centrista l'antifascismo è separato da una prospettiva
rivoluzionaria: per questo talvolta si trasforma, in alcuni settori, in un riferimento
totalizzante, spesso combinato con una mitologia indistinta della Resistenza e una logica
di pressione sullo Stato (ieri “MSI fuori legge”, oggi “Casa Pound fuori legge”).
I rivoluzionari, tanto più oggi, assumono invece l'antifascismo come parte integrante e
inseparabile della battaglia anticapitalista per un governo dei lavoratori: l'unico che
possa estirpare le radici sociali e politiche del fascismo. Per questo legano l'azione
antifascista all’egemonia di classe nei settori oppressi e sfruttati. Rivendicano il fronte
unico di classe antifascista contro ogni subordinazione ai liberali. Promuovono la sfiducia
nello Stato borghese “democratico”, denunciandone ipocrisia e connivenze con l'estrema
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3° Congresso del PCL
DOCUMENTO 1 – POLITICO - ed EMENDAMENTI
destra. Rivendicano il diritto all'autodifesa dallo squadrismo da parte di ogni soggetto
aggredito o minacciato (lavoratori, migranti, studenti), incoraggiando l'autorganizzazione
della loro forza contro ogni affidamento allo Stato. Su queste basi, il PCL si impegna a
sviluppare una tendenza rivoluzionaria in ogni ambito di fronte comune antifascista
(Comitati antifascisti, ANPI..).
Contro ogni subordinazione alla magistratura borghese
La stessa battaglia di egemonia si pone, su scala più ampia, sul terreno dello scontro
politico/istituzionale. Questo terreno è reso complesso non solo dall'arretramento dei
rapporti di forza. Ma dalla forte influenza esercitata da impostazioni
populiste/giustizialiste (Il Fatto, Travaglio, ecc), che combinano il richiamo feticistico alla
Costituzione borghese del 1948 con il sostegno alla Magistratura borghese e ai suoi
poteri, il silenzio o l'ambiguità verso la repressione dei movimenti sociali (Caselli),
specifiche posizioni reazionarie (abolizione del finanziamento pubblico dei partiti;
inasprimento delle pene carcerarie; legge elettorale maggioritaria); subalternità alle
campagne liberiste (come per i dipendenti pubblici). Questo fronte neo populista ha fatto
e fa leva sulla crisi del PD e sulla contrapposizione a Berlusconi per candidarsi
all'egemonia nel campo di riferimento del centrosinistra, anche con aperture e sostegni
diretti al grillismo. La subordinazione ripetuta delle sinistre cosiddette “radicali” a questo
fronte (prima a Di Pietro, poi a Ingroia..) ha contribuito ad ampliare varchi e spazi di
questa cultura nel movimento operaio Il PCL si è contrapposto e si contrappone ad ogni
subordinazione dei lavoratori e movimenti a questa cultura giustizialista. La nostra
contrapposizione alla candidatura Ingroia aveva tra l’altro questa valenza di classe.
Naturalmente siamo e saremo parte di ogni movimento di massa animato da una
domanda democratica, fosse pure distorta, in contrapposizione a Berlusconi, al
presidenzialismo e ai disegni bipartisan di “riforma istituzionale” oggi allo studio. Così
come siamo a difesa incondizionatamente di spazi e diritti democratici riconosciuti dalla
Costituzione borghese, contro ogni loro cancellazione o limitazione. Ma lo siamo con la
piena autonomia di una angolazione di classe, proprio per questo coerentemente
democratica, in contrapposizione alle posizioni liberali e populiste:
1. Contro ogni subordinazione alla Magistratura borghese.
2. Per la difesa incondizionata di ogni lotta, movimento, realtà d'avanguardia che
sia oggetto della repressione giudiziaria e poliziesca.
3. Per l'amnistia verso i cosiddetti reati sociali e di lotta.
4. Per una legge elettorale interamente proporzionale, ad ogni livello, in nome del
principio della rappresentanza democratica contro la truffa della “governabilità”
borghese.
Anche sul terreno democratico si tratta dunque di lottare per l'autonomia del movimento
operaio. Subordinando la battaglia democratica alla lotta anticapitalista per una
Repubblica dei lavoratori. L'unica lotta capace di orientare una battaglia coerente sullo
stesso terreno democratico. L'unica soluzione capace di realizzare una democrazia
vera.
PER UNA REPUBBLICA DEI LAVORATORI
La Repubblica dei lavoratori è l'alternativa di fondo alla crisi della Repubblica borghese.
La battaglia per il governo dei lavoratori è in funzione di questa prospettiva: quella di un
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3° Congresso del PCL
DOCUMENTO 1 – POLITICO - ed EMENDAMENTI
cambio di classe della natura stessa dello Stato. Della sua base sociale, e di riflesso
della sua organizzazione e struttura.
L'intera vicenda della Seconda Repubblica documenta la bancarotta morale delle classi
dominanti e di tutti i loro partiti. La Seconda Repubblica fu celebrata 20 anni fa come la
nuova pagina della moralizzazione politica e della democrazia, grazie all'intervento della
Magistratura, al “primato del mercato”, alla riforma elettorale maggioritaria. E’ accaduto
l'opposto: un'espansione ulteriore della corruzione pubblica e privata, alimentata dalle
privatizzazioni e dalla personalizzazione della politica dominante; e insieme
l'ampliamento bipolare della rappresentanza borghese contro le ragioni del lavoro e della
maggioranza della società. Nel nome della governabilità anti operaia delle politiche di
rapina comandate dal grande capitale.
Al fallimento della Seconda Repubblica non si può replicare con la nostalgia della Prima,
nel nome della Costituzione del 1948. L'intera storia della Prima Repubblica ha rivelato
l'ipocrisia di quella Costituzione. La Costituzione non fu “figlia della Resistenza”, ma del
suo tradimento per opera dello stalinismo (governo De Gasperi/Togliatti). Il suo fine fu
quello di mascherare dietro promesse solenni la ricostruzione del capitalismo e del suo
Stato, contro il proletariato. L'evocazione del suo mito da parte del riformismo è servita a
subordinare il movimento operaio allo Stato borghese, contro ogni prospettiva di
emancipazione sociale. In realtà la cosiddetta “democrazia italiana” è stata una
maschera della dittatura del capitale sul lavoro. Che non ha esitato a violare gli stessi
principi “democratici”, usando la violenza nelle piazze (Scelba), strumenti militari paralleli
(Gladio), iniziative e complicità stragiste (strategia della tensione), al pari di ogni
democrazia borghese. Tangentopoli fu la confessione conclusiva della verità della Prima
Repubblica e del suo Stato. E il cambio istituzionale della Seconda Repubblica fu diretta,
non a caso, dalle stesse classi che avevano sostenuto la Prima, contro le stesse classi
che ne furono vittima, entro lo stesso apparato borghese dello Stato. Secondo l'antico
canovaccio del trasformismo.
Non c'è reale alternativa alla crisi della Repubblica senza rottura rivoluzionaria con lo
Stato borghese. Senza edificare un altro Stato e un'altra Costituzione: che sanciscano il
potere reale dei lavoratori e della maggioranza della società, contro la falsità della
“democrazia” capitalista, e fuori da ogni equivoco burocratico.
Il potere dei lavoratori, quale strumento di trasformazione rivoluzionaria, non può che
basarsi sull'autorganizzazione democratica e di massa dei lavoratori stessi. Su
organismi da loro eletti, diretti, controllati, a partire dai luoghi di lavoro e dal territorio ;
sulla revocabilità degli eletti; sull'assenza di ogni privilegio rispetto agli elettori; sul
coordinamento democratico degli organismi di massa, su scala nazionale;
sull'unificazione delle funzioni legislative ed esecutive; sulla forza organizzata dei
lavoratori stessi; sul loro potere decisionale sui grandi indirizzi dell'economia e della
società. Sono i principi della democrazia rivoluzionaria consiliare, su cui è nato il
movimento comunista (Comune di Parigi e Soviet russi). Sono la concretizzazione della
dittatura del proletariato come forma superiore di democrazia, in alternativa alla
democrazia borghese quale dittatura mascherata del capitale. Il fallimento dello Stato
borghese - quale regno dell'arbitrio, del privilegio, della corruzione, della separatezza
burocratica dalle grandi masse - misura l'attualità storica di questa alternativa di potere.
La lotta per la Repubblica dei lavoratori non deve essere relegata al futuro. In ogni lotta
immediata del mondo del lavoro, e di ogni settore oppresso e sfruttato, i rivoluzionari
debbono far vivere nelle forme opportune, la prospettiva e la possibilità di un altro
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3° Congresso del PCL
DOCUMENTO 1 – POLITICO - ed EMENDAMENTI
potere. Non solo spiegando ai lavoratori, controcorrente, le potenzialità della loro forza.
Ma incoraggiando ovunque possibile l'autorganizzazione dei lavoratori e degli sfruttati.
Proporre, a certe condizioni, che una lotta di massa radicale, anche aziendale, esprima
un consiglio di delegati quale nuovo organismo di rappresentanza e direzione della lotta;
proporre un'assemblea nazionale di delegati eletti sui luoghi di lavoro come sede
democratica di definizione di una piattaforma di lotta; proporre che in un movimento degli
studenti, le assemblee di scuole o università eleggano un coordinamento nazionale di
delegati revocabili come organismo democratico di rappresentanza e di lotta: non
significa solo avanzare proposte funzionali allo sviluppo di una mobilitazione. Sono
anche una forma embrionale di introduzione, nel vivo della lotta, della prospettiva di un
altro potere, di un altro Stato, di un'altra democrazia. Sono un ponte gettato tra la
coscienza delle masse e la Repubblica dei lavoratori.
Le sinistre riformiste e centriste rifiutano queste parole d'ordine non semplicemente
perché sono “meno radicali”. Ma perché respingono una prospettiva reale di potere dei
lavoratori. O nel nome della Costituzione borghese. O nel nome della “democrazia
partecipativa”. O nel nome della mitologia bonapartista del “chavismo”
I comunisti, al contrario, assumono la lotta per la Repubblica dei lavoratori come il cuore
di tutta la propria politica.
LA NECESSITA’DEL PARTITO RIVOLUZIONARIO
La necessità della costruzione di un partito comunista rivoluzionario discende
dall'insieme dei compiti richiesti da una prospettiva rivoluzionaria.
Battersi per una soluzione socialista, quale unica via d'uscita dalla crisi. Battersi per la
conquista del potere politico da parte della classe, fondato su suoi organismi democratici
di massa. Costruire il ponte, in ogni lotta, tra coscienza delle masse e necessità della
rivoluzione. Lottare per l’indipendenza del movimento operaio e di ogni movimento dalle
forze borghesi e populiste. Contrastare le burocrazie riformiste, politiche e sindacali, per
la conquista delle masse a un programma di rivoluzione. Battersi per una egemonia
anticapitalista nel movimento operaio e al tempo stesso per un'egemonia
anticapitalistica e di classe sull'insieme dei movimenti di lotta progressivi e dei settori
oppressi. Ricondurre le lotte nazionali del movimento operaio all'interesse internazionale
del proletariato e della prospettiva socialista mondiale.
Rimuovere uno di questi compiti di azione significa rinunciare alla prospettiva
rivoluzionaria o comprometterla.
Al tempo stesso solo un partito rivoluzionario può combinare l'insieme di questi compiti,
integrarli in un piano organico di lavoro, costruire un'organizzazione di quadri e militanti
coscienti capace di perseguirli, in ogni ambito e su ogni terreno.
Tutta l'esperienza storica del movimento operaio, e l’esperienza attuale della lotta di
classe internazionale, mostra l'indispensabilità della costruzione del partito
rivoluzionario, su scala nazionale e mondiale. Quanto più si amplia il divario tra la
necessità della rivoluzione socialista e l'arretratezza della coscienza dei lavoratori, tanto
più si pone la necessità di un partito che lavori per sormontare questo divario. Senza
questo partito, senza lo sviluppo della sua egemonia alternativa, i più grandi movimenti
di massa sono destinati ad essere egemonizzati dagli organizzatori della loro sconfitta.
Chi contrappone “i movimenti” alla costruzione del partito rivoluzionario, lavora in realtà
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3° Congresso del PCL
DOCUMENTO 1 – POLITICO - ed EMENDAMENTI
per la sconfitta dei movimenti. Tutta l'esperienza dei movimenti di massa negli ultimi 20
anni è la conferma di questa verità.
La crisi verticale della sinistra italiana
In Italia la costruzione del partito rivoluzionario è resa straordinariamente attuale dal
combinarsi di due fattori. Non solo il divario tra l'arretramento della coscienza dei
lavoratori e la precipitazione della crisi delle classi dirigenti, ma il fallimento e il crollo
della vecchia sinistra politica.
La maggioranza della burocrazia del PCI sciolse il proprio partito per accelerare la
propria scalata al governo, contro i lavoratori. Puntando progressivamente a costruirsi
come riferimento del grande capitale al posto della vecchia DC. I governi di
centrosinistra, col loro carico di lacrime e sangue per i lavoratori, erano il banco di prova
di questa ricerca di investitura. I DS furono l'incubatore del PD.
I gruppi dirigenti di Rifondazione - in tutta la loro evoluzione, nomenclatura,
scomposizione - hanno investito un grande patrimonio di attese dell'avanguardia di
classe in una prospettiva di centrosinistra: in una ciclica subordinazione ai suoi governi
borghesi, nazionali e locali, e alle loro politiche contro riformatrici. L'approdo nel governo
Prodi, col voto ai sacrifici e alla guerra in cambio di incarichi ministeriali e istituzionali
non fu “un errore”, ma il coronamento del lungo corso bertinottiano cui si subordinarono
di volta in volta - pienamente o criticamente - le componenti fondamentali del partito, con
la nostra eccezione.
Il combinato disposto di questi processi non ha solo rappresentato il tradimento del
movimento operaio e dei suoi interessi. Ma ha anche prodotto, come effetto ultimo, la
crisi verticale della sinistra politica, quale forma distorta di rappresentanza del
movimento operaio. Aprendo un vuoto politico che è divenuto rapidamente terreno di
pascolo di scorribande populiste, giustizialiste, qualunquiste.
La costruzione del partito rivoluzionario è dunque anche un investimento nella
ricostruzione della sinistra, sulla base di un bilancio storico degli ultimi 20 anni che
documenta la crisi del riformismo dentro la crisi di uno spazio storico riformista. Una
sinistra che ambisca a costruirsi come sinistra di governo del capitalismo in crisi, non
solo è votata a cogestire le politiche del capitale contro il lavoro, ma è esposta perciò
stesso, prima o poi, a cicliche crisi distruttive. L'intera storia del PRC lo dimostra. Una
sinistra può rilanciarsi su basi solide solo attorno ad un programma rivoluzionario.
L'unicità del PCL e la sua costruzione indipendente
[qui emendamento POL5, sostitutivo del capitolo, testo a p. 53]
Il Partito Comunista dei Lavoratori è, ad oggi, l'unico partito in Italia a fondarsi su un
programma comunista rivoluzionario (centralità della lotta per il potere dei lavoratori). E
dunque sull'insieme organico delle conseguenze strategiche e tattiche che discendono
da quel programma.
Non esiste oggi un’articolazione plurale di organizzazioni marxiste rivoluzionarie, come
ad es. in Argentina (Frente de Izquierda): se vi fosse (e se un domani vi sarà) sarebbe
non solo possibile ma necessario ricercare un’unificazione, realizzando per questa via
un salto in avanti della costruzione del partito rivoluzionario. Ma così oggi non è. In Italia
la costruzione del partito rivoluzionario passa per la costruzione del Partito comunista
dei Lavoratori: per l'adesione al suo programma del settore più cosciente
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3° Congresso del PCL
DOCUMENTO 1 – POLITICO - ed EMENDAMENTI
dell'avanguardia di classe e dei movimenti, e di tutti i militanti e gli attivisti della sinistra
che cercano un'alternativa alla bancarotta dei suoi gruppi dirigenti.
L'unicità del PCL non contraddice la ricerca della più ampia unità d'azione con altre
formazioni della sinistra, la politica del fronte unico di classe. Preclude viceversa ogni
rinuncia al nostro programma indipendente, ogni unificazione con altri programmi, ogni
subordinazione ad altri programmi.
Le diverse proposte “unitarie” - l'una contro le altre armate - che costellano l'attuale
dibattito della sinistra si fondano su altre prospettive.
La “costituente della sinistra” evocata da Sel mira a raggruppare attorno a Vendola
l'ennesima sinistra di governo del centrosinistra, anche eventualmente allargato a
destra.
La proposta dell'ex ministro Ferrero di “unire la sinistra” in alternativa al PD, oltre a
convivere coi governi PD/PRC in Regioni e città, ripropone il canovaccio di un
programma riformista “antiliberista”: ed ha come unico scopo quello di salvare il gruppo
dirigente ferreriano dal naufragio politico post Ingroia.
La proposta di Alba rinnova l'illusione di un “nuovo modello di sviluppo” in ambito
capitalistico, partendo da un municipalismo “alternativo”: riflette la volontà (e velleità) di
gruppi intellettuali della sinistra riformista di ritagliarsi uno spazio politico in proprio sulle
rovine di Rifondazione e sulle contraddizioni di Sel.
L'operazione Rossa (Cremaschi, Turigliatto, Russo Spena, Rete dei Comunisti) combina
l'opposizione al PD e al centrosinistra col recupero dell’armamentario centrista: apologia
dei movimenti, rimozione della prospettiva del potere e di un programma transitorio,
rifiuto della costruzione del partito rivoluzionario; con una impostazione che consente il
coinvolgimento di aree del PRC, lasciando irrisolto il nodo del rapporto con
Rifondazione. L'operazione somma in sé mire diverse: salvare dal naufragio un pezzo di
Sinistra Critica dopo la sua dissoluzione, dare uno sbocco politico all'esperienza di
Cremaschi, dare a Ferrero uno spazio di manovra a sinistra. La somma delle
contraddizioni prevede un esito incerto.
Infine le diverse proposte di “unità dei comunisti”, avanzate ciclicamente dal PDCI e da
una galassia di gruppi stalinisti, riflettono solo la pervicace volontà di utilizzare il richiamo
“comunista” per rilanciare l'identità dello stalinismo. Peraltro l'”unità dei comunisti” a
prescindere da principi e programmi, ha già incorniciato la disfatta di Rifondazione.
Contrastare questa mistificazione è un atto di verità e di bilancio.
La difesa dell'autonomia del PCL non è dunque un atto di autoconservazione. E’ la
difesa del programma rivoluzionario e della costruzione del partito rivoluzionario,
nell'interesse del movimento operaio.
La difesa di questo programma è il recupero della memoria storica del marxismo
rivoluzionario e dell'avanguardia rivoluzionaria del movimento operaio del 900. E al
tempo stesso un suo investimento nel futuro della lotta di classe: in una stagione storica
di grande crisi del capitalismo e del riformismo, che riattualizza in modo straordinario
proprio la ricchezza della tradizione rivoluzionaria del leninismo.
[qui inserire emendamento POL6, testo a p. 54-56]
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3° Congresso del PCL
DOCUMENTO 1 – POLITICO - ed EMENDAMENTI
IV PARTE LA LINEA DI COSTRUZIONE DEL PCL
La costruzione del PCL va perseguita in un quadro inedito di estrema instabilità degli
assetti politici, dello scenario di movimento, delle dinamiche della sinistra politica.
LA NOSTRA LINEA DI COSTRUZIONE NELLA PROSSIMA FASE
In altre fasi, la linea di costruzione del partito rivoluzionario ha potuto dotarsi di
un’organicità di progetto. Così è stato nella lunga fase di raggruppamento all'interno del
PRC, che ha fatto da gestazione del PCL: quando investimmo strategicamente nel
processo di ricomposizione politica del movimento operaio italiano dopo il crollo del
Muro di Berlino, ai fini dell'accumulo originario e della qualificazione programmatica di un
settore dell'avanguardia, contro le componenti riformiste e centriste del PRC. Così è
stato al compimento di quel processo, con la nascita del PCL: quando investimmo sulla
rottura con Rifondazione, a conclusione del suo ciclo politico di opposizione, dentro lo
spazio politico liberato dal suo coinvolgimento di governo, ai fini dello sviluppo
indipendente del nostro partito.
Il nostro secondo Congresso ha già tracciato un primo bilancio di questo percorso,
contestualizzando i successi ma anche i limiti dei risultati ottenuti, come vuole l'onestà
del metodo marxista. Su questo passaggio sarà indispensabile tornare in futuro nel
quadro di un bilancio complessivo della nostra costruzione.
Nella fase attuale, non si delineano le condizioni per definire un organico progetto di
costruzione attorno ad un asse strategico centrale. Non si delinea cioè una direzione,
uno specifico fronte, in cui investire un progetto di possibile sfondamento e di salto
dell'accumulazione delle forze. Non, allo stato, sul versante del lavoro di massa: sia per
le dinamiche della lotta di classe; sia ancora per l'esiguità del nostro radicamento, in
termini di concentrazione di forze e direzione di situazioni di lotta e di movimento. Non,
allo stato, sul versante della crisi della sinistra. perché è prevalentemente implosiva, non
definisce linee chiare né di rottura né di ricomposizione; e perché il PCL non dispone
ancora della massa critica per polarizzare su di sè forze consistenti.
Nel presente dobbiamo definire una linea di costruzione che punti a consolidare le
nostre forze, con un piano di lavoro che incida sulla quotidianità della nostra azione.
Senza porre in alternativa “lavoro di massa” e “intervento sulla sinistra”,. Ma lavorando a
costruirci su entrambi i versanti, gestendo l'equilibrio di questo lavoro, razionalizzandolo,
puntando a guadagnare nuove posizioni su entrambi i lati, con un lavoro metodico e
regolare.
Per conquistare una posizione soggettiva di maggior forza che ci consenta di intercettare
domani possibili brusche svolte e accelerazioni della situazione oggettiva: sia che esse
maturino in direzione di esplosioni sociali e dinamiche di movimento; sia che maturino in
direzione della precipitazione di processi di crisi e ricomposizione a sinistra.
LA RAZIONALIZZAZIONE DEL NOSTRO LAVORO DI MASSA
Sul versante dell'intervento di massa, dobbiamo curare, organizzare, consolidare un
lavoro che spesso conduciamo disordinatamente.
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3° Congresso del PCL
DOCUMENTO 1 – POLITICO - ed EMENDAMENTI
Propaganda e agitazione
Per costruire il ponte tra l'arretratezza della coscienza e la necessità della rivoluzione, il
lavoro di propaganda svolge un ruolo insostituibile: presentazione del programma
socialista; articolazione transitoria del programma; articolazione delle nostre parole
d'ordine di fase.
Questa attività è tanto più centrale per un piccolo partito come il nostro, il cui principale
fattore di richiamo e reclutamento è dato dal profilo complessivo del proprio programma
e della propria proposta, più che dall'impatto sul movimento delle masse.
Al tempo stesso, pur essendo ancora un partito dedito principalmente ad una attività
propagandistica nella lotta politica e di classe, il PCL non può limitarsi alla propaganda.
Deve cercare di aprire varchi per l'agitazione delle proprie parole d'ordine e per la loro
sperimentazione nel movimento di lotta, sempre in rapporto con la sua dinamica (anche
in relazione a singole lotte aziendali o di settore, o a singoli passaggi dello scontro
politico). Con la consapevolezza che, a certe condizioni, singole esperienze di lotta
possono essere detonatrici di radicalizzazioni più estese. Che in casi eccezionali anche
una piccola minoranza rivoluzionaria può essere determinante. Che forgiare nostri
agitatori è in ogni caso un aspetto importante della nostra costruzione.
Si tratta di bilanciare il ruolo centrale della propaganda con esperienze di agitazione di
massa secondo un criterio razionalizzato. In particolare nell'intervento sulla classe
operaia. Evitando, nella misura del possibile, l'empirismo e l'improvvisazione.
Il criterio di selezione delle situazioni di intervento
In questi anni di crisi capitalista, abbiamo a volte combinato nel nostro agire
comportamenti difformi. Da un lato il disimpegno dall'intervento aziendale e di fabbrica,
non cogliendone la centralità (il volantino al mercato considerato prioritario o equivalente
al volantino di fabbrica). Dall'altro l'inseguimento di tutte le situazioni di crisi aziendali del
proprio territorio, senza criterio politico e con dispersione di forze.
Dobbiamo correggere questi atteggiamenti, sulla base di un criterio generale che dia
uniformità e maggiore efficacia al nostro lavoro di massa.cSi tratta di selezionare, in ogni
realtà, le situazioni di lavoro su cui intervenire con la diffusione periodica del nostro
volantino e del nostro giornale. Il criterio di selezione deve privilegiare l'importanza
politico/sindacale dell'azienda, la sua consistenza, la presenza di nostri compagni e/o di
nostri interlocutori politici, la dinamica di lotta. La situazione di crisi aziendale non può
essere l'unico criterio del nostro intervento. La nostra stessa credibilità presso una
azienda in crisi dipende dall'intervento o non intervento che vi abbiamo condotto prima.
Ciò vale, a maggior ragione, per le possibilità di nostro radicamento in quelle realtà.
Rafforzare il lato politico del nostro intervento di massa
E’ importante curare il profilo politico del nostro intervento di massa. Spesso il nostro
intervento, come PCL, su una realtà aziendale si limita alle problematiche specifiche di
quella azienda, o al versante generale delle questioni “economico/sindacali”. E’ un
errore. Naturalmente un intervento mirato al radicamento non può e non deve esulare da
queste tematiche. E del resto parte decisiva della nostra proposta investe la dimensione
dell'azione sindacale (vertenza generale). Ma ridurre alla sola sfera sindacale il nostro
intervento sui luoghi di lavoro contraddice due ragioni di fondo.
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3° Congresso del PCL
DOCUMENTO 1 – POLITICO - ed EMENDAMENTI
La prima è che un partito leninista ha il compito di sviluppare la coscienza delle masse, e
innanzitutto della loro avanguardia, educandole a leggere da un punto di vista di classe
l'insieme degli accadimenti politici, nazionali e internazionali, e l'insieme delle questioni
sociali, ben oltre la soglia della dimensione sindacale. La polemica di Lenin contro
l'economicismo resta una lezione di scuola attualissima (Che Fare). Un volantino di
fabbrica su Grillo o la rivoluzione nei paesi arabi non ha meno valore di un volantino
“sindacale”.
La seconda è che tanto più un piccolo partito come il nostro ha la necessità di sviluppare
una propaganda complessiva sul proprio programma. Anche a fronte della nostra
difficoltà, per la nostra debolezza, a configurarci come strumento utile sul terreno
immediato dello scontro (aziendale e/o sindacale).
Il potenziamento del lato politico del nostro intervento investe innanzitutto il centro del
PCL, in ordine al carattere dei volantini periodici da girare al partito. E al tempo stesso
riguarda le sue articolazioni locali e di settore. [qui inserire emendamento POL7, testo
a p. 56]
L'intervento dei nostri militanti nelle proprie situazioni di lavoro
In questo quadro va curato in particolare l'intervento nelle proprie situazioni di lavoro.
Ancora registriamo qualche fenomeno di dissociazione tra militanza nel PCL e
disimpegno dall'intervento nel proprio luogo di lavoro: per cui un militante “esemplare”
nella propria sezione o nel territorio non milita nella propria azienda, né politicamente, né
sindacalmente. Come talora registriamo qualche fenomeno di sdoppiamento tra il livello
politico della proposta del partito e il profilo dell'intervento aziendale: per cui un militante
del PCL che aderisce al programma rivoluzionario del partito, poi riduce l'intervento nella
propria azienda alla sola dimensione sindacale. Questi limiti vanno superati, con un
duplice livello di attenzione, nazionale e locale.
E’ innanzitutto una questione di principio: un militante rivoluzionario del PCL è un
militante rivoluzionario nella lotta di classe. E la prima frontiera della lotta è quella del
proprio luogo di lavoro.
In secondo luogo è una questione vitale nella costruzione di un possibile ruolo dirigente
o di riconoscibilità politica dei nostri compagni/e in dinamiche di lotta delle proprie
situazioni di lavoro.
In terzo luogo è questione di omogeneizzazione del nostro intervento: la compattezza
con cui un corpo militante di partito sviluppa le proprie campagne e parole d'ordine è un
misuratore dell'efficacia politica delle campagne e della stessa forza d'immagine del
partito (v. Trotsky nel dialogo coi compagni del SWP nel 37/38). Che a sua volta è un
potente fattore d'attrazione e di costruzione.
Il radicamento del PCL nelle organizzazioni di massa e di movimento
In questo quadro, va curato l’inserimento di tutti i nostri militanti in organizzazioni di
massa e di movimento. Molti sono ancora i casi di nostri compagni/e, che non hanno
iscrizione sindacale. E’ una lacuna che va corretta. Ogni nostro lavoratore, precario,
pensionato deve avere una collocazione sindacale. Questa collocazione, liberamente
scelta, va definita anche in rapporto alle specificità di settore. Ma l'indicazione prioritaria
per i nostri militanti non ancora iscritti ad alcun sindacato è quella della iscrizione alla
CGIL, fatto salvo le situazioni in cui sindacati di base anticoncertativi abbiano una reale
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3° Congresso del PCL
DOCUMENTO 1 – POLITICO - ed EMENDAMENTI
rappresentanza tra i lavoratori dell’azienda e/o del comparto e sostengano vertenze
legate ai bisogni reali dei lavoratori e utili ai fini di una svolta unitaria e radicale del
movimento operaio (esempi la lotta dei lavoratori del San Raffaele e della logistica).
Inoltre si raccomanda che tale iscrizione sia concordata con gli organismi dirigenti del
partito tenendo conto anche della nostra battaglia per l’egemonia programmatica nella
nuova componente “Rete 28 Aprile - opposizione CGIL” .
Più in generale va curato l'inserimento dei nostri compagni nelle organizzazioni di massa
e nelle realtà di movimento, secondo un piano di distribuzione delle forze finalizzato al
radicamento. Ogni militante del PCL deve avere una propria trincea di combattimento
(sia essa una struttura di quartiere, un comitato antifascista, un comitato ambientalista..)
Il secondo Congresso ha definito un’impostazione per l'intervento nei diversi settori. Il
presupposto di questo intervento è un inserimento attivo di tutti i nostri compagni nelle
realtà di settore.
Nel metodo si tratta di lavorare in ogni ambito di movimento e di intervento per una
prospettiva di raggruppamento di tendenze rivoluzionarie, basate sul nucleo delle nostre
rivendicazioni di settore in rapporto alla lotta per un governo dei lavoratori.
Queste tendenze rivoluzionarie non sono da considerare “frazioni di partito” (i militanti
del PCL di un determinato settore). Devono essere il raggruppamento di un’avanguardia
attorno all'intervento della nostra componente. Il rapporto tra componente di partito e
tendenze di settore non è quello del comando, ma quello dell'egemonia politica. Si tratta
dell'applicazione, sul versante di massa, della politica del raggruppamento rivoluzionario.
Il lavoro di costruzione di queste tendenze non è lineare. Tanto più in una situazione di
arretratezza della coscienza dei movimenti e di nostra debolezza, può anche passare
attraverso un inserimento in tendenze di sinistra più larghe, che in questo o quell'altro
settore, nazionalmente o localmente, si rivelino un veicolo di differenziazione classista e
maturazione dell'avanguardia. L'essenziale è la chiarezza dell'obiettivo e del metodo di
lavoro.
L'esperienza avviata dei CSR nelle università e nelle scuole, il nostro lavoro nella
opposizione interna in CGIL, investono in forme e contesti diversi questo terreno di
riflessione. Rappresentano un laboratorio per l'intero partito.
Le campagne nazionali di ragruppamento tematico
Su questo livello di lavoro ordinario (da conquistare), va verificata, di volta in volta, la
possibilità di innestare un livello superiore di intervento.
Possiamo sperimentare, a certe condizioni, operazioni di raggruppamento d'avanguardia
attorno a specifiche campagne su rivendicazioni caratterizzanti. Come quella sviluppata
sulla nazionalizzazione delle aziende in crisi, tramite la raccolta di un pronunciamento in
seno all'avanguardia. Il fine di queste campagne, essenzialmente propagandistiche, non
è solo quello di avanzare rivendicazioni corrette nella lotta di classe. Ma è anche quello
di far leva su una specifica parola d'ordine rivoluzionaria per avvicinare al nostro
programma complessivo un settore più largo dell'avanguardia, in funzione della nostra
costruzione e radicamento.
La costruzione di un'area di simpatizzanti del PCL nel popolo della sinistra muove anche
dallo sviluppo di questo profilo d'intervento.
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3° Congresso del PCL
DOCUMENTO 1 – POLITICO - ed EMENDAMENTI
Per la conquista di ruoli di direzione nelle lotte
A sua volta lo sviluppo di queste campagne di raggruppamento è legato alla conquista di
situazioni di nostro radicamento su cui far leva ( direzione di una lotta, ruolo centrale in
una battaglia di massa..). Questo è ad oggi un limite della nostra costruzione.
Disponiamo di una presenza nazionale relativamente diffusa: incomparabilmente la più
larga a sinistra del PRC. Ma ancora non dirigiamo situazioni di lotta significative capaci
di un richiamo generale. Né disponiamo di presenze concentrate in aziende o categorie.
La contraddizione tra l'essere il soggetto più significativo dell'estrema sinistra, e l'avere
un livello di concentrazione minore (talvolta) di soggetti concorrenti anche molto più
piccoli, è un fattore che riduce il nostro impatto e la potenzialità di sviluppo.
Il nostro lavoro, da qui al prossimo congresso, dev'essere mirato al superamento di
questa contraddizione. In questo quadro assume una valenza politica importante per
l'intero partito lo sviluppo, in diverse città, del nostro lavoro studentesco: sul terreno
dell'accumulazione delle forze, ma anche della potenziale conquista di un ruolo dentro
una possibile dinamica di ripresa del movimento.
[qui inserire emendamento POL8, testo a p. 56-67]
L'INTERVENTO SULLA CRISI DELLA SINISTRA
Parallelamente, l'intervento sulla crisi della sinistra è un aspetto importante del nostro
lavoro di costruzione. Non è l'asse centrale, come fu nella fase iniziale della nostra
costruzione. Già il nostro secondo congresso razionalizzava la conclusione della fase
“del raggruppamento” incentrata sull'investimento centrale nella crisi del PRC, a seguito
di una modifica delle condizioni politiche che l'avevano determinata (fine del governo
Prodi, avvento di Berlusconi e ricollocazione delle sinistre all'opposizione, affermazione
di Ferrero su Vendola al congresso del PRC). E sanciva il passaggio alla fase della
“delimitazione” del PCL: delimitazione programmatica e strategica dalle organizzazioni
riformiste e centriste della sinistra, quale terreno di chiarificazione delle nostre ragioni di
forza marxista rivoluzionaria indipendente. Questa politica, unita al nostro intervento di
massa, ci ha consentito di reggere il cambio di situazione; di preservare le nostre forze;
di consolidare la nostra presenza, il nostro piccolo spazio pubblico, anche attraverso la
presentazione, ovunque possibile, alle elezioni. Ma dentro un quadro di rapporti di forza
sostanzialmente immutato. L'ultima fase registra elementi di novità, che possono
incidere parzialmente sulle nostre dinamiche di costruzione.
Il processo strisciante di dissoluzione della Federazione della Sinistra. Il crollo
dell'operazione Ingroia. La dissoluzione di Sinistra Critica. L'ingresso in Parlamento di
Sinistra e Libertà quale unica rappresentanza istituzionale della sinistra sullo sfondo
della crisi drammatica del PD, configurano, da versanti diversi, una fase di
destrutturazione. Che può anche aprire spazi per confuse operazioni centriste (v.
Rossa). Ma che determina al tempo stesso nuove condizioni e opportunità del nostro
intervento. Un intervento proporzionale alle nostre forze, ma da sviluppare nella sua
specificità.
L'attenzione al “popolo della sinistra”
Nell’intervento di classe e di massa va rivolta particolare attenzione alla relazione con un
popolo di sinistra allo sbando. Non può essere il nostro unico punto di riferimento e
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3° Congresso del PCL
DOCUMENTO 1 – POLITICO - ed EMENDAMENTI
dobbiamo essere pronti a dialettizzarci a più ampio raggio con l'eventuale attivizzazione
di nuovi settori di massa, nel caso di brusche svolte della situazione. Ma, ad oggi, il
riferimento prioritario del nostro intervento politico non può essere indistinto. Né può
privilegiare il bacino protestario del grillismo: perché anche quando esso coinvolge
settori di classe, registra una dinamica di passivizzazione qualunquista e di arretramento
della coscienza, non di radicalizzazione.
Il nostro riferimento centrale dev'essere il settore di massa del mondo del lavoro e della
sua avanguardia larga che cerca “a sinistra” una rappresentanza delle proprie ragioni di
classe e che per questo può entrare in collisione con i gruppi dirigenti delle sinistre. I
nostri volantini, la nostra propaganda, deve cercare di parlare a questo mondo. Facendo
leva sul suo embrione di coscienza per svilupparlo in direzione rivoluzionaria. Questo
approccio va articolato nell'intervento sulle diverse sinistre e sulla loro crisi.
Il nostro intervento sulla crisi del PRC
La crisi del PRC è profonda. Non sancisce necessariamente la sua scomparsa. Ma certo
conosce, dopo l'esperienza Ingroia, un salto di qualità. E’ una crisi oggettiva: esclusione
dal Parlamento; rapporto di forza con Sel; consumazione dello spazio negoziale col
centrosinistra; assenza di una prospettiva di ricambio; scontro nel gruppo dirigente per la
leadership. E al tempo stesso una crisi soggettiva: demoralizzazione e disorientamento
interno; dinamica diffusa di abbandono silenzioso; crisi di credibilità complessiva del
gruppo dirigente.
Si tratta di una crisi più profonda di quella del 2008, successiva al fallimento
dell'Arcobaleno. Allora lo scontro interno e persino la scissione di Vendola produsse il
carburante della tenuta del PRC (illusioni di sinistra sulla “svolta” di Ferrero). Oggi la crisi
investe proprio quelle illusioni. E precipita su un partito assai più prostrato.
La crisi profonda di un partito che ha a lungo imprigionato abusivamente l'immaginario
della sinistra “radicale” e “comunista”non può essere indifferente per la costruzione del
partito rivoluzionario. Tanto più se essa investe un corpo organizzato e un area
d’avanguardia tuttora molto più grande di quella che oggi organizza e influenza il PCL.
La conquista di militanti, iscritti, sostenitori del PRC dev'essere uno dei nostri obiettivi di
fase.
E’ una conquista non semplice. Sia perché la dinamica della crisi è lenta e tortuosa. Sia
perché matura in un clima di scoramento, cui quella stessa crisi concorre. Sia perché il
nostro partito è ancora troppo piccolo per rappresentare un punto di attrazione centrale.
Tuttavia non è un caso se per la prima volta dal 2008 registriamo un sia pur piccolo
passaggio di militanti e iscritti dal PRC al PCL (in Veneto, nelle Marche, in Piemonte, in
Toscana..) e qualche nuovo spazio di relazioni, contatti, interlocuzioni in quel mondo.
Ogni conquista di un frammento dal PRC va considerato un fatto prezioso. Sia in sé. Sia
perché può aprire varchi per successive capitalizzazioni e conquiste.
In questo quadro un'attenzione specifica va rivolta all'area di Falce e Martello, attuale
minoranza di sinistra del PRC, che raccoglie attorno a sé un piccolo settore di
avanguardia operaia e giovanile. E che oggi è posto dalla crisi verticale del PRC di
fronte alla crisi senza sbocco della linea opportunista del proprio gruppo dirigente. La
conquista al PCL di quadri e attivisti di FM è preziosa per la nostra costruzione, anche
per il loro livello medio di formazione.
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3° Congresso del PCL
DOCUMENTO 1 – POLITICO - ed EMENDAMENTI
L'intervento del PCL sulle contraddizioni di SEL
SEL si sta rafforzando, com'è fisiologico, sulla crisi del PD e sull'esperienza dell'unità
nazionale. Al tempo stesso la sua crescita si carica di contraddizioni, legate alla natura
reale del suo gruppo dirigente, ed in particolare al ruolo di Vendola e della sua linea
spregiudicata. Che prima ha realizzato il blocco di coalizione con Bersani anche in
funzione di una propria scalata del PD (offerta di unificazione PD/Sel); dopo l'avvento
dell'unità nazionale, si è attestata su un'opposizione soft per non rompere i rapporti col
PD (sino a sospendere l’annunciata Costituente della sinistra); infine di fronte all'ascesa
di Renzi, si è affrettata a fornirgli sponda e a prenotare un accordo di governo, per
timore di essere scaricati.
Questo funambolismo trasformista è e sarà fonte di inevitabili travagli, dentro una
formazione che può raggiungere il livello elettorale della vecchia Rifondazione, ma che
dispone di un'ossatura organizzativa infinitamente più debole. In particolare un'eventuale
esperienza di governo potrebbe avere una carica dirompente su SEL.
Subordinatamente all’intervento sul PRC, il PCL deve dunque prestare attenzione anche
a quello su su SEL. SEL è oggi un riferimento per un settore del movimento operaio, in
particolare della FIOM. La battaglia contro il vendolismo, la chiarificazione dei suoi
inganni, la denuncia e previsione dei suoi approdi, è uno dei canali di intervento su un
pezzo dell'avanguardia di classe. Il nostro partito è ancora troppo piccolo per poter
capitalizzare, su scala significativa, le contraddizioni di Sel. Ma la crisi del PRC
indebolisce la concorrenza politica su questo terreno.
Lo scioglimento di Sinistra Critica e il nostro intervento sul centrismo
La crisi e lo scioglimento di Sinistra Critica merita un'attenzione specifica. La nascita di
SC ha rappresentato nel 2008 un fattore di indebolimento del nostro sviluppo e di
confusione nell'avanguardia politica.
La sua storia è stata la storia di un fallimento: la pretesa di un “anticapitalismo”
movimentista senza programma e partito rivoluzionari. L'esplosione dello scontro interno
tra un ala iper movimentista (Cannavò) e un ala conservativa di SC e del suo equivoco
originario (Turigliatto), ha sanzionato questo fallimento. Il tentativo della componente
Turigliatto di rilanciare l'equivoco centrista nell'incontro con Cremaschi e la Rete dei
Comunisti (“Rossa”) rappresenta - al di là dei suoi esiti - la riprova dell'impermeabilità del
gruppo dirigente di tradizione “pablista” alle lezioni dell'esperienza. E il preannuncio in
prospettiva di nuove crisi.
Il PCL deve assumere l'esperienza di SC come misura paradigmatica del fallimento del
centrismo. E farne argomento di chiarificazione nell'avanguardia ai fini della costruzione
del partito rivoluzionario.
L'attenzione ai gruppi locali, e il lavoro di polarizzazione
La crisi della sinistra può liberare uno spazio d'intervento su gruppi e formazioni locali,
privi di un riferimento nazionale. Questa articolazione di gruppi politici locali non è nuova,
e spesso rappresenta una stratificazione, negli anni, delle crisi (nazionali e/o locali) del
PRC, di esperienze di movimento e di battaglie territoriali. Il PRC ha rappresentato in
passato, nonostante tutto, un asse di gravitazione di queste esperienze. Oggi la sua
crisi, unita alla dispersione di tanti gruppi centristi, può liberare verso il PCL attenzioni
nuove da questo versante. L'adesione al PCL dell'organizzazione napoletana di
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3° Congresso del PCL
DOCUMENTO 1 – POLITICO - ed EMENDAMENTI
“Comunisti Napoli Est”, rappresenta non solo un fatto importante in sé, ma la misura di
possibilità nuove in questa direzione.
Come sul terreno dell'intervento di massa, il PCL può ricorrere a interventi di
polarizzazione su terreni che ci caratterizzano e che al tempo stesso esercitano una
capacità di richiamo nell'avanguardia politica e nel popolo della sinistra.
E’ il caso ad es. della battaglia antigrillina: abbiamo la necessità di intessere un quadro
di relazioni con tutti i gruppi politici e culturali della sinistra interessati a questa battaglia.
Anche con la promozione di iniziative comuni.
E’ il caso ad es. della battaglia anticlericale: che oggi si confronta con un quadro di
riferimento nuovo (il corso neopopulista del nuovo Papato) ma che proprio per questo è
ancor più discriminante che in passato, anche a sinistra.
E’ il caso ad es., sul piano internazionale, della battaglia antisionista e “anticampista”:
dentro un quadro internazionale segnato dallo scontro fra rivoluzione e controrivoluzione
negli stati arabi.
Su questi e altri terreni il PCL può attivare, nel tempo, un filone di iniziative
caratterizzanti di raggruppamento, mirate a rafforzare un'area di riferimento, di relazioni,
di simpatia attorno al partito nell'avanguardia politica del popolo della sinistra.
LA COSTRUZIONE PER SALTI
Il documento politico del nostro secondo congresso razionalizzava la concezione della
costruzione per salti del partito rivoluzionario.
L'assimilazione profonda di questa concezione da parte dei nostri militanti riveste un
importanza centrale.
Il lato oggettivo e soggettivo della costruzione del partito
L'intera storia del movimento operaio dimostra che la costruzione di partiti rivoluzionari
non segue un processo rettilineo. Ma è segnata da un infinito saliscendi di avanzate,
ritirate, successi e insuccessi. La stessa storia del bolscevismo ne è una
documentazione esemplare. Un partito rivoluzionario non cresce solo in rapporto alle
proprie ragioni. Cresce in rapporto allo sviluppo della lotta di classe, ai processi di
ricomposizione politica del movimento operaio, ai processi tortuosi di maturazione
dell'avanguardia di classe sospinti da nuove esperienze ed eventi. Questi eventi, a loro
volta, non dipendono dalla “volontà” dei rivoluzionari, ma da un concorso imprevedibile
di fattori e dalla loro imprevedibile combinazione. Tutto questo è tanto più vero per un
partito molto piccolo come il nostro, che non ha un'incidenza diretta sulla dinamica della
lotta di classe; e ancor più in un quadro di grande instabilità politica e sociale, quale oggi
segna lo scenario nazionale e mondiale.
Ciò non significa affatto teorizzare una posizione passiva o attendista dei rivoluzionari. Al
contrario. L'essenziale è preparare attivamente e preventivamente il partito all'incontro
con le possibili svolte della situazione oggettiva: perché solo così quelle svolte potranno
essere incorporate alla costruzione del partito e favorire un salto nel suo sviluppo. E
questa preparazione soggettiva, a sua volta, investe una molteplicità di aspetti tra loro
correlati: la formazione dei quadri, la cura del radicamento sociale, l'accumulo di
esperienza nel lavoro di massa, la proiezione pubblica più ampia possibile del
programma del partito e della sua stessa esistenza, la demarcazione dalle tendenze
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3° Congresso del PCL
DOCUMENTO 1 – POLITICO - ed EMENDAMENTI
riformiste e centriste, la conquista di uno spazio nel dibattito delle sinistre e
dell'avanguardia.
Questo lavoro paziente può nell'immediato non dare risultati, apparire ininfluente per lo
sviluppo del partito, produrre insoddisfazione in compagni giustamente impazienti. Ma in
realtà questo lavoro è decisivo. E’ l'investimento nel lato soggettivo della costruzione del
partito: senza il quale il migliore scenario oggettivo che potesse prodursi andrebbe
disperso. Con un danno enorme per il movimento operaio e il suo interesse generale.
Il terzo Congresso del PCL, col suo quadro d'analisi e indicazioni di lavoro, vuol essere
un investimento concentrato sul lato soggettivo della nostra costruzione.
Il Frente de Izquierda e la costruzione per salti
L'esperienza in corso del Partito Obrero e della sinistra rivoluzionaria argentina, attorno
al Frente de Izquierda, documenta assai bene, in forme particolari, una dinamica di
costruzione per salti.
Per lungo tempo, il Partito Obrero ha rappresentato in Argentina una presenza politica
organizzata sicuramente riconoscibile ma obiettivamente marginale nel movimento
operaio e nelle dinamiche di massa. Con risultati elettorali anche dello 0,2/0,3%.
Nell'ultimo decennio, una concatenazione di eventi sussultori e straordinari (il crack del
2001 e la sollevazione dell'Argentinazo, la ripresa capitalistica e l'ascesa del movimento
operaio, la crisi profonda e ripetuta del peronismo) hanno consentito al PO e all’insieme
della sinistra rivoluzionaria trotzkista un salto qualitativo nell'accumulazione delle forze
(in termini di crescita militante e di espansione elettorale), con un avanzamento nella
costruzione del partito rivoluzionario. Un fatto potenziale di enorme rilevanza per lo
sviluppo del marxismo rivoluzionario su scala internazionale. E che ci auguriamo venga
investito in questa direzione dall'intero CRQI.
Ma il PO ha potuto capitalizzare la svolta oggettiva degli eventi perché ha saputo
reggere controcorrente gli anni dell'isolamento e della marginalità restando fedele ai
principi e al programma del marxismo, sviluppando la propria esperienza nella lotta di
classe, costruendo pazientemente la propria organizzazione, formando e radicando i
propri quadri, lottando incessantemente contro le altre correnti e tendenze riformiste e
centriste, e subendo abitualmente per questo l'accusa di “settarismo”.
In questo senso l'esperienza argentina parla anche a noi e all'intera avanguardia del
movimento operaio italiano.
Le lezioni delle esperienze del marxismo rivoluzionario in Italia
L'intera nostra esperienza documenta la relazione tra fattori oggettivi e soggettivi della
nostra costruzione.
La brusca svolta del crollo internazionale dello stalinismo nel 1989, le sue ricadute sul
movimento operaio italiano (scioglimento del PCI, nascita e sviluppo di Rifondazione),
sono stati determinanti per il salto soggettivo del marxismo rivoluzionario in Italia: hanno
consentito a un piccolissimo gruppo di marxisti rivoluzionari - poche decine di unità - di
investire in una battaglia di raggruppamento rivoluzionario all'interno del PRC, contro le
posizioni riformiste e centriste. E quindi di creare le premesse soggettive della rottura col
PRC e della nascita del PCL, nel momento oggettivo della svolta ministeriale di quel
partito (governo Prodi). Ciò che ha significato un indubbio salto in avanti sul terreno
dell'accumulazione delle forze.
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3° Congresso del PCL
DOCUMENTO 1 – POLITICO - ed EMENDAMENTI
Successivamente, la nostra esperienza di costruzione si è confrontata con un quadro
oggettivo prevalentemente sfavorevole. Caratterizzato dall'arretramento della lotta di
classe. Dal cambio dello scenario politico. Ma anche, più nel profondo, da un senso
comune e un immaginario dell'avanguardia segnati, più che in ogni altro paese europeo,
da tradizioni spontaneiste o staliniste (la mitologia “comunista”). Ciò fa sì che il
trotskismo - a differenza che in Francia, in Argentina o in Bolivia - non sia parte di una
tradizione del popolo della sinistra, ma sia percepito spesso come una tendenza
separata. Anche nel momento in cui si è attratti dalle sue posizioni e proposte.
Questo elemento oggettivo non si è prodotto per caso. E’ il lascito, in ultima analisi, della
mancata battaglia per il trotskismo da parte del gruppo dirigente pablista dei GCR
(Maitan) in un passaggio cruciale: quando la grande svolta di massa del 68/69, che
avrebbe potuto segnare uno sviluppo straordinario del marxismo rivoluzionario, fu
abbandonata senza combattere alla semina ideologica dell'estrema sinistra centrista, del
maoismo, dello stalinismo. Con conseguenze di lungo periodo sulla cultura profonda di
intere generazioni del movimento operaio.
Questa esperienza è ricca di insegnamenti.
Rivela, ancora una volta, il ruolo centrale del fattore soggettivo nella preparazione
dell'incontro con gli eventi storici di svolta. E tanto più in un paese come l'Italia. Dove la
costruzione del partito rivoluzionario non può oggi appoggiarsi su una tradizione, ma è
chiamato a costruirne una “nuova” (la tradizione leninista) nella formazione politica e
culturale dell'avanguardia, a partire dalla giovane generazione.
Non sappiamo, né possiamo sapere, quando e in che forme si produrrà una svolta dello
scenario politico e di massa. Sappiamo che il marxismo rivoluzionario non dovrà ripetere
l'esperienza del 68. Dovrà trovarsi preparato all'appuntamento, con una coerenza di
linea e di programma. E potrà esserlo se oggi, controcorrente, lavorerà a rafforzare, su
ogni lato, la battaglia per il proprio programma; a conquistare nuove posizioni
nell'avanguardia sociale e politica; a conservare ed estendere, nella misura del possibile
il proprio spazio di riconoscibilità, in contrapposizione al riformismo e al centrismo. La
battaglia di posizionamento oggi del marxismo rivoluzionario nella ricomposizione in
corso nell'estrema sinistra sarà decisiva domani ai fini della capitalizzazione della svolta.
perché deciderà del rapporto di forza con le altre tendenze del movimento operaio nella
polarizzazione dell'avanguardia della nuova generazione.
Bologna, 12.10.2013
Comitato Politico del Partito Comunista dei Lavoratori
Approvato all’unanimità con 26 favorevoli
NOTA ALLEGATA AL DOCUMENTO POLITICO
Il documento politico del terzo Congresso riconferma gli specifici indirizzi politici e
programmatici varati dal secondo Congresso del PCL in ordine ai diversi settori di
intervento (questione meridionale, migranti, ambientalismo, anti clericalismo). Tali
indirizzi, nella loro articolazione, vanno dunque considerati interni alla proposta di linea
generale che il documento politico avanza.
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3° Congresso del PCL
DOCUMENTO 1 – POLITICO - ed EMENDAMENTI
EMENDAMENTI
POL1: SOSTITUIRE LA PRIMA PARTE – LO SCENARIO INTERNAZIONALE
(da pag. 2 a pag. 10 del documento) con il seguente testo:
UNA NUOVA TAPPA DELLA CRISI MONDIALE
Il quadro mondiale è caratterizzato dalla crisi catastrofica, senza precedenti, del capitalismo, giunta ormai al
settimo anno. La crisi attuale non è una semplice crisi ciclica, ma rappresenta la punta dell’iceberg del
capitalismo in putrescenza, l’esplosione della regressione economica iniziata negli anni ’70, che vede la
caduta tendenziale del saggio medio di profitto come suo elemento principale. L’esplosione della bolla
immobiliare nel 2007 negli Usa non è stato altro che il salto qualitativo di questo processo.
Il periodo storico che coinvolge l’attuale scenario è segnato non soltanto da una mancata ripresa, ma da un
marcato approfondirsi della crisi inarrestabile. Il precipitare della crisi non è un fenomeno limitato ad alcuni
paesi o ad alcune zone, ma coinvolge a livello globale tutti i poli capitalistici: dagli USA, epicentro della crisi
del 2007, alla Cina.
La recente svolta nella politica monetaria della FED non soltanto segna il fallimento della politica di stimolo
monetario che aveva lo scopo di incentivare l’economia (il livello di produttività degli USA resta di gran
lunga inferiore al periodo precedente il 2007, la disoccupazione permane a livelli alti), ma soprattutto
rappresenta un elemento di approfondimento della crisi nei paesi cosiddetti “emergenti” (col rischio della
fuga di capitali), in particolar modo per quanto riguarda la Cina.
L’enormità del debito pubblico degli stati nazionali non solo non consente alla borghesia una politica di tipo
neo-keynesiano, ma risulta essere un fattore destabilizzante per l’intera economia mondiale. La crisi del
debito pubblico degli USA ha aperto una nuova fase di instabilità nelle borse, in particolar modo in Cina,
che possiede una grossa fetta del debito americano. La Cina si trova, a sua volta, in un contesto
economico difficile segnato dal calo delle esportazioni e della domanda interna e da un conseguente
rallentamento della produzione.
Nel quadro europeo l’ipotesi di una nuova bancarotta della Grecia e del Portogallo pone inevitabilmente il
rischio di un’impennata della crisi nell’eurozona, nel quadro di un forte rallentamento della sua produzione
industriale. La Germania, che vede la sua produzione industriale crescere al di sotto delle aspettative, ne
verrebbe inevitabilmente travolta in quanto paese creditore.
La borghesia non possiede nessuna via d’uscita dalla crisi, se non operando la distruzione delle forze
produttive, nella prospettiva di una guerra mondiale (determinata soprattutto dall’acuirsi di contrasti interimperialistici e dalle contraddizioni crescenti tra gli USA e la Cina). Più in generale le più recenti vicissitudini
dell’economia mondiale concorrono nel gonfiare un’inedita speculazione finanziaria internazionale che
rischia di esplodere in una nuova bolla senza precedenti.
LA CRISI E LA LOTTA DI CLASSE INTERNAZIONALE
Il fondamento del materialismo dialettico è quello di indagare scientificamente i rapporti esistenti tra i
fluttuamenti della struttura economica e i fenomeni sovrastrutturali connessi. Il legame dialettico tra le crisi e
la lotta di classe è alla base dello sviluppo del socialismo scientifico ad opera di Marx ed Engels. Scriveva
Engels nel 1895, a proposito dell’analisi di Marx sugli eventi del 1848 in Francia, che “la crisi commerciale
mondiale del 1847 era stata la vera madre delle rivoluzioni di febbraio e marzo”. Nel 1850, sulla Neue
Rheinische Zeitung, i padri del socialismo scientifico scrivevano: “Una nuova rivoluzione non è possibile se
non in seguito a una nuova crisi. L’una è però altrettanto sicura quanto l’altra”.
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3° Congresso del PCL
DOCUMENTO 1 – POLITICO - ed EMENDAMENTI
La realtà conferma il metodo marxista. Nel quadro dell’attuale crisi emergono due fattori politici importanti
che caratterizzano una fase pre-rivoluzionaria, con esplosioni rivoluzionarie in diversi paesi, a livello
mondiale:
1) La crisi della borghesia e delle classi dirigenti a tutte le latitudini (dalla crisi politica che si è prodotta
in Italia dopo le elezioni, fino alla scomposizione del blocco peronista in Argentina nel quadro della
crescita del FIT, solo per citare due esempi).
2) La tendenza alla radicalizzazione delle masse e all’ascesa della lotta di classe, sia nei paesi arretrati
che nei centri imperialistici.
Le recenti rivolte in Turchia e in Brasile non solo mostrano il legame con la crisi, ma hanno segnato e
segnano una nuova tappa nella rivoluzione mondiale. La rivolta della gioventù e dei lavoratori in Brasile ha
costituito un punto di svolta non solo nel proprio paese, ma in tutto il continente dell’America Latina,
caratterizzata da una crisi verticale delle classi dominanti e del nazionalismo borghese.
La radicalizzazione delle masse non si manifesta globalmente in modo univoco: ciò dipende in primo luogo
dal livello di organizzazione del movimento operaio e dalle sue precedenti esperienze storiche. In alcuni
paesi si manifesta nell’esplosione di movimenti interclassisti a carattere democratico (vedi la rivolta di Gezi
Park) o del sottoproletariato delle metropoli, che a loro volta possono costituire la miccia per un’esplosione
del movimento operaio (come nel caso della rivolta della gioventù greca del 2008). In altri paesi si ha una
vera e propria ascesa del movimento operaio, come nel caso della recente lotta degli operai tessili del
Bangladesh.
Al contempo occorre sottolineare un dato importante: l’entrata in lotta di nuovi settori del proletariato, in
precedenza tra i settori più arretrati e sfruttati dalla borghesia. E’ il caso, ad esempio, del più grande
sciopero dei lavoratori degli esercizi pubblici della storia degli Stati Uniti, che ha visto scendere in lotta
migliaia di lavoratori di fast-food, ristoranti e catene alimentari. O, per quel che riguarda l’Italia, è il caso
della lotta esemplare dei lavoratori della logistica nei mesi scorsi, un importante settore di proletariato
immigrato che per la prima volta fa la sua entrata nella scena della lotta di classe.
LA LOTTA DI CLASSE IN EUROPA
L’Unione Europea, al centro della valanga della crisi, è teatro in questi ultimi anni di un’ascesa, e non un
riflusso, delle lotte di massa. Al centro della lotta di classe europea è stata senza dubbio la Grecia,
precipitata nel 2012 in una crisi rivoluzionaria senza precedenti dalla lotta contro la dittatura dei colonnelli.
La Spagna è stata attraversata nel corso degli ultimi anni da un’impennata di lotte e movimenti di massa: il
movimento degli “Indignados” è stato una manifestazione della rovina economica e del decadimento
sociale della piccola borghesia come di vasti settori del proletariato. Sul piano del movimento operaio si
sono avute esplosioni di diversi settori del proletariato, dall’esemplare lotta dei minatori delle Asturie (con
forme di lotta radicali senza precedenti) allo sciopero dei lavoratori dell’istruzione del 2011, il più grande
dalla caduta di Franco, che ha completamente paralizzato il paese. Negli ultimi mesi una serie di scioperi
locali, molti dei quali ad oltranza, ha segnato la lotta di classe in Spagna. In Portogallo si sono avute, nello
stesso periodo, immense mobilitazioni di massa di fronte ai palazzi del potere.
In Francia esistono centinaia di vertenze in grandi e medie aziende ma sono tutte tenute separate ed
isolate. Nei grandi scioperi dell’autunno del 2010 Sarkozy poteva essere rovesciato con battaglie di strada,
ma la burocrazia lo ha salvato.
La caratteristica negativa principale di tutte queste lotte è stata, infatti, l’assenza di una centralizzazione sia
all’interno dei propri paesi che sul piano europeo. La burocrazia sindacale, isolando e indebolendo le lotte,
ne ha minato la forza propulsiva e la capacità di contagio. Per questo diventa elemento centrale un piano di
azione internazionale del Partito e delle sezioni europee del CRQI con l’obiettivo di costruire un fronte unico
europeo delle lotte.
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3° Congresso del PCL
DOCUMENTO 1 – POLITICO - ed EMENDAMENTI
LE RIVOLUZIONI ARABE NEL CONTESTO DELLA CRISI MONDIALE
Il processo rivoluzionario nei paesi arabi, iniziato a Tunisi, è il fenomeno più lampante dello stretto legame
tra crisi e rivoluzione. La causa principale dell’esplosione rivoluzionaria è stata senza dubbio l’aumento del
prezzo dei generi alimentari di prima necessità in tutto il Maghreb (in media del 30%), come effetto della
gigantesca speculazione finanziaria sulle materie prime. Tutto ciò unito alla politica di svalutazione della
moneta nell’intera zona e all’aumento insostenibile della disoccupazione. In Egitto, in cui un terzo della
popolazione vive al di sotto della soglia di povertà, l’aumento del prezzo del pane è stato la miccia che ha
innescato il processo rivoluzionario.
In Siria si è avuta una crescita della disoccupazione stimata al 25% della popolazione nel 2011, in un
processo di apertura al mercato da parte del regime di Assad che ha colpito la popolazione con
licenziamenti e calo della spesa pubblica.
La classe operaia in questo processo ha avuto un ruolo fondamentale: sia in Tunisia che in Egitto l’ondata
di scioperi è stata l’elemento determinante nella cacciata dei dittatori Ben Alì e Mubarak. La lotta
organizzata della classe operaia ha segnato tutte le fasi successive del processo rivoluzionario, dagli
scioperi a carattere insurrezionale seguiti all’assassinio di Chokri Belaïd (segretario generale del Partito
Unificato dei Democratici Patriottici) in Tunisia alla lotta dei metalmeccanici di Suez in Egitto. Proprio in
Egitto la radicalizzazione della classe operaia è dimostrata dall’aumento immenso del numero degli scioperi
nel 2013 (nel primo trimestre sono arrivati a 2.413, contro i 1.969 dell’intero 2012).
Alle rivendicazioni sociali si sono aggiunte in primo piano, secondo una dinamica tipica dei paesi arretrati,
rivendicazioni a carattere democratico, con un elemento di mobilitazione centrale nella gioventù. Inoltre, il
processo non ancora concluso è stato un elemento di destabilizzazione dei piani imperialistici nell’area
araba.
La vittoria temporanea ed instabile di forze reazionarie e/o bonapartiste nelle varie tappe del processo
rivoluzionario non è un sintomo ne’ di stabilizzazione, ne’ di arretramento del movimento operaio (ad
eccezione della Siria, in cui la debolezza del movimento operaio è risultata determinante nel passaggio ad
una tappa negativa): è il risultato dell’assenza di un’alternativa politica, in definitiva di un’organizzazione
marxista rivoluzionaria nella regione.
Il ciclo apertosi non si è concluso: ad oggi l’imperialismo e la reazione non possiedono elementi di
stabilizzazione delle masse. L’evoluzione del processo ha mostrato tutta la validità della teoria della
rivoluzione permanente: soltanto un governo operaio e contadino può rompere con l’imperialismo e
realizzare completamente le rivendicazioni sociali e democratiche di tutte le masse oppresse. L’obiettivo
centrale nel processo rivoluzionario dei paesi arabi è quello della sconfitta delle direzioni reazionarie o
opportuniste e della costruzione del partito marxista rivoluzionario ed internazionalista. Allo stesso tempo la
rivoluzione araba non può essere risolta nazionalmente; la sorte della rivoluzione in un singolo paese è
strettamente connessa con l’intera area: la rivendicazione e la lotta per una Federazione Socialista del
Nord Africa e del Medio Oriente è un elemento primario in questa fase.
USA: LA LOTTA DI CLASSE NEL CENTRO DELL’IMPERIALISMO MONDIALE
Un dato da non sottovalutare è la tendenza alla radicalizzazione della classe operaia negli Stati Uniti, nel
contesto di un fronte dell’attacco frontale del governo contro la classe operaia e contro i diritti democratici
(le misure approvate contro le forme di lotta del movimento “Occupy Wall Street” che portarono all’arresto
di tremila persone, la legge che abolisce la trattenuta sindacale, le misure approvate nel 2012 sulla raccolta
di informazioni sui cittadini non sospettati di atti illegali etc.).
Il 28 e il 29 ottobre del 2009, il 70% degli operai della Ford, il 90% in alcune fabbriche, bocciarono
l’accordo UAW-Ford che ricalcava quello della Chrysler tra Obama, Marchionne e i capi dell’UAW. Il succo
dell’accordo era: doppio livello salariale, salari ridotti in entrambi i livelli, aumento dei contributi sanitari e
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3° Congresso del PCL
DOCUMENTO 1 – POLITICO - ed EMENDAMENTI
pensionistici a carico del lavoratore, massima flessibilità e blocco degli scioperi; ciò avrebbe riportato le
condizioni della classe operaia a prima degli anni 30’.
La cronaca della lotta operaia, di quella dei lavoratori dei servizi pubblici e della ristorazione di massa e
degli insegnanti è piena di accordi bocciati, di scioperi e picchetti durati settimane.
Elenchiamo i casi più significativi dove sono stati bocciati gli accordi che ripetevano quello tra Obama,
Marchionne, UAW alla Chrysler:
1) Febbraio 2013-Alla Boeing votò contro il 56% degli ingegneri ed il 52% dei tecnici. Questo rifiuto è
stato preceduto in più occasioni dalle denuncie che gli ingegneri e tecnici sul cattivo funzionamento
dei materiali e delle macchine. Nel 2007 due revisori dei conti furono licenziati per aver denunciato
le truffe contabili;
2) Aprile 2013- Senza contratto da un anno i lavoratori della AT&T bocciavano il contratto e votavano
per lo sciopero;
3) Febbraio 2013 -Lo sciopero dei lavoratori degli scuolabus di New York;
4) settembre- ottobre 2012 - il grande sciopero degli insegnanti di Chicago contro le misure scolastiche
di Obama, traditi e isolati dalla burocrazia sindacale;
5) agosto-2012 - la bocciatura, lo sciopero ed i picchetti alla Dundee Engine Plant (Michigan) bocciano
con una percentuale del /3% l’accordo locale sostenuto dall’UAW;
6) Maggio 2012 - i lavoratori della Cartepillar di Joliet, Illinois al 94% votano l’accordo locale, si votano
sciopero e picchetti;
7) Agosto 2012 -Sciopero, picchetti e bocciatura accordo sindacale alla Costellum di Ravensswood,
arresti contro due operai accusati di aver lanciato contro i camion dei crumiri oggetti fatti di cemento
e chiodi;
8) Dicembre 2012- scioperi dei portuali della Costa occidentale.
Il dato che emerge è che burocrazia sindacale, con la crisi inarrestabile, ha come compito quello di isolare
le singole lotte. L’unificazione delle lotte potrà realizzarsi soltanto con strumenti indipendenti dalla
burocrazia ed in lotta aperta contro di questa. Questa è la lezione generale.
LA CRISI DELLA DIREZIONE DEL MOVIMENTO OPERAIO
“La crisi storica dell'umanità si riduce alla crisi della direzione rivoluzionaria.” (Lev Trotsky, Il Programma di
Transizione)
Nel contesto della parabola ascendente della lotta di classe emerge, in assenza di partiti rivoluzionari di
massa, una risposta di classe non all’altezza della situazione e l’immaturità della coscienza della classe
operaia. Ma la crisi della coscienza del movimento operaio in diversi paesi non è un portato della crisi
capitalista: essa è un elemento determinato delle sue direzioni sindacali e politiche.
La crisi del capitalismo è anche la crisi del riformismo e delle burocrazie sindacali. Non potendo la
borghesia, nel contesto della crisi, offrire alcuna conquista stabile e duratura al proletariato e alle masse
sfruttate, ne consegue che qualsiasi lotta nelle mani della burocrazia sindacale conservatrice e delle
organizzazioni riformiste non può che portare alla sconfitta.
L’ascesa della lotta di classe nella stragrande maggioranza delle varie situazioni particolari, in particolar
modo in Europa, non ha finora trovato uno sbocco rivoluzionario, o per lo meno la continuità della lotta,
proprio a causa dei limiti imposti dalle direzioni conservatrici del movimento operaio, con un ruolo negativo
prevalente delle burocrazie sindacali.
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3° Congresso del PCL
DOCUMENTO 1 – POLITICO - ed EMENDAMENTI
L’esempio più lampante è la Grecia, dove la forza rivoluzionaria della classe operaia è stata dispersa dalle
burocrazie sindacali in tanti scioperi non continui. Per non parlare del ruolo conservatore di Syriza, che ha,
ad esempio, boicottato lo sciopero degli insegnanti del maggio del 2013.
In questo contesto si inserisce il necessario lavoro di massa del partito rivoluzionario per elevare la
coscienza della classe operaia e per segnare la strada verso la rottura con la sua direzione burocratica. La
crescita immensa del Partido Obrero e del Frente de Izquierda in Argentina dimostra proprio questo: che un
partito marxista rivoluzionario con una giusta linea può, nel contesto dell’attuale crisi catastrofica, elevare la
coscienza della classe operaia e, in definitiva, spianare la strada verso la conquista della sua direzione.
A. Carboni (CP), G.F. Camboni, G. Satta, R. Camboni, S. Bitti
_____________________________________________________________________________________
POL2: INSERIRE NEL CAPITOLO “PER UNA SVOLTA
(pag.28 del documento), dopo il secondo capoverso del capitolo:
NELLE
FORME
DI
LOTTA”
A tale scopo è indispensabile, in questa fase, agitare e sviluppare tatticamente nel complesso delle lotte di
classe la proposta della creazione di organismi di lotta indipendenti dalla burocrazia sindacale quali comitati
di sciopero, comitati di fabbrica e, soprattutto, la creazione di un coordinamento per delegati delle lotte. Ciò
al fine sia di centralizzare le tante vertenze isolate, rafforzandole; sia come mezzo per combattere la
burocrazia sindacale, neutralizzare la sua funzione di freno e strappare la classe operaia dalla sua
influenza.”
A. Carboni (CP), G.F. Camboni, G. Satta, R. Camboni, S. Bitti
_____________________________________________________________________________________
POL3: INSERIRE NEL CAPITOLO “LA BATTAGLIA DEI RIVOLUZIONARI NEI SINDACATI”
(pag 29 del documento), all’inizio subito sotto il titolo del capitolo
“Nei momenti critici della lotta la borghesia semina la discordia tra le masse operaie militanti e impedisce
che le azioni isolate di differenti categorie operaie si fondano in una generale azione di classe; essa è
sostenuta, in questo tentativo, dall’opera delle vecchie organizzazioni sindacali che spezzettano i lavoratori
di un settore professionale in gruppi artificialmente isolati, nonostante che siano tutti riuniti gli uni agli altri
dall’esistenza stessa dello sfruttamento capitalistico.…E’ in questo modo che la burocrazia sindacale
sostituisce deboli ruscelletti alle potenti correnti del movimento operaio…”
“Ogni diserzione volontaria dal movimento professionale, ogni tentativo di scissione artificiale di sindacati
che non sia determinato dall’eccessiva violenza della burocrazia professionista (dissoluzione di sezioni
locali sindacali rivoluzionarie da parte dei vertici opportunisti) o dalla loro rigida politica aristocratica che
impedisce alle grandi masse di lavoratori poco qualificati di entrare negli organismi sindacali, rappresenta
un enorme danno per il movimento comunista”
“Siccome i comunisti danno più valore alla natura e ai fini dei sindacati che alla loro forma, essi non devono
assolutamente esitare di fronte alle scissioni che si potrebbero produrre nel seno delle organizzazioni
sindacali se, per evitarle, fosse necessario abbandonare il lavoro rivoluzionario e rifiutarsi di organizzare la
parte più sfruttata del proletariato. …Nel caso in cui una scissione divenga inevitabile, i comunisti
dovrebbero accordare una grande attenzione a che tale scissione non li isoli dalla massa operaia.”
“Ovunque, dove la scissione tra le tendenze sindacali opportuniste e quelle rivoluzionarie si è gia prodotta,
dove esistono…sindacati di tendenza rivoluzionaria, se non comunisti, accanto ai sindacati opportunisti, i
comunisti hanno l’obbligo di dare il loro contributo a questi sindacati rivoluzionari, di sostenerli, di aiutarli a
liberarsi dei loro pregiudizi sindacalisti e a collocarsi sul terreno del comunismo…Ma l’aiuto prestato ai
sindacati rivoluzionari non deve significare l’uscita dei comunisti dai sindacati opportunisti che si trovino in
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3° Congresso del PCL
DOCUMENTO 1 – POLITICO - ed EMENDAMENTI
uno stato di effervescenza politica e di evoluzione verso la lotta di classe. Proprio al contrario: è sforzandosi
per affrettare quest’evoluzione delle masse nei sindacati che si trovano già sulla via della lotta rivoluzionaria
che i comunisti potranno giocare il ruolo di elemento unificatore, morale e pratico, tra gli operi organizzati,
per una lotta comune tendente a distruggere il regime del capitale”
(Estratti da “IL MOVIMENTO SINDACALE, I COMITATI DI FABBRICA E DI OFFICINA” atti del secondo
congresso della III Internazionale – luglio 1920)
F. Bacchiocchi (Direzione)
_____________________________________________________________________________________
POL4: SOSTITUIRE NEL CAPITOLO “LA BATTAGLIA DEI RIVOLUZIONARI NEI SINDACATI”
(pag 29 del documento), ultime 4 righe del primo paragrafo introduttivo del punto, da dopo “….
rivoluzione socialista” alla fine del paragrafo (a … “programma anticapitalista”)
La proposta di una svolta unitaria e radicale del movimento operaio va investita in una battaglia di fondo in
tutte le organizzazioni sindacali della sinistra italiana.
Il nostro secondo congresso ha definito l'indirizzo generale del nostro intervento sindacale e il criterio
leninista su cui si fonda: l'intervento dei rivoluzionari nei sindacati non ha come obiettivo strategico lo
“spostare a sinistra” un sindacato, o lo scegliere “il sindacato più a sinistra” o la costruzione di un “proprio”
sindacato. Ma è parte della battaglia politica più generale per la conquista delle masse alla prospettiva della
rivoluzione socialista.
Occorre però un aggiornamento riguardante la parola d’ordine tattica affermata al II congresso: la centralità
della battaglia nella CGIL per il lavoro sindacale del partito. Nel richiamare le responsabilità della CGIL
quale ragione decisiva dell’arretramento operaio nel contesto della più grande aggressione alle sue
condizioni di vita dal dopoguerra, il carattere irriformabile delle sue strutture, e al fine del perseguimento, se
pur in questa fase solo come indicazione prospettica, della nostra proposta organizzativa strategica, la
“Costituente per la rifondazione del sindacato di classe”, è necessario rimuovere qualsiasi fattore di
fraintendimento riguardo la nostra proposta rivolta alla massa dei lavoratori sindacalmente attivi. Tanto più
se tale fattore non ha implicazioni essenziali e pratiche riguardo alla battaglia dei rivoluzionari in tutte le
organizzazioni sindacali della sinistra italiana.
Per questo ribadendo la necessità e l’importanza della battaglia dei rivoluzionari nella principale
organizzazione sindacale della classe lavoratrice italiana (maggioranza assoluta tra i lavoratori del privato),
si rimuove l’equivoco della “centralità” della CGIL, per affermare tanto più nella lotta in questa
organizzazione la centralità della lotta antiburocratica, sulla base di un programma anticapitalista per la
conquista delle masse alla prospettiva della rivoluzione socialista.
(Se è criminoso voltare le spalle alle organizzazioni di massa per accontentarsi di finzioni settarie, non è
meno criminoso tollerare passivamente la subordinazione del movimento rivoluzionario delle masse al
controllo di cricche burocratiche apertamente reazionarie e conservatrici mascherate (“progressiste”). Lev
Trotsky, Il programma di transizione,1938).
In rapida sintesi, come verrà di seguito esplicitato: occorre dare battaglia nella CGIL contro la burocrazia
sindacale filoborghese (appoggio al PD) e nei sindacati di base contro la logica sindacale del centrismo e il
suo risvolto settario.
F. Bacchiocchi (Direzione)
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3° Congresso del PCL
DOCUMENTO 1 – POLITICO - ed EMENDAMENTI
POL5: SOSTITUIRE IL CAPITOLO “L'UNICITÀ DEL PCL E LA SUA COSTRUZIONE INDIPENDENTE”
(p.35-36 del documento) con il seguente testo:
PER UNA SFIDA UNITARIA ALLE ORGANIZZAZIONI MARXISTE RIVOLUZIONARIE: CONTRO OGNI
AUTOCENTRATURA SETTARIA E PER AGEVOLARE LA RIFONDAZIONE IN TEMPI RAPIDI DELLA IV
INTERNAZIONALE
L’esigenza di unità che si respira a sinistra trova diverse proposte che costellano l'attuale dibattito della
sinistra ma che finiscono per fondersi su una comune ambizione: conquistare seggi parlamentari eludendo
qualsiasi principio politico.
La “costituente della sinistra” evocata da Sel mira a raggruppare attorno a Vendola l'ennesima sinistra di
governo del centrosinistra, anche eventualmente allargato a destra.
La proposta dell'ex ministro Ferrero di “unire la sinistra” in alternativa al PD, oltre a convivere coi governi
PD/PRC in Regioni e città, ripropone il canovaccio di un programma riformista “antiliberista”: ed ha come
unico scopo quello di salvare il gruppo dirigente ferreriano dal naufragio politico post Ingroia.
La proposta di Alba rinnova l'illusione di un “nuovo modello di sviluppo” in ambito capitalistico, partendo da
un municipalismo “alternativo”: riflette la volontà (e velleità) di gruppi intellettuali della sinistra riformista di
ritagliarsi uno spazio politico, in proprio, sulle rovine di Rifondazione e sulle contraddizioni di Sel.
L'operazione Ross@ (Cremaschi, Turigliatto, Russo Spena, Rete dei Comunisti) combina l'opposizione al
PD e al centrosinistra col recupero dell’armamentario centrista: apologia dei movimenti, rimozione della
prospettiva del potere e di un programma transitorio, rifiuto della costruzione del partito rivoluzionario; con
una impostazione che consente il coinvolgimento di aree del PRC, lasciando irrisolto il nodo del rapporto
con Rifondazione. L'operazione somma in sé mire diverse: salvare dal naufragio un pezzo di Sinistra Critica
dopo la sua dissoluzione, dare uno sbocco politico all'esperienza di Cremaschi, dare a Ferrero uno spazio
di manovra a sinistra. La somma delle contraddizioni prevede un esito incerto.
Infine le diverse proposte di “unità dei comunisti”, avanzate ciclicamente dal PDCI e da una galassia di
gruppi stalinisti, riflettono solo la pervicace volontà di utilizzare il richiamo “comunista” per rilanciare
l'identità dello stalinismo. Peraltro l'”unità dei comunisti” a prescindere da principi e programmi, ha già
incorniciato la disfatta di Rifondazione.
Contrastare questa mistificazione è un atto di verità e di bilancio. La difesa dell'autonomia del PCL non è
dunque un atto di autoconservazione. E’ la difesa del programma rivoluzionario e della costruzione del
partito rivoluzionario, nell'interesse del movimento operaio. La difesa di questo programma è il recupero
della memoria storica del marxismo rivoluzionario e dell'avanguardia rivoluzionaria del movimento operaio
del 900. E al tempo stesso un suo investimento nel futuro della lotta di classe: in una stagione storica di
grande crisi del capitalismo e del riformismo, che riattualizza in modo straordinario proprio la ricchezza
della tradizione rivoluzionaria del leninismo e dunque sull'insieme organico delle conseguenze strategiche
e tattiche che discendono da quel programma. Ma non esiste solo il PCL vi è altresì un’articolazione plurale
di (piccole) organizzazioni marxiste rivoluzionarie con cui è necessario ricercare un’unificazione,
realizzando per questa via un salto in avanti della costruzione del partito rivoluzionario.
Così come a livello internazionale anche in Italia tra le diverse organizzazioni della “sinistra di classe” che si
richiamano al trotskismo, le divergenze sono significative, ma non tali da toccare, né nella forma, né nella
pratica, i principi fondamentali del programma comunista e rivoluzionario.
Secondo il metodo leninista-trotskista, e in funzione delle necessità della battaglia per la rivoluzione
socialista, tali diverse forze dovrebbero lavorare ad un processo di fusione e rivendicare la costruzione di
un’unica Internazionale, con diritto di frazione o anche solo tendenze distinte, eventualmente in lotta, sulla
base dei criteri del centralismo democratico, per far trionfare le proprie specifiche posizioni.
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3° Congresso del PCL
DOCUMENTO 1 – POLITICO - ed EMENDAMENTI
Un raggruppamento rivoluzionario fondato su basi programmatiche chiare che agevolerebbe il lavoro di
“rifondazione rapida” della IV Internazionale.
Il Pdac (LiT) è tra le organizzazioni presenti in Italia la più vicina al PCL dal punto di vista programmatico.
Questa piccola organizzazione, seppur sia segnata dall’onta di aver depotenziato la costruzione del partito
rivoluzionario e abbia concentrato dal 2006 ad oggi il grosso delle sue energie nell'attacco ossessivo al
nostro partito, non può essere ignorato. La storia esige uno sguardo più alto delle beghe di bottega, per
questo è necessario posizionarci all’altezza che il momento storico ci chiede e responsabilmente dobbiamo
considerare questa organizzazione nonostante la sua marginalità politica e l’astio nei nostri confronti un
nostro interlocutore. Ne va della stessa credibilità del progetto politico di costruzione del partito
rivoluzionario e rappresenterebbe un passo chiave per la stesso auspicabile avvicinamento della LiT al
CRQI.
Si registrano inoltre alcune evoluzioni da non sottovalutare: la fuoriuscita dell’Associazione Contro Corrente
dal PRC (sezione del CWI) e la scissione di Sinistra Critica, che ha dato vita a Sinistra Anticapitalista. Si
tratta come nel caso del Pdac di piccole forze ma che non possono essere ignorate. In particolare
l’Associazione Contro Corrente nasce direttamente dalla Amr Progetto Comunista e si è contraddistinta per
una battaglia coerente di frazione nel PRC. Quanto a Sinistra Anticapitalista siamo in presenza di una
direzione difficilmente recuperabile ma va posta attenzione alla sua base militante che, liberatasi del blocco
movimentista (Cannavò-D’Angeli) ha deciso di investire nella costruzione di una sinistra di classe. Sarebbe
quantomeno inopportuno non tentare di sottrarre queste energie al centrismo eclettico di Cremaschi&Co.
La stessa attenzione merita Falce e Martello che nonostante abbia costantemente coperto a sinistra
l’opportunismo di Rifondazione e conservi le tare dovute alla sua appartenenza al CMI, rappresenta un
valido raggruppamento di quadri trotskisti sperimentati. Sollecitare la rottura di FM dal PRC in funzione del
progetto marxista rivoluzionario è una strada che dev’essere tentata.
La costruzione del partito rivoluzionario passa indubbiamente per la costruzione del Partito comunista dei
Lavoratori ma non possiamo rannicchiarci in un solipsismo rassicurante. Al contempo una strategia che
ponga attenzione alle varie anime che si richiamano al trotskismo non significa rinunciare al nostro
programma indipendente né la subordinazione ad altri programmi, ma la conquista di una più vasta area
militante al marxismo rivoluzionario conseguente. Nessuna concessione quindi al centrismo, ma al
contrario un lavoro e al tempo stesso una sfida unitaria che arma la stessa costruzione del partito
rivoluzionario attraverso l'adesione al suo programma del settore più cosciente dell'avanguardia di classe e
dei movimenti, e di tutti i militanti e gli attivisti della sinistra che cercano un'alternativa alla bancarotta dei
suoi gruppi dirigenti.
L. Liverani, R. Canfarini (Direzione), M. Castellini, G. Turci, F. Fiorentino, C. Bagni, F. Poli, S. Falai, M
Balelli, M. Gianessi, E.L. Silvio, O. Lalli
_____________________________________________________________________________________
POL6: INSERIRE IL CAPITOLO “PER UN METODO LENINISTA NEL RAPPORTO CON LE ELEZIONI”
(p. 36 del documento), al termine della parte III:
Il terreno della lotta di classe e dell’azione di massa è l’ambito centrale di lavoro e d’intervento dei
comunisti. E’ il terreno di costruzione dell’alternativa anticapitalista, della prospettiva del potere dei
lavoratori. Ma ciò non significa ignorare e rimuovere il terreno della lotta elettorale.
La partecipazione alle elezioni borghesi e la presentazione autonoma dei comunisti sono il riferimento
centrale della nostra politica elettorale. I comunisti partecipano normalmente alle elezioni borghesi. L’intera
tradizione rivoluzionaria comunista ha combattuto aspramente sia l’”astensionismo di principio”, sia più in
generale ogni posizione di disimpegno o sottovalutazione dell’importanza delle scadenze elettorali. E
questo non per una ragione “elettoralistico istituzionale”, ma per la ragione esattamente opposta: la
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3° Congresso del PCL
DOCUMENTO 1 – POLITICO - ed EMENDAMENTI
partecipazione ovunque possibile alle elezioni borghesi è un’occasione preziosa di propaganda
rivoluzionaria tra le masse, di intervento nella lotta di classe, di costruzione del partito rivoluzionario.
La battaglia del bolscevismo tra il 1907 e il 1910 contro la sua frazione “otzovista” che contestava la
partecipazione alle elezioni della Duma; la battaglia di Rosa Luxemburg nel 1918 contro il rifiuto dei
comunisti tedeschi di partecipare alle elezioni dell’Assemblea Costituente; ma soprattutto la forte battaglia
di Lenin e della larga maggioranza della terza Internazionale comunista contro le posizioni astensioniste
del bordighismo italiano, del Kapd tedesco, del tribunismo olandese (Gorter), hanno avuto questo segno
costante. Non si tratta affatto- diceva Lenin- di aderire al “parlamentarismo borghese” o di attenuare la
denuncia della sua natura. Al contrario: si tratta di utilizzare a fondo con tutti i mezzi disponibili la tribuna
delle elezioni borghesi- e l’eventuale elezione di una propria rappresentanza nelle istituzioni borghesi- per
allargare la denuncia del parlamentarismo e creare le condizioni del suo superamento rivoluzionario:
lavorando a sviluppare, anche per questa via, la coscienza politica delle masse.
Sotto questo profilo il rapporto dei rivoluzionari con le elezioni è esattamente opposto alla logica riformista.
Per le sinistre riformiste il terreno elettorale è normalmente l’ambito di concretizzazione di compromessi
istituzionali con i partiti borghesi in vista di ministeri o assessorati. Per i rivoluzionari è un terreno di
denuncia della borghesia, dei suoi partiti, delle politiche collaborative dei riformisti. Di conseguenza, è
opposta la valenza e l’uso di eventuali eletti. Per le sinistre riformiste, gli eletti nelle istituzioni borghesi sono
una pedina negoziale del “gioco istituzionale”. Per i comunisti sono preziosi tribuni del proprio programma
rivoluzionario agli occhi del proletariato: e per questo fisiologicamente collocati, per principio e senza
eccezioni,all’opposizione di ogni governo borghese (nazionale e locale). Per la stessa ragione i comunisti si
battono per una legge elettorale coerentemente proporzionale, senza soglie di sbarramento e distorsioni
maggioritarie: perché contrappongono il principio della piena rappresentanza democratica al feticcio della
governabilità borghese.
La forma normale di partecipazione dei rivoluzionari alle elezioni, è quella della presentazione autonoma e
alternativa. Nella tradizione rivoluzionaria le elezioni non sono un terreno di fronte unico d’azione, ma
prevalentemente un terreno di propaganda e presentazione del proprio programma indipendente: non di ciò
che unisce i rivoluzionari ad altri partiti, ma di ciò che li distingue o li contrappone ad essi (siano questi i
partiti borghesi, oppure siano, su un versante diverso, partiti di sinistra riformista o centrista).
L’indipendenza elettorale dei comunisti, come espressione della loro indipendenza politica e
programmatica, è un riferimento ricorrente del marxismo rivoluzionario.
La presentazione elettorale autonoma dei comunisti è rivendicata da Marx nell’Indirizzo alla Lega del 1850,
contro ogni ipotesi di blocco con la piccola borghesia democratica. E’ ampiamente rivendicata nella
tradizione bolscevica contro la logica generale dei blocchi elettorali tra il menscevismo e l’opposizione
borghese liberale (partito cadetto). E’ sostenuta da Trotsky in Germania all’inizio degli anni ‘30 contro la
proposta avanzata dall’organizzazione centrista SAP di un candidato di fronte unico tra comunisti e
socialdemocratici per le elezioni presidenziali (posizione tanto più significativa nel momento in cui Trotsky
rivendicava il fronte unico d’azione contro il fascismo): “L’idea di far proporre il candidato alla presidenza
dal fronte unico operaio è un’idea radicalmente sbagliata. Si può proporre un candidato solo sulla base di
un programma ben definito. Il partito non ha il diritto di rinunciare, durante alle elezioni, alla mobilitazione
dei suoi aderenti e all’inventario delle sue forze. La candidatura di partito, contrapposta a tutte le altre
candidature, non può impedire in nessun modo l’accordo con altre organizzazioni per obiettivi immediati di
lotta” (Trotski, 1931).
I comunisti rifiutano di rimuovere o nascondere l’autonomia del programma comunista, e quindi del proprio
partito, di fronte alle masse: questa è stata sempre l’indicazione di fondo. E questa indicazione si è
frequentemente scontrata con l’impostazione centrista. Per il centrismo il rapporto con le elezioni è
subordinato per lo più a considerazioni contingenti “di movimento” o all’inseguimento di “un vantaggio”
immediato (reale o presunto), fuori dalla coerenza di un programma generale indipendente: da qui la
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3° Congresso del PCL
DOCUMENTO 1 – POLITICO - ed EMENDAMENTI
frequente oscillazione tra disimpegno elettorale ( “ci preoccupiamo delle lotte, non delle elezioni”) e la
ricerca privilegiata di blocchi elettorali con i partiti riformisti ( o di proprio nascondimento in liste
genericamente “alternative”). Per il marxismo rivoluzionario, invece, il rapporto con le elezioni è sempre
principalmente finalizzato al proprio progetto generale: da qui la necessità di presentazione autonoma e
alternativa.
In sede di bilancio rispetto al II congresso del PCL è corretto analizzare come gli appoggi critici al
ballottaggio per Pisapia e De Magistris hanno rappresentato uno scivolone incomprensibile e impegna
pertanto il partito a boicottare le urne al secondo turno (ad eccezione che non sia presente un proprio
candidato). Ancor più grave aver sostenuto Medici alle elezioni di Roma sin dal primo turno. Queste
esperienze dimostrano la totale inutilità di un approccio manovrista e rilanciano con forza la necessità di
mantenere il partito estraneo a incomprensibili pastoie elettoraliste.
La presentazione elettorale del PCL esclude inoltre blocchi elettorali con gruppi e formazioni di tipo
centrista. Il terreno elettorale non è, per definizione, un terreno di unità d’azione. E’ il terreno dove i
rivoluzionari si affacciano con la propria proposta generale, autonoma e distinta, in funzione della
costruzione del proprio partito. Il PCL, che da un lato rappresenta, di gran lunga, la forza politica più
significativa a sinistra del PRC, dall’altro (anche per questo) ha esigenza di farsi conoscere per quello che
è, nella sua distinzione dai gruppi centristi, nella fisionomia complessiva del suo autonomo progetto. Ogni
blocco con gruppi centristi sarebbe in contraddizione con questa esigenza. Per questo a cominciare dalle
imminenti elezioni europee il PCL si presenterà in forma autonoma nel caso in cui: Pdac –Contro CorrenteFalce Martello non accetteranno un processo di accordo politico sul modello del FiT argentino.
L. Liverani, R. Canfarini (Direzione), M. Castellini, G. Turci, F. Fiorentino, C. Bagni, F. Poli, M. Balelli,
M. Gianessi, E. L. Silvio, O. Lalli
_____________________________________________________________________________________
POL7: INSERIRE NEL CAPITOLO “RAFFORZARE IL LATO POLITICO DEL NOSTRO INTERVENTO DI
MASSA”, (p. 38 del documento) al termine dell’ultimo paragrafo (p. 39 del documento):
A questo fine, si tratterebbe di dare al nostro intervento carattere sistematico e omogeneo. Per quanto
riguarda il centro del partito, quindi, gli organismi dirigenti nazionali si faranno carico, tramite la
commissione lavoro o singoli compagni, di seguire, controllare e favorire attivamente il nostro intervento
operaio sul territorio, al fine di garantirne il massimo di efficacia e continuità possibile. Ciò avverrà
attraverso indicazioni e contatti periodici con i coordinamenti regionali e/o con le sezioni all’interno delle
quali sono presenti aziende o realtà di intervento importanti.
F. Doro (Direzione), L. Sorge (Direzione), A.Carboni (CP), Mario Tommasi (CP), A. Tronca (CP), O.
Lalli, L. Liverani, S. Rosano
_____________________________________________________________________________________
POL8: INSERIRE IL CAPITOLO “IL RUOLO DEL PCL NELL’EMIGRAZIONE ITALIANA”
(p.41 del documento), al termine del capitolo “Per la conquista di ruoli di direzione nelle lotte”
La borghesia aizza gli operai di una nazione contro gli operai di un'altra, cercando di dividerli. Gli operai
coscienti, comprendendo l'inevitabilità e il carattere progressivo della distruzione di tutte le barriere
nazionali operata dal capitalismo, cercano di aiutare a illuminare e a organizzare i loro compagni dei paesi
arretrati (Lenin, Il capitalismo e l'immigrazione operaia, 1913).
La crisi perdurante del capitalismo sta provocando un’inversione di tendenza: l’Italia dopo decenni, da terra
d’immigrazione sta tornando ad essere terra da cui emigrare.
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3° Congresso del PCL
DOCUMENTO 1 – POLITICO - ed EMENDAMENTI
Gli iscritti all’AIRE (Anagrafe italiani residenti all’estero), cittadini italiani che risiedono e lavorano all’estero
per più di un anno, sono saliti nel 2012 a 4,3 milioni. Erano 3,5 milioni tra il 2005-06, segnando un esodo di
800.000 lavoratori avvenuto in soli 6 anni. Gli italiani emigrati all'estero sono più numerosi degli immigrati
stranieri in Italia e nel loro percorso di integrazione incontrano gli stessi ostacoli: la lingua, la burocrazia e la
ricerca del lavoro (La repubblica 19 novembre 2009).
L’emigrazione è in parte usata come valvola di sfogo di una disoccupazione crescente e rappresenta un
aspetto da non sottovalutare e su cui il PCL deve intervenire per aprire un nuovo terreno di agitazione.
Organizzare direttamente i lavoratori di lingua italiana all’estero aprirebbe un canale di lavoro per la stessa
costruzione della IV Internazionale.
L. Liverani, R. Canfarini (Direzione), M. Castellini, G. Turci, F. Fiorentino, C. Bagni, F. Poli, S. Falai,
M. Balelli, M. Gianessi, E. L. Silvio, O. Lalli
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