Europa: spazio privilegiato delle speranze

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Europa: spazio privilegiato delle speranze
MARTINO INCARBONE (MILANO)
Europa spazio privilegiato di speranza?
Secondo due ambiti voglio intendere questa domanda. Nell’ambito di Europa-comunità politica e nell’ambito Europacristiana. Cercherò di rispondere trattando il problema molto concretamente. O meglio, cercando di concretizzarlo al
massimo.
Speranza è qualcosa di vivo, che non ha niente a che vedere con la tranquillità: se una persona è tranquilla, soddisfatta,
non ha niente da sperare, non ne ha bisogno. Speranza è un motivo di vita, è carburante per lo slancio, è un fuoco vivo
che accende l’animo, che appassiona, che permette di non disperare, appunto.
L’Europa politica è avvertita con questo slancio dai giovani oggi? Il Vangelo è ricercato con questa urgenza dai giovani
europei? Assolutamente no. Anche se non è riconosciuto però il fatto resta vero: l’Europa politica e certamente il
Vangelo sono spazi di speranza, di grande speranza. E allora dov’è il nesso mancante?
Primo ambito, la costruzione politica: la politica è affare complesso. Politica è leggi, regolamenti, dibattiti infiniti,
termini astratti. Perché mai dovrei appassionarmi ai “fondi strutturali”, ai “parametri di Mastricht”, udite udite, al
“trattato di Nizza” (incomprensibile anche per gli addetti ai lavori!)??: non ho mai stretto la mano agli “accordi di
Lisbona” sulla modernizzazione del mercato del lavoro, le migliaia di pagine di parole che costituiscono i “Trattati di
adesione dei paesi dell’Est” non mi hanno mai sorriso. Che cosa c’entrano con me giovane oggi? Perché questi paroloni
accendano in un giovane un fuoco che arde bisogna dargli sostanza, bisogna ricordare che sotto lo “Stato sociale” ci
sono delle persone che lavorano e guadagnano per mantenere la famiglia, che mandano i figli a scuola gratuitamente,
delle persone malate che per curarsi hanno bisogno dell’esenzione dal ticket, che quando succede un incidente grave
l’elisoccorso del 118 arriva puntuale e gratuito. Bisogna ricordarsi che dietro i “Parametri di Mastricht” c’è la salute
delle economie nazionali, quindi un tasso di disoccupazione controllato, quindi persone rischiano di non sapere come
mantenersi. Bisogna ricordare che dagli accordi di Lisbona dipenderanno i nostri contratti di lavoro futuri, quanto
guadagneremo, per quanto saremo assunti con quante garanzie. Bisogna ricordare che dietro i Trattati di adesione ci
sono le speranze di cambiamento di popoli interi. (non so se queste parole rendono l’idea: risentiamole nella nostra
mente: speranze di cambiamento di popoli interi). Allora sì che l’Europa mi interessa di più, si che mi accende di
passione, mi stimola alla responsabilità, mi chiama con una attrazione a cui non si resiste; allora sì che decido di
interessarmi al “voto a maggioranza qualificata” ai “fondi strutturali” o alle “cooperazioni rafforzate”.
Capitolo religione in Europa: anche qui c’è necessità di dare sostanza ai concetti. L’Europa è tornata terra di missione.
C’è necessità di un nuovo annuncio, di rievangelizzazione. Perché la società europea è frammentata, in cui gli individui
sono soggetti a molteplici appartenenze, è una società post-moderna dis-orientata. Al di là di questi termini usati in
modo veramente pertinente (in alcuni casi quasi poetico) dai sociologi, cosa c’è? Bisogna dire ai giovani che non sono
‘astrattaggini’: la società delle “molteplici appartenenze” è esattamente quella di una persona che dai compagni di
università è trattata da compagno di università, dal principale è trattato come fattorino del McDonald’s, dal postino
come una etichetta, dal gruppo tennis come un mediocre tennista. La società post-moderna è esattamente quella del
30enne che non può sposarsi finché non finisce la specialità in endocrinologia, quella dei vicini di casa cinesi, svedesi e
cingalesi, quella della “badante” (che brutto termine) russa. E’ la società degli individui che cenano soli, che vivono
soli, che si sentono soli ma che non lo confessano, di persone che non hanno amici con cui sfogarsi, di persone
ingabbiate nella propria immagine di se e del successo. A volte questi modi di vivere e queste “costrizioni” mettono in
crisi la persona; a volte sono veramente disumane. In un contesto così il Vangelo non è solo speranza teorica, è in senso
profondo parola viva di liberazione, di coraggio, di essenzialità che trasforma i “soggetti detentori di ruoli” in persone
vive, che muta lo stress oppressivo in capacità di riconoscere il bene nel mondo, che libera dall’ansia da prestazione che
permette di contemplare la bellezza del mondo. Il Vangelo è speranza per l’uomo di tutti i tempi; in questo senso
particolare è speranza viva per l’Homo occidentalis.
E’ così dunque che l’Europa è grande spazio di speranza. “Privilegiato”? su questo avrei qualche dubbio, non siamo
troppo pretenziosi. L’Africa è la speranza degli Africani. Guai se non fosse così. Certo l’Europa è spazio privilegiato
per noi europei, è il nostro spazio di speranza. Ed è proprio a partire da queste “basi vive” che un giovane può
appassionarsi alle vicende di un povero decimo di punto percentuale scritto sul giornale ufficiale della CEE. E’ proprio
a partire da queste “basi vive” che un giovane ha il coraggio di leggere tutti i rapporti dei gruppi di lavoro tematici della
Convenzione Europea per le riforma istituzionali e non addormentarsi. E’ proprio a partire dalle esigenze concrete delle
persone che gli stanno vicino che si spenderà in dibattiti astratti sulla cultura europea, sui valori europei, sulle necessità
pastorali della Chiesa occidentale. E’ proprio da queste “basi vive”che si accende nell’animo il fuoco vivo che accoglie
la speranza e la fa diventare sogno.
Quindi la domanda, la provocazione che pongo è questa: come la pensiamo noi l’Europa? Che sostanza diamo a questo
nome? Come riempiamo questo concetto affinché sia portatore di speranza?