Coscienza e speranza

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Coscienza e speranza
Santa Margherita Ligure, 05.03.2013
Padre Ermes Ronchi
Coscienza e speranza
(appunti non rivisti dal relatore)
Passare dalla paura alla speranza. Perché avete paura?
La Parola di Dio, da un capo all’altro della Bibbia, conforta e incalza, ripetendo infinite volte: non
temere! Non avere paura.
Sulla bocca di Dio, di Gesù, di profeti, di donne, di re, di mendicanti per centinaia di volte (qualcuno
dice per 365 volte, una per ogni giorno dell’anno) ci raggiunge, quasi fosse il buongiorno di Dio. Ad
ogni nostro risveglio, ad ogni inizio di giornata, come nostro pane quotidiano, il ‘non temere!’ di Dio.
Perché avete paura? Sono mille i motivi, e validi. Abbiamo la paura del bambino, del fragile, del malato,
del povero, del morente. Mille motivi.
Ma il primo perché della paura risale all’origine della nostra storia:
Adamo ed Eva udirono il rumore dei passi del Signore che passeggiava nel giardino alla brezza del
giorno e si nascosero in mezzo agli alberi. Ma il Signore chiamò l’uomo: Adamo, dove sei?
Rispose: Ho udito la tua voce, ho avuto paura, perché sono nudo e mi sono nascosto (Gen 3, 8-10).
La paura fa la sua apparizione e non ci lascerà più.
Non perché figlia della nudità, come vorrebbe Adamo, ma di un’altra madre. Che cosa spinge Adamo a
fuggire, a nascondersi, che cosa sfigura l’Eden da giardino a covile, a tana dove accucciarsi?
Adamo fugge perché è spaventato. E chi lo spaventa è Dio. Ha paura della reazione di Dio, la paura lo
rende incapace di vivere l’incontro con il Signore, inabile a un dialogo libero e autentico con l’Altro.
La paura di Dio è la paura delle paure. La peggiore di tutte, quella da cui tutte le altre discendono,
come figlie naturali.
La creatura non ha più fiducia nel Creatore. La paura è, alla sua radice, un peccato di fiducia, di fede.
Così come lo stesso peccato originale: peccato di fede e non di etica; non racconta la trasgressione a un
divieto, ma lo stravolgimento del volto di Dio: Eva e Adamo credono all’immagine deviata di Dio che il
serpente trasmette: vi ha dato mille alberi, è vero, ma vi ha negato il meglio; ha paura di voi, è geloso, vi
ha proibito la cosa più importante.
Eva e Adamo credono a questa immagine perversa di Dio: un Dio che toglie e non a un Dio che dona,
un Dio che ruba libertà invece che offrire possibilità; un Dio cui importa più la sua propria legge che
non la gioia dei suoi figli, un Dio di cui non fidarsi.
Sbagliarci su Dio è il peggio che ci possa capitare, perché poi ti sbagli su tutto, sulla storia, sull’uomo,
su te stesso, sul bene e sul male, sulla vita....
Il primo di tutti i peccati è un peccato di fede. Da qui viene la paura delle paure, radicata nella
immagine di Dio.
Sperare in ebraico si dice qiwwah, speranza è un termine connesso con qaw, la corda dei muratori, il
filo che i costruttori tendono per edificare i muri della casa, le mura della città.
Sperare evoca l’idea di una corda tesa verso, indica il tendere a... l’attendere qualcosa o qualcuno.
La speranza è come una corda tesa tra due abissi, il mio presente che tende ad un futuro.
Speranza è coltivare nel presente un buon futuro.
Come nel libro di Giosuè, dove qaw indica la corda di filo scarlatto appesa alla finestra di Rahab, la
prostituta di Gerico che ha salvato gli esploratori ebrei, e quella corda salverà lei e la sua famiglia nel
giorno dello sterminio.
La speranza è una cordicella di filo scarlatto, appesa la balcone della mia vita, alla quale mi aggrappo,
perché so che il capo del filo rosso della storia è saldamente nelle mani di Dio. E Dio salva, questo è il
suo nome.
Nella Bibbia la speranza è virtù umile e drammatica. Lo vediamo dal racconto della fuga del profeta
Elia davanti ai sicari della regina Gezabele (cfr. 1Re 19,3-8). Stanchezza, paura, fame, ed Elia,
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l’indomito, si arrende, si trascina al povero riparo di una ginestra e prega: «Basta Signore, non ce la
faccio più; meglio la morte di questa fuga disperata».
Sfinito, cade in un torpore, da cui una carezza lo sveglia. È un angelo, che gli fa trovare non un cavallo
pronto a divorare al galoppo la steppa di Edom, ma un pane, cotto tra due pietre, un orcio d’acqua e
una carezza. Quasi niente, eppure pane acqua e una mano, che nutre e che scuote, bastano a restituire
il futuro. Ed Elia va per quaranta giorni, sulle sue gambe, non sulle ali di miracoli, si tende la sua corda
fino al monte di Dio, l’Oreb.
Se pane acqua e un angelo non ci bastano, niente ci basterà.
La speranza è la fatica del non arrendersi alla sproporzione tra ciò che ho tra le mani e ciò che attendo,
la fatica degli occhi che si aprono.
Come ad Agar scacciata nel deserto: sta per morire di sete con il suo bambino, si allontana dietro un
cespuglio per non assistere allo strazio dell’agonia del bimbo ed ecco: Dio le aprì gli occhi ed ella vide
un pozzo d’acqua. Dio non crea qualcosa, apre gli occhi, era già lì l’acqua e lei non riusciva a vederla.
Dio apre gli occhi anche a noi, e vediamo ciò che già è qui, strade di cui non ci eravamo accorti,
bellezza che c’era sfuggita, vediamo un fratello in chi ci pareva straniero, la poesia nel quotidiano. Il
filo scarlatto della salvezza.
Le strategie della speranza nella Bibbia: piccole cose e occhi profondi.
Noi domandiamo segni straordinari a un Dio illusorio e non apriamo gli occhi sui segni poveri del Dio
reale. Il Dio delle piccole cose, il Dio degli occhi profondi.
I segni della speranza vengono a noi mansueti come colombe (Camus)
La corda della speranza si tende verso il futuro per lo più con piccole cose: un incontro, una telefonata,
un amico, un sms quando pensavi di non farcela più, una parola ascoltata alla radio, letta in un libro,
una luce interiore. luce interiore. Una carezza. Alle volte non fornisce neppure pane, ma solo un
pizzico di lievito.
Il cristiano non è un ottimista, è uomo di speranza perché Dio si è impegnato: c’è una promessa di Dio.
Se io spero, non è per i segni che riesco a scorgere nella cronaca spesso sanguinosa dei giorni, non per
una analisi della situazione, ma perché Dio si è impegnato, e che io sia amato dipende da lui, non
dipende da me.
Secondo una bella definizione del grande Tommaso d’Aquino “la speranza è il presente del futuro”.
Nel Vangelo non ricorre mai la parola ‘speranza’ . Il termine nasce con la Chiesa che nasce. Sempre
connesso al perseverare, come lo stare ostinato delle donne presso la croce...
Nel vangelo non c’è la parola speranza, perché c’è la realtà; non c’è la corda tesa verso il futuro perché
il futuro è già presente, è Gesù, racconto della speranza fatta carne e sangue e sogno.
La sua vita, buona bella e beata.
- Buona, perché incapace di fare del male, capace di amare come nessuno.
- Bella: perché piena di amici, perché luminosa e pulsante di libertà, E il fascino di Gesù uomo libero
accende trasalimenti in ognuno di noi. Leggi il vangelo, respiri a pieni polmoni la libertà.
- E beata, cioè gioiosa: un rabbi che amava i banchetti e gli amici. Capace di commuoversi, senza
vergogna, per la carezza dei capelli intrisi di nardo. Che ha messo come cuore del vangelo 9 felicità, 9
beatitudini.
Il vangelo. In che cosa consiste la lieta notizia? è l’annuncio che è possibile vivere bene, vivere meglio,
per tutti; è possibile avere la vita in pienezza. Qui e per sempre. E Gesù ne possiede la chiave. San
Bernardo dice che gli apostoli hanno insegnato a vivere bene la buona vita.
Il volto di Dio. Gesù libera Dio da Dio, dal volto pauroso che Adamo pativa. Dal Dio che chiede sacrifici
al Dio che sacrifica se stesso per l’uomo. Finisce la paura di Dio, la madre delle paure. Dio non è buono,
è esclusivamente buono.
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La speranza è la testarda fedeltà all’idea che la storia e la vita siano, nonostante tutte le smentite, un
possibile cammino di salvezza.
Una semplice metafora: nella nostra esistenza siamo accompagnati da due cagnolini, uno è la paura
l’altro è la speranza. Il cane al quale dai da mangiare di più diventa sempre più grande. L’altro rimane
piccolo. Se io alimento la paura, se le do ascolto attenzione ragione, se la nutro, essa continuerà a
crescere. Se invece custodisco e coltivo motivi di speranza, sarà questa a diventare sempre più grande.
Come una profezia che si autoavvera.
In un viaggio in Tunisia sulla soglia di una villa romana, ho trovato questo mosaico: en sauto tas
elpidas eke, fai cantare in te stesso le tue speranze, dai voce, fai echeggiare, dai forza alle tue speranze.
Falle cantare e dà loro ascolto.
Ma il problema diventa: quali speranze cantano in me? che livello di obiettivi nutro per me e per i
miei? Mi accontento di un po’ di salute, un po’ di soldi, un po’ di sicurezza....
Il mio sogno: villa con piscina e Ferrari nel garage?
Queste però sono speranze che tendono alla paura, paura di perdere il livello di vita che ho raggiunto.
Perché non commisuriamo le speranze invece che al PIL, prodotto interno lordo, ad un PIF, Prodotto
Interno di Felicità?
Allora ecco, che cosa spero? voglio una famiglia felice, e amicizie belle, godere più cultura, l’onestà e la
fine della corruzione, custodire la bellezza della natura, aspetto pace per me e per la terra, desidero
giustizia per me e per tutti i figli di Dio, e libertà e rispetto a cominciare dagli ultimi? Allora la
speranza tende all’espansione della vita.
Dunque:
1. Coltivare la speranza.
2. Reincantare la vita. Spezzare la morsa che ci attanaglia tra fondamentalismo/integrismo e
indifferenza/nichilismo, per dare nuovo incanto alla vita.
a. Trovare il senso della vita che non si eredita, ma si deve cercare e trovare.
Come dice in una bella poesia Martin Luther King:
Se non puoi essere un pino sul monte,
sii una saggina nella valle,
ma sii la migliore piccola saggina
sulla sponda del ruscello.
Se non puoi essere un albero,
sii un cespuglio.
Se non puoi essere una via maestra
sii un sentiero.
Se non puoi essere il sole,
sii una stella.
Sii sempre il meglio
di ciò che sei.
Cerca di scoprire il disegno
che sei chiamato ad essere,
poi mettiti a realizzarlo nella vita.
b. Il senso della vita è positivo
i.
Dio all’inizio dei tempi pone l’uomo in un GIARDINO da COLTIVARE e CUSTODIRE. Il
giardino come la migliore delle possibilità , il luogo della gratuità e della bellezza, dal
coltivare e custodire: rende il mondo migliore chi ne custodisce la bellezza.
ii.
Voi POTETE. Il primo verbo in bocca a Dio e in bocca all’uomo (Eva) è POTERE. Il
senso della vita è potenzialità. È il diavolo che dice no alla vita, pone il divieto, il “non
devi”.
iii.
Il MALE DOPO. Il male può ferire l’uomo, ma non soccomberlo. Gen 3, 15 Io porrò
inimicizia fra te e la donna, fra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la
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testa e tu le insidierai il calcagno». Il bene è più forte del male. Origene dice che il
bene nella storia è presbitero, anziano, più antico, più profondo del male, che viene
dopo, è in ritardo e lo sarà sempre.
c. Il positivo ha il seme dell’eternità.
Non ci interessa un divino che non faccia fiorire l’uomo (Bonhoeffer). Questo senso positivo
è senza fine. Rom 8 “NULLA MAI ci separerà dall’amore.” L’uomo è indissolubile dall’amore,
questa è eternità che è già iniziata.
Fino a che c’è fatica c’è speranza, scriveva don Milani.
Io mi aspetto che i cristiani accarezzino il mondo contropelo diceva Sciascia.
Il vangelo è il maestro della speranza, ci insegna l’espansione della vita. Espressione della vita bella,
buona, e beata.
E ci indica il percorso: la fiducia.
- Fiducia nel mondo e nel suo destino. Il futuro sarà buono, il mondo non finirà nel fuoco ma nella
bellezza. Ultima visione dell’ultimo libro l’apocalisse: vidi la nuova terra scendere dal cielo bella come
una sposa pronta per l’incontro d’amore.
- Fiducia nell’altro, perché anche lui in cuore attende e cerca le stesse mie cose. Offro un anticipo di
fiducia ad ogni uomo, perché offrendola si riduce nell’altro la paura. Ed è probabile che la spirale di
fiducia generi fiducia.
- Fiducia in me stesso.
- Fiducia in Dio. Ho fiducia in Lui perché lui ha fiducia in me, amo colui che mi ama, credo in colui che
crede in me, quasi un raddoppio di fiducia, una fede al quadrato.
Basta che un Uomo sogni, [...]
perché un’intera razza puzzi di farfalle!
Basta che solo uno sussurri d’aver visto l’arcobaleno di notte
perché perfino il fango abbia gli occhi rilucenti!
(Manuel Scorza Torres)
La speranza è la testarda fiducia che la vita ha senso, il suo senso è positivo, questo senso è per
sempre. La testarda fiducia che io e tu, nonostante tutte le smentite, stiamo percorrendo un cammino
di salvezza.
La speranza è la fede che l’impossibile diventi possibile.
La nostra terra trabocca di visionari, profeti, mistici, sognatori, coraggiosi, che non spostano la
speranza in un altrove, ma la fanno accadere nel presente.
Il nostro paese trabocca di cantori e costruttori della speranza che seguono le tre grandi regole della
umana pedagogia:
1. non avere paura,
2. non fare paura,
3. liberare dalla paura.
La speranza non è uno stato d’animo, è operativa!
“Se tutti facciamo la nostra parte, insieme faremo tutto”, diceva don Puglisi.
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