JRS Servir 40

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JRS Servir 40
Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati
No. 40
Fuggire per salvarsi la vita
e dover affrontare la reclusione anziché la protezione
Articoli dalla Cambogia, Malta, Thailandia, Sudafrica e Australia
Marzo 2007
Editoriale
La detenzione come strumento di controllo delle migrazioni
I diritti umani prima di tutto
Lluís Magriñà SJ, direttore internazionale del JRS
guenze negative di questo confinamento, le cause del disagio
vanno cercate a monte.
Il diritto dei singoli stati a controllare i flussi migratori è vincolato all'obbligo di proteggere i rifugiati, come sancito dalla
Convenzione delle Nazioni Unite sui Rifugiati del 1951, laddove
si proibisce di penalizzare i richiedenti asilo. Nonostante ciò,
ancora oggi la detenzione arbitraria degli immigrati viene usata
abitualmente come mezzo di controllo dei flussi migratori.
Questo numero di Servir esamina i costi umani e sociali associati alle politiche di limitazione della libertà di movimento dei rifugiati.
Vi sono anche casi in cui si è riusciti a fare qualcosa. P.
Gallagher ci racconta che in Sudafrica la legge ha impedito che
i bambini separati dai propri genitori siano detenuti decretando
che, nelle decisioni che li riguardano, le autorità debbano agire
sempre "nel miglior interesse del minore". Dovendo far fronte a
diverse e ingenti ondate migratorie, il Sudafrica si è schierato a
Campo di rifugiati di Mae Hong Son, Thailandia, Sara Pettinella/JRS
favore della protezione dei diritti dell'infanzia, che deve essere
accudita anziché detenuta perché fuggita da situazioni di povertà e di persecuzione.
Quando i bambini dei montagnards fuggirono dalla persecuzione in Vietnam, vennero detenuti in appositi centri in Cambogia
la cui natura e struttura impediva loro di ricevere un'istruzione
adeguata. Nel suo articolo, Anne Peeters illustra come in questi
centri il tipo di servizi educativi offerti risulti piuttosto limitato e la
monotonia della vita quotidiana riduca nei giovani la capacità e
la motivazione ad apprendere.
Georgina Pike ci spiega come in Australia i difensori dei diritti
umani, non potendo appoggiarsi alla legge, si siano rivolti
all'opinione pubblica, cercando di portare l'attenzione sulle condizioni dei minori in cerca di asilo, alcuni dei quali devono
affrontare la detenzione anche per diversi anni. Mostrando il
volto umano degli effetti della detenzione, le ONG sono riuscite a catturare l'attenzione dell'opinione pubblica e a spingere il
governo a rivedere le proprie posizioni in materia. Oggi i bambini non possono più essere detenuti per motivi legati al loro
stato di migranti.
Nel secondo articolo, Katrine Camilleri evidenzia le difficoltà
sperimentate dagli avvocati maltesi nell'assicurare protezione
legale adeguata alle persone in cerca di asilo. Per sua natura la
detenzione isola i richiedenti asilo dal resto della società e ostacola l'accesso a servizi di assistenza legale o di informazione
sulla procedura di richiesta. Ciò significa che a Malta quanti
sono in cerca di asilo devono il più delle volte affrontare questa
procedura senza sapere bene cosa sia loro richiesto.
"… il confinamento a tempo indeterminato nei
campi…può generare nei più giovani apatia e
scoraggiamento."
Come ci spiega Kelle Rivers nel suo articolo, anche il confinamento a tempo indeterminato nei campi, pur se meno gravoso
rispetto alla detenzione, può avere un impatto negativo sulla
salute mentale dei rifugiati. Ciò è particolarmente evidente nei
comportamenti anti-sociali sviluppati da giovani rifugiati che
vivono nei campi. La consapevolezza che "fuori" vi siano tante
opportunità di svago e di crescita può generare nei più giovani
apatia e scoraggiamento. Anche se ricevono cibo, alloggio e
istruzione, questi servizi vengono visti come una strada senza
futuro; ma per quanto il JRS si adoperi per contrastare le conse-
Anche se la comunità internazionale ha il dovere di farsi carico
congiuntamente la detenzione non dovrebbe mai essere usata
come mezzo per controllare i flussi migratori. Dio ci ha creati
liberi. Esistono quasi sempre strade alternative alla detenzione
che sono rispettose della nostra libertà: è compito degli stati
porre i diritti umani al di sopra delle ragioni di sicurezza interna.
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Cambogia
Nei campi di permanenza obbligatoria non è possibile una buona istruzione
La monotonia della vita di ogni giorno demotiva gli studenti
Anne Peeters, ex Responsabile legale, JRS Cambogia
L'etnia dei montagnards, originari del Vietnam, costituisce la più
grande comunità di rifugiati in Cambogia. Diversamente dagli
altri rifugiati presenti nel paese, che rientrano nella categoria dei
cosiddetti "rifugiati urbani", i montagnards vivono all'interno di
campi, nella capitale Phnom Penh, posti sotto la sorveglianza
della polizia. La politica di confinamento in questi campi, che in
pratica sono centri di detenzione (essendo possibile allontanarsi
solo per ragioni mediche), ostacola seriamente la possibilità di
fornire a coloro che vi abitano un servizio educativo adeguato e
costituisce di conseguenza una minaccia per la loro salute mentale.
"Un lieve mal di testa, causato dal troppo
dormire, si può tramutare facilmente in
un'emicrania."
Campo rifugiati, Phnom Penh, Cambogia, Anne Peeters/JRS
Seppur in mancanza di prove certe, il governo accusa i montagnards di far parte di un gruppo di resistenza armata che, se
lasciato a piede libero, proseguirebbe la propria attività di lotta
anche in Cambogia. Adducendo motivazioni di sicurezza nazionale, ma più probabilmente in risposta alle pressioni esercitate
dal suo potente vicino, il Vietnam, il governo nega quindi ai
montagnards, riconosciuti come rifugiati dall'Agenzia delle
Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), la possibilità di integrarsi
nella realtà locale, chiedendo loro di accettare di essere trasferiti in un altro paese oppure di tornarsene a casa.
attesa dell'espulsione. Di conseguenza non è stato possibile
ricreare un sistema parallelo di educazione, ma ci si è dovuti
limitare a lezioni di inglese e ad alcune attività ricreative per i
bambini.
In poco tempo ci siamo accorti di come fosse difficile riuscire a
motivare i rifugiati a frequentare con profitto l'esiguo numero di
attività previste. Negato loro il permesso di lavorare e con
pochissimo spazio per praticare sport o altre attività, sono diventati presto apatici. La mancanza di esercizio fisico, tra le altre
cose, ha portato a un costante aumento delle visite mediche. Un
lieve mal di testa, causato dal troppo dormire, si può tramutare
facilmente in un'emicrania. Molti di loro hanno perso l'appetito
e di conseguenza hanno cominciato a perdere peso. Una donna
è caduta in uno stato di depressione così profondo da non voler
più lasciare la sua stanza. I rifugiati aspettano con ansia la visita giornaliera degli assistenti e l'incertezza riguardo le visite costituisce l'unica variazione alla loro monotona routine.
"… l'UNHCR non fornisce servizi educativi a coloro la cui richiesta di asilo non
è stata accettata…"
Questa politica di confinamento è particolarmente dura per i
bambini che non possono ricevere una buona istruzione. Alcuni
di loro poi trasferiti in altri paesi – in Canada, Finlandia e negli
USA – sono risultati svantaggiati rispetto ai compagni, non solo
per le difficoltà nell'apprendimento della lingua del loro nuovo
paese, ma in generale per aver perso uno o due anni di scuola.
In questo caso, la negazione della libertà di movimento ha avuto
un impatto diretto sul loro diritto all'istruzione.
Campo rifugiati, Phnom Penh, Cambogia, Anne Peeters/JRS
Non potendo i rifugiati usufruire delle strutture e dei servizi esterni ai campi, i servizi educativi devono essere offerti al loro interno, cosa che comporta diverse difficoltà. Intanto essi sono confinati in diversi piccoli campi recintati sparsi per tutta Phnom
Penh e non è chiaro quanto vi debbano rimanere, anche se la
loro permanenza dovrebbe essere breve. Inoltre, l'UNHCR non
fornisce servizi educativi a coloro la cui richiesta di asilo non è
stata accettata, anche se questi costituiscono la maggioranza dei
richiedenti asilo e debbono rimanere nei campi anche mesi in
La migrazione forzata è già un fatto traumatico di per sé. La
detenzione e la negazione dei diritti fondamentali della persona
possono aggravare questo trauma. Anche se l'esperienza di ogni
rifugiato è diversa, l'impatto delle politiche del governo cambogiano non può che essere negativo, come esemplifica la testimonianza di un rifugiato che ha descritto la sua vita nel campo
come "un altro modo di morire…"
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Malta
La detenzione ostacola la tutela giuridica dei richiedenti asilo
Un ulteriore impedimento all'assistenza legale
Katrine Camilleri, Vicedirettore, JRS Malta
A Malta, i richiedenti asilo le cui pratiche sono ancora in corso di valutazione dopo 12 mesi vengono lasciati liberi di muoversi e di lavorare. Se la loro richiesta viene respinta dopo questi 12
mesi, rischiano però la detenzione fino a 18 mesi. La detenzione, di fatto, isola i richiedenti asilo
e rende più difficile svolgere anche le azioni più semplici, come comunicare con i propri parenti
o consegnare i documenti a supporto della propria richiesta.
I richiedenti asilo arrivano al centro di detenzione, Malta, Malta Today
I detenuti hanno anche molta difficoltà a ricevere l'assistenza
legale di cui hanno bisogno sia durante la procedura di asilo,
che per opporsi alla detenzione. Benché i richiedenti asilo abbiano il diritto di essere assistiti da un avvocato durante l'intera procedura, lo stato fornisce loro assistenza legale gratuita solo
durante la fase di appello. Le organizzazioni come il JRS, con
risorse limitate, offrono assistenza pro-bono a chi ne faccia
richiesta. Tuttavia, così come un richiedente asilo potrebbe non
essere a conoscenza della nostra organizzazione, così il JRS
potrebbe essere ignaro della sua esistenza.
Charles, un giovane liberiano che aveva fatto domanda di asilo,
era stato sottoposto all'esame ai raggi X al torace – procedura
che normalmente precede il rilascio – una settimana prima della
scadenza dei 12 mesi. La cosa aveva creato in lui una grande
aspettativa perché pensava che il rilascio fosse imminente. In
attesa di essere convocato alla "libertà", aveva già preparato tutti
i suoi bagagli e dato via ciò che non avrebbe potuto portare con
sé.
Il giorno dopo che Charles aveva completato i suoi 12 mesi di
fermo, quando sentì che il suo nome era stato chiamato, si recò
al piano inferiore nell'attesa di ottenere il rilascio. Invece, con
suo grande sgomento, gli fu consegnata una busta beige che
conteneva la decisione del Refugee Appeals Board (il tribunale
Ciò significa che in molti casi i richiedenti asilo passano 12 mesi
aspettando di essere rilasciati solo per vedere le proprie speranze crollare all'ultimo minuto.
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Malta
per il riesame delle richieste di asilo) che rifiutava la sua domanda.
L'inutile crudeltà di questo sistema è tanto maggiore perché gran
parte, se non la totalità, delle richieste in appello vengono
respinte, al punto che per un richiedente asilo il problema non è
tanto sapere se la sua domanda verrà respinta, ma quando questo accadrà. Il risultato dell'appello, che dipende da fattori piuttosto aleatori, sarà ciò che determinerà in ultima istanza la durata della loro detenzione.
Il presidente del tribunale per l'esame di primo grado del
Refugee Appeals Board ha giustificato il basso tasso di accettazione delle domande al vaglio della procedura di appello con
l'alta percentuale di domande di asilo o di protezione umanitaria che in prima istanza ricevono parere positivo dalla
Commissione per i Rifugiati.
"I detenuti ricevono poche o nessuna
informazione sulla procedura di domanda d'asilo…"
È vero che la Commissione per i Rifugiati esamina le richieste in
modo accurato ed efficiente, nel limite delle proprie risorse; ma
anche se sulla carta tutti i richiedenti asilo hanno la possibilità di
presentare le loro domande, coloro che si trovano in stato di
fermo devono affrontare diversi ostacoli per fare ciò.
I detenuti ricevono poche o nessuna informazione sulla procedura di domanda d'asilo o sulle leggi che la regolano. Il più delle
volte sono i detenuti con più esperienza ad essere le uniche fonti
di informazione per i nuovi arrivati. Tali informazioni anche se
fornite con la migliore delle intenzioni molto spesso sono errate
o parziali.
Le domande di asilo vengono generalmente giudicate sulla base
della loro credibilità. Ignari di ciò che devono dimostrare per
comprovare il loro status di rifugiati, i richiedenti asilo, basando-
Centro di detenzione, Malta, Malta Today
"… per i detenuti il principale ostacolo a
ottenere giustizia è la paura e l'insicurezza
che il sistema instilla in loro."
Ciò significa che, anche se in teoria la legge prevede una serie
di tutele per i detenuti, in pratica risulta quasi impossibile usufruire di tutte le possibilità che la legge offre per tutelare i loro diritti.
Bisogna in ogni caso tenere a mente che per i detenuti il principale ostacolo a ottenere giustizia è la paura e l'insicurezza che il
sistema instilla in loro. I detenuti vivono nella consapevolezza di
essere considerati degli "estranei", privati del controllo sulla loro
vita presente e del diritto di decidere del proprio futuro.
si sulle informazioni ricevute dai propri compagni, raccontano ai
responsabili della valutazione ciò che essi pensano li aiuterà a
superarla, cosicché durante l'appello, quando si trovano a raccontare i veri motivi e le circostanze che li hanno spinti a fuggire dai loro paesi di origine, non vengono considerati credibili. Se
in precedenza avessero potuto usufruire di un'adeguata assistenza legale, avrebbero ricevuto informazioni più corrette e sarebbero maggiormente tutelati.
Sono incapaci di affrontare la situazione in quanto si sentono
completamente alla mercé delle autorità, troppo deboli per sfidare le azioni del governo, per quanto dubbie, come ben espresso dalle parole di un detenuto quando disse: "Sono come un
bambino sotto l'autorità di mio padre… e il governo è mio
padre. Che cos'altro posso fare?"
Nella maggior parte dei casi i detenuti dovrebbero ricorrere ai
servizi di un avvocato privato, i cui compensi sono normalmente
al di sopra delle loro possibilità.
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Thailandia
Nei campi sotto sorveglianza senza sapere per quanto
L'aumento dei comportamenti anti-sociali
Kelle Rivers, Coordinatore dei programmi, JRS Thailandia
"Mi sento come se qualcuno mi avesse chiuso gli occhi ed ogni giorno è la stessa cosa". Queste
sono le parole di un rifugiato Karenni originario della Birmania che ha fatto ritorno al campo di
Mae Hong Son, nel nord della Thailandia, dopo aver partecipato a un corso di formazione. Le
porte del suo mondo piccolo e limitato si sono aperte e poi subito richiuse provocando in lui un
senso di privazione perché non potrà più far parte della vasta realtà del mondo esterno al
campo, non si potrà informare, scegliere e, soprattutto, non potrà essere libero.
Campo di rifugiati di Mae Hong Son, Thailandia, Sara Pettinella/JRS
che accetterebbero anche volentieri se non fosse che solo una
piccola percentuale tra essi potrà usufruire di questa possibilità –
una piccola benda su una grossa ferita.
Così come molti altri giovani che vivono nei campi situati lungo
il confine tra la Thailandia e la Birmania, anche lui ha passato
la maggior parte della sua vita in esilio. Grazie al suo status di
rifugiato gli viene assicurato cibo a sufficienza, un posto sicuro
dove dormire, l'assistenza sanitaria e un'istruzione di base. Cose
che in Birmania molte persone, giovani o vecchie, non hanno.
Ma tutto ciò ha il suo prezzo: il protrarsi della crisi dei rifugiati
birmani sta avendo gravi conseguenze sugli abitanti dei campi,
soprattutto i giovani.
Un articolo pubblicato di recente sul giornale del campo tratta
delle conseguenze negative per i rifugiati del prolungarsi della
loro permanenza al campo, in particolare facendo riferimento
all'aumento del verificarsi di comportamenti anti-sociali.
Nell'articolo si parla della disperazione dei giovani e della mancanza di opportunità. Come il ragazzo di cui abbiamo parlato
prima, i rifugiati dei campi sono ben consapevoli delle opportunità offerte dal mondo esterno e della loro impossibilità a prendervi parte. Uscire dal campo, pur essendo possibile, è illegale e
coloro che vengono sorpresi rischiano l'arresto e l'espulsione.
Da diversi anni, tra i rifugiati provenienti dalla Birmania, si era
cominciato a parlare di rimpatrio e ad aspettare il giorno in cui
si sarebbe finalmente fatto ritorno a casa. Oggi i più parlano
invece dell'eventualità di essere trasferiti in un altro paese, fatto
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Thailandia
Campo di rifugiati di Mae Hong Son, Thailandia, Sara Pettinella/JRS
durante le lunghe vacanze estive. Queste e altre attività servono
a fornire alternative positive a studenti sfiduciati e annoiati.
Non ci si può aspettare molto da persone che vivono confinate
in un campo per un periodo di tempo indefinito. I bambini riceveranno l'istruzione necessaria, ma per quale futuro? Perdita di
fiducia, dipendenza e frustrazione sono destinate a crescere e gli
atteggiamenti relazionali distruttivi a diventare sempre più prevalenti.
Mentre la situazione in Birmania continua a peggiorare, nessuno sa cosa abbia in serbo il futuro, forse ancor meno lo sanno i
rifugiati stessi. Anche se è difficile immaginarsi un cambiamento
decisivo nella loro situazione, è di massima importanza continuare a portare avanti attività di advocacy, sia a favore di coloro che ancora lottano in Birmania che di coloro che hanno deciso di lasciare il paese.
"Uscire dal campo, pur essendo possibile, è
illegale e coloro che vengono sorpresi
rischiano l'arresto e l'espulsione."
Queste strategie richiederanno un impegno coordinato dei rifugiati stessi, delle ONG e delle organizzazioni governative e intergovernative per affrontare la crisi umanitaria e per far ciò sarà
necessario adottare un approccio olistico alle cause e alle conseguenze della crisi in atto. Adesso che la Birmania è stata inserita nell'agenda del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite,
gli stati membri si dovranno impegnare per affrontare alla radice questa crisi che dura ormai da diversi decenni.
I giovani hanno bisogno di potersi esprimere in modo sicuro e
strutturato, di divertirsi e prendere contatto con i propri sentimenti, interrogativi e preoccupazioni. I giovani rifugiati che vivono
nei campi non sono certo un'eccezione. La vera sfida in questo
caso è trovare il modo di aiutarli a vedere le possibilità senza
creare aspettative irrealistiche che andrebbero solo ad aumentare il senso di disperazione e delusione che purtroppo già provano. Le opportunità devono essere sviluppate così da aiutare questi giovani a capire e sperimentare modi per migliorare la loro
vita adesso e non solo in un futuro lontano.
"...dipendenza e frustrazione sono destinate
a crescere e gli atteggiamenti relazionali
distruttivi..."
Per alleviare almeno in parte gli effetti negativi della reclusione
nei campi, il JRS e il Dipartimento dell'educazione di Karenni
(KnED), una ONG guidata da rifugiati, stanno lavorando allo
sviluppo di un corso che aiuti ad accrescere le capacità di socializzazione, a complemento del corso di formazione professionale già in essere. Il nuovo corso tratterà di tematiche di grande
attualità, come l'HIV/AIDS, l'uso di stupefacenti e alcol, l'educazione sessuale, i processi decisionali, la violenza domestica, la
pressione del gruppo di coetanei e altre tematiche sociali e sanitaire. Il JRS e il KnED incoraggiano i giovani a prendervi parte e
hanno in programma di organizzare corsi speciali (arte, musica,
computer, thailandese) nel periodo estivo, con l'intento di offrire
possibilità di divertimento e svago agli studenti delle scuole
In ogni caso, tutto ciò non è ancora sufficiente. In Thailandia, i
rifugiati birmani devono sapere che non sono stati dimenticati,
che la loro causa è conosciuta e che vi è speranza! Hanno
anche bisogno di ricevere assistenza concreta e sostegno per sviluppare strategie di sopravvivenza. È necessario fare di più per
difendere i diritti dei rifugiati birmani e trovare soluzioni durature, sia in Thailandia che altrove. La fine della politica di reclusione nei campi per rifugiati segnerebbe un importante passo in
avanti per il miglioramento delle loro vite e nel prepararli a giocare un ruolo attivo nella costruzione del proprio futuro.
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Sudafrica
La detenzione per i minori senza genitori
Il Sudafrica ha deciso di mettere i bambini al primo posto
Michael S. Gallagher SJ, Responsabile per le attività di advocacy, JRS Africa meridionale
Il 13 settembre 2004 la Corte suprema del Sudafrica ha emesso una sentenza senza precedenti
in materia di detenzione dei minori immigrati stabilendo che i minori stranieri detenuti in
Sudafrica avrebbero goduto degli stessi diritti e delle stesse tutele legali dei minori sudafricani.
I minori non accompagnati vengono assistiti dal JRS a Johannesburg, Sudafrica, Joe Hampson SJ/JRS
La conseguenza immediata di questa decisione fu che i minori
immigrati, ivi inclusi i richiedenti asilo, non avrebbero più affrontato la detenzione prevista dalle leggi sull'immigrazione. Oggi,
quando si trova a prendere decisioni che lo riguardano, lo stato
deve considerare "il migliore interesse del minore". La decisione
che sancisce il dovere dello stato a prendersi cura di tutti i minori ha dato una forte spinta al lavoro che il JRS svolge sin dal
1999 a favore dei minori senza genitori che cercano asilo in
Sudafrica.
petizione urgente. Il giudice espresse la sua preoccupazione non
solo per le condizioni in cui i minori erano tenuti, ma anche per
le modalità di espulsione:
Il caso Centre for Child Law (Centro per il diritto dell'infanzia)
contro il Ministero dell'Interno ebbe inizio nel marzo del 2004
quando il Centre for Child Law della facoltà di legge dell'università di Pretoria cercò di impedire l'espulsione di 13 minori detenuti insieme ad altri adulti nel centro di Lindela presentando una
La corte emise immediatamente una sentenza che ordinava che
i bambini del campo fossero ospitati presso il Dyambo Children's
Centre, sospendendo l'espulsione di minori stranieri fino a che
non avesse preso in esame ogni singolo caso e decidendo per
ognuno quale fosse il suo miglior interesse. Anche se la senten-
"Ci sembra di capire che i bambini che vengono espulsi dal centro di Lindela verso i loro paesi di origine sono caricati su dei
camion e portati alla stazione. Da lì vengono messi sui treni e
portati fino al confine del loro paese, caricati su un camion e
portati alla stazione di polizia più vicina."
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Sudafrica
Assistenti sociali del JRS che lavorano con minori non accompagnati a Pretoria, Sudafrica, Michael Gallagher SJ/JRS
Siamo orgogliosi dei principi contenuti nella costituzione…
Abbiamo Nelson Mandela, che è diventato un simbolo in tutto il
mondo anche per il suo amore per i bambini e per il suo impegno costante a favore di coloro che si trovano nel bisogno. ….
Sottoscriviamo i principi contenuti nei trattati internazionali….
Ma questi nobili ideali diventano vuote ipocrisie se non vengono
messi in pratica da coloro a cui lo stato ha dato il compito di
fare esattamente ciò; che sono pagati per applicare queste leggi
bellissime e che per apatia e mancanza di compassione non
compiono il loro dovere."
za fu emessa entro pochi giorni dalla presentazione della petizione di marzo del Centre for Child Law, il caso si protrasse per altri
sei mesi.
In un primo momento infatti il tribunale minorile si rifiutò di esaminare il caso, poiché riteneva che le leggi per la protezione dei
diritti dei minori fossero applicabili esclusivamente ai bambini
"… sono trattati in un modo terribile,
per qualsiasi società, anche la più
abietta."
Le ripercussioni di questa decisione vanno ben al di là dei confini del Sudafrica, se non dell'intero continente africano. Negli
Stati Uniti, ad esempio, il miglior interesse del bambino non
sudafricani. Il 21 maggio la causa ritornò alla Corte suprema
che ribaltò questa decisione. Dopo la sentenza, il Ministero per
le politiche sociali però non si occupò di portare i bambini
dinanzi al tribunale minorile di Krugersdorp, per cui il giudice
non fu in grado di condurre e portare a termine l'esame della
situazione di ogni bambino.
"… il Ministero per le politiche sociali però
non si occupò di portare i bambini dinanzi al
tribunale minorile di Krugersdorp…"
Questa mancanza di iniziativa da parte del Ministero per le politiche sociali infastidì il giudice che nella sentenza conclusiva di
settembre di quell'anno rammentò ai ministri e alle istituzioni
governative interessate che lo stato ha degli obblighi nei confronti di tutti minori, secondo quanto stabilito dall'art. 28 della
costituzione nazionale e secondo quanto sottoscritto nella
Convenzione ONU sui diritti dell'infanzia di cui il Sudafrica è firmatario.
viene necessariamente considerato come un fattore determinante nelle azioni legali. Le decisioni sulla detenzione sono generalmente prese solo sulla base dello status legale del bambino nel
paese e i tribunali per l'immigrazione non sono tenuti a tenere in
conto altri elementi.
In seguito a questa sentenza, i minori non vengono più detenuti
ed espulsi arbitrariamente dal Sudafrica. Vengono invece dati in
affido a comunità o famiglie, dove ricevono un'educazione e
un'assistenza sanitaria e tutto ciò che richiede il miglior interesse
del bambino. Questa sentenza e il modo in cui viene applicata
sono uniche in Africa e costituiscono una sfida importante alle
leggi di altri paesi.
"Sulla base dei fatti che mi sono stati presentati… l'unica conclusione a cui posso arrivare è che questi bambini sono trattati in
un modo terribile, per qualsiasi società, anche la più abietta. In
una società come la nostra, orgogliosa dei propri nobili sentimenti, è vergognoso che ciò accada. Come sudafricani è giusto
essere orgogliosi del nostro paese e della nostra democrazia….
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Australia
La fine della detenzione obbligatoria per i richiedenti asilo
La forza dell'opinione pubblica può proteggere i bambini
Georgina Pike, Responsabile azioni di advocacy, JRS Australia
Non più di sei anni fa la pratica della detenzione obbligatoria come misura deterrente per i
richiedenti asilo che cercavano rifugio in Australia era ancora un caposaldo della politica interna australiana. Il primo ministro John Howard vinse le elezioni con lo slogan: "Decideremo noi
chi entra in questo paese e a quali condizioni". Anche se oggi questo principio è ancora valido e
i richiedenti asilo continuano a essere tenuti in reclusione – all'interno e all'esterno del territorio
nazionale – ultimamente in Australia il movimento per i diritti dei rifugiati ha messo a segno
alcune vittorie.
Nell'agosto del 2005, per segnare l'inizio di un approccio meno autoritario nei confronti della detenzione si sostituirono i fili spinati con dei fiori e
delle cancellate, Georgina Pike/JRS
detenzione di minori, la sistemazione in comunità residenziali, la
limitazione della durata della detenzione – siano stati raggiunti
proprio in seguito alla risonanza ottenuta presso l'opinione pubblica da alcuni casi di trattamento ingiusto e crudele di detenuti
da parte delle autorità australiane.
Nessun minore è più costretto a rimanere all'interno di un IDC
(centro di detenzione per immigrati), optando sempre più spesso
per delle sistemazioni alternative in comunità residenziali e il
Ministero per l'immigrazione ha subito un cambiamento culturale che ha determinato alcuni importanti risultati nel modo in cui
vengono trattati i richiedenti asilo. Anche se la politica di detenzione obbligatoria è tutt'oggi ingiustificatamente in vigore, le
applicazioni più estreme di questa politica si sono notevolmente
ridotte. Da cosa è stato provocato questo cambiamento importante? Quali lezioni si possono trarre dall'esperienza australiana
per coloro che sono impegnati in altre parti del mondo nella
lotta contro politiche simili?
"… Shayan Badraie… venne così ricoverato
in ospedale … per essere poi rispedito nel
centro di detenzione…"
Senza dubbio la pressione esercitata in modo coordinato e continuato sui parlamentari e l'opinione pubblica da parte di una
molteplicità di gruppi della società civile ha giocato un ruolo
determinante nel rendere più umane alcune disposizioni della
politica australiana sull'immigrazione. È importante sottolineare
come i cambiamenti più importanti in materia – la fine della
Per gli australiani il nome di Shayan Badraie è simbolo del triste
lascito della politica di detenzione obbligatoria, ma rappresenta anche l'inizio di un importante cambiamento, il sacrificio di
una persona la cui sofferenza ha contribuito al raggiungimento
di importanti risultati che hanno portato ad un futuro migliore.
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Australia
Il centro di detenzione per immigrati Villawood a Sidney, Georgina Pike/JRS
Nel 2001 Shayan Badraie, un bambino iraniano di sei anni, si
trovava nel centro di detenzione per immigrati Villawood di
Sydney assieme ai genitori e alla sorella. Non parlava e si rifiutava di mangiare e di bere, fino al punto che si rese necessaria
la somministrazione artificiale di fluidi per tenerlo in vita. Venne
così ricoverato in ospedale e sommariamente curato per essere
poi rispedito nel centro di detenzione, dove le cause del suo trauma erano rimaste immutate. Quando un gruppo di giornalisti
riuscirono a infilarsi di nascosto con una cinepresa nella sua
stanza a Villawood, ne scaturì un servizio che fu mandato in
onda dalla TV nazionale ABC provocando un'ondata di shock in
tutto il paese. Gli australiani non si ponevano molti problemi sul
fatto che le persone definite dai politici come "illegali" o "salta
code" venissero detenute, ma quando si trovarono di fronte
all'immagine di questo bambino magro, debole e disidratato
divenne per loro molto più difficile accettare che questo trattamento fosse riservato anche a lui.
Il trasferimento di minori all'interno delle comunità faceva parte
di una serie più ampia di riforme che furono introdotte nel 2005
come effetto dell'interessamento dell'opinione pubblica a casi
simili. Quando si scoprì che Cornelia Rau, una donna con regolare permesso di soggiorno che soffriva di problemi psichiatrici,
era stata illegalmente detenuta in un centro di detenzione per
immigrati per dieci mesi tra il 2004 e il 2005, venne ordinata
un'inchiesta per stabilire le responsabilità all'interno del
Ministero.
La rivelazione da parte della stampa che una cittadina australiana, Vivian Alvarez Solon, era stata espulsa illegalmente, assieme
all'identificazione di circa 200 casi di violazione delle leggi sulla
detenzione presentate all'Ombudsman del Commonwealth, contribuirono a minare la fiducia degli australiani nel Ministero dell'immigrazione al punto che era diventato inevitabile introdurre
delle riforme strutturali.
In risposta alle terribili immagini che mostravano il trattamento
ricevuto da Shayan Badraie nel centro di detenzione, un gruppo
di cittadini – la maggior parte dei quali provenienti dai quartieri
più benestanti di Sydney – diedero vita a un gruppo di pressione, ChilOut, che divenne ben presto un interlocutore autorevole
ed efficace all'interno del dibattito che si aprì in merito. Le persone che ne facevano parte non erano degli attivisti politici da
prima linea, ma individui che il governo federale avrebbe tranquillamente annoverato tra i suoi sostenitori, perlopiù professionisti della media e alta borghesia.
"… Circa 700 minori si trovavano in stato di
detenzione… nell'agosto del 2001; oggi non
ve n'è più nessuno."
L'esperienza australiana può servire da incoraggiamento a tutti
coloro che stanno lottando contro delle politiche lesive dei diritti umani. Anche quando una nazione è accecata dalla paura e
da pregiudizi sugli "illegali" e i "salta code", c'è sempre spazio
perché la compassione prevalga, quando ai richiedenti asilo
viene dato un nome, un viso, una storia. Adesso rimane da rivedere il principio della detenzione obbligatoria, così come la pratica di "dirottare" i richiedenti asilo prima che giungano sul territorio nazionale. In Australia coloro che si battono per i diritti dei
rifugiati non aspettano che succeda un'altra tragedia per darsi
da fare.
Dopo anni di lotte, nel luglio del 2005 tutti i bambini vennero
trasferiti assieme alle loro famiglie presso delle comunità residenziali di detenzione. Il successo di questa campagna civile
venne attribuito all'aver saputo appellarsi a un principio morale
fondamentale e irrinunciabile – è sbagliato tenere in reclusione
un bambino innocente. Circa 700 minori si trovavano in stato di
detenzione, dietro un filo spinato, quando la storia di Shayan
Badraie fu trasmessa nell'agosto del 2001; oggi non ve n'è più
nessuno.
11
Marzo 2007
J R S
Servir No. 40
Fuggire per salvarsi la vita e dover affrontare la reclusione
anziché la protezione
Articoli dalla Cambogia, Malta, Thailandia, Sudafrica e Australia
Come aiutare una persona
Foto di copertina
Rifugiati. Frontiera tra Thailandia e
Cambogia.
Jan Cooney/JRS
Direttore:
Francesco De Luccia SJ
La missione del JRS è quella di accompagnare, servire e difendere i diritti dei rifugiati e degli sfollati,
specialmente coloro che sono dimenticati e la cui situazione non attira l’attenzione internazionale.Lo
facciamo attraverso i nostri progetti in più di 50 paesi in tutto il mondo, dando assistenza tramite
istruzione, assistenza medica, lavoro pastorale, formazione professionale, attività generatrici di reddito e molte altre attività e servizi ai rifugiati.
Il JRS può contare soprattutto su donazioni da parte di privati, di agenzie di sviluppo e organizzazioni ecclesiali.
Direttore Responsabile:
Vittoria Prisciandaro
Produzione: Sara Pettinella
Servir è disponibile gratuitamente
in italiano, inglese, spagnolo e
francese.
Servir è pubblicato in marzo, settembre e dicembre dal Jesuit
Refugee Service, creato da P.
Pedro Arrupe SJ nel 1980.
Alcuni esempi di come vengono utilizzati i fondi del JRS:
Per aiutare un rifugiato nell'area metropolitana di Kampala, Uganda per un anno
JRS Il JRS, un’organizzazione cattolica internazionale, accompagna, serve e difende la causa dei
rifugiati e degli sfollati.
- $22 USA Per sostenere i diritti di un rifugiato nel campo di Kakuma, Kenya per un anno
- $45 USA -
s e r v i r @ j r s . n e t
Per mandare a scuola un bambino rifugiato nel campo di Lukole , Tanzania per un anno
- $60 USA Per aiutare finanziariamente un rifugiato anziano nel campo di Mwange, Zambia
- $80 USA Per aiutare materialmente un bambino in cerca di asilo senza i genitori a Pretoria, Sudafrica
per un anno
- $800 USA -
Jesuit Refugee Service
C.P. 6139
00195 Roma Prati
ITALIA
tel: +39 06 6897 7386
fax: +39 06 6897 7380
w w w. j r s . n e t
Per fornire un'istruzione professionale a un rifugiato a Mae Hong Son, Thailandia per un anno
- $800 USA -
Sostieni il Nostro Lavoro con i Rifugiati
Il vostro continuo sostegno rende possibile per noi l’aiuto ai rifugiati e richiedenti asilo in più di 50 nazioni. Se
desideri fare una donazione, compila per cortesia il tagliando e spediscilo all’ufficio internazionale del JRS.
Grazie per l’aiuto. (Si prega di intestare gli assegni all’ordine del Jesuit Refugee Service)
Dispatches:
Dispatches, un bollettino di notizie
quindicinale dell’Ufficio Internazionale
del JRS che riporta notizie sui rifugiati
e aggiornamenti sui progetti e le attività del JRS, è disponibile gratuitamente via e-mail in italiano, inglese,
spagnolo o francese. Per abbonarsi a
Dispatches:
http://www.jrs.net/lists/manage.php
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Per trasferimenti bancari al JRS
Banca: Banca Popolare di Sondrio, Roma (Italia),
Ag. 12
ABI: 05696 – CAB: 03212 – SWIFT:
POSOIT22
Nome del conto: JRS
Numeri del conto:
per euro: 3410/05
IBAN: IT 86 Y 05696 03212 000003410X05
per dollari USA: VAR 3410/05
IBAN: IT 97 O 05696 03212 VARUS0003410