Albert - IC 16 Valpantena
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Albert - IC 16 Valpantena
IL VIAGGIO TRAMA SCELTA: il viaggio Albert non sapeva dove si trovava. Di sicuro, però, era in un deserto e di aver preso una botta in testa. Nella sua mente affioravano ancora dei ricordi confusi di una gondola volante, dei mercanti e di lui che cadeva svenuto. Non sapeva che cosa fare. Era perduto nel nulla più totale. Gli si posero davanti due scelte: restare in quel posto; oppure camminare senza una meta precisa, magari senza toccare cibo per giorni. In quel momento sentì una folata di vento gelargli le ossa e si accorse che il sole se ne stava andando, lasciandolo solo contro le tenebre. I primi versi sinistri non si fecero aspettare e subito Albert si ritrovò a correre. Non sapeva perché l’aveva fatto, lui in realtà non lo voleva fare. Qualcosa dentro di lui l’aveva spinto a correre, qualcosa che ben presto avrebbe imparato a chiamare “istinto”. Il primo giorno di cammino non fu tanto difficile, Albert era ancora pieno di forze, riposato e non soffriva la fame o la sete, era attento e vigile ad ogni possibile minaccia. Di giorno era più facile continuare il cammino, poiché solo dei gigantesche creature calpestavano il suo stesso suolo. Il problema veniva quando calava la notte, quando mostri e creature misteriose si nascondevano nel buio e Albert era solo contro l’ignoto. L’unica cosa che aveva per proteggerlo era una collana con una creatura che vedeva ogni giorno, fatta d'oro. Non sapeva perché o come ce l’avesse, ma sapeva di doverla tenere al collo. Era stremato. Da giorni non toccava cibo, figuriamoci acqua. Ad ogni passo il peso del suo corpo gli toglieva un respiro. In quel momento gli occhi gli bruciarono in modo atroce. Della sabbia si era insinuata nelle palpebre. Si guardò attorno e a fatica vide una gigantesca tempesta di sabbia. Non era come le altre, Albert ne aveva già incontrate un paio. Non dovette aspettare molto per avere una spiegazione, la tempesta inghiottì uno dei dinosauri e subito quel mucchio di sabbia informe diventò un cumulo di sabbia a forma di dinosauro. Un immagine orribile gli balenò nella mente: una tempesta di sabbia a forma di Albert di pietra. Un brivido lo percorse lungo tutta la schiena. Cominciò a correre nella direzione da dove era venuto, ma non poteva fare niente. Era come se la tempesta avesse vita propria e come se il suo scopo fosse quello di uccidere. Albert correva e correva, ma la furia della tempesta era più veloce di quanto lui potesse correre. Si ritrovò ben presto senza forze e stanco. Si mise a carponi e con le ultime forze si trascinò dietro una roccia e si accasciò a terra privo di sensi. Si risvegliò che era ormai il crepuscolo. A chilometri di distanza poteva ancora sentire la furia della tempesta dietro a lui. Si alzò barcollante e si guardò intorno. Non avendo altro da fare si rimise in cammino. La tempesta era passata. Albert era disorientato, non poteva far altro che camminare... camminare davanti a sé. Albert sapeva che le sua disavventure non sarebbero finite lì. In quei giorni però si era preparato: non gli facevano più schifo gli insetti o i serpenti come il primo giorno e gestiva il cibo (e l’acqua se ne trovava) in modo più saggio. Purtroppo non era preparato a quello che gli stava succedendo. Vide delle persone oltre l’orrizonte. Urlò e si sbracciò per farsi vedere da quel gruppo di esseri umani. Corse verso di loro, solo che ogni volta che faceva un passo loro si allontanavano. Poi vide tutto rosa e nero. Il mondo si riempì di puntini colorati e un secondo dopo Albert svenne. Sognò una donna. Una donna che lo chiamava e che lo incitava a venire da lei. La donna era immensamente bella, con una grazia che quasi lo stordiva. Poi da dietro uscì un uomo rozzo, alto e muscoloso, che diede un bacio alla donna e prese Albert in braccio. Stava bene, tra le forti braccia dell’uomo misterioso. Poi tutta la sua felicità si tramutò in orrore e le immagini corsero veloci nella sua mente. Urla, pianti e risate di uomini. Gondole volanti. Un’irrefrenabile desiderio di scoprire cosa contenessero. La donna che piangeva. L’uomo,una volta forte, stava ora in ginocchio davanti agli sconosciuti, implorandoli di non fare del male alla donna. Albert che saltava nella gondola. Poi il buio. Sentiva delle urla femminili che gridavano il suo nome, ma lui non era lì per rispondere. Inconsciamente urlò nel sonno: “MAMMA!”. Si risvegliò dopo qualche giorno. Aveva un dolore lancinante alla testa. Si guardò attorno, non c’era niente attorno a lui. Dov’erano finite le gondole volanti, le grida, le braccia possenti dell’uomo, le dolci parole della donna che aveva chiamato mamma? Albert non lo sapeva, ma non poteva certo rimanere fermo lì ad aspettare che qualche animale lo cogliesse di sorpresa. Con il tempo aveva imparato che rimanere troppo fermi nello stesso punto voleva dire dare tempo ai predatori per raggiungerlo. Per la prima volta però, poteva scegliere dove andare: poteva andare verso le montagne, oppure verso una pianura di roccia. Albert scelse la pianura di roccia. Purtroppo per lui nelle pianura si nascondevano molti più pericoli di quante se ne aspettasse. Dopo qualche giorno passato a camminare, si fermò. Un rumore sinistro lo stava accompagnando da ore. Si girò su se stesso, ma non vide niente che potesse produrlo. Lo sentì di nuovo. Cercò di concentrarsi. Sembrava che mille zampe si muovessero tutte insieme. Vicino a lui c’era una grotta. Si avvicinò, ma non entrò. Ci pensò la creatura che era all’interno ad uscire. Dal nero dell’antro emerse uno scorpione gigantesco, decisamente più grande di quelli che vedeva normalmente. Un pensiero balenò nella mente di Albert: “E se fosse una mamma? Dove sono i suoi figli?”. La risposta arrivò quasi immediatamente: migliaia e migliaia di piccoli scorpioni si raggrupparono attorno alla mamma, carichi di rabbia da scaricare sul primo bersaglio. Albert aveva imparato a controllare il suo istinto. Aveva imparato a reagire in fretta, ma anche a ragionare velocemente e prendere una decisione. Quello che fece adesso fu girarsi e correre. Non poteva batterli tutti da solo. La mamma era troppo pesante e maldestra per corrergli dietro, ma i suoi cuccioli erano piccoli e veloci. Albert cercò di scappare, ma le forze gli mancavano e la fame si faceva sentire, senza poi contare che non aveva visto acqua da giorni. Rallentò, cercando di schivare tutti quei pungiglioni che volevano colpirlo. In un batter d’occhio si ritrovò ad arrampicarsi su di una montagna, sperando che gli scorpioni si fermassero, così fece la maggior parte, ma qualcuno continuava ad allungare il pungiglione per colpirlo. Quando Albert arrivò in cima alla montagna nessuno lo seguiva più. O almeno così credeva. Si sdraiò su di una pietra e chiuse gli occhi. Pessima scelta. Solo uno scorpione lo aveva seguito fin lì. Prima che Albert se ne accorgesse quello riuscì a pungerlo sulla spalla. Albert si svegliò di colpo e prese la prima cosa che gli capitò a tiro. Lo scorpione rimase spiaccicato dal sasso che Albert gli aveva scagliato contro. Si sdraiò di nuovo. Un senso di nausea lo pervase e il veleno raggiunse la testa. Albert svenne, e poi non seppe più come andò dopo. Albert sognò di nuovo la donna e l’uomo, ma stavolta erano schiavi. Tutte le persone attorno a loro erano legate e venivano frustrate. Appena la donna lo vide gli gridò di andarsene, di nascondersi e di non ritornare più. Albert non capiva, fino all’altro giorno lo chiamava e adesso non lo voleva più vedere. Guardò con pietà l’uomo che qualche giorno prima aveva giudicato potente e forzuto, com’era ridotto ad essere legato, deriso e frustrato senza che potesse reagire. Alzò lo sguardo. Appena il suo incrociò quello di Albert si scosse e gridò. Forse per salvare l’onore. Oppure perché neanche lui lo voleva più vedere. Albert non lo seppe mai. L’ultima cosa che vide fu la faccia di colui che lo stava picchiando. Era tra le più spaventose che Albert avesse mai visto. Gli occhi erano piccoli e colmi di disprezzo verso tutti, era pasciuto e ben vestito. Si capiva che era ricco. Si girò verso Albert e sorrise. Disse qualcosa, ma Albert non lo sentì. Si era svegliato, però non era nello stesso deserto. Attorno a lui l’ambiente era cupo. Una figura emerse dalle tenebre:-“Ben svegliato straniero! Qual è il suo nome?” Albert rimase senza parole. Non capiva che cosa stesse succedendo. A fatica riuscì a chiedere:“D-dove mi trovo?” Il signore sorrise e rispose: “Capisco che potrebbe essere disorientato. L’abbiamo trovato privo di sensi in cima alla montagna dove per caso passava la nostra carovana. Adesso sei nel nostro monastero. ”.