ANALISI, PROPOSTE, PROGRAMMA
Transcript
ANALISI, PROPOSTE, PROGRAMMA
3° Congresso del PCL DOCUMENTO 1 – POLITICO - ed EMENDAMENTI INDICE: DOCUMENTO POLITICO Parte 1: Lo scenario internazionale p. 2-10 Parte 2: La crisi italiana p. 11-19 Parte 3: La proposta del PCL p. 20-36 Parte 4: La linea di costruzione del PCL p. 37-46 ____________________________________________________________________________ EMENDAMENTI: POL1: sostitutivo della parte 1 - Lo scenario internazionale (Carboni e al.) p. 47 POL2: aggiuntivo a “Per una svolta nelle forme di lotta” (Carboni e al.) p. 51 POL3: aggiuntivo a “La battaglia dei rivoluzionari nei sindacati” (Bacchiocchi) p. 51 POL4: sostitutivo a parte di “La battaglia dei rivoluzionari nei sindacati” (Bacchiocchi) p. 52 POL5: sostitutivo del capitolo “L'unicità del PCL e …” (Liverani, Canfarini e al.) p. 53 POL6: “Per un metodo leninista nel rapporto con le elezioni” (Liverani, Canfarini e al.) p. 54 POL7: aggiuntivo a “Rafforzare il lato politico del nostro intervento di massa” (Doro e al.) p. 56 POL8: “Il ruolo del PCL nell’emigrazione italiana” (Liverani, Canfarini e al.) p. 56 -1- 3° Congresso del PCL DOCUMENTO 1 – POLITICO - ed EMENDAMENTI I PARTE: LO SCENARIO INTERNAZIONALE [qui emendamento POL1, sostitutivo sino a p.10, testo a p. 47] LA CRISI CAPITALISTA INTERNAZIONALE Da ormai sette anni la crisi capitalista segna lo scenario mondiale. Per i suoi caratteri e la sua durata, è la crisi più profonda che il capitalismo mondiale ha attraversato negli ultimi 80 anni. Questa crisi non è uniforme. Anzi si è retta su uno sviluppo ineguale e combinato: crisi in Occidente, sviluppo a Oriente e nell'area Brics. Tale contraddizione tuttavia non è statica. Lo sviluppo prolungato della Cina, come l'ascesa dei paesi “neosviluppati” dell'Asia (India), dell'Africa (Sudafrica), dell'America Latina (Brasile), ha parzialmente ammortizzato la crisi americana ed europea. Ma non è stata in grado di riassorbirla e superarla in direzione di una ripresa reale dell'economia mondiale. Viceversa, la crisi del capitalismo occidentale- che ha spostato il proprio baricentro dagli USA all'Europa- si è riverberata sulle cosiddette “economie emergenti”, producendo un rallentamento dei tassi di sviluppo della Cina e dell'India, e di riflesso sull'intera area Brics (in particolare sul Brasile). Oggi - contraddittoriamente - proprio il rallentamento dell'area Brics, unita alla recenti ipotesi di restrizione della politica monetaria della FED (attualmente sospese), sta provocando un parziale ritorno di capitale finanziario e investimenti nell'occidente imperialista e in Giappone: ciò che da un lato può sospingere una loro limitata “ripresa”, dall'altro aggrava ulteriormente la crisi dei Brics. Che a sua volta rischia di riverberarsi sull'economia mondiale. L'economia mondiale è dunque in una impasse instabile e contraddittoria. Che oggi non delinea una prospettiva di reale ripresa complessiva. Ed anzi accumula nuovi fattori di crisi. Crisi capitalista e fattori storici Il marxismo e l'intera esperienza storica mostrano che il ciclo capitalistico alterna fisiologicamente crisi e riprese. La loro portata e il ritmo stesso della loro alternanza tendono a variare nelle diverse fasi storiche del capitalismo. Ma si intrecciano anche con fattori storici che trascendono il puro dato economico e che al tempo stesso incidono in modo impressionante sulla stessa sfera dell'economia capitalista. La grande crisi del 1929/33, e la sua ricaduta nel 1937, non furono “risolte” dal “normale ciclo economico” e neppure dalle terapie Keynesiane del New Deal. Furono “risolte” dalla seconda grande guerra imperialista. Che operò la distruzione concentrata e radicale delle forze produttive in eccesso, creando le condizioni eccezionali di uno sviluppo capitalistico trentennale. La grande crisi capitalista di sovrapproduzione che oggi attraversa il mondo si confronta anch'essa col quadro storico generale. Ben più che negli anni 30, non può essere “risolta” e affrontata con l'espansione della domanda pubblica: a causa dello sviluppo abnorme dell'indebitamento dei principali stati imperialisti; dell'esaurimento (da 40 anni) -2- 3° Congresso del PCL DOCUMENTO 1 – POLITICO - ed EMENDAMENTI di quel boom economico post bellico che ne consentiva il riassorbimento; del peso enormemente maggiore della spesa pubblica sul PIL, ereditato proprio dalla fase di sviluppo post bellico. Al tempo stesso non sono mature le condizioni di una terza grande guerra, radicalmente distruttiva delle forze produttive eccedenti. Certo, si approfondiscono le contraddizioni e tensioni internazionali, in particolare tra gli USA e la Cina, su un crinale che, in una prospettiva storica, contiene la possibilità della guerra. Tuttavia appare improbabile una precipitazione bellica generale a tempi brevi. Oggi il ricorso alla guerra è sicuramente più problematico per le potenze imperialiste che in ogni altra epoca storica, per il livello raggiunto dal potenziale distruttivo globale. L'attuale impasse della crisi capitalistica internazionale si pone dentro questa cornice, non solo strettamente economica. Crisi capitalista e fenomeni connessi, economici e politici L'impasse capitalista è tutt'altro che immobile. Al contrario sostiene dinamiche importanti, economiche e politiche. 1) La perdurante sovrapproduzione mondiale, la nuova recessione in Europa (2011/2012), il rallentamento dei “poli di sviluppo” (a partire dalla Cina) hanno alimentato una nuova gigantesca bolla finanziaria: nutrita dalle politiche di “keynesismo finanziario” a sostegno delle banche e dalle politiche “espansive” delle banche centrali (in particolare della FED e della banca centrale giapponese). Questa nuova bolla ha una consistenza superiore a quella che ha preceduto il crack del 2007/8. Coinvolge la stessa Cina. E’ strettamente connessa alla crisi bancaria. E rappresenta una mina vagante per l'intera economia mondiale. 2) Recessione europea e rallentamento cinese producono nuove contraddizioni tra i blocchi capitalistici. Incentivano politiche protezioniste in Europa contro la Cina (con la significativa eccezione tedesca), e in Cina contro l'Europa. Sospingono la ricerca di (faticosi) accordi di cartello tra USA e UE, mirati, in buona misura, contro la Cina. Hanno alimentato le politiche espansive di USA e Giappone (acquisto massiccio di titoli e bond da parte delle banche centrali, per svalutare debiti e moneta): politiche mirate - tra l'altro - alla concorrenza anticinese su un mercato europeo ristretto dalla crisi, e alla concorrenza anti europea su un mercato cinese rallentato. Favorendo al tempo stesso sovrapproduzione e bolla finanziaria. 3) Nella lunga crisi, si acuisce il contrasto tra USA e Cina per la spartizione delle zone di influenza. In Africa: dove la massiccia espansione del capitalismo cinese a caccia di materie prime, indebolisce i tentativi di rilancio della presenza americana sul continente. Ma soprattutto lungo la linea del Pacifico, nuovo punto di gravitazione del contenzioso tra USA e Cina: un continente dove si sta sviluppando una “guerra di posizione” per spostare a proprio vantaggio i rapporti di forza attraverso un sistema complesso di accordi economici e/o pressioni militari. E dove le potenze intermedie e i soggetti terzi (a partire dall'India) cercano di “usare” i due forni e la loro concorrenza in funzione del proprio rafforzamento. La contraddizione Usa/Cina. La crisi di direzione dell'imperialismo Complessivamente la contraddizione tra USA e Cina si conferma come uno degli assi della politica mondiale. -3- 3° Congresso del PCL DOCUMENTO 1 – POLITICO - ed EMENDAMENTI L'imperialismo USA resta la principale potenza mondiale, ma aggrava la propria crisi di ruolo politico internazionale. La vecchia linea Bush di sfondamento “imperiale” ed espansionismo militare è clamorosamente fallita, a partire dal disastro dell'Irak e dell'Afghanistan. La “svolta” dell’amministrazione Obama verso una politica di concertazione internazionale sotto egemonia americana si è anch'essa risolta in un sostanziale fallimento. A partire, clamorosamente, dalla zona strategica del Medio Oriente. La Cina ha rafforzato la propria posizione, sullo sfondo della crisi americana ed europea. Ma è lontana dal disporre delle leve centrali di una possibile egemonia alternativa globale. E vede acuirsi tutte le contraddizioni del suo impetuoso sviluppo. Sul terreno economico (crisi delle esportazioni connessa alla recessione europea, bolla immobiliare legata alla sua massiccia urbanizzazione, crisi del sistema bancario, livello insostenibile degli investimenti sul pil, intorno al 50% ). Sul terreno sociale (con l'ascesa del livello di mobilitazione sociale e di crescita dei conflitti di classe). Sul terreno politico: dove lo scontro fra le cordate di regime si intreccia con la crisi sociale e fatica a risolversi in un nuovo stabile equilibrio. La crisi dell'egemonia USA e l'assenza di un egemonia alternativa segnano nella loro combinazione la crisi di direzione politica internazionale dell'imperialismo, con lo sviluppo incontrollato di nuovi protagonismi, in diversi scacchieri e a diversi livelli (nuovo corso nazionalista del Giappone, nuovo attivismo dell'imperialismo russo, ambizioni turche e ruolo crescente delle petromonarchie in Medio Oriente..). Che a loro volta aggravano la crisi di direzione imperialista. I diversi tentativi di ricomporre un equilibrio mondiale, dopo il crollo dell'URSS, hanno mancato il proprio obiettivo. Sullo sfondo della più grande crisi capitalista degli ultimi 80 anni, l'imperialismo attraversa la più grande crisi di direzione politica del dopoguerra. LA LOTTA DI CLASSE INTERNAZIONALE Negli anni della crisi, la lotta di classe nel mondo ha registrato una dinamica molto differenziata, tra aree continentali e nelle stesse aree continentali. Si conferma una indicazione del marxismo rivoluzionario e della sua tradizione teorica: non esiste una relazione meccanica tra crisi capitalista e radicalizzazione di massa. La crisi può favorire la radicalizzazione come una dinamica di arretramento e disgregazione. Così, una ripresa capitalistica può, a certe condizioni, sospingere l'ascesa della lotta di classe o favorirne il ripiegamento. Tutto dipende dalla relazione dialettica che si viene a determinare tra l'evoluzione economica, il contesto politico, la precedente dinamica della lotta di classe. Questo rapporto complesso tra crisi capitalista e movimento operaio, trova oggi un suo riscontro sia nelle aree direttamente investite dalla crisi, sia nei poli di sviluppo. Dentro una dinamica segnata dal tratto ricorrente delle “brusche svolte”. La dinamica differenziata della lotta di classe Nelle aree investite direttamente dalla grande crisi capitalista, il livello di risposta e mobilitazione presenta un quadro molto diversificato da Paese a Paese. Complessivamente è possibile delineare due diverse tendenze. -4- 3° Congresso del PCL DOCUMENTO 1 – POLITICO - ed EMENDAMENTI Da un lato una crisi profonda del movimento operaio nell'area dei paesi imperialisti (USA, UE, Giappone): dove la crisi capitalista ha fatto irruzione dentro un processo prolungato di arretramento e di scomposizione del proletariato, favorendo dinamiche di ripiegamento. Dall'altro lato, importanti processi di ascesa e radicalizzazione del movimento operaio e dei movimenti di massa in paesi capitalistici a medio sviluppo (Grecia, Portogallo); o in paesi arretrati a capitalismo restaurato, segnati da processi di industrializzazione legati alle delocalizzazioni imperialiste (Romania, Bulgaria). Anche all'interno dei cosiddetti “poli di sviluppo”, si registrano processi differenziati. Da un lato fenomeni di brusca svolta sociale, sospinta dalla crisi delle classi dirigenti e dall'esaurimento tendenziale del ciclo economico di ascesa, ma in cui la classe operaia è ancora marginale o sostanzialmente passiva nel grosso delle sue forze (Turchia, Brasile). Dall'altro lato fenomeni di ascesa della lotta di classe, e della stessa classe operaia industriale: sia come effetto indiretto dello sviluppo prolungato e del conseguente rafforzamento strutturale del proletariato; sia come effetto congiunto dei primi sintomi di crisi, che impattando sull'ascesa di massa, favoriscono fenomeni di sua ulteriore radicalizzazione. E’ il caso - in forme e intensità diverse - dell'Asia: in paesi capitalistici altamente sviluppati come Cina e India, e in realtà arretrate come Bangladesh e Thailandia. E’ il caso anche, in un altro contesto, di paesi dell'America Latina tra loro molto diversi: come l'Argentina, che a conclusione di un ciclo di sviluppo seguito al crack del 2001, e sullo sfondo della crisi del peronismo Kichnerista, conosce uno espansione significativa del movimento operaio industriale. O della Bolivia: dove lo sviluppo di un movimento di classe indipendente dal nazionalismo piccolo borghese dominante e in contrapposizione ad esso assume una valenza politica di estrema importanza. Infine, in un contesto ancora differente, si registrano fenomeni di sviluppo e di ascesa del movimento operaio in aree diverse dell'Africa. Sia in Nord Africa, in un rapporto di intreccio con la rivoluzione araba. Sia in Sudafrica, a partire dalle miniere e sullo sfondo di una strisciante crisi politica del “regime” ANC. Sia in aree centrali del continente (Nigeria, Congo..), segnate da uno sviluppo economico distorto trascinato dal prezzo crescente delle materie prime (legato a sua volta allo sviluppo capitalistico cinese), ma anche caratterizzate perciò stesso dalla crescita del proletariato e delle sue rivendicazioni. L'arretratezza della coscienza di classe Dentro questo quadro mondiale differenziato, emerge un dato prevalente: l'arretratezza del livello di coscienza e organizzazione del movimento operaio internazionale, a fronte della profondità della crisi capitalista e della crisi di egemonia politica della borghesia mondiale. E’ un dato che segna il proletariato dei paesi imperialisti. Ma anche le stesse dinamiche di ascesa di classe di altre aree e paesi neosviluppati: dove una giovane classe operaia, di recentissima formazione, è spesso priva di riferimenti politici e sindacali elementari. Complessivamente, di fronte alla più grande crisi capitalista internazionale degli ultimi 80 anni, il livello di coscienza e organizzazione del movimento operaio è infinitamente più arretrato di quello con cui affrontò la grande crisi degli anni 20/30. -5- 3° Congresso del PCL DOCUMENTO 1 – POLITICO - ed EMENDAMENTI Lo scarto tra la profondità della crisi capitalista e l'arretratezza del movimento operaio alimenta fenomeni diversi : 1. Una crisi diffusa di egemonia proletaria sulle più ampie masse oppresse e sfruttate (disoccupate, precarizzate, immigrate o marginalizzate): a partire dalle grandi realtà metropolitane dei paesi imperialisti e non. 2. Uno sviluppo di populismi reazionari di massa, in particolare in Europa, che capitalizzano la crisi dell'egemonia proletaria sugli strati inferiori delle classi medie, colpite dalla crisi, per indirizzarli contro il proletariato. E che spesso penetrano nell'immaginario e coscienza di settori di massa del proletariato stesso. 3. Lo sviluppo, all'opposto, di movimenti progressisti (“democratici” e interclassisti), che da un lato segnano positivamente la crisi delle classi dominanti e dei loro regimi, ma dall'altro, in forme diverse, misurano la crisi del proletariato e della sua egemonia (movimento di massa in Iran nel 2009, movimento anti Erdogan in Turchia, movimento di massa in Brasile). Complessivamente, la combinazione storica della crisi del capitalismo e della crisi del movimento operaio, apre una fase internazionale di destabilizzazione dei vecchi equilibri e delle forme politiche dominanti. L'instabilità politica e sociale, il succedersi di rapidi capovolgimenti di fronte, tende a segnare l'intero scenario mondiale. LE RIVOLUZIONI NEI PAESI ARABI Le rivoluzioni nei paesi arabi hanno rappresentato e rappresentano un'espressione concentrata e particolare di tanti fattori dello scenario mondiale: crisi di direzione dell'imperialismo USA; dinamica delle brusche svolte; polarizzazione rivoluzione/reazione; peso dell'elemento “democratico” nelle mobilitazioni; crisi del movimento operaio. L'ascesa della rivoluzione nei paesi arabi non è stata l'effetto diretto della crisi capitalista. Certo, questa ha influito sui prezzi alimentari e sugli equilibri sociali, a partire dalla Tunisia e dall'Egitto, concorrendo all'esplosione. Ma il tratto determinante dell'innesco rivoluzionario e della sua propagazione è stato politico: la rivolta democratica contro regimi oppressivi, logori e screditati, da parte di masse popolari prevalentemente cittadine e giovanili, assieme al comune fondamento nazionale arabo. Non a caso, il peso specifico del fondamentalismo fu marginale o assente nella prima fase della rivoluzione, in tutti i principali paesi coinvolti (Tunisia, Egitto, Libia, Siria). L'assenza di uno spazio di stabilizzazione “democratica” Ma il corso della rivoluzione, nei tre anni trascorsi, conferma l'assenza di uno spazio reale di stabilizzazione democratico borghese in terra araba e nell'intero Medio Oriente. La pressione della crisi capitalistica; la precipitazione della crisi economico sociale dei paesi coinvolti; la fragilità delle leadership borghesi, liberali o democratiche, dopo decenni di regimi bonapartisti o totalitari; la stessa dinamica travolgente della mobilitazione di grandi masse che hanno sperimentato sul campo una propria forza inaspettata e vogliono agire come fattore attivo degli avvenimenti: sono tutti elementi che, combinati insieme, erodono gli spazi oggettivi di un possibile “equilibrio democratico”. Si conferma, nel vivo degli avvenimenti, la teoria marxista della rivoluzione permanente: o la classe lavoratrice si pone alla testa della mobilitazione popolare, conquista il potere politico e porta a compimento, sul terreno della rivoluzione socialista, -6- 3° Congresso del PCL DOCUMENTO 1 – POLITICO - ed EMENDAMENTI i compiti fondamentali della rivoluzione democratica (inclusa la rottura con l'imperialismo); o tendono ad affermarsi sbocchi reazionari, siano essi fondamentalisti o militari. E’ la lezione della Tunisia, dell'Egitto, e in forme diverse, il rischio dell'irrisolta dinamica siriana. Ipotesi intermedie, come l'affermazione di regimi bonapartisti piccolo borghesi di tipo nasseriano o bathista, capaci di misure sociali progressive e di una relativa autonomia dall'imperialismo, furono possibili sullo sfondo del boom post bellico e della presenza internazionale dell'URSS. Appaiono assai improbabili nell'attuale contesto arabo e mondiale. Rivoluzione e controrivoluzione Peraltro, sia la rivoluzione che la controrivoluzione si confrontano con le proprie debolezze. Per un verso, il crollo del governo dei Fratelli musulmani in Egitto, l’indebolimento di Ennhada in Tunisia, le difficoltà del nuovo regime militare bonapartista in Egitto, rivelano la problematicità di ogni stabilizzazione reazionaria. Sia per il peso della mobilitazione popolare, sia per la crisi economica, interna e internazionale, che abbatte gli spazi di manovra dei governi reazionari. Al polo opposto, si rivela la difficoltà speculare del movimento operaio arabo. La classe lavoratrice ha svolto un ruolo importante e decisivo nella dinamica delle principali rivoluzioni dei paesi arabi. In Tunisia il sindacato è stato il principale riferimento della sollevazione contro Ben Alì ed oggi della mobilitazione democratica anti Ennhada. In Egitto gli scioperi operai hanno avuto un ruolo decisivo nella caduta finale del regime di Mubarak, hanno rappresentato un fattore importante dell'opposizione di massa al governo militare di Tentawi e a quello successivo dei Fratelli. E’ la conferma delle grandi potenzialità del proletariato arabo. Ma, nel suo insieme, il movimento operaio e le sue rivendicazioni sociali non hanno conquistato la direzione della rivoluzione. Anche nelle sue espressioni più alte (Tunisia ed Egitto), il livello di coscienza e di autorganizzazione è stato inferiore a quello del movimento operaio arabo e mediorientale in altri contesti storici (ad es. l’Iran del 79 con lo sviluppo consiliare delle Schoras). A loro volta, i limiti del movimento operaio e la sua subordinazione al fronte democratico - in assenza di una direzione rivoluzionaria alternativa - hanno pesato enormemente sulla dinamica della rivoluzione, indebolendo le stesse rivendicazioni democratiche e spianando la strada alle derive reazionarie (Egitto). Equilibrio instabile e crisi dell'imperialismo Complessivamente, le rispettive debolezze della rivoluzione e della controrivoluzione concorrono ad un equilibrio instabile, esposto a ripetute rotture e capovolgimenti di scenario. Nel quale le potenze imperialiste, spiazzate dalla caduta dei vecchi regimi amici, hanno cercato e cercano ogni volta un proprio reinserimento, per via economica o militare: ma sempre a rimorchio degli avvenimenti e senza riuscire a stabilizzare la situazione (caos egiziano con continui cambi di cavallo dell'imperialismo Usa, incognite della guerra civile siriana e contraddizioni interimperialiste, vacanza di potere in Libia dopo la “vittoria” militare..). A vantaggio delle petromonarchie del Golfo e della Russia di Putin, che allargano il proprio autonomo gioco di relazioni e influenze, a partire dalla Siria e dallo stesso Egitto. -7- 3° Congresso del PCL DOCUMENTO 1 – POLITICO - ed EMENDAMENTI LA CRISI EUROPEA L'Unione Europea è l'epicentro della crisi capitalistica e della crisi di egemonia politica borghese. L'Europa è innanzitutto l'unica area continentale ad aver vissuto una dinamica ravvicinata di doppia recessione (2008/9, e 2011/13). Non si può escludere una parziale ripresa nel 2014. Ma la debolezza dell'Unione Europea, ben al di là della congiuntura economica, è legata a un intreccio di fattori strutturali, che ha amplificato le ricadute interne della crisi capitalistica: a) La contraddizione tra moneta comune e assenza di uno Stato Federale, che priva la BCE di una copertura istituzionale di ultima istanza, a differenza delle altre banche centrali imperialiste. b) Il divario strutturale crescente nell'area euro tra la Germania (e il blocco a lei più strettamente legato) e larga parte delle economie della periferia (in particolare sud europea e mediterranea, ma non solo): un divario progressivamente approfondito dalla stessa dinamica della crisi capitalista e dalle politiche d’austerità. c) La fragilità del sistema bancario: grande acquirente dei titoli pubblici, e proprio per questo esposto all'indebitamento pubblico degli Stati e a cicliche crisi patrimoniali. d) Il progressivo indebolimento dell'Unione nell'arena mondiale: dove l'Europa non solo non si avvantaggia della crisi americana, ma viene penalizzata dalla crescente polarizzazione tra USA e Cina. L'impasse dei processi di “unificazione” e “disgregazione” della UE L'insieme di questi fattori mette a rischio, da tempo, la stessa tenuta dell'Unione. Senza peraltro delineare uno sbocco risolutivo: né in direzione dell'integrazione imperialista; né in direzione di un arretramento verso un'area di libero scambio (con relativa fine dell'Euro). Entrambe le direzioni di marcia sono bloccate da enormi difficoltà. La marcia di una più avanzata unificazione politica è ostacolata dalla natura imperialista degli Stati fondamentali dell'Unione e dalle loro contraddizioni, esaltate dalla stessa crisi. L'imperialismo tedesco proietta sempre più i propri interessi sul versante asiatico, con una relativa riduzione della propria proiezione in Europa: anche da qui la resistenza della finanza tedesca ad ogni ipotesi di reale socializzazione del debito pubblico europeo (Eurobond). L'imperialismo francese è indisponibile a rinunciare al proprio “sovranismo”, a vantaggio dei propri interessi indipendenti e del proprio spazio di manovra e di influenza (in particolare in Africa). In questo quadro gli stessi progetti di Unione Bancaria, a copertura delle banche private e delle finanze pubbliche, si riducono a soluzioni minimali. La disgregazione dell'Euro è contrastata da fattori ugualmente potenti. La sua dissoluzione trascinerebbe con sé la fine del Mercato Comune europeo: con l'inevitabile sviluppo di una nuova ondata protezionista nel cuore stesso dell'Europa e una nuova spinta alla recessione internazionale. Per questo tutte le potenze “concorrenti” non solo non tifano oggi per il crollo dell'Unione, ma accorrono a sostegno della sua tenuta. E’ il caso in primo luogo degli Usa. E’ il caso della stessa Cina: che non vuole mettere a rischio la propria esposizione commerciale e finanziaria in Europa. Siamo di fronte alla stabilizzazione relativa della crisi dell'Unione. Questo equilibrio potrà esser sbloccato, in una delle due direzioni, sulla base di significative spinte esterne, di -8- 3° Congresso del PCL DOCUMENTO 1 – POLITICO - ed EMENDAMENTI carattere economico (nuovi crolli finanziari o pressioni protezioniste) o politiche (guerre significative). La crisi politica delle borghesie europee Sulla crisi del capitalismo europeo si innesta la crisi politica delle borghesie europee. La borghesia europea scatena la più grande offensiva sociale del dopoguerra contro il proletariato, nel momento stesso di una sua grave crisi di consenso.Questa crisi di consenso delle politiche di austerità ha generato e genera riflessi politici diffusi, tra loro combinati. 1) Una rapida consunzione dei tradizionali governi borghesi, che al di là della propria sopravvivenza esauriscono in tempi brevi il proprio ciclo espansivo (da Cameron, a Rajoi, a Hollande..). 2) Una crisi ripetuta degli stessi regimi d'alternanza, a partire dalla disarticolazione degli schieramenti che ne rappresentavano il tradizionale supporto (governi “d'emergenza” di unità nazionale in Grecia e Italia, crisi del bipolarismo in Portogallo, crisi tendenziale del bipartitismo in Spagna, netto indebolimento del meccanismo bipolare in Francia..). 3) Una crescente polarizzazione politica, sui due versanti opposti. Da un lato a sinistra delle socialdemocrazie tradizionali: o come sottoprodotto di ascese sociali (Izquierda unida in Spagna, PC e Bloqueo in Portogallo..); o come effetto della crisi di consenso della socialdemocrazia di governo (Fronte de Gauche in Francia..); o come risultante di entrambi i fattori (Syriza in Grecia). Dall'altro lato in direzione reazionaria. Con la dovuta distinzione tra un settore apertamente fascista o fascistoide (Alba Dorata in Grecia, Jobbik in Ungheria, FN in Francia, …) e una più vasta area di populismo reazionario, che tende a rafforzarsi negli stessi paesi imperialisti e ad esercitare maggiore incidenza sugli equilibri politici/istituzionali. Complessivamente, in forme e intensità diverse, si manifesta una crisi politica della governabilità borghese nel vecchio continente. La lotta di classe in europa e i suoi livelli differenziati Alla crisi della governabilità borghese fa riscontro una dinamica complessa delle mobilitazioni sociali e di classe. Negli anni della prima recessione (2008/2009) il dato prevalente è stata la difficoltà del movimento operaio. A partire dal 2010 si sono manifestate tendenze di ripresa delle mobilitazioni contro l'austerità. Ma dentro un ventaglio di livelli molto ampio. In Romania e Bulgaria - nel disinteresse della sinistra europea - abbiamo assistito nel 2013 a vere crisi rivoluzionarie: la classe operaia e vaste masse popolari si sono sollevate contro le politiche di austerità con atti concentrati e radicali (marcia sui palazzi del potere in Romania contro il piano sanitario del governo, ribellione di massa in Bulgaria contro l'aumento delle tariffe elettriche..), sino al rovesciamento dei rispettivi governi. In Grecia abbiamo assistito ed assistiamo ad una crisi pre rivoluzionaria prolungata: che combina un alto livello di mobilitazione di massa, sia pure non rettilinea, una grave crisi politico/istituzionale della borghesia, una drammatica crisi sociale. La polarizzazione alle -9- 3° Congresso del PCL DOCUMENTO 1 – POLITICO - ed EMENDAMENTI estreme dei flussi elettorali (Syriza a sinistra, Alba Dorata a destra) è la registrazione distorta della crisi prerivoluzionaria. Che è tuttora aperta. In Spagna e Portogallo si è sviluppata dal 2011 un'ascesa di massa con riflessi politici sull'indebolimento dei rispettivi governi: senza ancora una precipitazione diretta della crisi politico/istituzionale, ma con la possibilità che questa maturi anche in tempi ravvicinati. In Francia e Gran Bretagna, la mobilitazione di massa ha conosciuto una dinamica a sinusoide, ma con tendenza negativa. In Francia il prolungato movimento di lotta sulle pensioni nel 2010 (seppure con un'ampiezza limitata), è rifluito dopo una sostanziale sconfitta. Ed oggi l'ampio disincanto verso il governo Hollande non si accompagna alla radicalizzazione. In Gran Bretagna abbiamo assistito nel 2010 ad un ampio e combattivo movimento di lotta del Pubblico impiego contro il governo Cameron. Ma il movimento è rifluito, pur a fronte di un aggravamento dell'offensiva governativa e alla crescente impopolarità del governo. In Italia, come vedremo, la parabola è stata negativa. In Germania assistiamo ad una dinamica ancora diversa,. La recessione del 2008/2009 non ha registrato significative lotte sociali. Oggi, dentro la ripresa economica e nel momento stesso del suo rallentamento, si sviluppa - unico caso in Europa - un ciclo importante di lotte salariali, nel settore pubblico e privato: il proletariato tedesco chiede a modo suo di partecipare allo “sviluppo” tedesco, in reazione alla stretta sociale subita dal 2001. Da questo quadro differenziato, emerge un dato prevalente: la difficoltà del movimento operaio europeo nei principali paesi imperialisti, ed in particolare della classe operaia industriale. A sette anni dall'inizio della grande crisi -- con l'unica eccezione della Spagna - il livello di mobilitazione del proletariato europeo nei paesi imperialisti è diminuito rispetto al decennio pre crisi (in Francia nel 95 contro Juppè e nel 2004 contro Villepin, in Italia nel 2001/2003 contro Berlusconi..). Lo stesso sviluppo del populismo reazionario nei paesi imperialisti ha un rapporto con la crisi del movimento operaio. Rivoluzione o reazione in Europa E tuttavia nulla sarebbe più sbagliato che immaginare una stabilizzazione della situazione europea, che al contrario resta altamente instabile. Non solo nei paesi periferici, ma negli stessi paesi centrali. A fronte della nuova recessione, la borghesia europea dispone di risorse più limitate che nel 2008. Gli equilibri politici sono ovunque più fragili. La crisi di egemonia, dopo sette anni di crisi, si è fatta più acuta. La gestione del fiscal compact, a partire dal 2015, sarà una prova molto impegnativa. Questo scenario non determina meccanicamente, come abbiamo visto, processi di radicalizzazione di classe. Ma certo moltiplicherà le occasioni di possibili brusche svolte della mobilitazione di massa. Non solo nell'ipotesi della continuità della recessione, ma anche in quella di una possibile ripresa. La borghesia europea “non può più governare come prima”. Questo è il lato rivoluzionario oggettivo della crisi europea. Dentro una polarizzazione sociale e politica destinata, in forme diverse, ad approfondirsi. - 10 - 3° Congresso del PCL DOCUMENTO 1 – POLITICO - ed EMENDAMENTI II PARTE LA CRISI ITALIANA La situazione italiana riassume in forma particolare molti aspetti dello scenario europeo. E concorre come mai in passato alla crisi della U.E. La crisi della borghesia italiana e quella parallela del movimento operaio, definiscono, nel loro bilanciamento, la cornice della situazione nazionale. LA CRISI DEL CAPITALISMO ITALIANO: DEPRESSIONE E DEBITO PUBBLICO La crisi della borghesia italiana ha radici profonde. In primo luogo siamo di fronte a una crisi strutturale che va al di là degli effetti congiunturali della recessione.La recessione del 2008/2009, e quella del 2011/2013 si sono sovrapposte alla stagnazione del precedente decennio. Per questo la doppia recessione italiana ha assunto i caratteri di vera e propria depressione industriale: calo del 9% di Pil rispetto al 2007 (a fronte del -5,6% della Spagna e del+ 4,3% della Germania); calo del 25% della produzione industriale (a fronte del – 16% della Francia, secondo dato peggiore tra i paesi imperialisti); crollo senza precedenti degli investimenti (- 17% a fronte di una media euro del -10% e di un + 5,5% del capitalismo tedesco); crisi di tutti i settori della grande impresa, (automobilistica, cantieristica, siderurgica..), in un quadro di concentrazione industriale già molto minore della media dei concorrenti imperialisti. In secondo luogo la depressione industriale si accompagna ad una crisi straordinaria del debito pubblico, che non ha punti di paragone tra i paesi imperialisti (con l'eccezione del Giappone). Il debito pubblico, detenuto in maggioranza dalle banche italiane quale riflesso della natura imperialista dell'Italia, si riversa perciò stesso sulle banche. La cui situazione è critica: deprezzamento dei titoli pubblici, crescita massiccia della inesigibilità dei crediti, crisi immobiliare (con relativo deprezzamento del patrimonio immobiliare delle banche). La stretta del credito all'industria si rivela non solo più consistente che in altri paesi, ma anche dagli effetti più pesanti sui processi di capitalizzazione a causa delle caratteristiche italiane delle imprese e del mercato finanziario (prevalenza prestiti bancari). Infine la ricapitalizzazione statale delle banche è più complicata che altrove, proprio per il massiccio debito pubblico. Mentre l'ombrello protettivo della BCE strappato da Monti nel giugno 2011 (impegno alla possibile ricapitalizzazione straordinaria delle banche italiane e all'acquisto straordinario di titoli pubblici) è ancora in attesa di quella Unione Bancaria europea che sta segnando il passo. Disarticolazione del blocco dominante e attacco frontale al mondo del lavoro Questo livello di crisi produce due effetti combinati. Da un lato ha favorito un processo di disarticolazione del blocco dominante, sui terreni della gestione del conflitto, della rappresentanza, degli equilibri di potere (uscita della Fiat da Confindustria nel segno di un'autonoma gestione delle relazioni industriali, scontro tra aziende manifatturiere ed energetiche, conflitti sulle fondazioni bancarie , scioglimento dei patti di sindacato”..). Dall'altro lato ha sospinto un attacco senza precedenti contro Welfare e lavoro, quale terreno di ricomposizione generale del blocco dominante (pensioni, sanità, istruzione, servizi e prestazioni sociali; art.18 e ridimensionamento diritti sindacali; massiccia espulsione di forza lavoro dalle aziende e introduzione della licenziabilità dei dipendenti - 11 - 3° Congresso del PCL DOCUMENTO 1 – POLITICO - ed EMENDAMENTI pubblici; ulteriore precarizzazione, smantellamento del contratto nazionale di lavoro..). Mentre il divario tradizionale Nord Sud conosce un nuovo ampliamento in fatto di reddito medio, livello di occupazione, diffusione della povertà, sotto la cappa dell'intreccio strutturale tra borghesia del Nord e del Meridione, tra capitalismo “legale” e criminale. Il capitalismo italiano, più ancora di altri paesi imperialisti, non dispone di reali margini “riformisti”. Il sommarsi di una straordinaria depressione produttiva e di una straordinaria crisi del debito pubblico, lo spingono strutturalmente sulla via dell'aggressione a Welfare e lavoro. Tanto più dentro la crisi europea e i nuovi termini della competizione internazionale. In questo quadro, i vincoli pesantissimi del fiscal compact, a partire dal 2015, trascineranno un’ulteriore stretta sociale. LA CRISI POLITICA E ISTITUZIONALE DELLA SECONDA REPUBBLICA In parallelo alla crisi economico sociale, l'Italia conosce una crisi politico istituzionale senza precedenti negli ultimi 20 anni. E’ la crisi della “seconda Repubblica”: dell'assetto scaturito dalla dissoluzione, nel 91/93, delle forme politiche del dopoguerra. La crisi della Seconda Repubblica è per molti aspetti più grave di quella della Prima. Non solo perché ha come sfondo una crisi capitalista e sociale assai più profonda. Ma anche perché manca ad oggi di un asse di svolgimento e di una prospettiva definita di sbocco. All'inizio degli anni '90, la borghesia italiana guidata dalla grande impresa investiva in un progetto strategico: l'ingresso organico del capitalismo italiano nell'Europa di Maastricht, nella prospettiva dell'euro; la concertazione come calmiere sociale e garanzia dei sacrifici; il centrosinistra come miglior formula politica di rappresentanza degli interessi generali del grande capitale. Questo progetto marciò, com'è inevitabile, tra mille intoppi e contraddizioni. Ma era un progetto segnato da un asse. Che orientò lo stesso sviluppo della riforma elettorale dell'assetto bipolare di alternanza. Oggi, un grande capitale disarticolato dalla crisi non ha un'opzione politica organica. Mentre da 2 anni la crisi del bipolarismo precipita al buio, senza ancora liberare una linea di tendenza e ricomposizione che possa indicare un approdo per le stesse classi dirigenti. Nei fatti l'Italia è oggi l'unico paese imperialista a non disporre, dentro la crisi capitalista, di un quadro certo di governabilità politico/istituzionale. La crisi del vecchio bipolarismo Le forme di alternanza che hanno incardinato 20 anni di politiche borghesi hanno subito una destabilizzazione. La crisi e le politiche di austerità hanno minato sensibilmente il consenso dei partiti di centrodestra e centrosinistra, approfondendo le contraddizioni dei loro blocchi sociali e concorrendo alla fluidità dei flussi elettorali. Dalle elezioni del 2008 a quelle del 2013, 10 milioni di voti hanno abbandonato PDL e PD: dopo sette anni di crisi capitalista, nessuno dei due poli dispone della forza elettorale e politica per gestire in proprio - l'uno “contro” l'altro - le politiche sociali dominanti. Mentre lo sviluppo straordinario di un terzo polo populista capitalizza ed aggrava la crisi dei vecchi equilibri. Da qui i governi di unità nazionale. Parallelamente i vecchi schieramenti di centrodestra e centrosinistra hanno conosciuto un processo di sfaldamento politico. Mentre gli stessi partiti cardine su cui si imperniano vedono precipitare la propria crisi, ben al di là delle mutevoli fortune elettorali. I principali partiti borghesi sono cantieri di lavori in corso senza direzione dei lavori. - 12 - 3° Congresso del PCL DOCUMENTO 1 – POLITICO - ed EMENDAMENTI Il PDL non si è mai emancipato dal controllo padronale di Berlusconi, e dalla sua capacità di richiamo elettoral populista. Ed oggi si trova massimamente dipendente da Berlusconi proprio nel momento della precipitazione della vicenda giudiziaria del Cavaliere. Tutti i nodi irrisolti del PDL finiscono così col presentarsi insieme,: continuità del primato del partito azienda, o partito strutturato e contendibile; soggetto “antieuropeo” o sezione italiana del PPE; partito segnato da un marchio populista oppure legato all'interesse generale di sistema. Il bivio è reso più stringente dalla vicenda Berlusconi, ma anche dalla profondità della crisi capitalistica. Generando fisiologicamente spinte divaricanti nel partito. Berlusconi è stato ed è il collante unitario delle contraddizioni interne. Ma proprio per questo un suo declino può precipitare una dinamica esplosiva del suo mondo, con effetti a cascata sull'intero scenario politico. Il PD vede acuirsi tutte le contraddizioni dell'”amalgama mal riuscito” (D'Alema). Nato come partito borghese di sistema, dopo un lungo processo di transizione, il PD è stato organicamente fedele agli interessi del capitale e alle sue richieste politiche (rinuncia alle elezioni anticipate nel novembre del 2011, sostegno a Monti e alle politiche lacrime e sangue contro i lavoratori; approdo travagliato al governo Letta di unità nazionale, dopo il fallimento elettorale e politico del centrosinistra). Ma queste politiche hanno accompagnato la crisi del partito, su tutti i lati della sua fragile costruzione: crisi di rapporto con ampie fasce dell'elettorato operaio e popolare; crisi dell’equilibrio tra vecchie cordate e processi di loro dissoluzione; crisi ripetuta di rapporto tra gruppi dirigenti e gruppi parlamentari; contrasto con potenti aree mediatiche e d'opinione che sono parte da sempre della costituzione materiale del centrosinistra (quotidiano Repubblica” ). L'ascesa del Renzismo è al tempo stesso la registrazione della crisi del PD e un suo fattore di possibile approfondimento. Il renzismo è un fenomeno politico ibrido che tiene in sé elementi diversi (rampantismo generazionale, trasformismo disinvolto, populismo, rappresentanza di nuovi interessi borghesi emergenti..). Dentro la crisi del PD, e quale possibile candidato vincente alle future elezioni, Matteo Renzi si sta configurando come punto di attrazione e ricomposizione di settori crescenti del vecchio apparato. Ma anche come fattore destabilizzante sia degli equilibri di governo, sia degli equilibri interni al PD. L'uomo della possibile riscossa elettorale del PD diventa al tempo stesso un ulteriore fattore di crisi del PD. Il partito che sino al febbraio 2013 appariva l'unico punto di tenuta del bipolarismo e della seconda repubblica si è trasformato in un epicentro della sua crisi. Unità nazionale e nuovi equilibri istituzionali I governi di unità nazionale che segnano dal 2011 lo scenario italiano sono stati al tempo stesso effetto e concausa della crisi politica e istituzionale. Registrando un sostanziale fallimento della propria missione. Il governo Monti, sospinto dal combinarsi della crisi finanziaria e della crisi del berlusconismo, ha realizzato le misure di sfondamento sociale per cui era nato (su pensioni e lavoro) in accordo con l'Unione Europea: ma ha fallito l'obiettivo di ripristinare il “normale” bipolarismo. Concorrendo anzi a destabilizzarlo (sconfitta elettorale del centro sinistra, fallimento di una ricomposizione di governo tra Bersani e Monti, recupero populista di Berlusconi “contro” le politiche fiscali di Monti, sfondamento del populismo grillino). Il successivo governo Letta, sospinto dalla precipitazione della crisi politico istituzionale connessa alla elezione della Presidenza della Repubblica era nato con un progetto - 13 - 3° Congresso del PCL DOCUMENTO 1 – POLITICO - ed EMENDAMENTI ambizioso: la stabilizzazione politica, sociale, istituzionale. Ma la crisi politica irrisolta ed anzi aggravata di tutti i partiti della sua maggioranza si è rapidamente riversata sul governo. Mentre la profondità della crisi capitalista, dentro i vincoli delle politiche di bilancio, ha esaltato tutte le contraddizioni del suo composito blocco sociale di riferimento in ordine alle politiche fiscali e di spesa. In queste condizioni, il governo Letta Alfano, nato con ambizioni superiori a quelle del governo Monti, si rivela in realtà nettamente più debole dell'esecutivo precedente. Mentre la condanna giudiziaria di Berlusconi, per i suoi effetti diretti e indiretti, pone serie ipoteche sulla sua prospettiva e durata. In ottobre il tentativo di Berlusconi di far cadere il governo e ottenere elezioni anticipate è fallito per l'opposizione compatta della borghesia e dell'ala ministeriale del PDL. Ma il governo, pur rafforzato nell'immediato dall'indebolimento di Berlusconi, resta esposto alle contraddizioni irrisolte del PDL e all'avanzata del renzismo nel PD, in un contesto generale di precarietà che ripropone in prospettiva la possibilità di nuove precipitazioni di crisi. Questo quadro di estrema precarietà ha trascinato con sé una modifica strisciante degli equilibri istituzionali. Napolitano ha di fatto allargato, nella costituzione materiale della democrazia borghese, i poteri reali della Presidenza della Repubblica. Nella definizione diretta delle soluzioni di governo. Nel condizionamento della loro agenda. Nel rapporto di forza con altri poteri della Stato (Parlamento). I governi Monti e Letta, per la loro genesi e il loro mandato, hanno in parte rappresentato dei governi “presidenziali”. Retti in primo luogo sul sostegno e protezione della Presidenza. In un sistema politico fuori controllo, dentro una drammatica crisi sociale, la Presidenza della Repubblica è apparsa agli occhi della grande borghesia e della sua stampa come l'unico possibile ancoraggio. Anche da qui lo sdoganamento di una possibile riforma gaullista, quale soluzione della crisi italiana. In un quadro in cui tuttavia il ginepraio delle contraddizioni è tale da ostacolare pesantemente quella stessa riforma istituzionale che vorrebbe sbloccare l'impasse. Il populismo reazionario grillino Lo sviluppo del terzo polo populista (M5S) è il principale beneficiario della crisi congiunta dei partiti borghesi (e del movimento operaio). Si tratta, elettoralmente, del più grande movimento populista che si sia affacciato nel dopoguerra. Il Grillismo ha raccolto un blocco sociale interclassista. Con una presenza centrale di settori giovanili di precariato intellettuale metropolitano. Ma con un irradiamento progressivo sia nel lavoro salariato, anche industriale, sia tra i disoccupati (dove il M5S è il primo partito), sia nel piccolo e medio padronato (in particolare nel Nord Est). La crisi dei blocchi sociali dei principali partiti si è travasata, da versanti opposti, nell'espansione del movimento, al di là dell'iniziale confine nordista e metropolitano. Le contraddizioni che compongono la sua base elettorale, il suo corpo attivo, la sua rappresentanza istituzionale, non debbono far velo alla reale natura del M5S. Singole bandiere e motivazioni “progressiste” (opposizione alle missioni militari, difesa dei beni comuni, ambientalismo..) sono incorporate in un progetto complessivamente reazionario; socialmente (attacco a dipendenti pubblici e pensioni per tagliare l'IRAP al padronato; chiusura delle “fabbriche improduttive”; “salario di cittadinanza” come indennizzo a lavoratori pubblici e privati di cui si chiede di fatto il licenziamento; abolizione del valore legale del titolo di studio..); e politicamente reazionario (attacco ai migranti; abolizione del sindacato; abolizione dei partiti, regime plebiscitario fondato sull'onnipotenza della - 14 - 3° Congresso del PCL DOCUMENTO 1 – POLITICO - ed EMENDAMENTI Rete..): il regime dispotico nel M5S è la prefigurazione del regime reazionario che Casaleggio e Grillo vorrebbero imporre quale sbocco della crisi della seconda Repubblica. A differenza di altri soggetti reazionari sulla scena italiana (v. Lega Nord), il M5S non è disponibile a logiche di coalizione: il suo obiettivo strategico è la conquista del potere e la sua concentrazione esclusiva nelle proprie mani. La ricerca dello sfondamento populista è in funzione di questo obiettivo centrale. Al quale viene piegata ogni mutevole scelta tattica: inclusa la campagna per Rodotà presidente o a “difesa della Costituzione”. Per questo il grillismo agisce come potente concausa della crisi del bipolarismo. LA CRISI DEL MOVIMENTO OPERAIO Il vero punto di forza della borghesia, è stata ed è la crisi del movimento operaio, che ha consentito alle classi dominanti di reggere l'impatto di una crisi politica fuori controllo. Il movimento operaio italiano nella crisi capitalista A differenza di altri paesi dell'Europa mediterranea, in Italia la crisi capitalistica e le politiche di austerità non hanno registrato una risposta significativa del movimento operaio e dei movimenti di massa. La dinamica di lotta ha al contrario conosciuto un arretramento. Tra il 2008 e il 2011, la presenza del governo Berlusconi trascinava una mobilitazione politica “democratica” di opposizione, sebbene con una minor forza che nel decennio precedente. Una mobilitazione che in parte compensava le difficoltà di risposta alla crisi (movimento dell'Onda). Mentre l'aggressione della FIAT alla FIOM, e l'opposizione della FIOM alla FIAT, definiva una linea simbolica riconoscibile di resistenza operaia, quale possibile punto di ricomposizione dell'opposizione sociale (manifestazione nazionale FIOM del 16 Ottobre 2010) Tra il 2011 e il 2013, la sconfitta della FIOM, a partire dalla FIAT, ha privato il movimento operaio di un possibile riferimento, accentuando fenomeni di demoralizzazione. Mentre la caduta del governo Berlusconi per mano dei mercati finanziari, ha rimosso il bersaglio centrale e simbolico della mobilitazione politica. Il movimento a difesa dell'art.18 ha rappresentato un occasione preziosa di controtendenza. Proprio per questo la sua sconfitta ha rafforzato la dinamica di ripiegamento. Questo arretramento ha ragioni molteplici. Per un verso ha un rapporto col contesto politico e sociale della crisi. La grande recessione del 2008/2009 ha fatto irruzione a ridosso dell'esperienza del governo Prodi (2006/2008), che registrò il punto più basso di scioperi rispetto a tutto il decennio precedente. Un governo che - col sostegno decisivo delle sinistre politiche e della CGIL - colpì e disperse quelle domande di “svolta” di cui si era nutrita la stagione di mobilitazioni dei primi anni 2000. Dentro questa parabola discendente, la recessione ha finito col rafforzare la dinamica di arretramento: perché ha colpito il mondo del lavoro proprio nel momento del ripiegamento sociale e della delusione politica. La responsabilità centrale della cgil Questa analisi riporta alla ragione decisiva dell'arretramento operaio: la responsabilità delle sue direzioni, politiche e sindacali. Ed in particolare della burocrazia CGIL: l'unica direzione di massa del movimento operaio. - 15 - 3° Congresso del PCL DOCUMENTO 1 – POLITICO - ed EMENDAMENTI Negli anni della crisi la principale preoccupazione della burocrazia CGIL è stata quella di riconquistare la collaborazione col padronato; e di favorire una ricomposizione di governo di centrosinistra, come sponda per la collaborazione sociale. Sotto il governo Berlusconi, che emarginava la CGIL attraverso gli accordi separati con CISL e UIL, la burocrazia sindacale ha fatto a suo modo un’“opposizione” controllata: per spingere il padronato alla ripresa della collaborazione, in una prospettiva di ricambio politico borghese (accordo del 28 giugno 2011 sulla deroga ai contratti). La nascita del governo Monti spiazzò le aspettative della CGIL. Non a caso la burocrazia sostenne sino all'ultimo momento, anche in contraddizione col PD, la necessità di elezioni anticipate. Ma il coinvolgimento del PD e la necessità di coprire a sinistra la segreteria Bersani, motivò il lasciapassare della CGIL (in particolare su pensioni e articolo 18), concedendo al nuovo governo ciò che lo stesso Berlusconi non avrebbe potuto realizzare. La pugnalata della CGIL al movimento di massa per la difesa dell'art.18 è stata decisiva per la sua sconfitta. La ragione politica della burocrazia restava la stessa: coprire il PD nell'anno di “transizione” in vista di un accordo di concertazione con un governo Bersani, che veniva considerato scontato. La clamorosa sconfitta elettorale di Bersani nel febbraio 2013 e l'approdo travagliato al governo Letta Alfano, hanno perciò rappresentato una nuova sconfitta della burocrazia CGIL. Tuttavia l'impossibilità di reggere in un limbo indefinito e la volontà di aprire alla nuova direzione confindustriale di Squinzi, ha sospinto il grande accordo di ricomposizione tra CGIL, CISL, UIL, e Confindustria attorno alla “esigibilità dei contratti”: che completa e consolida l'accordo del 28 giugno 2011 nella direzione voluta dal padronato. Cui si aggiunge una sorta di blocco dei produttori con Confindustria, a favore di una nuova operazione sul cuneo fiscale (a vantaggio dei padroni) e il lasciapassare a Letta sulle misure di ulteriore precarizzazione del lavoro. Questa politica della burocrazia CGIL, se ha mancato sinora l'incontro coll'atteso governo di centrosinistra, ha invece centrato un risultato di fondo: il disarmo del movimento operaio. Con effetti drammatici non solo sociali, ma anche politici. L'incapacità della FIOM nella costruzione di una alternativa Il gruppo dirigente della FIOM è stato del tutto incapace di una alternativa di direzione alla burocrazia della CGIL. Ed ha anzi accentuato progressivamente gli elementi di subordinazione alla linea della confederazione. Questo gruppo dirigente “sabatiniano” ha perseguito e persegue un “normale” ripristino della dialettica col padronato, a partire dalla difesa del proprio ruolo sindacale. Per questo si è opposto allo sfondamento della FIAT contro i diritti individuali e collettivi, ha contrastato gli accordi separati, ha criticato linea e scelte della maggioranza CGIL in passaggi cruciali (risposta a Marchionne, accordi del 28 giugno 2011), si è differenziato all'ultimo congresso della Confederazione. Perciò stesso la FIOM ha richiamato su di sé, a più riprese, attenzioni e aspettative di una parte importante della classe operaia italiana. Tuttavia questo stesso gruppo dirigente si è rifiutato di trasformare le proprie differenziazioni in una linea di massa alternativa. Da un lato ha accettato il quadro di frammentazione dello scontro stabilimento per stabilimento, per di più rinunciando ad una radicale risposta di lotta anche quando ve ne erano le condizioni soggettive e la necessità oggettiva (mancata occupazione di Termini - 16 - 3° Congresso del PCL DOCUMENTO 1 – POLITICO - ed EMENDAMENTI Imerese nel 2009): col risultato di subire il terreno di scontro cercato dal padronato e di incoraggiare di fatto la sua linea di sfondamento progressivo. Dall'altro lato ha cercato di surrogare la sconfitta con un accentuato manovrismo politico, finalizzato a ottenere per via politica (e giudiziaria) ciò che appariva precluso sul terreno dello scontro sociale: a partire da una nuova legge sulla rappresentanza. Da qui prima l'azione di fiancheggiamento e di pressione sulla coalizione di centrosinistra, considerata vincente. Poi il corteggiamento, a più riprese, dello stesso grillismo, quale interlocutore della FIOM. Alla fine ha cercato di mascherare l'impasse della propria linea con l'allineamento all'accordo CGIL, CISL, UIL, Confindustria su rappresentanza ed esigibilità dei contratti: sino a presentare come “vittoria” della FIOM la rinuncia alla libertà di lotta e di contestazione giudiziaria dei contratti. L'allineamento FIOM nell'imminente congresso della CGIL, pur in presenza di limitate distinzioni formali e di un feroce scontro di potere, sancisce la sua subordinazione nel momento stesso della massima responsabilità della CGIL per la sconfitta del movimento operaio. L'arretramento della coscienza di classe L'arretramento del movimento operaio per responsabilità delle sue direzioni, ha prodotto a sua volta conseguenze politiche negative su diversi piani complementari. In primo luogo sulla coscienza dei lavoratori. Sovrapponendosi ai processi di scomposizione materiale della classe di più lungo percorso, e combinandosi con la crisi verticale della sinistra, la sconfitta sociale del movimento operaio ha favorito un diffuso indebolimento tra i lavoratori della stessa auto rappresentazione della propria ragione sociale. Questo fenomeno ha investito anche settori di massa sindacalmente e politicamente attivi : egemonia dell'antiberlusconismo liberale anche su settori combattivi (a Torino il voto a Fassino filo FIAT di tanti lavoratori di Mirafiori che si erano schierati per il No alla Fiat); penetrazione populista grillina in settori di classe operaia industriale, sfiduciati e disperati (Sulcis). Qui si manifesta una differenza importante con i primi anni 90. Allora il combinarsi di un ciclo di lotte di massa (autunno dei bulloni del 92 - grande sciopero generale del 94 contro il primo governo Berlusconi) con lo sviluppo di Rifondazione comunista (in qualche modo relazionato anche a quel ciclo di lotte) fece argine, nonostante tutto, al populismo leghista, contenendo la sua espansione nella classe operaia. Oggi l'argine anti populista è infinitamente più debole (socialmente e politicamente), a fronte di una crisi sociale assai più profonda. In secondo luogo, l'arretramento del movimento operaio e della sua coscienza, ha indebolito tutti i movimenti di massa, a partire da quello studentesco. Liberando uno spazio più ampio, dentro la crisi sociale, per lo sviluppo di movimenti popolari a egemonia reazionaria (Forconi): nei quali strati superiori delle classi medie costruiscono la propria egemonia sugli strati inferiori della piccola borghesia e su più ampi settori popolari. Mentre il grosso della popolazione povera del Meridione vive con un senso diffuso di impotenza il peggioramento della propria condizione. Parallelamente lo stesso arretramento della mobilitazione e della coscienza di classe indebolisce i movimenti democratici e socialmente progressivi che si sviluppano su importanti terreni specifici (dal movimento a difesa dell'acqua pubblica al movimento No Tav, ecc). Movimenti che hanno occupato uno spazio rilevante sia per le proprie importanti ragioni di merito, sia anche, paradossalmente, per l'arretramento della frontiera centrale dello scontro sociale. E che al tempo stesso, proprio per questo, subiscono l'assenza di un riferimento - 17 - 3° Congresso del PCL DOCUMENTO 1 – POLITICO - ed EMENDAMENTI unificante che possa dare prospettiva alle loro rivendicazioni spostando i rapporti di forza complessivi. GLI OSTACOLI ALLA RIPRESA DI MASSA. LE POTENZIALITA’DI UNA BRUSCA SVOLTA Oggi permangono diversi ostacoli alla ripresa della mobilitazione di classe e di massa. Uno sviluppo del movimento politico di classe e di massa per propagazione da singole vertenze esemplari è ostacolato sia dalla dinamica della crisi (che spinge ogni vertenza a ripiegare sulla propria specificità), sia dall'assenza di un investimento della direzione. Tanto più a fronte dell'involuzione in corso della FIOM. Parallelamente, le tante lotte oggi presenti (precariato, sanità, trasporto locale, casa..) non paiono in grado di avviare una ricomposizione unificante. Ed anzi registrano una difficoltà di generalizzazione persino sul proprio terreno specifico. Un'eccezione importante, però circoscritta, è rappresentata dalle lotte nella logistica del centro nord: ma non a caso questa eccezione è legata alla presenza soggettiva di una direzione alternativa, grazie ad un piccolo sindacato classista (Si Cobas). Tuttavia la situazione non è affatto stabilizzata. Si accumulano le fascine di una possibile svolta. Sul piano politico, la borghesia “non può più governare come prima” e ha enormi difficoltà a definire un nuovo equilibrio. L'instabilità politica e istituzionale moltiplicherà contraddizioni e fratture nelle forze dominanti, già esposte a una grave crisi di credibilità: aprendo continuamente nuovi varchi per la possibile irruzione di iniziative di massa. Sul piano sociale, la borghesia è priva di un margine di manovra e concessioni che le consenta di recuperare consenso. Ed anzi è costretta dalla gravità della crisi capitalista, e dai vincoli annunciati del fiscal compact, a intensificare le politiche di austerità proprio nel momento della sua crisi di egemonia; dell’accumulo di miseria e disperazione nel lavoro salariato e in ampi strati popolari; della massima crisi di tutti i tradizionali ammortizzatori (sociali, familiari, clientelari), sia nel Nord che nel Mezzogiorno. Parallelamente l'assenza di una socialdemocrazia con basi di massa priva la borghesia di un ammortizzatore politico del conflitto sociale, quale quello rappresentato nella prima Repubblica dal PCI, e negli anni 90 in misura minore dai DS, caricando questo onere sulla sola CGIL. Mentre il diversivo mediatico/populista a 5 Stelle, che pure ha elettoralmente attecchito nello stesso lavoro salariato, non dispone di una presenza organizzata nei luoghi di lavoro (il grillismo non è il peronismo). In questo quadro, lo spazio oggettivo di una brusca svolta sociale è interamente presente. E costituisce una fonte reale di preoccupazione borghese. Naturalmente è impossibile prevedere quali saranno tempi, canali e dinamiche di una ripresa e ricomposizione del fronte di lotta. Possono realizzarsi le più diverse combinazioni di fattori sociali e politici, tutte “improbabili”, tutte possibili, capaci di innescare la miccia della svolta (inclusi fatti incidentali, come in Turchia o Brasile..). Le varianti sono potenzialmente infinite. Ciò che rende possibile l'innesco è il sottosuolo della profonda crisi sociale e politica borghese. Rivoluzione o reazione in Italia Nell'attuale quadro della crisi politico istituzionale, una eventuale ripresa reale del movimento di massa potrebbe trasformarsi in un fattore dirompente. Ciò che sinora ha - 18 - 3° Congresso del PCL DOCUMENTO 1 – POLITICO - ed EMENDAMENTI consentito il dispiegarsi indolore del caos della seconda Repubblica, è stata la relativa pace sociale. Proprio per questo una rottura sociale sarebbe gravida di effetti destabilizzanti, più che in altri paesi. Sino a configurare una possibile crisi pre rivoluzionaria. Ma è vero anche l'inverso. Senza una reale ripresa del movimento operaio e dei movimenti di massa, la profondità della crisi italiana rischia di alimentare una deriva reazionaria. Dinamiche reazionarie sono già operanti. E si vanno aggravando. La repressione sta conoscendo in alcuni contesti un salto di qualità, sul terreno del cosiddetto ordine pubblico: col ricorso inedito a configurazioni di reato obiettivamente abnormi (“terrorismo”, “devastazione e saccheggio “) contro ordinarie manifestazioni di conflitto. L'intero dibattito sulla “Riforma istituzionale” (v. presidenzialismo) rivela che la tendenza informale al bonapartismo e alla rottura con la tradizione costituzionale ha fatto obiettivamente un passo avanti. Il populismo grillino ha conquistato una base di massa ad un progetto reazionario di rottura istituzionale ben più profonda di quella “gaullista”. Queste tendenze reazionarie non compongono un unico disegno. Sono anzi segnate da contraddizioni. Ma certo siamo in presenza di una massa critica di spunti reazionari obiettivamente nuova. Che misura la profondità della crisi, e il drammatico ritardo del movimento operaio a imporre la propria soluzione. Rivoluzione socialista o reazione politica: questa è dunque in termini storici la vera alternativa di prospettiva. - 19 - 3° Congresso del PCL DOCUMENTO 1 – POLITICO - ed EMENDAMENTI III PARTE LA PROPOSTA DEL PCL LA SOLUZIONE SOCIALISTA E RIVOLUZIONARIA La prospettiva socialista e rivoluzionaria indica l'unica possibile soluzione storicamente progressiva della crisi del capitalismo. Sul piano mondiale. Su scala europea. Sul terreno nazionale. In particolare l'esperienza di questi anni di crisi in Europa conferma una volta di più l'inconsistenza e l'inganno di ogni ipotesi riformista. Le suggestioni di un “Europa sociale e democratica” in ambito capitalistico, seminate a piene mani dalle sinistre riformiste e da tanta parte dell'area centrista, sono prive di ogni fondamento materiale e storico. Prima l'esaurimento del boom postbellico dalla metà degli anni 70 e poi il crollo del Muro di Berlino avevano già colpito da tempo lo spazio storico “riformistico” del dopoguerra. La grande crisi capitalistica e, in essa, la crisi europea, lo hanno seppellito. Oggi tutte le borghesie europee - sotto ogni governo - muovono all'attacco del Welfare e del lavoro. Con un salto di qualità rispetto alla dinamica degli ultimi 20 anni. Ciò non dipende da “errate politiche liberiste” (teoria smentita dal più grande intervento statale di tutta la storia, a sostegno del capitale). Dipende dalla profondità della crisi e dalla competizione mondiale dentro questa crisi. Le basi materiali dell'attacco a welfare e lavoro in europa L'attacco al Welfare è trascinato dalle necessità del pagamento del debito pubblico; dalla ricerca disperata di risorse per i “propri” capitalisti, contro concorrenti degli altri paesi; dalla necessità di nuove riduzioni fiscali per le “proprie” imprese in un quadro internazionale in cui la riduzione delle tasse sui capitalisti è diventato una voce centrale della concorrenza mondiale; dalla volontà di assicurare con le privatizzazioni del Welfare nuovi spazi di accumulazione del capitale. Così, il passaggio dalle politiche di precarizzazione al nuovo attacco ai contratti nazionali è sospinto dalla concorrenza sul mercato mondiale della forza lavoro: a fronte di bassi salari asiatici e di salari medi americani tornati ormai al livello del 1980 e inferiori del 25% ai salari medi tedeschi. L'illusione delle soluzioni riformiste: “europa sociale” o “moneta nazionale” Le terapie ideologiche che pensano di rimediare a tutto questo nel quadro capitalista cadono nel grottesco. Le formazioni della “Sinistra Europea” (Syriza, Fronte de Gauche, Linke, Izquierda Unida e ciò che resta del PRC) propongono ingegnerie democratiche e Keynesiane: riforma della BCE quale prestatore diretto agli Stati, ristrutturazione “concordata” del debito pubblico; audit per separare il debito “legittimo” da quello “illegittimo”. Queste proposte non solo sono prive di un riferimento di classe; ma muovono alla ricerca utopica di un “compromesso” progressivo col capitalismo europeo, nel momento stesso della sua massima crisi e della massima aggressione al lavoro. Dal punto di vista politico sono un certificato di “responsabilità” e di “realismo” da esibire alle classi dirigenti europee per rivendicare il diritto a un proprio futuro ruolo di governo. - 20 - 3° Congresso del PCL DOCUMENTO 1 – POLITICO - ed EMENDAMENTI Altre formazioni, per lo più di estrazione stalinista, propongono invece l'uscita dall'Euro: o in direzione delle vecchie monete nazionali (che nel quadro del capitalismo e della sua crisi sarebbe solo un’occasione di saccheggio speculativo su salari e risparmi); o in direzione di una “moneta comune” del Sud Europa, per “un'alleanza tra Stati che possa avere più potere contrattuale a livello continentale”, sulla base di un blocco sociale esteso a “settori di borghesia nazionale” (v. il documento per la 2° Conferenza nazionale della Rete dei Comunisti): una suggestione non solo priva di ogni fondamento, ma che rimuove l'autonomia di classe e che ha come vero risvolto la negazione della rivoluzione socialista. Nel nome dell'ennesima evocazione di una (immaginaria) “tappa democraticoprogressiva”. Per gli Stati Uniti Socialisti d'Europa L'avanguardia di classe va liberata da queste fantasie. L'alternativa non è tra euro e moneta nazionale. E’ tra capitale e lavoro. Tutte le rivendicazioni fondamentali della classe operaia e degli sfruttati sono incompatibili col capitalismo europeo; con l'Unione dei capitalisti e dei banchieri, (con le sue istituzioni, leggi, trattati); con ogni quadro capitalistico “nazionale”; con ogni cartello di Stati capitalisti. Il recupero, la difesa, l'ampliamento del salario sociale; la difesa, la riqualificazione, la ripartizione del lavoro; lo sviluppo di un grande piano di nuovo lavoro, richiedono un piano di misure anticapitaliste radicali e un potere che le possa realizzare. In altri termini una prospettiva di rivoluzione e di governi dei lavoratori. In ogni Paese e su scala Europea. La prospettiva degli “Stati uniti socialisti” d'Europa è l'unica reale prospettiva di progresso per il mondo del lavoro e la maggioranza della società europea. L'alternativa reale è una nuova profonda regressione sociale e lo sviluppo di derive politiche reazionarie in tutto il vecchio continente. IL GOVERNO DEI LAVORATORI: UNICA SOLUZIONE DELLA CRISI ITALIANA La profondità della crisi pone l'esigenza di un'alternativa politica di classe: tanto radicale quanto radicale è la crisi di sistema. Se le classi dominanti hanno fallito, una nuova classe deve prendere le redini della società. Se la Repubblica borghese ha fallito, è necessario battersi per una Repubblica dei lavoratori. La battaglia per un governo dei lavoratori, su un programma anticapitalista, ha una propria specifica radice proprio nella crisi italiana. Il fatto che il movimento operaio sia arretrato, che la sua coscienza abbia subito involuzioni profonde, che il tema di un governo dei lavoratori sia oggi lontano dalla visione della stessa avanguardia, non giustifica una rimozione di quella prospettiva. Al contrario. Proprio perché il movimento operaio è arretrato, proprio perché la sua stessa avanguardia è disorientata, è necessario promuovere un intervento controcorrente, tenace, paziente, che lavori a sviluppare la coscienza dei lavoratori al livello delle necessità oggettive che la stessa crisi della borghesia oggi pone. Elevare la coscienza soggettiva al livello delle necessità oggettive, è la ragione stessa di una politica comunista. Questa battaglia e proposta politica contrasta apertamente gli indirizzi presenti nelle sinistre attorno al nodo dell'”alternativa”. - 21 - 3° Congresso del PCL DOCUMENTO 1 – POLITICO - ed EMENDAMENTI Riformisti e centristi sulla questione dell'alternativa Le sinistre cosiddette “radicali” hanno usato la domanda di un alternativa di governo, presente in settori di massa e dell'avanguardia, per giustificare la propria subordinazione alla borghesia liberale, in cambio di ministeri (o assessorati). La loro critica ideologica alla “vecchia” concezione della “conquista del potere” proletario, è servita solo a mascherare la ciclica candidatura alla gestione del potere borghese. Aree e soggetti di tipo centrista (né riformisti, né rivoluzionari) hanno combinato negli anni il rifiuto della prospettiva del “governo dei lavoratori”, con gli atteggiamenti più disparati. A seconda delle proprie diverse soggettività. Sinistra Critica ha fatto parte della maggioranza Prodi dal 2006 sino alla fine del 2007 (da Mastella a Turigliatto), votando la fiducia 22 volte al governo “democratico” dell'imperialismo italiano e alle sue misure anti operaie. La sua successiva opposizione “anticapitalista”, pur autonoma dal centrosinistra, ha continuato a contrapporre alla prospettiva del potere dei lavoratori l'illusione subalterna di una “democrazia partecipativa” (Porto Alegre) rimuovendo il concetto di rottura rivoluzionaria. Altre aree e soggetti centristi, rinnovano l'illusione di soluzioni “intermedie” tra governo borghese e governo dei lavoratori (il governo di “emergenza popolare” avanzata dai CARC; o di “liberazione nazionale” attorno al ritorno alla lira, avanzata dal MPL; o di blocco sociale con la ”piccola borghesia e settori di borghesia nazionale”, rivendicato dalla Rete dei Comunisti..). Queste “soluzioni” immaginarie pretenderebbero maggiore “realismo”. Ma il loro unico risvolto reale è l'opposizione alla prospettiva del potere proletario. A copertura di un minimalismo programmatico spesso combinato col retaggio della tradizione stalinista (l'eterna suggestione della “tappa democratica” formalmente in direzione del “socialismo”, in realtà in contrapposizione al socialismo). Altri soggetti rimuovono totalmente la questione della prospettiva politica per ripiegare su una pura dimensione di antagonismo di movimento (aree diverse dei Centri sociali, dell'anarchismo, dell'”Autonomia”..). A volte mitizzando il valore di una specifica lotta, vista ogni volta come nuovo paradigma (v. No Tav). A volte teorizzando l’“alternativa” non meglio precisata - come sommatoria progressiva di “spazi liberati”, in una logica neo riformista. A volte risolvendosi in strumento di pressione negoziale sulle istituzioni o sulla sinistra riformista (come per i Disobbedienti verso il Centro sinistra, il gruppo dirigente FIOM e SEL). Più volte combinando insieme tutti questi elementi. Il tratto comune di queste culture è un antagonismo senza centralità di classe e senza rivoluzione. Che contribuisce a privare lotte e movimenti di una prospettiva unificante a danno delle loro specifiche ragioni. Per un programma anticapitalista, fuori da ogni illusione La prospettiva del governo dei lavoratori si fonda invece su un principio di realtà. Le esigenze e le rivendicazioni fondamentali dei lavoratori, dei movimenti sociali, della maggioranza della società, riconducono alla necessità della rivoluzione sociale anticapitalista. Una rivoluzione sociale anticapitalista è inseparabile da un alternativa di potere. Solo la classe lavoratrice, nella sua attuale composizione ed estensione - a partire dalla classe operaia industriale - ha la forza potenziale per unificare attorno ad un programma anticapitalista l'insieme delle domande ed esigenze di svolta, e per conquistare il potere politico. Solo un potere politico fondato sul blocco storico alternativo tra classe operaia e masse oppresse e sfruttate, del Nord e del Sud, può sgomberare il - 22 - 3° Congresso del PCL DOCUMENTO 1 – POLITICO - ed EMENDAMENTI campo dalla dittatura del capitale. Fuori da questa prospettiva resta di fatto una sola conclusione: la convivenza con la società borghese e il suo Stato. La necessità di un governo dei lavoratori è posta dalla natura stessa delle misure necessarie per l'uscita dalla crisi. La difesa del lavoro richiede il blocco dei licenziamenti, con l'esproprio sotto controllo dei lavoratori delle aziende che licenziano; la sua ripartizione con la riduzione progressiva dell'orario a parità di paga; un grande piano di opere di pubblica utilità (a partire dall'ambiente e dal Mezzogiorno), finanziato da un aumento massiccio della tassazione progressiva dei grandi redditi e da una tassazione radicale dei grandi patrimoni (immobiliari e finanziari). La difesa, la riconquista, l'estensione delle protezioni sociali e dei servizi (pensioni, sanità, scuola, trasporti) è inseparabile dall'abolizione del debito pubblico verso le banche; dall'esproprio e nazionalizzazione delle stesse banche, senza indennizzo per i grandi azionisti dalla loro concentrazione in un’unico istituto pubblico, quale strumento di pianificazione democratica dell'economia al servizio dell'interesse collettivo e mezzo di liberazione dal cappio di mutui usurai. Non c'è domanda sociale di svolta - in nessun settore delle classi oppresse - che possa prescindere da queste misure. Non c'è possibilità di realizzare queste misure nel quadro del capitalismo, grazie a un ministro di “sinistra” o a una pressione dei movimenti. Solo un governo dei lavoratori, fondato sulla loro organizzazione e la loro forza, può realizzare queste misure in una prospettiva socialista. Non a caso le sinistre riformiste o centriste, che respingono la prospettiva di un governo dei lavoratori, rimuovono la necessità di quelle misure o finiscono col distorcerle, per cercare di renderle (virtualmente) compatibili col quadro capitalista. Il PRC, che al governo ha votato la massiccia riduzione delle tasse per banchieri e industriali (IRES dal 34% al 27,5% nel 2007), una volta all'opposizione ha vagheggiato, di tanto in tanto, la “nazionalizzazione delle banche”: salvo poi precisare che il punto decisivo è la.. “riforma della BCE” (alla coda dei professori liberali). Settori centristi hanno assunto la rivendicazione dell'abolizione del debito pubblico (anche per effetto della nostra battaglia controcorrente). Ma la loro preoccupazione è quella di dissolvere la portata anticapitalista di quella rivendicazione: o in direzione dell'”audit” o svincolandola dalla nazionalizzazione delle banche. Così riformisti e centristi, in qualche occasione, hanno ripreso la parola d'ordine della “nazionalizzazione” di una industria (Fiat o Ilva). Ma tacendo sul punto decisivo dell'indennizzo, cercando la copertura della Costituzione borghese (che infatti prevede in ogni caso l'indennizzo), rimuovendo la questione centrale del controllo operaio, comunque rifiutando di estenderla all'insieme delle aziende che licenziano o inquinano. In altri termini trasformando una possibile rivendicazione anticapitalista nel recupero delle vecchie partecipazioni statali, dentro un quadro capitalista “riformato”. Tutto questo dimostra una cosa sola: la costante preoccupazione dei dirigenti riformisti di apparire “realisti” agli occhi dei liberali. E dei dirigenti centristi di apparire “realisti” agli occhi dei riformisti. La preoccupazione del PCL e dei rivoluzionari, è e deve essere esattamente opposta. Quella di gettare un ponte tra le esigenze delle masse e la necessità delle rivoluzione. E dunque di assumere la prospettiva del governo dei lavoratori come coronamento decisivo della propaganda e agitazione anticapitalista. Contro ogni illusione. - 23 - 3° Congresso del PCL DOCUMENTO 1 – POLITICO - ed EMENDAMENTI PROPOSTA E POLITICA DEL FRONTE UNICO La prospettiva del governo dei lavoratori implica una politica di massa. Non l'autorecinzione settaria dei rivoluzionari. Ma la lotta per conquistare le masse, e innanzitutto l’avanguardia, alla prospettiva della rivoluzione. La politica leninista del “fronte unico” è parte di questa politica di massa. Essa ha una base oggettiva: la necessità di unire i lavoratori e attorno ad essi tutti gli sfruttati, in contrapposizione alle classi dominanti. Questa esigenza è tanto più stringente in un quadro di grande crisi, di offensiva contro il lavoro, di unità di tutti i partiti padronali in questa offensiva, di nuove pericolose tendenze reazionarie. Sulla base di questa esigenza avanziamo una proposta incalzante di fronte unico di lotta all'insieme della sinistra. A differenza che in altri paesi europei, in Italia l’attuale assenza di una rappresentanza politica maggioritaria del movimento operaio e la riduzione della sinistra politica ad un arco di forze molto modesto, non consente di tradurre la proposta di fronte unico in una esplicita formula politica direttamente leggibile a livello di massa (come in Grecia ad es. una proposta di “fronte unico Syriza - KKE sulla base di un programma anticapitalista” ). Per questo la proposta di fronte unico mantiene ad oggi un carattere generale e indeterminato: come proposta rivolta a “tutte le sinistre politiche, sindacali, associative, di movimento” perché uniscano le forze in una azione di difesa dei lavoratori; rompano ogni collaborazione col padronato e i suoi partiti; sviluppino un piano di mobilitazione di massa unitaria e radicale, proporzionale all'attacco delle forze dominanti; in ultima analisi si battano per una alternativa politica anticapitalista. Questa politica leninista ha un risvolto tattico importante: entrare nelle contraddizioni tra i gruppi dirigenti del movimento operaio e i settori più avanzati e combattivi della loro base di massa; sviluppare la loro attenzione verso la proposta dei rivoluzionari; estendere la conoscenza e influenza della proposta dei rivoluzionari all'interno del movimento operaio, per costruire una sua direzione alternativa. Che è il fattore decisivo per lo sviluppo e il successo della prospettiva di rivoluzione. Al tempo stesso la politica di fronte unico non si limita ad un'azione di propaganda, per quanto fondamentale. Ma dentro questo orizzonte generale, si traduce in azione politica: nella partecipazione, col proprio programma, ad ogni movimento o scadenza di lotta che abbia carattere progressivo, al di là dei limiti politici della sua piattaforma e della natura delle forze promotrici. nella critica costante alla frammentazione delle scadenze di lotta e mobilitazione, dovuta a logiche di concorrenza, veti reciproci, primogeniture, tanto frequente nella prassi di forze riformiste e centriste, politiche e sindacali. in accordi di unità d'azione con altre sinistre su obiettivi parziali comuni, al di là delle contraddizioni dei nostri temporanei alleati. L'essenziale è non confondere mai una espressione, anche organizzata, di unità d'azione su specifici obiettivi (come ad es. il No Debito) con un soggetto politico comune; e/o concepirla come un accordo di cartello, escludente a priori altri soggetti e componenti del movimento operaio. Per noi ogni espressione di fronte unico va concepita come tassello particolare della proposta generale di fronte unico anticapitalistico. Per le organizzazioni riformiste e centriste conta essenzialmente l'auto conservazione del proprio spazio e ruolo particolare. Per i rivoluzionari la bussola di riferimento è - 24 - 3° Congresso del PCL DOCUMENTO 1 – POLITICO - ed EMENDAMENTI sempre l'interesse generale del movimento operaio, nella prospettiva della rivoluzione. Ciò che passa per una politica di unità di classe. Per questo il PCL, sul terreno dell'azione di classe, è in un certo senso il soggetto più unitario della sinistra italiana. PER L'INDIPENDENZA DI CLASSE La proposta di fronte unico anticapitalistico, e la politica di fronte unico, si accompagna ad una nostra proposta di svolta del movimento operaio: in direzione della piena autonomia di classe; e sul terreno della azione di classe. La proposta di fronte unico di classe è inseparabile dalla contrapposizione alla borghesia, ai suoi governi, ai suoi partiti. La rottura col PD La rottura col Partito Democratico è la prima necessità politica del movimento operaio. Nonostante la sua natura compiutamente borghese, e i suoi solidi legami con la borghesia, il PD ha continuato ad inglobare nella propria area di riferimento la maggior parte del “popolo della sinistra”, grazie alla finzione distorta del gioco bipolare (“contrapposizione a Berlusconi”). Specularmente, la subordinazione al PD del grosso delle sinistre politiche e sindacali ha contribuito in modo decisivo a coprire e consolidare l'equivoco del bipolarismo, e con esso l'influenza del liberalismo su ampi settori di massa. Solo una rottura col PD può dunque liberare uno sviluppo indipendente del movimento operaio, della sua azione di massa, politica e sindacale, della costruzione di un'alternativa di classe. Questa battaglia per la rottura del movimento operaio col PD è resa oggi ancor più attuale dalla crisi profonda del PD. La crisi della seconda Repubblica, unita all'esperienza dei governi di unità nazionale tra PD e Berlusconi (Monti e Letta) hanno introdotto un fatto nuovo nel rapporto tra il PD e una parte del suo “mondo” di riferimento: che tende a ribellarsi, sino a fenomeni di rigetto del partito stesso (abbandono elettorale, crollo delle iscrizioni). Questo fenomeno è segnato da molti limiti. Non è maturato, per lo più, da un versante di classe ma da un confuso versante democratico. Non è precipitato in reazione a misure anti operaie, come art. 18 e legge Fornero. E’ precipitato piuttosto in reazione al “tradimento” del bipolarismo (accordo di governo con Berlusconi), alla sconfessione delle promesse elettorali. E’ la misura di quanto a lungo abbia scavato l'inganno bipolare, e della crisi del movimento operaio italiano. E tuttavia, in una forma distorta e su un terreno spurio, si esprime un fenomeno inedito, che può avere una ricaduta di classe. Mai come oggi si è fatto profondo lo scollamento tra il PD e un settore importante di lavoratori e popolo di sinistra. Mai come oggi si pone l'occasione di una battaglia per l'emancipazione politica del movimento operaio dal liberalismo e dal bipolarismo. Le sinistre politiche e sindacali lavorano contro questa prospettiva. SEL lavora alla ricomposizione col PD, e oggi segnatamente con Renzi, dentro il rilancio del vecchio bipolarismo. La burocrazia Cgil assiste silente alla crisi del PD, nell'eterna attesa di un futuro governo cui poter appendere la concertazione col padronato. Il gruppo dirigente Fiom continua a lavorare come lobby per e verso un “nuovo” centro sinistra, in parte quale sponda a Sel. Il risultato di queste politiche è che la crisi profonda del PD può risolversi a “destra”: liberando consensi verso il renzismo e/o il grillismo. Con nuovi effetti pesantemente negativi sul movimento operaio. - 25 - 3° Congresso del PCL DOCUMENTO 1 – POLITICO - ed EMENDAMENTI Contro queste politiche, la battaglia per un fronte unico di classe, autonomo e alternativo al Pd, è oggi centrale: tra i lavoratori, nei movimenti sociali, nelle organizzazioni di massa, in tutta la sinistra italiana. La rottura col populismo Parallelamente si pone la necessità di una piena indipendenza del movimento operaio dal populismo reazionario. Il grillismo non è un possibile alleato, magari infido e contraddittorio, del mondo del lavoro. E’ un suo avversario. Esso non contribuisce solamente a corrompere e dirottare un potenziale di lotta di classe sul binario truffaldino della “lotta alla casta”. Lavora a incorporare una parte dello stesso lavoro salariato al proprio progetto reazionario. I gruppi dirigenti delle sinistre politiche e sindacali hanno avuto pesanti responsabilità nell'ascesa del grillismo e nella sua diffusione tra i lavoratori. Non solo per la propria subordinazione al capitalismo in crisi. Ma anche per una politica criminale di abbellimento del fenomeno Grillo dopo la sua esplosione. La rappresentazione del grillismo come possibile componente di un “fronte democratico” da parte di SEL; la prolungata apertura di credito da parte del PRC, ai tempi di Ingroia; la ricerca dell'interlocuzione da parte del gruppo dirigente FIOM; il silenzio da parte della CGIL, hanno contribuito in modo decisivo a legittimarlo anche agli occhi di settori d'avanguardia. Parallelamente, ancor più grottesca è stata l'apertura al M5S da parte di gruppi centristi: da Cremaschi e la maggioranza del No Debito; ad ambienti del sindacalismo di base; sino alla campagna elettorale a favore di Grillo dei CARC. Tutte espressioni dell'infinita leggerezza del centrismo: che non avendo un programma, ma vivendo di suggestioni estemporanee, finisce per salutare come espressione di movimento una manifestazione (reazionaria) della sua crisi. All'opposto, è necessario sviluppare tra i lavoratori e in tutte le organizzazioni di massa una campagna sistematica di controinformazione sulla natura del grillismo. A partire dal rifiuto di un immaginario culturale che, anche a sinistra, ha sostituito i lavoratori con i “cittadini”, la politica borghese con “la politica”, i partiti borghesi con “i partiti”. Restituire alle cose il loro nome, è il presupposto stesso di un fronte unico di classe. PER UNA SVOLTA UNITARIA E RADICALE DI LOTTA La conquista dell’autonomia di classe si lega ad una svolta unitaria e radicale del movimento operaio. Una svolta capace di unire ciò che la crisi divide. E al tempo stesso capace di elevare la risposta del movimento operaio a un livello di scontro storicamente nuovo. Il senso strategico della “vertenza generale” L'esperienza di questi anni di crisi capitalista ha confermato non solo i guasti devastanti delle politiche concertative col padronato o i governi borghesi. Ma anche il fallimento delle linea di difesa atomizzata, in ordine sparso, delle singole trincee del mondo del lavoro (linea Fiom). Si conferma l'esigenza di una grande vertenza unificante del mondo del lavoro, dei precari, dei disoccupati, attorno ad una piattaforma rivendicativa indipendente. Questa proposta di svolta risponde al nuovo quadro della crisi capitalista e all'esigenza di una nuova cultura del movimento operaio. Che rompa definitivamente con - 26 - 3° Congresso del PCL DOCUMENTO 1 – POLITICO - ed EMENDAMENTI ogni sorta di concertazione. Ma superi anche definitivamente i vecchi limiti del tradunionismo sindacale. La cultura delle vecchie sinistre sindacali si è formata alla fine degli anni 60. Quando ancora il lascito del boom capitalistico del dopoguerra (sviluppo industriale, concentrazione operaia, margini riformisti) consentiva una dinamica di conquiste parziali e progressive, singole vertenze aziendali o di categoria che innescavano un trascinamento generale. E’ l'esperienza del lungo autunno caldo italiano (1969/76). La fine del boom, la lunga stagnazione e infine la precipitazione della crisi capitalista, più di 35 anni di arretramenti, hanno distrutto le basi di una simile dinamica. Nel chiuso delle singole trincee di stabilimento, si vive e subisce un rapporto di forza impari. Che certo non elimina la necessità della resistenza. Ma elimina la reale possibilità di perseguire, azienda per azienda, in ordine sparso, la ripresa generale del movimento operaio. Uscire dal chiuso delle trincee aziendali, unificare le forze in un movimento generale, capace di confrontarsi in campo aperto con le classi dominanti: questo è il senso strategico della proposta di vertenza generale, rivolta a tutte le organizzazioni del movimento operaio. Una proposta di fronte unico che richiama due necessità complementari : una piattaforma di svolta; una svolta generale delle forme di azione di massa. Per una piattaforma di lotta indipendente e unificante La piattaforma per una vertenza generale deve selezionare un'insieme di rivendicazioni mirato a unificare l'azione di massa del mondo del lavoro, dei precari, dei disoccupati, attorno alle esigenze più urgenti e drammatiche. Ponendo la classe operaia, a partire dalla classe operaia industriale, come perno di ricomposizione del blocco sociale anticapitalista. In questo senso proponiamo: Blocco dei licenziamenti e pieno ripristino dell'articolo 18. Ripartizione del lavoro attraverso la riduzione generale dell'orario a parità di paga (30-32 ore settimanali), senza flessibilità e annualizzazioni, senza finanziamento ai padroni, a spese dei profitti, con una drastica limitazione del lavoro straordinario e controllo operaio sui ritmi. Cancellazione di tutte le leggi di precarizzazione, varate negli anni dai governi di centrosinistra, centrodestra, unità nazionale; trasformazione di tutti i contratti atipici o particolari in contratti a tempo pieno e indeterminato Parità di diritti tra lavoratori italiani e migranti, permesso di soggiorno a tutti i lavoratori extra comunitari e alla loro famiglie. Salario minimo intercategoriale per legge a 1500 euro nette mensili. Salario garantito di 1200 euro ai giovani in cerca di prima occupazione e ai disoccupati che cercano lavoro, sino all'acquisizione di un lavoro a tempo pieno e indeterminato. Aumento generale di salari e stipendi privati e pubblici, col pieno recupero di quanto perduto negli ultimi 15 anni. Cancellazione delle leggi Gelmini su scuola e università: e grande piano di investimento nella scuola pubblica. Cancellazione della legge Fornero sulle pensioni, e ripristino del sistema pensionistico a ripartizione,come precedentemente alla controriforme degli ultimi decenni. Cancellazione delle leggi reazionarie sul Pubblico impiego, e ripristino dei diritti - 27 - 3° Congresso del PCL DOCUMENTO 1 – POLITICO - ed EMENDAMENTI dei pubblici dipendenti. La nostra piattaforma raccoglie in definitiva tutte le sofferenze sociali delle classi subalterne del Nord e del Sud, cumulatesi nel tempo e aggravate dalla crisi, per tradurle in una piattaforma di riscatto generale: una piattaforma tanto radicale quanto radicale è stato l'attacco subito. Per una svolta nelle forme di lotta Parallelamente, si pone l'esigenza di una svolta nelle azioni di lotta. Il vecchio armamentario riformista (scioperi simbolici di pura propaganda, forme tradizionali di pressione negoziale..) non regge da tempo i nuovi livelli di scontro. A maggior ragione non regge la prova della crisi capitalista e la nuova escalation dell'aggressione sociale. La necessità di contrapporre alla borghesia e ai suoi governi una forza di massa uguale e contraria emerge in ogni passaggio come questione decisiva. Da qui una proposta generale di svolta. [qui inserire emendamento POL2, testo a p. 51] La svolta è necessaria nelle vertenze aziendali. Occupare le aziende che licenziano; generalizzare l'indicazione dell'occupazione; coordinare le aziende occupate; costituire una cassa nazionale di resistenza, a sostegno del prolungamento della lotta: significa capovolgere il quadro frammentato di infinite vertenze aziendali in una controffensiva unificante e radicale. L'unica che possa riconnettere la forza materiale della classe, a partire dall'industria. L'unica che, in un quadro di drammatizzazione del conflitto, possa oltretutto strappare il blocco dei licenziamenti. La svolta è necessaria nel movimento di massa: riconducendo le diverse lotte particolari alla prospettiva di uno sciopero generale prolungato (combinato con l'occupazione delle aziende che licenziano), capace di paralizzare il paese, di coinvolgere attorno ai lavoratori tutti i settori oppressi e sfruttati, di ingaggiare una prova di forza che possa piegare la resistenza avversaria. La stessa esperienza di lotta di classe in Europa, tanto più in questi anni di crisi, dimostra che solo un azione concentrata e radicale di massa, che impaurisca la borghesia, può realmente strappare risultati fosse pure parziali (v. Romania e Bulgaria). Mentre ogni frantumazione della lotta disperde le forze e manca gli obiettivi persino in contesti di elevata mobilitazione: com'è il caso della Grecia, con la moltiplicazione degli scioperi generali di protesta sotto la direzione di socialdemocratici e stalinisti, in contrapposizione alla parola d'ordine dello sciopero generale prolungato (avanzata non a caso dai nostri compagni del EEK, sezione greca del CRQI). Proposta d'azione e prospettiva politica La proposta di una svolta unitaria e radicale del movimento operaio (vertenza generale, nuove forme di azione) non è solo una proposta “sindacale”, fosse pure radicale. Pone la prospettiva politica di un'esplosione sociale, concentrata e radicale, contro le classi dominanti, guidata dalla classe lavoratrice. Getta un ponte tra le esigenze del movimento operaio e un programma anticapitalista. Salda il terreno dell'azione sindacale alla prospettiva del governo dei lavoratori. Per questo i gruppi dirigenti riformisti o centristi della sinistra si contrappongono alla nostra proposta, o si differenziano da essa. Non semplicemente per un minor radicalismo “sindacale”, ma per una diversa prospettiva politica. - 28 - 3° Congresso del PCL DOCUMENTO 1 – POLITICO - ed EMENDAMENTI E’ la stessa ragione per cui il PCL è l'unico partito della sinistra ad avanzare una proposta di svolta radicale dell'azione di massa sullo stesso terreno sindacale. A farne terreno centrale di battaglia politica tra i lavoratori e nelle organizzazioni sindacali. A lavorare nella lotta di classe per il suo concreto sviluppo. E’ la riprova che solo una prospettiva di rivoluzione può liberare un intervento e una proposta di massa all'altezza delle nuove necessità del movimento operaio. LA BATTAGLIA DEI RIVOLUZIONARI NEI SINDACATI [qui inserire emendamento POL3, testo a p. 51] La proposta di una svolta unitaria e radicale del movimento operaio va investita in una battaglia di fondo in tutte le organizzazioni sindacali della sinistra. Il nostro secondo congresso ha definito l'indirizzo generale del nostro intervento sindacale e il criterio leninista su cui si fonda: l'intervento dei rivoluzionari nei sindacati non ha come obiettivo “spostare a sinistra” un sindacato, scegliere “il sindacato più a sinistra” o la costruzione di un “proprio” sindacato. Ma è parte della battaglia politica per la conquista delle masse alla prospettiva della rivoluzione socialista. [qui emendamento POL4, sostitutivo delle ultime 4 righe del paragrafo, testo a p. 52] La scelta dei sindacati di massa come luogo privilegiato discende da questa impostazione. Il cui fondamento non è sindacale, ma politico. Da qui, nel contesto italiano, la obiettiva centralità della battaglia nella CGIL, contro la sua burocrazia dirigente, sulla base di un programma anticapitalista. La battaglia nella CGIL contro la burocrazia sindacale La profondità della crisi italiana ha aggravato le responsabilità della burocrazia CGIL. L'aggravamento non riguarda, propriamente, la linea sindacale. La burocrazia CGIL continua a negoziare contro i lavoratori, sul terreno richiesto dal padronato e dai suoi governi, da più di 35 anni (distruzione della scala mobile, demolizione della previdenza pubblica, precarizzazione del lavoro). Oggi la precipitazione della crisi trascina la politica concertativa nella manomissione del contratto nazionale e dei diritti sindacali. Oggi come ieri, il ruolo della burocrazia sindacale resta quello di “agenzia della borghesia nel movimento operaio”(Lenin). Il vero salto delle responsabilità è politico. Dentro la crisi della seconda Repubblica, con l'approdo dei DS a un partito borghese liberale, con la crisi verticale della sinistra riformista, la CGIL si carica di un ruolo straordinario di supplenza politica. Presidio della pace sociale e strumento disgregatore della resistenza di classe, la burocrazia CGIL rappresenta oggi, sul versante di massa, il principale fattore di tenuta del regime borghese nel momento della sua massima crisi sociale/politica/istituzionale. La CGIL può svolgere questo ruolo a vantaggio della borghesia, proprio perché organizza e controlla la maggioranza delle masse sindacalmente attive, a partire dalla classe operaia industriale. Che è la ragione per cui il grosso della borghesia italiana - a partire dall'attuale Confindustria - ricerca un punto di equilibrio e di accordo con la burocrazia CGIL. Per questa stessa ragione la battaglia dei rivoluzionari nella CGIL non ha solo valenza sindacale. E’ parte della battaglia per la conquista della classe operaia, per una soluzione rivoluzionaria della crisi della Repubblica. - 29 - 3° Congresso del PCL DOCUMENTO 1 – POLITICO - ed EMENDAMENTI Le sinistre riformiste guardano diversamente al nodo CGIL, non perché hanno una diversa “posizione sindacale”, ma perché hanno una diversa prospettiva politica. Esse si diversificano tra sostegno alla burocrazia CGIL (Politica e Lavoro, cioè il gruppo di Patta e Nicolosi); affidamento al gruppo dirigente FIOM (in forme diverse, SEL e PDCI); subordinazione alla FIOM, anche nel momento in cui questa si adatta alla maggioranza CGIL (PRC). L'elemento comune è la subordinazione della scelta sindacale ai propri interessi politici, per lo più sul terreno delle relazioni negoziali col centrosinistra (come è avvenuto in tutta la storia di Rifondazione, dal 96). Per i marxisti rivoluzionari il punto di partenza è invece, come sempre, l'interesse del movimento operaio e della prospettiva rivoluzionaria. La battaglia per una svolta unitaria e radicale del movimento operaio è apertamente contro la burocrazia CGIL e in alternativa alla burocrazia di “sinistra” della FIOM. Lo sviluppo di questa battaglia passa per la costruzione di una tendenza sindacale rivoluzionaria nella CGIL, basata su un programma d'azione sindacale anticapitalistico, radicata nel sindacato e nei luoghi di lavoro, capace di assumersi le proprie responsabilità nel rapporto coi lavoratori sul terreno della lotta di classe. In questo senso, la nascita della componente “Rete 28 Aprile - opposizione CGIL” è un passo avanti nella lotta alla burocrazia sindacale. Non si tratta, ad oggi, di una tendenza sindacale rivoluzionaria. La sua direzione attuale (Cremaschi) ripropone limiti programmatici del centrismo e contraddizioni irrisolte, sia sul terreno dell'azione di classe che della stessa prospettiva della componente. L'assenza di un progetto rivoluzionario, la sovrapposizione con confuse operazioni politiche centriste (“Rossa”), alcuni elementi personalistici, ostacolano la sua evoluzione. Ma la nascita della componente, di natura certamente classista, segna un terreno di confronto più avanzato nell'avanguardia. Sta ai rivoluzionari in CGIL sviluppare, da questa posizione più avanzata, una battaglia di qualificazione rivoluzionaria della componente. Non possiamo prevederne l'esito. Ma questa battaglia sarà comunque importante per la costruzione di una tendenza sindacale rivoluzionaria in CGIL. La battaglia nei sindacati di base, contro la logica sindacale del centrismo La battaglia sindacale dei rivoluzionari non si esaurisce in CGIL, ma si sviluppa anche nei sindacati di base. Queste organizzazioni - che si fondano positivamente, in linea generale, su posizioni anticoncertative -raggruppano un settore limitato dell'avanguardia (complessivamente, in termini reali, dai 100000 ai 150000 lavoratori), prevalentemente nel pubblico impiego e nei servizi. E’ giusto rilevare differenze di impostazione e diversi livelli di radicalità (come dimostra ad es. la lotta esemplare condotta dal Si Cobas nella logistica). Ma la crisi capitalista e l'innalzamento del livello di scontro, hanno tanto più evidenziato i limiti profondi di questi sindacati (USB, CUB, Confederazione Cobas..), prevalentemente legati alla natura politica centrista dei loro gruppi dirigenti: logiche autocentrate (“proprie” scadenze di sciopero e di lotta, spesso senza rapporto con la dinamica e i tempi della mobilitazione di massa); teorizzazioni in qualche caso dell'irrilevanza del proletariato industriale e del superamento del sindacato di classe verso un “sindacato metropolitano” (come nel caso dell'USB); rissosità reciproca con veti incrociati e logiche di “primogenitura” (ostacolando azioni sindacali comuni); contrapposizione ad azioni di massa radicali , quando si è svolto un ruolo dirigente su settori di massa (SDL nel 2008 in Alitalia); assenza o carenza di regole interne democratiche (in particolare nella USB). - 30 - 3° Congresso del PCL DOCUMENTO 1 – POLITICO - ed EMENDAMENTI Il PCL è impegnato incondizionatamente a difendere e sviluppare i diritti dei sindacati di base contro ogni normativa concertativa o corporativa mirata a cancellarli o ridurli. Al tempo stesso la battaglia per una svolta unitaria e radicale del movimento operaio passa anche per una battaglia contro i limiti del sindacalismo di base. Che spesso avvantaggiano il controllo della burocrazia CGIL sul movimento reale delle masse e ostacolano lo sviluppo di una direzione delle lotte alternativa. La battaglia contro i limiti del sindacalismo di base è un risvolto della battaglia politica contro il centrismo. Organizzazioni centriste, prive di una reale prospettiva rivoluzionaria, hanno fondato (e/o controllano) “propri” sindacati in ragione dei propri interessi politici: o come strumento di demarcazione e autoconservazione di gruppo (la Rete dei Comunisti con RDB e USB); o come strumento di relazioni pubbliche e di movimento (Bernocchi con i Cobas). Cogliere la valenza politica dei limiti del sindacalismo di base è importante per la battaglia dei rivoluzionari che militano nelle loro fila. Anche dentro i sindacati di base è dunque necessario lavorare alla costruzione di tendenze rivoluzionarie, sulla base di un programma e di un'azione sindacale di classe. PER UN'EGEMONIA “DEMOCRATICA” DI CLASSE SUL TERRENO DELLA BATTAGLIA I marxisti rivoluzionari non confondono la centralità di classe coll’ambito economico sindacale. All'opposto si battono per un'egemonia di classe su ogni terreno di lotta e in ogni movimento socialmente o politicamente progressivo (ambientalista, di genere, anticlericale, antirazzista, antifascista, antimperialista..).Il secondo congresso del PCL ha affrontato, in questa direzione, l'articolazione di settore dell'intervento rivoluzionario. Oggi la gravità della crisi della seconda repubblica e lo sviluppo di tendenze reazionarie aggiunge una particolare rilevanza alla battaglia di egemonia di classe sul terreno di lotta “democratico”, in tutte le sue forme ed espressioni. L'antifascismo anticapitalista Sul terreno dell'antifascismo vanno contrastate apertamente le concezioni tradizionali della sinistra. Tanto più a fronte dell'attuale crisi sociale e dello sviluppo reale - seppur molto disomogeneo - di aree fasciste militanti in realtà degradate metropolitane e in alcuni ambienti studenteschi. Per le sinistre riformiste l'antifascismo è un puro richiamo di “valore” con cui giustificare la subordinazione alla borghesia “democratica” dentro il comune richiamo alla Costituzione (borghese). Per la composita area centrista l'antifascismo è separato da una prospettiva rivoluzionaria: per questo talvolta si trasforma, in alcuni settori, in un riferimento totalizzante, spesso combinato con una mitologia indistinta della Resistenza e una logica di pressione sullo Stato (ieri “MSI fuori legge”, oggi “Casa Pound fuori legge”). I rivoluzionari, tanto più oggi, assumono invece l'antifascismo come parte integrante e inseparabile della battaglia anticapitalista per un governo dei lavoratori: l'unico che possa estirpare le radici sociali e politiche del fascismo. Per questo legano l'azione antifascista all’egemonia di classe nei settori oppressi e sfruttati. Rivendicano il fronte unico di classe antifascista contro ogni subordinazione ai liberali. Promuovono la sfiducia nello Stato borghese “democratico”, denunciandone ipocrisia e connivenze con l'estrema - 31 - 3° Congresso del PCL DOCUMENTO 1 – POLITICO - ed EMENDAMENTI destra. Rivendicano il diritto all'autodifesa dallo squadrismo da parte di ogni soggetto aggredito o minacciato (lavoratori, migranti, studenti), incoraggiando l'autorganizzazione della loro forza contro ogni affidamento allo Stato. Su queste basi, il PCL si impegna a sviluppare una tendenza rivoluzionaria in ogni ambito di fronte comune antifascista (Comitati antifascisti, ANPI..). Contro ogni subordinazione alla magistratura borghese La stessa battaglia di egemonia si pone, su scala più ampia, sul terreno dello scontro politico/istituzionale. Questo terreno è reso complesso non solo dall'arretramento dei rapporti di forza. Ma dalla forte influenza esercitata da impostazioni populiste/giustizialiste (Il Fatto, Travaglio, ecc), che combinano il richiamo feticistico alla Costituzione borghese del 1948 con il sostegno alla Magistratura borghese e ai suoi poteri, il silenzio o l'ambiguità verso la repressione dei movimenti sociali (Caselli), specifiche posizioni reazionarie (abolizione del finanziamento pubblico dei partiti; inasprimento delle pene carcerarie; legge elettorale maggioritaria); subalternità alle campagne liberiste (come per i dipendenti pubblici). Questo fronte neo populista ha fatto e fa leva sulla crisi del PD e sulla contrapposizione a Berlusconi per candidarsi all'egemonia nel campo di riferimento del centrosinistra, anche con aperture e sostegni diretti al grillismo. La subordinazione ripetuta delle sinistre cosiddette “radicali” a questo fronte (prima a Di Pietro, poi a Ingroia..) ha contribuito ad ampliare varchi e spazi di questa cultura nel movimento operaio Il PCL si è contrapposto e si contrappone ad ogni subordinazione dei lavoratori e movimenti a questa cultura giustizialista. La nostra contrapposizione alla candidatura Ingroia aveva tra l’altro questa valenza di classe. Naturalmente siamo e saremo parte di ogni movimento di massa animato da una domanda democratica, fosse pure distorta, in contrapposizione a Berlusconi, al presidenzialismo e ai disegni bipartisan di “riforma istituzionale” oggi allo studio. Così come siamo a difesa incondizionatamente di spazi e diritti democratici riconosciuti dalla Costituzione borghese, contro ogni loro cancellazione o limitazione. Ma lo siamo con la piena autonomia di una angolazione di classe, proprio per questo coerentemente democratica, in contrapposizione alle posizioni liberali e populiste: 1. Contro ogni subordinazione alla Magistratura borghese. 2. Per la difesa incondizionata di ogni lotta, movimento, realtà d'avanguardia che sia oggetto della repressione giudiziaria e poliziesca. 3. Per l'amnistia verso i cosiddetti reati sociali e di lotta. 4. Per una legge elettorale interamente proporzionale, ad ogni livello, in nome del principio della rappresentanza democratica contro la truffa della “governabilità” borghese. Anche sul terreno democratico si tratta dunque di lottare per l'autonomia del movimento operaio. Subordinando la battaglia democratica alla lotta anticapitalista per una Repubblica dei lavoratori. L'unica lotta capace di orientare una battaglia coerente sullo stesso terreno democratico. L'unica soluzione capace di realizzare una democrazia vera. PER UNA REPUBBLICA DEI LAVORATORI La Repubblica dei lavoratori è l'alternativa di fondo alla crisi della Repubblica borghese. La battaglia per il governo dei lavoratori è in funzione di questa prospettiva: quella di un - 32 - 3° Congresso del PCL DOCUMENTO 1 – POLITICO - ed EMENDAMENTI cambio di classe della natura stessa dello Stato. Della sua base sociale, e di riflesso della sua organizzazione e struttura. L'intera vicenda della Seconda Repubblica documenta la bancarotta morale delle classi dominanti e di tutti i loro partiti. La Seconda Repubblica fu celebrata 20 anni fa come la nuova pagina della moralizzazione politica e della democrazia, grazie all'intervento della Magistratura, al “primato del mercato”, alla riforma elettorale maggioritaria. E’ accaduto l'opposto: un'espansione ulteriore della corruzione pubblica e privata, alimentata dalle privatizzazioni e dalla personalizzazione della politica dominante; e insieme l'ampliamento bipolare della rappresentanza borghese contro le ragioni del lavoro e della maggioranza della società. Nel nome della governabilità anti operaia delle politiche di rapina comandate dal grande capitale. Al fallimento della Seconda Repubblica non si può replicare con la nostalgia della Prima, nel nome della Costituzione del 1948. L'intera storia della Prima Repubblica ha rivelato l'ipocrisia di quella Costituzione. La Costituzione non fu “figlia della Resistenza”, ma del suo tradimento per opera dello stalinismo (governo De Gasperi/Togliatti). Il suo fine fu quello di mascherare dietro promesse solenni la ricostruzione del capitalismo e del suo Stato, contro il proletariato. L'evocazione del suo mito da parte del riformismo è servita a subordinare il movimento operaio allo Stato borghese, contro ogni prospettiva di emancipazione sociale. In realtà la cosiddetta “democrazia italiana” è stata una maschera della dittatura del capitale sul lavoro. Che non ha esitato a violare gli stessi principi “democratici”, usando la violenza nelle piazze (Scelba), strumenti militari paralleli (Gladio), iniziative e complicità stragiste (strategia della tensione), al pari di ogni democrazia borghese. Tangentopoli fu la confessione conclusiva della verità della Prima Repubblica e del suo Stato. E il cambio istituzionale della Seconda Repubblica fu diretta, non a caso, dalle stesse classi che avevano sostenuto la Prima, contro le stesse classi che ne furono vittima, entro lo stesso apparato borghese dello Stato. Secondo l'antico canovaccio del trasformismo. Non c'è reale alternativa alla crisi della Repubblica senza rottura rivoluzionaria con lo Stato borghese. Senza edificare un altro Stato e un'altra Costituzione: che sanciscano il potere reale dei lavoratori e della maggioranza della società, contro la falsità della “democrazia” capitalista, e fuori da ogni equivoco burocratico. Il potere dei lavoratori, quale strumento di trasformazione rivoluzionaria, non può che basarsi sull'autorganizzazione democratica e di massa dei lavoratori stessi. Su organismi da loro eletti, diretti, controllati, a partire dai luoghi di lavoro e dal territorio ; sulla revocabilità degli eletti; sull'assenza di ogni privilegio rispetto agli elettori; sul coordinamento democratico degli organismi di massa, su scala nazionale; sull'unificazione delle funzioni legislative ed esecutive; sulla forza organizzata dei lavoratori stessi; sul loro potere decisionale sui grandi indirizzi dell'economia e della società. Sono i principi della democrazia rivoluzionaria consiliare, su cui è nato il movimento comunista (Comune di Parigi e Soviet russi). Sono la concretizzazione della dittatura del proletariato come forma superiore di democrazia, in alternativa alla democrazia borghese quale dittatura mascherata del capitale. Il fallimento dello Stato borghese - quale regno dell'arbitrio, del privilegio, della corruzione, della separatezza burocratica dalle grandi masse - misura l'attualità storica di questa alternativa di potere. La lotta per la Repubblica dei lavoratori non deve essere relegata al futuro. In ogni lotta immediata del mondo del lavoro, e di ogni settore oppresso e sfruttato, i rivoluzionari debbono far vivere nelle forme opportune, la prospettiva e la possibilità di un altro - 33 - 3° Congresso del PCL DOCUMENTO 1 – POLITICO - ed EMENDAMENTI potere. Non solo spiegando ai lavoratori, controcorrente, le potenzialità della loro forza. Ma incoraggiando ovunque possibile l'autorganizzazione dei lavoratori e degli sfruttati. Proporre, a certe condizioni, che una lotta di massa radicale, anche aziendale, esprima un consiglio di delegati quale nuovo organismo di rappresentanza e direzione della lotta; proporre un'assemblea nazionale di delegati eletti sui luoghi di lavoro come sede democratica di definizione di una piattaforma di lotta; proporre che in un movimento degli studenti, le assemblee di scuole o università eleggano un coordinamento nazionale di delegati revocabili come organismo democratico di rappresentanza e di lotta: non significa solo avanzare proposte funzionali allo sviluppo di una mobilitazione. Sono anche una forma embrionale di introduzione, nel vivo della lotta, della prospettiva di un altro potere, di un altro Stato, di un'altra democrazia. Sono un ponte gettato tra la coscienza delle masse e la Repubblica dei lavoratori. Le sinistre riformiste e centriste rifiutano queste parole d'ordine non semplicemente perché sono “meno radicali”. Ma perché respingono una prospettiva reale di potere dei lavoratori. O nel nome della Costituzione borghese. O nel nome della “democrazia partecipativa”. O nel nome della mitologia bonapartista del “chavismo” I comunisti, al contrario, assumono la lotta per la Repubblica dei lavoratori come il cuore di tutta la propria politica. LA NECESSITA’DEL PARTITO RIVOLUZIONARIO La necessità della costruzione di un partito comunista rivoluzionario discende dall'insieme dei compiti richiesti da una prospettiva rivoluzionaria. Battersi per una soluzione socialista, quale unica via d'uscita dalla crisi. Battersi per la conquista del potere politico da parte della classe, fondato su suoi organismi democratici di massa. Costruire il ponte, in ogni lotta, tra coscienza delle masse e necessità della rivoluzione. Lottare per l’indipendenza del movimento operaio e di ogni movimento dalle forze borghesi e populiste. Contrastare le burocrazie riformiste, politiche e sindacali, per la conquista delle masse a un programma di rivoluzione. Battersi per una egemonia anticapitalista nel movimento operaio e al tempo stesso per un'egemonia anticapitalistica e di classe sull'insieme dei movimenti di lotta progressivi e dei settori oppressi. Ricondurre le lotte nazionali del movimento operaio all'interesse internazionale del proletariato e della prospettiva socialista mondiale. Rimuovere uno di questi compiti di azione significa rinunciare alla prospettiva rivoluzionaria o comprometterla. Al tempo stesso solo un partito rivoluzionario può combinare l'insieme di questi compiti, integrarli in un piano organico di lavoro, costruire un'organizzazione di quadri e militanti coscienti capace di perseguirli, in ogni ambito e su ogni terreno. Tutta l'esperienza storica del movimento operaio, e l’esperienza attuale della lotta di classe internazionale, mostra l'indispensabilità della costruzione del partito rivoluzionario, su scala nazionale e mondiale. Quanto più si amplia il divario tra la necessità della rivoluzione socialista e l'arretratezza della coscienza dei lavoratori, tanto più si pone la necessità di un partito che lavori per sormontare questo divario. Senza questo partito, senza lo sviluppo della sua egemonia alternativa, i più grandi movimenti di massa sono destinati ad essere egemonizzati dagli organizzatori della loro sconfitta. Chi contrappone “i movimenti” alla costruzione del partito rivoluzionario, lavora in realtà - 34 - 3° Congresso del PCL DOCUMENTO 1 – POLITICO - ed EMENDAMENTI per la sconfitta dei movimenti. Tutta l'esperienza dei movimenti di massa negli ultimi 20 anni è la conferma di questa verità. La crisi verticale della sinistra italiana In Italia la costruzione del partito rivoluzionario è resa straordinariamente attuale dal combinarsi di due fattori. Non solo il divario tra l'arretramento della coscienza dei lavoratori e la precipitazione della crisi delle classi dirigenti, ma il fallimento e il crollo della vecchia sinistra politica. La maggioranza della burocrazia del PCI sciolse il proprio partito per accelerare la propria scalata al governo, contro i lavoratori. Puntando progressivamente a costruirsi come riferimento del grande capitale al posto della vecchia DC. I governi di centrosinistra, col loro carico di lacrime e sangue per i lavoratori, erano il banco di prova di questa ricerca di investitura. I DS furono l'incubatore del PD. I gruppi dirigenti di Rifondazione - in tutta la loro evoluzione, nomenclatura, scomposizione - hanno investito un grande patrimonio di attese dell'avanguardia di classe in una prospettiva di centrosinistra: in una ciclica subordinazione ai suoi governi borghesi, nazionali e locali, e alle loro politiche contro riformatrici. L'approdo nel governo Prodi, col voto ai sacrifici e alla guerra in cambio di incarichi ministeriali e istituzionali non fu “un errore”, ma il coronamento del lungo corso bertinottiano cui si subordinarono di volta in volta - pienamente o criticamente - le componenti fondamentali del partito, con la nostra eccezione. Il combinato disposto di questi processi non ha solo rappresentato il tradimento del movimento operaio e dei suoi interessi. Ma ha anche prodotto, come effetto ultimo, la crisi verticale della sinistra politica, quale forma distorta di rappresentanza del movimento operaio. Aprendo un vuoto politico che è divenuto rapidamente terreno di pascolo di scorribande populiste, giustizialiste, qualunquiste. La costruzione del partito rivoluzionario è dunque anche un investimento nella ricostruzione della sinistra, sulla base di un bilancio storico degli ultimi 20 anni che documenta la crisi del riformismo dentro la crisi di uno spazio storico riformista. Una sinistra che ambisca a costruirsi come sinistra di governo del capitalismo in crisi, non solo è votata a cogestire le politiche del capitale contro il lavoro, ma è esposta perciò stesso, prima o poi, a cicliche crisi distruttive. L'intera storia del PRC lo dimostra. Una sinistra può rilanciarsi su basi solide solo attorno ad un programma rivoluzionario. L'unicità del PCL e la sua costruzione indipendente [qui emendamento POL5, sostitutivo del capitolo, testo a p. 53] Il Partito Comunista dei Lavoratori è, ad oggi, l'unico partito in Italia a fondarsi su un programma comunista rivoluzionario (centralità della lotta per il potere dei lavoratori). E dunque sull'insieme organico delle conseguenze strategiche e tattiche che discendono da quel programma. Non esiste oggi un’articolazione plurale di organizzazioni marxiste rivoluzionarie, come ad es. in Argentina (Frente de Izquierda): se vi fosse (e se un domani vi sarà) sarebbe non solo possibile ma necessario ricercare un’unificazione, realizzando per questa via un salto in avanti della costruzione del partito rivoluzionario. Ma così oggi non è. In Italia la costruzione del partito rivoluzionario passa per la costruzione del Partito comunista dei Lavoratori: per l'adesione al suo programma del settore più cosciente - 35 - 3° Congresso del PCL DOCUMENTO 1 – POLITICO - ed EMENDAMENTI dell'avanguardia di classe e dei movimenti, e di tutti i militanti e gli attivisti della sinistra che cercano un'alternativa alla bancarotta dei suoi gruppi dirigenti. L'unicità del PCL non contraddice la ricerca della più ampia unità d'azione con altre formazioni della sinistra, la politica del fronte unico di classe. Preclude viceversa ogni rinuncia al nostro programma indipendente, ogni unificazione con altri programmi, ogni subordinazione ad altri programmi. Le diverse proposte “unitarie” - l'una contro le altre armate - che costellano l'attuale dibattito della sinistra si fondano su altre prospettive. La “costituente della sinistra” evocata da Sel mira a raggruppare attorno a Vendola l'ennesima sinistra di governo del centrosinistra, anche eventualmente allargato a destra. La proposta dell'ex ministro Ferrero di “unire la sinistra” in alternativa al PD, oltre a convivere coi governi PD/PRC in Regioni e città, ripropone il canovaccio di un programma riformista “antiliberista”: ed ha come unico scopo quello di salvare il gruppo dirigente ferreriano dal naufragio politico post Ingroia. La proposta di Alba rinnova l'illusione di un “nuovo modello di sviluppo” in ambito capitalistico, partendo da un municipalismo “alternativo”: riflette la volontà (e velleità) di gruppi intellettuali della sinistra riformista di ritagliarsi uno spazio politico in proprio sulle rovine di Rifondazione e sulle contraddizioni di Sel. L'operazione Rossa (Cremaschi, Turigliatto, Russo Spena, Rete dei Comunisti) combina l'opposizione al PD e al centrosinistra col recupero dell’armamentario centrista: apologia dei movimenti, rimozione della prospettiva del potere e di un programma transitorio, rifiuto della costruzione del partito rivoluzionario; con una impostazione che consente il coinvolgimento di aree del PRC, lasciando irrisolto il nodo del rapporto con Rifondazione. L'operazione somma in sé mire diverse: salvare dal naufragio un pezzo di Sinistra Critica dopo la sua dissoluzione, dare uno sbocco politico all'esperienza di Cremaschi, dare a Ferrero uno spazio di manovra a sinistra. La somma delle contraddizioni prevede un esito incerto. Infine le diverse proposte di “unità dei comunisti”, avanzate ciclicamente dal PDCI e da una galassia di gruppi stalinisti, riflettono solo la pervicace volontà di utilizzare il richiamo “comunista” per rilanciare l'identità dello stalinismo. Peraltro l'”unità dei comunisti” a prescindere da principi e programmi, ha già incorniciato la disfatta di Rifondazione. Contrastare questa mistificazione è un atto di verità e di bilancio. La difesa dell'autonomia del PCL non è dunque un atto di autoconservazione. E’ la difesa del programma rivoluzionario e della costruzione del partito rivoluzionario, nell'interesse del movimento operaio. La difesa di questo programma è il recupero della memoria storica del marxismo rivoluzionario e dell'avanguardia rivoluzionaria del movimento operaio del 900. E al tempo stesso un suo investimento nel futuro della lotta di classe: in una stagione storica di grande crisi del capitalismo e del riformismo, che riattualizza in modo straordinario proprio la ricchezza della tradizione rivoluzionaria del leninismo. [qui inserire emendamento POL6, testo a p. 54-56] - 36 - 3° Congresso del PCL DOCUMENTO 1 – POLITICO - ed EMENDAMENTI IV PARTE LA LINEA DI COSTRUZIONE DEL PCL La costruzione del PCL va perseguita in un quadro inedito di estrema instabilità degli assetti politici, dello scenario di movimento, delle dinamiche della sinistra politica. LA NOSTRA LINEA DI COSTRUZIONE NELLA PROSSIMA FASE In altre fasi, la linea di costruzione del partito rivoluzionario ha potuto dotarsi di un’organicità di progetto. Così è stato nella lunga fase di raggruppamento all'interno del PRC, che ha fatto da gestazione del PCL: quando investimmo strategicamente nel processo di ricomposizione politica del movimento operaio italiano dopo il crollo del Muro di Berlino, ai fini dell'accumulo originario e della qualificazione programmatica di un settore dell'avanguardia, contro le componenti riformiste e centriste del PRC. Così è stato al compimento di quel processo, con la nascita del PCL: quando investimmo sulla rottura con Rifondazione, a conclusione del suo ciclo politico di opposizione, dentro lo spazio politico liberato dal suo coinvolgimento di governo, ai fini dello sviluppo indipendente del nostro partito. Il nostro secondo Congresso ha già tracciato un primo bilancio di questo percorso, contestualizzando i successi ma anche i limiti dei risultati ottenuti, come vuole l'onestà del metodo marxista. Su questo passaggio sarà indispensabile tornare in futuro nel quadro di un bilancio complessivo della nostra costruzione. Nella fase attuale, non si delineano le condizioni per definire un organico progetto di costruzione attorno ad un asse strategico centrale. Non si delinea cioè una direzione, uno specifico fronte, in cui investire un progetto di possibile sfondamento e di salto dell'accumulazione delle forze. Non, allo stato, sul versante del lavoro di massa: sia per le dinamiche della lotta di classe; sia ancora per l'esiguità del nostro radicamento, in termini di concentrazione di forze e direzione di situazioni di lotta e di movimento. Non, allo stato, sul versante della crisi della sinistra. perché è prevalentemente implosiva, non definisce linee chiare né di rottura né di ricomposizione; e perché il PCL non dispone ancora della massa critica per polarizzare su di sè forze consistenti. Nel presente dobbiamo definire una linea di costruzione che punti a consolidare le nostre forze, con un piano di lavoro che incida sulla quotidianità della nostra azione. Senza porre in alternativa “lavoro di massa” e “intervento sulla sinistra”,. Ma lavorando a costruirci su entrambi i versanti, gestendo l'equilibrio di questo lavoro, razionalizzandolo, puntando a guadagnare nuove posizioni su entrambi i lati, con un lavoro metodico e regolare. Per conquistare una posizione soggettiva di maggior forza che ci consenta di intercettare domani possibili brusche svolte e accelerazioni della situazione oggettiva: sia che esse maturino in direzione di esplosioni sociali e dinamiche di movimento; sia che maturino in direzione della precipitazione di processi di crisi e ricomposizione a sinistra. LA RAZIONALIZZAZIONE DEL NOSTRO LAVORO DI MASSA Sul versante dell'intervento di massa, dobbiamo curare, organizzare, consolidare un lavoro che spesso conduciamo disordinatamente. - 37 - 3° Congresso del PCL DOCUMENTO 1 – POLITICO - ed EMENDAMENTI Propaganda e agitazione Per costruire il ponte tra l'arretratezza della coscienza e la necessità della rivoluzione, il lavoro di propaganda svolge un ruolo insostituibile: presentazione del programma socialista; articolazione transitoria del programma; articolazione delle nostre parole d'ordine di fase. Questa attività è tanto più centrale per un piccolo partito come il nostro, il cui principale fattore di richiamo e reclutamento è dato dal profilo complessivo del proprio programma e della propria proposta, più che dall'impatto sul movimento delle masse. Al tempo stesso, pur essendo ancora un partito dedito principalmente ad una attività propagandistica nella lotta politica e di classe, il PCL non può limitarsi alla propaganda. Deve cercare di aprire varchi per l'agitazione delle proprie parole d'ordine e per la loro sperimentazione nel movimento di lotta, sempre in rapporto con la sua dinamica (anche in relazione a singole lotte aziendali o di settore, o a singoli passaggi dello scontro politico). Con la consapevolezza che, a certe condizioni, singole esperienze di lotta possono essere detonatrici di radicalizzazioni più estese. Che in casi eccezionali anche una piccola minoranza rivoluzionaria può essere determinante. Che forgiare nostri agitatori è in ogni caso un aspetto importante della nostra costruzione. Si tratta di bilanciare il ruolo centrale della propaganda con esperienze di agitazione di massa secondo un criterio razionalizzato. In particolare nell'intervento sulla classe operaia. Evitando, nella misura del possibile, l'empirismo e l'improvvisazione. Il criterio di selezione delle situazioni di intervento In questi anni di crisi capitalista, abbiamo a volte combinato nel nostro agire comportamenti difformi. Da un lato il disimpegno dall'intervento aziendale e di fabbrica, non cogliendone la centralità (il volantino al mercato considerato prioritario o equivalente al volantino di fabbrica). Dall'altro l'inseguimento di tutte le situazioni di crisi aziendali del proprio territorio, senza criterio politico e con dispersione di forze. Dobbiamo correggere questi atteggiamenti, sulla base di un criterio generale che dia uniformità e maggiore efficacia al nostro lavoro di massa.cSi tratta di selezionare, in ogni realtà, le situazioni di lavoro su cui intervenire con la diffusione periodica del nostro volantino e del nostro giornale. Il criterio di selezione deve privilegiare l'importanza politico/sindacale dell'azienda, la sua consistenza, la presenza di nostri compagni e/o di nostri interlocutori politici, la dinamica di lotta. La situazione di crisi aziendale non può essere l'unico criterio del nostro intervento. La nostra stessa credibilità presso una azienda in crisi dipende dall'intervento o non intervento che vi abbiamo condotto prima. Ciò vale, a maggior ragione, per le possibilità di nostro radicamento in quelle realtà. Rafforzare il lato politico del nostro intervento di massa E’ importante curare il profilo politico del nostro intervento di massa. Spesso il nostro intervento, come PCL, su una realtà aziendale si limita alle problematiche specifiche di quella azienda, o al versante generale delle questioni “economico/sindacali”. E’ un errore. Naturalmente un intervento mirato al radicamento non può e non deve esulare da queste tematiche. E del resto parte decisiva della nostra proposta investe la dimensione dell'azione sindacale (vertenza generale). Ma ridurre alla sola sfera sindacale il nostro intervento sui luoghi di lavoro contraddice due ragioni di fondo. - 38 - 3° Congresso del PCL DOCUMENTO 1 – POLITICO - ed EMENDAMENTI La prima è che un partito leninista ha il compito di sviluppare la coscienza delle masse, e innanzitutto della loro avanguardia, educandole a leggere da un punto di vista di classe l'insieme degli accadimenti politici, nazionali e internazionali, e l'insieme delle questioni sociali, ben oltre la soglia della dimensione sindacale. La polemica di Lenin contro l'economicismo resta una lezione di scuola attualissima (Che Fare). Un volantino di fabbrica su Grillo o la rivoluzione nei paesi arabi non ha meno valore di un volantino “sindacale”. La seconda è che tanto più un piccolo partito come il nostro ha la necessità di sviluppare una propaganda complessiva sul proprio programma. Anche a fronte della nostra difficoltà, per la nostra debolezza, a configurarci come strumento utile sul terreno immediato dello scontro (aziendale e/o sindacale). Il potenziamento del lato politico del nostro intervento investe innanzitutto il centro del PCL, in ordine al carattere dei volantini periodici da girare al partito. E al tempo stesso riguarda le sue articolazioni locali e di settore. [qui inserire emendamento POL7, testo a p. 56] L'intervento dei nostri militanti nelle proprie situazioni di lavoro In questo quadro va curato in particolare l'intervento nelle proprie situazioni di lavoro. Ancora registriamo qualche fenomeno di dissociazione tra militanza nel PCL e disimpegno dall'intervento nel proprio luogo di lavoro: per cui un militante “esemplare” nella propria sezione o nel territorio non milita nella propria azienda, né politicamente, né sindacalmente. Come talora registriamo qualche fenomeno di sdoppiamento tra il livello politico della proposta del partito e il profilo dell'intervento aziendale: per cui un militante del PCL che aderisce al programma rivoluzionario del partito, poi riduce l'intervento nella propria azienda alla sola dimensione sindacale. Questi limiti vanno superati, con un duplice livello di attenzione, nazionale e locale. E’ innanzitutto una questione di principio: un militante rivoluzionario del PCL è un militante rivoluzionario nella lotta di classe. E la prima frontiera della lotta è quella del proprio luogo di lavoro. In secondo luogo è una questione vitale nella costruzione di un possibile ruolo dirigente o di riconoscibilità politica dei nostri compagni/e in dinamiche di lotta delle proprie situazioni di lavoro. In terzo luogo è questione di omogeneizzazione del nostro intervento: la compattezza con cui un corpo militante di partito sviluppa le proprie campagne e parole d'ordine è un misuratore dell'efficacia politica delle campagne e della stessa forza d'immagine del partito (v. Trotsky nel dialogo coi compagni del SWP nel 37/38). Che a sua volta è un potente fattore d'attrazione e di costruzione. Il radicamento del PCL nelle organizzazioni di massa e di movimento In questo quadro, va curato l’inserimento di tutti i nostri militanti in organizzazioni di massa e di movimento. Molti sono ancora i casi di nostri compagni/e, che non hanno iscrizione sindacale. E’ una lacuna che va corretta. Ogni nostro lavoratore, precario, pensionato deve avere una collocazione sindacale. Questa collocazione, liberamente scelta, va definita anche in rapporto alle specificità di settore. Ma l'indicazione prioritaria per i nostri militanti non ancora iscritti ad alcun sindacato è quella della iscrizione alla CGIL, fatto salvo le situazioni in cui sindacati di base anticoncertativi abbiano una reale - 39 - 3° Congresso del PCL DOCUMENTO 1 – POLITICO - ed EMENDAMENTI rappresentanza tra i lavoratori dell’azienda e/o del comparto e sostengano vertenze legate ai bisogni reali dei lavoratori e utili ai fini di una svolta unitaria e radicale del movimento operaio (esempi la lotta dei lavoratori del San Raffaele e della logistica). Inoltre si raccomanda che tale iscrizione sia concordata con gli organismi dirigenti del partito tenendo conto anche della nostra battaglia per l’egemonia programmatica nella nuova componente “Rete 28 Aprile - opposizione CGIL” . Più in generale va curato l'inserimento dei nostri compagni nelle organizzazioni di massa e nelle realtà di movimento, secondo un piano di distribuzione delle forze finalizzato al radicamento. Ogni militante del PCL deve avere una propria trincea di combattimento (sia essa una struttura di quartiere, un comitato antifascista, un comitato ambientalista..) Il secondo Congresso ha definito un’impostazione per l'intervento nei diversi settori. Il presupposto di questo intervento è un inserimento attivo di tutti i nostri compagni nelle realtà di settore. Nel metodo si tratta di lavorare in ogni ambito di movimento e di intervento per una prospettiva di raggruppamento di tendenze rivoluzionarie, basate sul nucleo delle nostre rivendicazioni di settore in rapporto alla lotta per un governo dei lavoratori. Queste tendenze rivoluzionarie non sono da considerare “frazioni di partito” (i militanti del PCL di un determinato settore). Devono essere il raggruppamento di un’avanguardia attorno all'intervento della nostra componente. Il rapporto tra componente di partito e tendenze di settore non è quello del comando, ma quello dell'egemonia politica. Si tratta dell'applicazione, sul versante di massa, della politica del raggruppamento rivoluzionario. Il lavoro di costruzione di queste tendenze non è lineare. Tanto più in una situazione di arretratezza della coscienza dei movimenti e di nostra debolezza, può anche passare attraverso un inserimento in tendenze di sinistra più larghe, che in questo o quell'altro settore, nazionalmente o localmente, si rivelino un veicolo di differenziazione classista e maturazione dell'avanguardia. L'essenziale è la chiarezza dell'obiettivo e del metodo di lavoro. L'esperienza avviata dei CSR nelle università e nelle scuole, il nostro lavoro nella opposizione interna in CGIL, investono in forme e contesti diversi questo terreno di riflessione. Rappresentano un laboratorio per l'intero partito. Le campagne nazionali di ragruppamento tematico Su questo livello di lavoro ordinario (da conquistare), va verificata, di volta in volta, la possibilità di innestare un livello superiore di intervento. Possiamo sperimentare, a certe condizioni, operazioni di raggruppamento d'avanguardia attorno a specifiche campagne su rivendicazioni caratterizzanti. Come quella sviluppata sulla nazionalizzazione delle aziende in crisi, tramite la raccolta di un pronunciamento in seno all'avanguardia. Il fine di queste campagne, essenzialmente propagandistiche, non è solo quello di avanzare rivendicazioni corrette nella lotta di classe. Ma è anche quello di far leva su una specifica parola d'ordine rivoluzionaria per avvicinare al nostro programma complessivo un settore più largo dell'avanguardia, in funzione della nostra costruzione e radicamento. La costruzione di un'area di simpatizzanti del PCL nel popolo della sinistra muove anche dallo sviluppo di questo profilo d'intervento. - 40 - 3° Congresso del PCL DOCUMENTO 1 – POLITICO - ed EMENDAMENTI Per la conquista di ruoli di direzione nelle lotte A sua volta lo sviluppo di queste campagne di raggruppamento è legato alla conquista di situazioni di nostro radicamento su cui far leva ( direzione di una lotta, ruolo centrale in una battaglia di massa..). Questo è ad oggi un limite della nostra costruzione. Disponiamo di una presenza nazionale relativamente diffusa: incomparabilmente la più larga a sinistra del PRC. Ma ancora non dirigiamo situazioni di lotta significative capaci di un richiamo generale. Né disponiamo di presenze concentrate in aziende o categorie. La contraddizione tra l'essere il soggetto più significativo dell'estrema sinistra, e l'avere un livello di concentrazione minore (talvolta) di soggetti concorrenti anche molto più piccoli, è un fattore che riduce il nostro impatto e la potenzialità di sviluppo. Il nostro lavoro, da qui al prossimo congresso, dev'essere mirato al superamento di questa contraddizione. In questo quadro assume una valenza politica importante per l'intero partito lo sviluppo, in diverse città, del nostro lavoro studentesco: sul terreno dell'accumulazione delle forze, ma anche della potenziale conquista di un ruolo dentro una possibile dinamica di ripresa del movimento. [qui inserire emendamento POL8, testo a p. 56-67] L'INTERVENTO SULLA CRISI DELLA SINISTRA Parallelamente, l'intervento sulla crisi della sinistra è un aspetto importante del nostro lavoro di costruzione. Non è l'asse centrale, come fu nella fase iniziale della nostra costruzione. Già il nostro secondo congresso razionalizzava la conclusione della fase “del raggruppamento” incentrata sull'investimento centrale nella crisi del PRC, a seguito di una modifica delle condizioni politiche che l'avevano determinata (fine del governo Prodi, avvento di Berlusconi e ricollocazione delle sinistre all'opposizione, affermazione di Ferrero su Vendola al congresso del PRC). E sanciva il passaggio alla fase della “delimitazione” del PCL: delimitazione programmatica e strategica dalle organizzazioni riformiste e centriste della sinistra, quale terreno di chiarificazione delle nostre ragioni di forza marxista rivoluzionaria indipendente. Questa politica, unita al nostro intervento di massa, ci ha consentito di reggere il cambio di situazione; di preservare le nostre forze; di consolidare la nostra presenza, il nostro piccolo spazio pubblico, anche attraverso la presentazione, ovunque possibile, alle elezioni. Ma dentro un quadro di rapporti di forza sostanzialmente immutato. L'ultima fase registra elementi di novità, che possono incidere parzialmente sulle nostre dinamiche di costruzione. Il processo strisciante di dissoluzione della Federazione della Sinistra. Il crollo dell'operazione Ingroia. La dissoluzione di Sinistra Critica. L'ingresso in Parlamento di Sinistra e Libertà quale unica rappresentanza istituzionale della sinistra sullo sfondo della crisi drammatica del PD, configurano, da versanti diversi, una fase di destrutturazione. Che può anche aprire spazi per confuse operazioni centriste (v. Rossa). Ma che determina al tempo stesso nuove condizioni e opportunità del nostro intervento. Un intervento proporzionale alle nostre forze, ma da sviluppare nella sua specificità. L'attenzione al “popolo della sinistra” Nell’intervento di classe e di massa va rivolta particolare attenzione alla relazione con un popolo di sinistra allo sbando. Non può essere il nostro unico punto di riferimento e - 41 - 3° Congresso del PCL DOCUMENTO 1 – POLITICO - ed EMENDAMENTI dobbiamo essere pronti a dialettizzarci a più ampio raggio con l'eventuale attivizzazione di nuovi settori di massa, nel caso di brusche svolte della situazione. Ma, ad oggi, il riferimento prioritario del nostro intervento politico non può essere indistinto. Né può privilegiare il bacino protestario del grillismo: perché anche quando esso coinvolge settori di classe, registra una dinamica di passivizzazione qualunquista e di arretramento della coscienza, non di radicalizzazione. Il nostro riferimento centrale dev'essere il settore di massa del mondo del lavoro e della sua avanguardia larga che cerca “a sinistra” una rappresentanza delle proprie ragioni di classe e che per questo può entrare in collisione con i gruppi dirigenti delle sinistre. I nostri volantini, la nostra propaganda, deve cercare di parlare a questo mondo. Facendo leva sul suo embrione di coscienza per svilupparlo in direzione rivoluzionaria. Questo approccio va articolato nell'intervento sulle diverse sinistre e sulla loro crisi. Il nostro intervento sulla crisi del PRC La crisi del PRC è profonda. Non sancisce necessariamente la sua scomparsa. Ma certo conosce, dopo l'esperienza Ingroia, un salto di qualità. E’ una crisi oggettiva: esclusione dal Parlamento; rapporto di forza con Sel; consumazione dello spazio negoziale col centrosinistra; assenza di una prospettiva di ricambio; scontro nel gruppo dirigente per la leadership. E al tempo stesso una crisi soggettiva: demoralizzazione e disorientamento interno; dinamica diffusa di abbandono silenzioso; crisi di credibilità complessiva del gruppo dirigente. Si tratta di una crisi più profonda di quella del 2008, successiva al fallimento dell'Arcobaleno. Allora lo scontro interno e persino la scissione di Vendola produsse il carburante della tenuta del PRC (illusioni di sinistra sulla “svolta” di Ferrero). Oggi la crisi investe proprio quelle illusioni. E precipita su un partito assai più prostrato. La crisi profonda di un partito che ha a lungo imprigionato abusivamente l'immaginario della sinistra “radicale” e “comunista”non può essere indifferente per la costruzione del partito rivoluzionario. Tanto più se essa investe un corpo organizzato e un area d’avanguardia tuttora molto più grande di quella che oggi organizza e influenza il PCL. La conquista di militanti, iscritti, sostenitori del PRC dev'essere uno dei nostri obiettivi di fase. E’ una conquista non semplice. Sia perché la dinamica della crisi è lenta e tortuosa. Sia perché matura in un clima di scoramento, cui quella stessa crisi concorre. Sia perché il nostro partito è ancora troppo piccolo per rappresentare un punto di attrazione centrale. Tuttavia non è un caso se per la prima volta dal 2008 registriamo un sia pur piccolo passaggio di militanti e iscritti dal PRC al PCL (in Veneto, nelle Marche, in Piemonte, in Toscana..) e qualche nuovo spazio di relazioni, contatti, interlocuzioni in quel mondo. Ogni conquista di un frammento dal PRC va considerato un fatto prezioso. Sia in sé. Sia perché può aprire varchi per successive capitalizzazioni e conquiste. In questo quadro un'attenzione specifica va rivolta all'area di Falce e Martello, attuale minoranza di sinistra del PRC, che raccoglie attorno a sé un piccolo settore di avanguardia operaia e giovanile. E che oggi è posto dalla crisi verticale del PRC di fronte alla crisi senza sbocco della linea opportunista del proprio gruppo dirigente. La conquista al PCL di quadri e attivisti di FM è preziosa per la nostra costruzione, anche per il loro livello medio di formazione. - 42 - 3° Congresso del PCL DOCUMENTO 1 – POLITICO - ed EMENDAMENTI L'intervento del PCL sulle contraddizioni di SEL SEL si sta rafforzando, com'è fisiologico, sulla crisi del PD e sull'esperienza dell'unità nazionale. Al tempo stesso la sua crescita si carica di contraddizioni, legate alla natura reale del suo gruppo dirigente, ed in particolare al ruolo di Vendola e della sua linea spregiudicata. Che prima ha realizzato il blocco di coalizione con Bersani anche in funzione di una propria scalata del PD (offerta di unificazione PD/Sel); dopo l'avvento dell'unità nazionale, si è attestata su un'opposizione soft per non rompere i rapporti col PD (sino a sospendere l’annunciata Costituente della sinistra); infine di fronte all'ascesa di Renzi, si è affrettata a fornirgli sponda e a prenotare un accordo di governo, per timore di essere scaricati. Questo funambolismo trasformista è e sarà fonte di inevitabili travagli, dentro una formazione che può raggiungere il livello elettorale della vecchia Rifondazione, ma che dispone di un'ossatura organizzativa infinitamente più debole. In particolare un'eventuale esperienza di governo potrebbe avere una carica dirompente su SEL. Subordinatamente all’intervento sul PRC, il PCL deve dunque prestare attenzione anche a quello su su SEL. SEL è oggi un riferimento per un settore del movimento operaio, in particolare della FIOM. La battaglia contro il vendolismo, la chiarificazione dei suoi inganni, la denuncia e previsione dei suoi approdi, è uno dei canali di intervento su un pezzo dell'avanguardia di classe. Il nostro partito è ancora troppo piccolo per poter capitalizzare, su scala significativa, le contraddizioni di Sel. Ma la crisi del PRC indebolisce la concorrenza politica su questo terreno. Lo scioglimento di Sinistra Critica e il nostro intervento sul centrismo La crisi e lo scioglimento di Sinistra Critica merita un'attenzione specifica. La nascita di SC ha rappresentato nel 2008 un fattore di indebolimento del nostro sviluppo e di confusione nell'avanguardia politica. La sua storia è stata la storia di un fallimento: la pretesa di un “anticapitalismo” movimentista senza programma e partito rivoluzionari. L'esplosione dello scontro interno tra un ala iper movimentista (Cannavò) e un ala conservativa di SC e del suo equivoco originario (Turigliatto), ha sanzionato questo fallimento. Il tentativo della componente Turigliatto di rilanciare l'equivoco centrista nell'incontro con Cremaschi e la Rete dei Comunisti (“Rossa”) rappresenta - al di là dei suoi esiti - la riprova dell'impermeabilità del gruppo dirigente di tradizione “pablista” alle lezioni dell'esperienza. E il preannuncio in prospettiva di nuove crisi. Il PCL deve assumere l'esperienza di SC come misura paradigmatica del fallimento del centrismo. E farne argomento di chiarificazione nell'avanguardia ai fini della costruzione del partito rivoluzionario. L'attenzione ai gruppi locali, e il lavoro di polarizzazione La crisi della sinistra può liberare uno spazio d'intervento su gruppi e formazioni locali, privi di un riferimento nazionale. Questa articolazione di gruppi politici locali non è nuova, e spesso rappresenta una stratificazione, negli anni, delle crisi (nazionali e/o locali) del PRC, di esperienze di movimento e di battaglie territoriali. Il PRC ha rappresentato in passato, nonostante tutto, un asse di gravitazione di queste esperienze. Oggi la sua crisi, unita alla dispersione di tanti gruppi centristi, può liberare verso il PCL attenzioni nuove da questo versante. L'adesione al PCL dell'organizzazione napoletana di - 43 - 3° Congresso del PCL DOCUMENTO 1 – POLITICO - ed EMENDAMENTI “Comunisti Napoli Est”, rappresenta non solo un fatto importante in sé, ma la misura di possibilità nuove in questa direzione. Come sul terreno dell'intervento di massa, il PCL può ricorrere a interventi di polarizzazione su terreni che ci caratterizzano e che al tempo stesso esercitano una capacità di richiamo nell'avanguardia politica e nel popolo della sinistra. E’ il caso ad es. della battaglia antigrillina: abbiamo la necessità di intessere un quadro di relazioni con tutti i gruppi politici e culturali della sinistra interessati a questa battaglia. Anche con la promozione di iniziative comuni. E’ il caso ad es. della battaglia anticlericale: che oggi si confronta con un quadro di riferimento nuovo (il corso neopopulista del nuovo Papato) ma che proprio per questo è ancor più discriminante che in passato, anche a sinistra. E’ il caso ad es., sul piano internazionale, della battaglia antisionista e “anticampista”: dentro un quadro internazionale segnato dallo scontro fra rivoluzione e controrivoluzione negli stati arabi. Su questi e altri terreni il PCL può attivare, nel tempo, un filone di iniziative caratterizzanti di raggruppamento, mirate a rafforzare un'area di riferimento, di relazioni, di simpatia attorno al partito nell'avanguardia politica del popolo della sinistra. LA COSTRUZIONE PER SALTI Il documento politico del nostro secondo congresso razionalizzava la concezione della costruzione per salti del partito rivoluzionario. L'assimilazione profonda di questa concezione da parte dei nostri militanti riveste un importanza centrale. Il lato oggettivo e soggettivo della costruzione del partito L'intera storia del movimento operaio dimostra che la costruzione di partiti rivoluzionari non segue un processo rettilineo. Ma è segnata da un infinito saliscendi di avanzate, ritirate, successi e insuccessi. La stessa storia del bolscevismo ne è una documentazione esemplare. Un partito rivoluzionario non cresce solo in rapporto alle proprie ragioni. Cresce in rapporto allo sviluppo della lotta di classe, ai processi di ricomposizione politica del movimento operaio, ai processi tortuosi di maturazione dell'avanguardia di classe sospinti da nuove esperienze ed eventi. Questi eventi, a loro volta, non dipendono dalla “volontà” dei rivoluzionari, ma da un concorso imprevedibile di fattori e dalla loro imprevedibile combinazione. Tutto questo è tanto più vero per un partito molto piccolo come il nostro, che non ha un'incidenza diretta sulla dinamica della lotta di classe; e ancor più in un quadro di grande instabilità politica e sociale, quale oggi segna lo scenario nazionale e mondiale. Ciò non significa affatto teorizzare una posizione passiva o attendista dei rivoluzionari. Al contrario. L'essenziale è preparare attivamente e preventivamente il partito all'incontro con le possibili svolte della situazione oggettiva: perché solo così quelle svolte potranno essere incorporate alla costruzione del partito e favorire un salto nel suo sviluppo. E questa preparazione soggettiva, a sua volta, investe una molteplicità di aspetti tra loro correlati: la formazione dei quadri, la cura del radicamento sociale, l'accumulo di esperienza nel lavoro di massa, la proiezione pubblica più ampia possibile del programma del partito e della sua stessa esistenza, la demarcazione dalle tendenze - 44 - 3° Congresso del PCL DOCUMENTO 1 – POLITICO - ed EMENDAMENTI riformiste e centriste, la conquista di uno spazio nel dibattito delle sinistre e dell'avanguardia. Questo lavoro paziente può nell'immediato non dare risultati, apparire ininfluente per lo sviluppo del partito, produrre insoddisfazione in compagni giustamente impazienti. Ma in realtà questo lavoro è decisivo. E’ l'investimento nel lato soggettivo della costruzione del partito: senza il quale il migliore scenario oggettivo che potesse prodursi andrebbe disperso. Con un danno enorme per il movimento operaio e il suo interesse generale. Il terzo Congresso del PCL, col suo quadro d'analisi e indicazioni di lavoro, vuol essere un investimento concentrato sul lato soggettivo della nostra costruzione. Il Frente de Izquierda e la costruzione per salti L'esperienza in corso del Partito Obrero e della sinistra rivoluzionaria argentina, attorno al Frente de Izquierda, documenta assai bene, in forme particolari, una dinamica di costruzione per salti. Per lungo tempo, il Partito Obrero ha rappresentato in Argentina una presenza politica organizzata sicuramente riconoscibile ma obiettivamente marginale nel movimento operaio e nelle dinamiche di massa. Con risultati elettorali anche dello 0,2/0,3%. Nell'ultimo decennio, una concatenazione di eventi sussultori e straordinari (il crack del 2001 e la sollevazione dell'Argentinazo, la ripresa capitalistica e l'ascesa del movimento operaio, la crisi profonda e ripetuta del peronismo) hanno consentito al PO e all’insieme della sinistra rivoluzionaria trotzkista un salto qualitativo nell'accumulazione delle forze (in termini di crescita militante e di espansione elettorale), con un avanzamento nella costruzione del partito rivoluzionario. Un fatto potenziale di enorme rilevanza per lo sviluppo del marxismo rivoluzionario su scala internazionale. E che ci auguriamo venga investito in questa direzione dall'intero CRQI. Ma il PO ha potuto capitalizzare la svolta oggettiva degli eventi perché ha saputo reggere controcorrente gli anni dell'isolamento e della marginalità restando fedele ai principi e al programma del marxismo, sviluppando la propria esperienza nella lotta di classe, costruendo pazientemente la propria organizzazione, formando e radicando i propri quadri, lottando incessantemente contro le altre correnti e tendenze riformiste e centriste, e subendo abitualmente per questo l'accusa di “settarismo”. In questo senso l'esperienza argentina parla anche a noi e all'intera avanguardia del movimento operaio italiano. Le lezioni delle esperienze del marxismo rivoluzionario in Italia L'intera nostra esperienza documenta la relazione tra fattori oggettivi e soggettivi della nostra costruzione. La brusca svolta del crollo internazionale dello stalinismo nel 1989, le sue ricadute sul movimento operaio italiano (scioglimento del PCI, nascita e sviluppo di Rifondazione), sono stati determinanti per il salto soggettivo del marxismo rivoluzionario in Italia: hanno consentito a un piccolissimo gruppo di marxisti rivoluzionari - poche decine di unità - di investire in una battaglia di raggruppamento rivoluzionario all'interno del PRC, contro le posizioni riformiste e centriste. E quindi di creare le premesse soggettive della rottura col PRC e della nascita del PCL, nel momento oggettivo della svolta ministeriale di quel partito (governo Prodi). Ciò che ha significato un indubbio salto in avanti sul terreno dell'accumulazione delle forze. - 45 - 3° Congresso del PCL DOCUMENTO 1 – POLITICO - ed EMENDAMENTI Successivamente, la nostra esperienza di costruzione si è confrontata con un quadro oggettivo prevalentemente sfavorevole. Caratterizzato dall'arretramento della lotta di classe. Dal cambio dello scenario politico. Ma anche, più nel profondo, da un senso comune e un immaginario dell'avanguardia segnati, più che in ogni altro paese europeo, da tradizioni spontaneiste o staliniste (la mitologia “comunista”). Ciò fa sì che il trotskismo - a differenza che in Francia, in Argentina o in Bolivia - non sia parte di una tradizione del popolo della sinistra, ma sia percepito spesso come una tendenza separata. Anche nel momento in cui si è attratti dalle sue posizioni e proposte. Questo elemento oggettivo non si è prodotto per caso. E’ il lascito, in ultima analisi, della mancata battaglia per il trotskismo da parte del gruppo dirigente pablista dei GCR (Maitan) in un passaggio cruciale: quando la grande svolta di massa del 68/69, che avrebbe potuto segnare uno sviluppo straordinario del marxismo rivoluzionario, fu abbandonata senza combattere alla semina ideologica dell'estrema sinistra centrista, del maoismo, dello stalinismo. Con conseguenze di lungo periodo sulla cultura profonda di intere generazioni del movimento operaio. Questa esperienza è ricca di insegnamenti. Rivela, ancora una volta, il ruolo centrale del fattore soggettivo nella preparazione dell'incontro con gli eventi storici di svolta. E tanto più in un paese come l'Italia. Dove la costruzione del partito rivoluzionario non può oggi appoggiarsi su una tradizione, ma è chiamato a costruirne una “nuova” (la tradizione leninista) nella formazione politica e culturale dell'avanguardia, a partire dalla giovane generazione. Non sappiamo, né possiamo sapere, quando e in che forme si produrrà una svolta dello scenario politico e di massa. Sappiamo che il marxismo rivoluzionario non dovrà ripetere l'esperienza del 68. Dovrà trovarsi preparato all'appuntamento, con una coerenza di linea e di programma. E potrà esserlo se oggi, controcorrente, lavorerà a rafforzare, su ogni lato, la battaglia per il proprio programma; a conquistare nuove posizioni nell'avanguardia sociale e politica; a conservare ed estendere, nella misura del possibile il proprio spazio di riconoscibilità, in contrapposizione al riformismo e al centrismo. La battaglia di posizionamento oggi del marxismo rivoluzionario nella ricomposizione in corso nell'estrema sinistra sarà decisiva domani ai fini della capitalizzazione della svolta. perché deciderà del rapporto di forza con le altre tendenze del movimento operaio nella polarizzazione dell'avanguardia della nuova generazione. Bologna, 12.10.2013 Comitato Politico del Partito Comunista dei Lavoratori Approvato all’unanimità con 26 favorevoli NOTA ALLEGATA AL DOCUMENTO POLITICO Il documento politico del terzo Congresso riconferma gli specifici indirizzi politici e programmatici varati dal secondo Congresso del PCL in ordine ai diversi settori di intervento (questione meridionale, migranti, ambientalismo, anti clericalismo). Tali indirizzi, nella loro articolazione, vanno dunque considerati interni alla proposta di linea generale che il documento politico avanza. - 46 - 3° Congresso del PCL DOCUMENTO 1 – POLITICO - ed EMENDAMENTI EMENDAMENTI POL1: SOSTITUIRE LA PRIMA PARTE – LO SCENARIO INTERNAZIONALE (da pag. 2 a pag. 10 del documento) con il seguente testo: UNA NUOVA TAPPA DELLA CRISI MONDIALE Il quadro mondiale è caratterizzato dalla crisi catastrofica, senza precedenti, del capitalismo, giunta ormai al settimo anno. La crisi attuale non è una semplice crisi ciclica, ma rappresenta la punta dell’iceberg del capitalismo in putrescenza, l’esplosione della regressione economica iniziata negli anni ’70, che vede la caduta tendenziale del saggio medio di profitto come suo elemento principale. L’esplosione della bolla immobiliare nel 2007 negli Usa non è stato altro che il salto qualitativo di questo processo. Il periodo storico che coinvolge l’attuale scenario è segnato non soltanto da una mancata ripresa, ma da un marcato approfondirsi della crisi inarrestabile. Il precipitare della crisi non è un fenomeno limitato ad alcuni paesi o ad alcune zone, ma coinvolge a livello globale tutti i poli capitalistici: dagli USA, epicentro della crisi del 2007, alla Cina. La recente svolta nella politica monetaria della FED non soltanto segna il fallimento della politica di stimolo monetario che aveva lo scopo di incentivare l’economia (il livello di produttività degli USA resta di gran lunga inferiore al periodo precedente il 2007, la disoccupazione permane a livelli alti), ma soprattutto rappresenta un elemento di approfondimento della crisi nei paesi cosiddetti “emergenti” (col rischio della fuga di capitali), in particolar modo per quanto riguarda la Cina. L’enormità del debito pubblico degli stati nazionali non solo non consente alla borghesia una politica di tipo neo-keynesiano, ma risulta essere un fattore destabilizzante per l’intera economia mondiale. La crisi del debito pubblico degli USA ha aperto una nuova fase di instabilità nelle borse, in particolar modo in Cina, che possiede una grossa fetta del debito americano. La Cina si trova, a sua volta, in un contesto economico difficile segnato dal calo delle esportazioni e della domanda interna e da un conseguente rallentamento della produzione. Nel quadro europeo l’ipotesi di una nuova bancarotta della Grecia e del Portogallo pone inevitabilmente il rischio di un’impennata della crisi nell’eurozona, nel quadro di un forte rallentamento della sua produzione industriale. La Germania, che vede la sua produzione industriale crescere al di sotto delle aspettative, ne verrebbe inevitabilmente travolta in quanto paese creditore. La borghesia non possiede nessuna via d’uscita dalla crisi, se non operando la distruzione delle forze produttive, nella prospettiva di una guerra mondiale (determinata soprattutto dall’acuirsi di contrasti interimperialistici e dalle contraddizioni crescenti tra gli USA e la Cina). Più in generale le più recenti vicissitudini dell’economia mondiale concorrono nel gonfiare un’inedita speculazione finanziaria internazionale che rischia di esplodere in una nuova bolla senza precedenti. LA CRISI E LA LOTTA DI CLASSE INTERNAZIONALE Il fondamento del materialismo dialettico è quello di indagare scientificamente i rapporti esistenti tra i fluttuamenti della struttura economica e i fenomeni sovrastrutturali connessi. Il legame dialettico tra le crisi e la lotta di classe è alla base dello sviluppo del socialismo scientifico ad opera di Marx ed Engels. Scriveva Engels nel 1895, a proposito dell’analisi di Marx sugli eventi del 1848 in Francia, che “la crisi commerciale mondiale del 1847 era stata la vera madre delle rivoluzioni di febbraio e marzo”. Nel 1850, sulla Neue Rheinische Zeitung, i padri del socialismo scientifico scrivevano: “Una nuova rivoluzione non è possibile se non in seguito a una nuova crisi. L’una è però altrettanto sicura quanto l’altra”. - 47 - 3° Congresso del PCL DOCUMENTO 1 – POLITICO - ed EMENDAMENTI La realtà conferma il metodo marxista. Nel quadro dell’attuale crisi emergono due fattori politici importanti che caratterizzano una fase pre-rivoluzionaria, con esplosioni rivoluzionarie in diversi paesi, a livello mondiale: 1) La crisi della borghesia e delle classi dirigenti a tutte le latitudini (dalla crisi politica che si è prodotta in Italia dopo le elezioni, fino alla scomposizione del blocco peronista in Argentina nel quadro della crescita del FIT, solo per citare due esempi). 2) La tendenza alla radicalizzazione delle masse e all’ascesa della lotta di classe, sia nei paesi arretrati che nei centri imperialistici. Le recenti rivolte in Turchia e in Brasile non solo mostrano il legame con la crisi, ma hanno segnato e segnano una nuova tappa nella rivoluzione mondiale. La rivolta della gioventù e dei lavoratori in Brasile ha costituito un punto di svolta non solo nel proprio paese, ma in tutto il continente dell’America Latina, caratterizzata da una crisi verticale delle classi dominanti e del nazionalismo borghese. La radicalizzazione delle masse non si manifesta globalmente in modo univoco: ciò dipende in primo luogo dal livello di organizzazione del movimento operaio e dalle sue precedenti esperienze storiche. In alcuni paesi si manifesta nell’esplosione di movimenti interclassisti a carattere democratico (vedi la rivolta di Gezi Park) o del sottoproletariato delle metropoli, che a loro volta possono costituire la miccia per un’esplosione del movimento operaio (come nel caso della rivolta della gioventù greca del 2008). In altri paesi si ha una vera e propria ascesa del movimento operaio, come nel caso della recente lotta degli operai tessili del Bangladesh. Al contempo occorre sottolineare un dato importante: l’entrata in lotta di nuovi settori del proletariato, in precedenza tra i settori più arretrati e sfruttati dalla borghesia. E’ il caso, ad esempio, del più grande sciopero dei lavoratori degli esercizi pubblici della storia degli Stati Uniti, che ha visto scendere in lotta migliaia di lavoratori di fast-food, ristoranti e catene alimentari. O, per quel che riguarda l’Italia, è il caso della lotta esemplare dei lavoratori della logistica nei mesi scorsi, un importante settore di proletariato immigrato che per la prima volta fa la sua entrata nella scena della lotta di classe. LA LOTTA DI CLASSE IN EUROPA L’Unione Europea, al centro della valanga della crisi, è teatro in questi ultimi anni di un’ascesa, e non un riflusso, delle lotte di massa. Al centro della lotta di classe europea è stata senza dubbio la Grecia, precipitata nel 2012 in una crisi rivoluzionaria senza precedenti dalla lotta contro la dittatura dei colonnelli. La Spagna è stata attraversata nel corso degli ultimi anni da un’impennata di lotte e movimenti di massa: il movimento degli “Indignados” è stato una manifestazione della rovina economica e del decadimento sociale della piccola borghesia come di vasti settori del proletariato. Sul piano del movimento operaio si sono avute esplosioni di diversi settori del proletariato, dall’esemplare lotta dei minatori delle Asturie (con forme di lotta radicali senza precedenti) allo sciopero dei lavoratori dell’istruzione del 2011, il più grande dalla caduta di Franco, che ha completamente paralizzato il paese. Negli ultimi mesi una serie di scioperi locali, molti dei quali ad oltranza, ha segnato la lotta di classe in Spagna. In Portogallo si sono avute, nello stesso periodo, immense mobilitazioni di massa di fronte ai palazzi del potere. In Francia esistono centinaia di vertenze in grandi e medie aziende ma sono tutte tenute separate ed isolate. Nei grandi scioperi dell’autunno del 2010 Sarkozy poteva essere rovesciato con battaglie di strada, ma la burocrazia lo ha salvato. La caratteristica negativa principale di tutte queste lotte è stata, infatti, l’assenza di una centralizzazione sia all’interno dei propri paesi che sul piano europeo. La burocrazia sindacale, isolando e indebolendo le lotte, ne ha minato la forza propulsiva e la capacità di contagio. Per questo diventa elemento centrale un piano di azione internazionale del Partito e delle sezioni europee del CRQI con l’obiettivo di costruire un fronte unico europeo delle lotte. - 48 - 3° Congresso del PCL DOCUMENTO 1 – POLITICO - ed EMENDAMENTI LE RIVOLUZIONI ARABE NEL CONTESTO DELLA CRISI MONDIALE Il processo rivoluzionario nei paesi arabi, iniziato a Tunisi, è il fenomeno più lampante dello stretto legame tra crisi e rivoluzione. La causa principale dell’esplosione rivoluzionaria è stata senza dubbio l’aumento del prezzo dei generi alimentari di prima necessità in tutto il Maghreb (in media del 30%), come effetto della gigantesca speculazione finanziaria sulle materie prime. Tutto ciò unito alla politica di svalutazione della moneta nell’intera zona e all’aumento insostenibile della disoccupazione. In Egitto, in cui un terzo della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà, l’aumento del prezzo del pane è stato la miccia che ha innescato il processo rivoluzionario. In Siria si è avuta una crescita della disoccupazione stimata al 25% della popolazione nel 2011, in un processo di apertura al mercato da parte del regime di Assad che ha colpito la popolazione con licenziamenti e calo della spesa pubblica. La classe operaia in questo processo ha avuto un ruolo fondamentale: sia in Tunisia che in Egitto l’ondata di scioperi è stata l’elemento determinante nella cacciata dei dittatori Ben Alì e Mubarak. La lotta organizzata della classe operaia ha segnato tutte le fasi successive del processo rivoluzionario, dagli scioperi a carattere insurrezionale seguiti all’assassinio di Chokri Belaïd (segretario generale del Partito Unificato dei Democratici Patriottici) in Tunisia alla lotta dei metalmeccanici di Suez in Egitto. Proprio in Egitto la radicalizzazione della classe operaia è dimostrata dall’aumento immenso del numero degli scioperi nel 2013 (nel primo trimestre sono arrivati a 2.413, contro i 1.969 dell’intero 2012). Alle rivendicazioni sociali si sono aggiunte in primo piano, secondo una dinamica tipica dei paesi arretrati, rivendicazioni a carattere democratico, con un elemento di mobilitazione centrale nella gioventù. Inoltre, il processo non ancora concluso è stato un elemento di destabilizzazione dei piani imperialistici nell’area araba. La vittoria temporanea ed instabile di forze reazionarie e/o bonapartiste nelle varie tappe del processo rivoluzionario non è un sintomo ne’ di stabilizzazione, ne’ di arretramento del movimento operaio (ad eccezione della Siria, in cui la debolezza del movimento operaio è risultata determinante nel passaggio ad una tappa negativa): è il risultato dell’assenza di un’alternativa politica, in definitiva di un’organizzazione marxista rivoluzionaria nella regione. Il ciclo apertosi non si è concluso: ad oggi l’imperialismo e la reazione non possiedono elementi di stabilizzazione delle masse. L’evoluzione del processo ha mostrato tutta la validità della teoria della rivoluzione permanente: soltanto un governo operaio e contadino può rompere con l’imperialismo e realizzare completamente le rivendicazioni sociali e democratiche di tutte le masse oppresse. L’obiettivo centrale nel processo rivoluzionario dei paesi arabi è quello della sconfitta delle direzioni reazionarie o opportuniste e della costruzione del partito marxista rivoluzionario ed internazionalista. Allo stesso tempo la rivoluzione araba non può essere risolta nazionalmente; la sorte della rivoluzione in un singolo paese è strettamente connessa con l’intera area: la rivendicazione e la lotta per una Federazione Socialista del Nord Africa e del Medio Oriente è un elemento primario in questa fase. USA: LA LOTTA DI CLASSE NEL CENTRO DELL’IMPERIALISMO MONDIALE Un dato da non sottovalutare è la tendenza alla radicalizzazione della classe operaia negli Stati Uniti, nel contesto di un fronte dell’attacco frontale del governo contro la classe operaia e contro i diritti democratici (le misure approvate contro le forme di lotta del movimento “Occupy Wall Street” che portarono all’arresto di tremila persone, la legge che abolisce la trattenuta sindacale, le misure approvate nel 2012 sulla raccolta di informazioni sui cittadini non sospettati di atti illegali etc.). Il 28 e il 29 ottobre del 2009, il 70% degli operai della Ford, il 90% in alcune fabbriche, bocciarono l’accordo UAW-Ford che ricalcava quello della Chrysler tra Obama, Marchionne e i capi dell’UAW. Il succo dell’accordo era: doppio livello salariale, salari ridotti in entrambi i livelli, aumento dei contributi sanitari e - 49 - 3° Congresso del PCL DOCUMENTO 1 – POLITICO - ed EMENDAMENTI pensionistici a carico del lavoratore, massima flessibilità e blocco degli scioperi; ciò avrebbe riportato le condizioni della classe operaia a prima degli anni 30’. La cronaca della lotta operaia, di quella dei lavoratori dei servizi pubblici e della ristorazione di massa e degli insegnanti è piena di accordi bocciati, di scioperi e picchetti durati settimane. Elenchiamo i casi più significativi dove sono stati bocciati gli accordi che ripetevano quello tra Obama, Marchionne, UAW alla Chrysler: 1) Febbraio 2013-Alla Boeing votò contro il 56% degli ingegneri ed il 52% dei tecnici. Questo rifiuto è stato preceduto in più occasioni dalle denuncie che gli ingegneri e tecnici sul cattivo funzionamento dei materiali e delle macchine. Nel 2007 due revisori dei conti furono licenziati per aver denunciato le truffe contabili; 2) Aprile 2013- Senza contratto da un anno i lavoratori della AT&T bocciavano il contratto e votavano per lo sciopero; 3) Febbraio 2013 -Lo sciopero dei lavoratori degli scuolabus di New York; 4) settembre- ottobre 2012 - il grande sciopero degli insegnanti di Chicago contro le misure scolastiche di Obama, traditi e isolati dalla burocrazia sindacale; 5) agosto-2012 - la bocciatura, lo sciopero ed i picchetti alla Dundee Engine Plant (Michigan) bocciano con una percentuale del /3% l’accordo locale sostenuto dall’UAW; 6) Maggio 2012 - i lavoratori della Cartepillar di Joliet, Illinois al 94% votano l’accordo locale, si votano sciopero e picchetti; 7) Agosto 2012 -Sciopero, picchetti e bocciatura accordo sindacale alla Costellum di Ravensswood, arresti contro due operai accusati di aver lanciato contro i camion dei crumiri oggetti fatti di cemento e chiodi; 8) Dicembre 2012- scioperi dei portuali della Costa occidentale. Il dato che emerge è che burocrazia sindacale, con la crisi inarrestabile, ha come compito quello di isolare le singole lotte. L’unificazione delle lotte potrà realizzarsi soltanto con strumenti indipendenti dalla burocrazia ed in lotta aperta contro di questa. Questa è la lezione generale. LA CRISI DELLA DIREZIONE DEL MOVIMENTO OPERAIO “La crisi storica dell'umanità si riduce alla crisi della direzione rivoluzionaria.” (Lev Trotsky, Il Programma di Transizione) Nel contesto della parabola ascendente della lotta di classe emerge, in assenza di partiti rivoluzionari di massa, una risposta di classe non all’altezza della situazione e l’immaturità della coscienza della classe operaia. Ma la crisi della coscienza del movimento operaio in diversi paesi non è un portato della crisi capitalista: essa è un elemento determinato delle sue direzioni sindacali e politiche. La crisi del capitalismo è anche la crisi del riformismo e delle burocrazie sindacali. Non potendo la borghesia, nel contesto della crisi, offrire alcuna conquista stabile e duratura al proletariato e alle masse sfruttate, ne consegue che qualsiasi lotta nelle mani della burocrazia sindacale conservatrice e delle organizzazioni riformiste non può che portare alla sconfitta. L’ascesa della lotta di classe nella stragrande maggioranza delle varie situazioni particolari, in particolar modo in Europa, non ha finora trovato uno sbocco rivoluzionario, o per lo meno la continuità della lotta, proprio a causa dei limiti imposti dalle direzioni conservatrici del movimento operaio, con un ruolo negativo prevalente delle burocrazie sindacali. - 50 - 3° Congresso del PCL DOCUMENTO 1 – POLITICO - ed EMENDAMENTI L’esempio più lampante è la Grecia, dove la forza rivoluzionaria della classe operaia è stata dispersa dalle burocrazie sindacali in tanti scioperi non continui. Per non parlare del ruolo conservatore di Syriza, che ha, ad esempio, boicottato lo sciopero degli insegnanti del maggio del 2013. In questo contesto si inserisce il necessario lavoro di massa del partito rivoluzionario per elevare la coscienza della classe operaia e per segnare la strada verso la rottura con la sua direzione burocratica. La crescita immensa del Partido Obrero e del Frente de Izquierda in Argentina dimostra proprio questo: che un partito marxista rivoluzionario con una giusta linea può, nel contesto dell’attuale crisi catastrofica, elevare la coscienza della classe operaia e, in definitiva, spianare la strada verso la conquista della sua direzione. A. Carboni (CP), G.F. Camboni, G. Satta, R. Camboni, S. Bitti _____________________________________________________________________________________ POL2: INSERIRE NEL CAPITOLO “PER UNA SVOLTA (pag.28 del documento), dopo il secondo capoverso del capitolo: NELLE FORME DI LOTTA” A tale scopo è indispensabile, in questa fase, agitare e sviluppare tatticamente nel complesso delle lotte di classe la proposta della creazione di organismi di lotta indipendenti dalla burocrazia sindacale quali comitati di sciopero, comitati di fabbrica e, soprattutto, la creazione di un coordinamento per delegati delle lotte. Ciò al fine sia di centralizzare le tante vertenze isolate, rafforzandole; sia come mezzo per combattere la burocrazia sindacale, neutralizzare la sua funzione di freno e strappare la classe operaia dalla sua influenza.” A. Carboni (CP), G.F. Camboni, G. Satta, R. Camboni, S. Bitti _____________________________________________________________________________________ POL3: INSERIRE NEL CAPITOLO “LA BATTAGLIA DEI RIVOLUZIONARI NEI SINDACATI” (pag 29 del documento), all’inizio subito sotto il titolo del capitolo “Nei momenti critici della lotta la borghesia semina la discordia tra le masse operaie militanti e impedisce che le azioni isolate di differenti categorie operaie si fondano in una generale azione di classe; essa è sostenuta, in questo tentativo, dall’opera delle vecchie organizzazioni sindacali che spezzettano i lavoratori di un settore professionale in gruppi artificialmente isolati, nonostante che siano tutti riuniti gli uni agli altri dall’esistenza stessa dello sfruttamento capitalistico.…E’ in questo modo che la burocrazia sindacale sostituisce deboli ruscelletti alle potenti correnti del movimento operaio…” “Ogni diserzione volontaria dal movimento professionale, ogni tentativo di scissione artificiale di sindacati che non sia determinato dall’eccessiva violenza della burocrazia professionista (dissoluzione di sezioni locali sindacali rivoluzionarie da parte dei vertici opportunisti) o dalla loro rigida politica aristocratica che impedisce alle grandi masse di lavoratori poco qualificati di entrare negli organismi sindacali, rappresenta un enorme danno per il movimento comunista” “Siccome i comunisti danno più valore alla natura e ai fini dei sindacati che alla loro forma, essi non devono assolutamente esitare di fronte alle scissioni che si potrebbero produrre nel seno delle organizzazioni sindacali se, per evitarle, fosse necessario abbandonare il lavoro rivoluzionario e rifiutarsi di organizzare la parte più sfruttata del proletariato. …Nel caso in cui una scissione divenga inevitabile, i comunisti dovrebbero accordare una grande attenzione a che tale scissione non li isoli dalla massa operaia.” “Ovunque, dove la scissione tra le tendenze sindacali opportuniste e quelle rivoluzionarie si è gia prodotta, dove esistono…sindacati di tendenza rivoluzionaria, se non comunisti, accanto ai sindacati opportunisti, i comunisti hanno l’obbligo di dare il loro contributo a questi sindacati rivoluzionari, di sostenerli, di aiutarli a liberarsi dei loro pregiudizi sindacalisti e a collocarsi sul terreno del comunismo…Ma l’aiuto prestato ai sindacati rivoluzionari non deve significare l’uscita dei comunisti dai sindacati opportunisti che si trovino in - 51 - 3° Congresso del PCL DOCUMENTO 1 – POLITICO - ed EMENDAMENTI uno stato di effervescenza politica e di evoluzione verso la lotta di classe. Proprio al contrario: è sforzandosi per affrettare quest’evoluzione delle masse nei sindacati che si trovano già sulla via della lotta rivoluzionaria che i comunisti potranno giocare il ruolo di elemento unificatore, morale e pratico, tra gli operi organizzati, per una lotta comune tendente a distruggere il regime del capitale” (Estratti da “IL MOVIMENTO SINDACALE, I COMITATI DI FABBRICA E DI OFFICINA” atti del secondo congresso della III Internazionale – luglio 1920) F. Bacchiocchi (Direzione) _____________________________________________________________________________________ POL4: SOSTITUIRE NEL CAPITOLO “LA BATTAGLIA DEI RIVOLUZIONARI NEI SINDACATI” (pag 29 del documento), ultime 4 righe del primo paragrafo introduttivo del punto, da dopo “…. rivoluzione socialista” alla fine del paragrafo (a … “programma anticapitalista”) La proposta di una svolta unitaria e radicale del movimento operaio va investita in una battaglia di fondo in tutte le organizzazioni sindacali della sinistra italiana. Il nostro secondo congresso ha definito l'indirizzo generale del nostro intervento sindacale e il criterio leninista su cui si fonda: l'intervento dei rivoluzionari nei sindacati non ha come obiettivo strategico lo “spostare a sinistra” un sindacato, o lo scegliere “il sindacato più a sinistra” o la costruzione di un “proprio” sindacato. Ma è parte della battaglia politica più generale per la conquista delle masse alla prospettiva della rivoluzione socialista. Occorre però un aggiornamento riguardante la parola d’ordine tattica affermata al II congresso: la centralità della battaglia nella CGIL per il lavoro sindacale del partito. Nel richiamare le responsabilità della CGIL quale ragione decisiva dell’arretramento operaio nel contesto della più grande aggressione alle sue condizioni di vita dal dopoguerra, il carattere irriformabile delle sue strutture, e al fine del perseguimento, se pur in questa fase solo come indicazione prospettica, della nostra proposta organizzativa strategica, la “Costituente per la rifondazione del sindacato di classe”, è necessario rimuovere qualsiasi fattore di fraintendimento riguardo la nostra proposta rivolta alla massa dei lavoratori sindacalmente attivi. Tanto più se tale fattore non ha implicazioni essenziali e pratiche riguardo alla battaglia dei rivoluzionari in tutte le organizzazioni sindacali della sinistra italiana. Per questo ribadendo la necessità e l’importanza della battaglia dei rivoluzionari nella principale organizzazione sindacale della classe lavoratrice italiana (maggioranza assoluta tra i lavoratori del privato), si rimuove l’equivoco della “centralità” della CGIL, per affermare tanto più nella lotta in questa organizzazione la centralità della lotta antiburocratica, sulla base di un programma anticapitalista per la conquista delle masse alla prospettiva della rivoluzione socialista. (Se è criminoso voltare le spalle alle organizzazioni di massa per accontentarsi di finzioni settarie, non è meno criminoso tollerare passivamente la subordinazione del movimento rivoluzionario delle masse al controllo di cricche burocratiche apertamente reazionarie e conservatrici mascherate (“progressiste”). Lev Trotsky, Il programma di transizione,1938). In rapida sintesi, come verrà di seguito esplicitato: occorre dare battaglia nella CGIL contro la burocrazia sindacale filoborghese (appoggio al PD) e nei sindacati di base contro la logica sindacale del centrismo e il suo risvolto settario. F. Bacchiocchi (Direzione) _____________________________________________________________________________________ - 52 - 3° Congresso del PCL DOCUMENTO 1 – POLITICO - ed EMENDAMENTI POL5: SOSTITUIRE IL CAPITOLO “L'UNICITÀ DEL PCL E LA SUA COSTRUZIONE INDIPENDENTE” (p.35-36 del documento) con il seguente testo: PER UNA SFIDA UNITARIA ALLE ORGANIZZAZIONI MARXISTE RIVOLUZIONARIE: CONTRO OGNI AUTOCENTRATURA SETTARIA E PER AGEVOLARE LA RIFONDAZIONE IN TEMPI RAPIDI DELLA IV INTERNAZIONALE L’esigenza di unità che si respira a sinistra trova diverse proposte che costellano l'attuale dibattito della sinistra ma che finiscono per fondersi su una comune ambizione: conquistare seggi parlamentari eludendo qualsiasi principio politico. La “costituente della sinistra” evocata da Sel mira a raggruppare attorno a Vendola l'ennesima sinistra di governo del centrosinistra, anche eventualmente allargato a destra. La proposta dell'ex ministro Ferrero di “unire la sinistra” in alternativa al PD, oltre a convivere coi governi PD/PRC in Regioni e città, ripropone il canovaccio di un programma riformista “antiliberista”: ed ha come unico scopo quello di salvare il gruppo dirigente ferreriano dal naufragio politico post Ingroia. La proposta di Alba rinnova l'illusione di un “nuovo modello di sviluppo” in ambito capitalistico, partendo da un municipalismo “alternativo”: riflette la volontà (e velleità) di gruppi intellettuali della sinistra riformista di ritagliarsi uno spazio politico, in proprio, sulle rovine di Rifondazione e sulle contraddizioni di Sel. L'operazione Ross@ (Cremaschi, Turigliatto, Russo Spena, Rete dei Comunisti) combina l'opposizione al PD e al centrosinistra col recupero dell’armamentario centrista: apologia dei movimenti, rimozione della prospettiva del potere e di un programma transitorio, rifiuto della costruzione del partito rivoluzionario; con una impostazione che consente il coinvolgimento di aree del PRC, lasciando irrisolto il nodo del rapporto con Rifondazione. L'operazione somma in sé mire diverse: salvare dal naufragio un pezzo di Sinistra Critica dopo la sua dissoluzione, dare uno sbocco politico all'esperienza di Cremaschi, dare a Ferrero uno spazio di manovra a sinistra. La somma delle contraddizioni prevede un esito incerto. Infine le diverse proposte di “unità dei comunisti”, avanzate ciclicamente dal PDCI e da una galassia di gruppi stalinisti, riflettono solo la pervicace volontà di utilizzare il richiamo “comunista” per rilanciare l'identità dello stalinismo. Peraltro l'”unità dei comunisti” a prescindere da principi e programmi, ha già incorniciato la disfatta di Rifondazione. Contrastare questa mistificazione è un atto di verità e di bilancio. La difesa dell'autonomia del PCL non è dunque un atto di autoconservazione. E’ la difesa del programma rivoluzionario e della costruzione del partito rivoluzionario, nell'interesse del movimento operaio. La difesa di questo programma è il recupero della memoria storica del marxismo rivoluzionario e dell'avanguardia rivoluzionaria del movimento operaio del 900. E al tempo stesso un suo investimento nel futuro della lotta di classe: in una stagione storica di grande crisi del capitalismo e del riformismo, che riattualizza in modo straordinario proprio la ricchezza della tradizione rivoluzionaria del leninismo e dunque sull'insieme organico delle conseguenze strategiche e tattiche che discendono da quel programma. Ma non esiste solo il PCL vi è altresì un’articolazione plurale di (piccole) organizzazioni marxiste rivoluzionarie con cui è necessario ricercare un’unificazione, realizzando per questa via un salto in avanti della costruzione del partito rivoluzionario. Così come a livello internazionale anche in Italia tra le diverse organizzazioni della “sinistra di classe” che si richiamano al trotskismo, le divergenze sono significative, ma non tali da toccare, né nella forma, né nella pratica, i principi fondamentali del programma comunista e rivoluzionario. Secondo il metodo leninista-trotskista, e in funzione delle necessità della battaglia per la rivoluzione socialista, tali diverse forze dovrebbero lavorare ad un processo di fusione e rivendicare la costruzione di un’unica Internazionale, con diritto di frazione o anche solo tendenze distinte, eventualmente in lotta, sulla base dei criteri del centralismo democratico, per far trionfare le proprie specifiche posizioni. - 53 - 3° Congresso del PCL DOCUMENTO 1 – POLITICO - ed EMENDAMENTI Un raggruppamento rivoluzionario fondato su basi programmatiche chiare che agevolerebbe il lavoro di “rifondazione rapida” della IV Internazionale. Il Pdac (LiT) è tra le organizzazioni presenti in Italia la più vicina al PCL dal punto di vista programmatico. Questa piccola organizzazione, seppur sia segnata dall’onta di aver depotenziato la costruzione del partito rivoluzionario e abbia concentrato dal 2006 ad oggi il grosso delle sue energie nell'attacco ossessivo al nostro partito, non può essere ignorato. La storia esige uno sguardo più alto delle beghe di bottega, per questo è necessario posizionarci all’altezza che il momento storico ci chiede e responsabilmente dobbiamo considerare questa organizzazione nonostante la sua marginalità politica e l’astio nei nostri confronti un nostro interlocutore. Ne va della stessa credibilità del progetto politico di costruzione del partito rivoluzionario e rappresenterebbe un passo chiave per la stesso auspicabile avvicinamento della LiT al CRQI. Si registrano inoltre alcune evoluzioni da non sottovalutare: la fuoriuscita dell’Associazione Contro Corrente dal PRC (sezione del CWI) e la scissione di Sinistra Critica, che ha dato vita a Sinistra Anticapitalista. Si tratta come nel caso del Pdac di piccole forze ma che non possono essere ignorate. In particolare l’Associazione Contro Corrente nasce direttamente dalla Amr Progetto Comunista e si è contraddistinta per una battaglia coerente di frazione nel PRC. Quanto a Sinistra Anticapitalista siamo in presenza di una direzione difficilmente recuperabile ma va posta attenzione alla sua base militante che, liberatasi del blocco movimentista (Cannavò-D’Angeli) ha deciso di investire nella costruzione di una sinistra di classe. Sarebbe quantomeno inopportuno non tentare di sottrarre queste energie al centrismo eclettico di Cremaschi&Co. La stessa attenzione merita Falce e Martello che nonostante abbia costantemente coperto a sinistra l’opportunismo di Rifondazione e conservi le tare dovute alla sua appartenenza al CMI, rappresenta un valido raggruppamento di quadri trotskisti sperimentati. Sollecitare la rottura di FM dal PRC in funzione del progetto marxista rivoluzionario è una strada che dev’essere tentata. La costruzione del partito rivoluzionario passa indubbiamente per la costruzione del Partito comunista dei Lavoratori ma non possiamo rannicchiarci in un solipsismo rassicurante. Al contempo una strategia che ponga attenzione alle varie anime che si richiamano al trotskismo non significa rinunciare al nostro programma indipendente né la subordinazione ad altri programmi, ma la conquista di una più vasta area militante al marxismo rivoluzionario conseguente. Nessuna concessione quindi al centrismo, ma al contrario un lavoro e al tempo stesso una sfida unitaria che arma la stessa costruzione del partito rivoluzionario attraverso l'adesione al suo programma del settore più cosciente dell'avanguardia di classe e dei movimenti, e di tutti i militanti e gli attivisti della sinistra che cercano un'alternativa alla bancarotta dei suoi gruppi dirigenti. L. Liverani, R. Canfarini (Direzione), M. Castellini, G. Turci, F. Fiorentino, C. Bagni, F. Poli, S. Falai, M Balelli, M. Gianessi, E.L. Silvio, O. Lalli _____________________________________________________________________________________ POL6: INSERIRE IL CAPITOLO “PER UN METODO LENINISTA NEL RAPPORTO CON LE ELEZIONI” (p. 36 del documento), al termine della parte III: Il terreno della lotta di classe e dell’azione di massa è l’ambito centrale di lavoro e d’intervento dei comunisti. E’ il terreno di costruzione dell’alternativa anticapitalista, della prospettiva del potere dei lavoratori. Ma ciò non significa ignorare e rimuovere il terreno della lotta elettorale. La partecipazione alle elezioni borghesi e la presentazione autonoma dei comunisti sono il riferimento centrale della nostra politica elettorale. I comunisti partecipano normalmente alle elezioni borghesi. L’intera tradizione rivoluzionaria comunista ha combattuto aspramente sia l’”astensionismo di principio”, sia più in generale ogni posizione di disimpegno o sottovalutazione dell’importanza delle scadenze elettorali. E questo non per una ragione “elettoralistico istituzionale”, ma per la ragione esattamente opposta: la - 54 - 3° Congresso del PCL DOCUMENTO 1 – POLITICO - ed EMENDAMENTI partecipazione ovunque possibile alle elezioni borghesi è un’occasione preziosa di propaganda rivoluzionaria tra le masse, di intervento nella lotta di classe, di costruzione del partito rivoluzionario. La battaglia del bolscevismo tra il 1907 e il 1910 contro la sua frazione “otzovista” che contestava la partecipazione alle elezioni della Duma; la battaglia di Rosa Luxemburg nel 1918 contro il rifiuto dei comunisti tedeschi di partecipare alle elezioni dell’Assemblea Costituente; ma soprattutto la forte battaglia di Lenin e della larga maggioranza della terza Internazionale comunista contro le posizioni astensioniste del bordighismo italiano, del Kapd tedesco, del tribunismo olandese (Gorter), hanno avuto questo segno costante. Non si tratta affatto- diceva Lenin- di aderire al “parlamentarismo borghese” o di attenuare la denuncia della sua natura. Al contrario: si tratta di utilizzare a fondo con tutti i mezzi disponibili la tribuna delle elezioni borghesi- e l’eventuale elezione di una propria rappresentanza nelle istituzioni borghesi- per allargare la denuncia del parlamentarismo e creare le condizioni del suo superamento rivoluzionario: lavorando a sviluppare, anche per questa via, la coscienza politica delle masse. Sotto questo profilo il rapporto dei rivoluzionari con le elezioni è esattamente opposto alla logica riformista. Per le sinistre riformiste il terreno elettorale è normalmente l’ambito di concretizzazione di compromessi istituzionali con i partiti borghesi in vista di ministeri o assessorati. Per i rivoluzionari è un terreno di denuncia della borghesia, dei suoi partiti, delle politiche collaborative dei riformisti. Di conseguenza, è opposta la valenza e l’uso di eventuali eletti. Per le sinistre riformiste, gli eletti nelle istituzioni borghesi sono una pedina negoziale del “gioco istituzionale”. Per i comunisti sono preziosi tribuni del proprio programma rivoluzionario agli occhi del proletariato: e per questo fisiologicamente collocati, per principio e senza eccezioni,all’opposizione di ogni governo borghese (nazionale e locale). Per la stessa ragione i comunisti si battono per una legge elettorale coerentemente proporzionale, senza soglie di sbarramento e distorsioni maggioritarie: perché contrappongono il principio della piena rappresentanza democratica al feticcio della governabilità borghese. La forma normale di partecipazione dei rivoluzionari alle elezioni, è quella della presentazione autonoma e alternativa. Nella tradizione rivoluzionaria le elezioni non sono un terreno di fronte unico d’azione, ma prevalentemente un terreno di propaganda e presentazione del proprio programma indipendente: non di ciò che unisce i rivoluzionari ad altri partiti, ma di ciò che li distingue o li contrappone ad essi (siano questi i partiti borghesi, oppure siano, su un versante diverso, partiti di sinistra riformista o centrista). L’indipendenza elettorale dei comunisti, come espressione della loro indipendenza politica e programmatica, è un riferimento ricorrente del marxismo rivoluzionario. La presentazione elettorale autonoma dei comunisti è rivendicata da Marx nell’Indirizzo alla Lega del 1850, contro ogni ipotesi di blocco con la piccola borghesia democratica. E’ ampiamente rivendicata nella tradizione bolscevica contro la logica generale dei blocchi elettorali tra il menscevismo e l’opposizione borghese liberale (partito cadetto). E’ sostenuta da Trotsky in Germania all’inizio degli anni ‘30 contro la proposta avanzata dall’organizzazione centrista SAP di un candidato di fronte unico tra comunisti e socialdemocratici per le elezioni presidenziali (posizione tanto più significativa nel momento in cui Trotsky rivendicava il fronte unico d’azione contro il fascismo): “L’idea di far proporre il candidato alla presidenza dal fronte unico operaio è un’idea radicalmente sbagliata. Si può proporre un candidato solo sulla base di un programma ben definito. Il partito non ha il diritto di rinunciare, durante alle elezioni, alla mobilitazione dei suoi aderenti e all’inventario delle sue forze. La candidatura di partito, contrapposta a tutte le altre candidature, non può impedire in nessun modo l’accordo con altre organizzazioni per obiettivi immediati di lotta” (Trotski, 1931). I comunisti rifiutano di rimuovere o nascondere l’autonomia del programma comunista, e quindi del proprio partito, di fronte alle masse: questa è stata sempre l’indicazione di fondo. E questa indicazione si è frequentemente scontrata con l’impostazione centrista. Per il centrismo il rapporto con le elezioni è subordinato per lo più a considerazioni contingenti “di movimento” o all’inseguimento di “un vantaggio” immediato (reale o presunto), fuori dalla coerenza di un programma generale indipendente: da qui la - 55 - 3° Congresso del PCL DOCUMENTO 1 – POLITICO - ed EMENDAMENTI frequente oscillazione tra disimpegno elettorale ( “ci preoccupiamo delle lotte, non delle elezioni”) e la ricerca privilegiata di blocchi elettorali con i partiti riformisti ( o di proprio nascondimento in liste genericamente “alternative”). Per il marxismo rivoluzionario, invece, il rapporto con le elezioni è sempre principalmente finalizzato al proprio progetto generale: da qui la necessità di presentazione autonoma e alternativa. In sede di bilancio rispetto al II congresso del PCL è corretto analizzare come gli appoggi critici al ballottaggio per Pisapia e De Magistris hanno rappresentato uno scivolone incomprensibile e impegna pertanto il partito a boicottare le urne al secondo turno (ad eccezione che non sia presente un proprio candidato). Ancor più grave aver sostenuto Medici alle elezioni di Roma sin dal primo turno. Queste esperienze dimostrano la totale inutilità di un approccio manovrista e rilanciano con forza la necessità di mantenere il partito estraneo a incomprensibili pastoie elettoraliste. La presentazione elettorale del PCL esclude inoltre blocchi elettorali con gruppi e formazioni di tipo centrista. Il terreno elettorale non è, per definizione, un terreno di unità d’azione. E’ il terreno dove i rivoluzionari si affacciano con la propria proposta generale, autonoma e distinta, in funzione della costruzione del proprio partito. Il PCL, che da un lato rappresenta, di gran lunga, la forza politica più significativa a sinistra del PRC, dall’altro (anche per questo) ha esigenza di farsi conoscere per quello che è, nella sua distinzione dai gruppi centristi, nella fisionomia complessiva del suo autonomo progetto. Ogni blocco con gruppi centristi sarebbe in contraddizione con questa esigenza. Per questo a cominciare dalle imminenti elezioni europee il PCL si presenterà in forma autonoma nel caso in cui: Pdac –Contro CorrenteFalce Martello non accetteranno un processo di accordo politico sul modello del FiT argentino. L. Liverani, R. Canfarini (Direzione), M. Castellini, G. Turci, F. Fiorentino, C. Bagni, F. Poli, M. Balelli, M. Gianessi, E. L. Silvio, O. Lalli _____________________________________________________________________________________ POL7: INSERIRE NEL CAPITOLO “RAFFORZARE IL LATO POLITICO DEL NOSTRO INTERVENTO DI MASSA”, (p. 38 del documento) al termine dell’ultimo paragrafo (p. 39 del documento): A questo fine, si tratterebbe di dare al nostro intervento carattere sistematico e omogeneo. Per quanto riguarda il centro del partito, quindi, gli organismi dirigenti nazionali si faranno carico, tramite la commissione lavoro o singoli compagni, di seguire, controllare e favorire attivamente il nostro intervento operaio sul territorio, al fine di garantirne il massimo di efficacia e continuità possibile. Ciò avverrà attraverso indicazioni e contatti periodici con i coordinamenti regionali e/o con le sezioni all’interno delle quali sono presenti aziende o realtà di intervento importanti. F. Doro (Direzione), L. Sorge (Direzione), A.Carboni (CP), Mario Tommasi (CP), A. Tronca (CP), O. Lalli, L. Liverani, S. Rosano _____________________________________________________________________________________ POL8: INSERIRE IL CAPITOLO “IL RUOLO DEL PCL NELL’EMIGRAZIONE ITALIANA” (p.41 del documento), al termine del capitolo “Per la conquista di ruoli di direzione nelle lotte” La borghesia aizza gli operai di una nazione contro gli operai di un'altra, cercando di dividerli. Gli operai coscienti, comprendendo l'inevitabilità e il carattere progressivo della distruzione di tutte le barriere nazionali operata dal capitalismo, cercano di aiutare a illuminare e a organizzare i loro compagni dei paesi arretrati (Lenin, Il capitalismo e l'immigrazione operaia, 1913). La crisi perdurante del capitalismo sta provocando un’inversione di tendenza: l’Italia dopo decenni, da terra d’immigrazione sta tornando ad essere terra da cui emigrare. - 56 - 3° Congresso del PCL DOCUMENTO 1 – POLITICO - ed EMENDAMENTI Gli iscritti all’AIRE (Anagrafe italiani residenti all’estero), cittadini italiani che risiedono e lavorano all’estero per più di un anno, sono saliti nel 2012 a 4,3 milioni. Erano 3,5 milioni tra il 2005-06, segnando un esodo di 800.000 lavoratori avvenuto in soli 6 anni. Gli italiani emigrati all'estero sono più numerosi degli immigrati stranieri in Italia e nel loro percorso di integrazione incontrano gli stessi ostacoli: la lingua, la burocrazia e la ricerca del lavoro (La repubblica 19 novembre 2009). L’emigrazione è in parte usata come valvola di sfogo di una disoccupazione crescente e rappresenta un aspetto da non sottovalutare e su cui il PCL deve intervenire per aprire un nuovo terreno di agitazione. Organizzare direttamente i lavoratori di lingua italiana all’estero aprirebbe un canale di lavoro per la stessa costruzione della IV Internazionale. L. Liverani, R. Canfarini (Direzione), M. Castellini, G. Turci, F. Fiorentino, C. Bagni, F. Poli, S. Falai, M. Balelli, M. Gianessi, E. L. Silvio, O. Lalli - 57 -