Cercare e trovare accoglienza seconda parte di Felicina Proserpio
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Cercare e trovare accoglienza seconda parte di Felicina Proserpio
Cercare e trovare accoglienza seconda parte di Felicina Proserpio Inoltrandosi nel mondo dei richiedenti l’asilo e dei rifugiati in Europa si constatano purtroppo numerosi ostacoli sul cammino di quel nuovo inizio al quale tutti i migranti – più o meno forzati – aspirano. Continuando il viaggio virtuale in alcuni paesi europei iniziato nel Corriere del 20 giugno scorso, dopo Torino, ci fermiamo in un’altra città italiana: Roma. La ricerca dell’ASGI “Il diritto alla protezione” mette a fuoco in proposito alcuni rilevanti problemi per i richiedenti asilo: primo fra tutti l’obbligo per coloro che vogliono presentare una domanda di asilo in Questura di dichiarare un domicilio. Tale indicazione di indirizzo sarebbe necessaria per contattare i richiedenti per le successive comunicazioni ma, poiché si tratta di persone perlopiù appena arrivate in Italia e che - in fuga da paesi spesso in guerra o nei quali vige una dittatura - chiedono protezione, questo dettaglio burocratico si traduce spesso in uno scoglio difficile da superare. Tra l’altro si è constatato che la Questura è solita dare le prime comunicazioni direttamente alle persone, invitandole a ripresentarsi periodicamente allo sportello: a cosa serve allora pretendere l’indicazione di un domicilio nella pratica per la richiesta di asilo? Per ovviare alle difficoltà che questa prassi comporta diverse associazioni a Roma hanno ottenuto la possibilità di concedere una “residenza convenzionale”, cioè fittizia: il richiedente asilo può indicare nella pratica l’indirizzo di una di queste associazioni, previo naturalmente l’assenso della stessa. Tale risposta al primo intoppo nel percorso dei richiedenti asilo produce però un ulteriore problema: i rifugiati ai quali viene poi riconosciuto diritto d’asilo o comunque protezione internazionale risultano iscritti a centinaia - perché lì domiciliati - in quartieri nei quali non vivono, con conseguenze negative sulla possibilità, per loro, di usufruire delle prestazioni socio-sanitarie cui avrebbero diritto. I servizi sociali e le ASL (Aziende Sanitarie Locali) dei quartieri dove si trovano le associazioni sono sovraccarichi di lavoro e contemporaneamente molti rifugiati “si trovano di fatto esclusi dai servizi sociali presenti nell’area in cui vivono”. Il comune di Roma gestisce 21 centri di accoglienza sul territorio, disponendo così di circa 1300/1400 posti. Il 90% degli utenti sono richiedenti asilo e titolari di protezione internazionale. I posti potrebbero anche essere relativamente proporzionati alle necessità della prima accoglienza considerando anche i 650 posti del CARA governativo – se non fossero del tutto insufficienti per non dire assenti le misure di integrazione previste per i rifugiati. Infatti, non supportando i titolari di protezione con idonee misure di seconda accoglienza essi vanno ad ingrossare il numero di coloro che chiedono di alloggiare in uno dei centri comunali: al 31 marzo 2011 erano, ad esempio, in lista d’attesta 4.634 persone. Questi rifugiati non possono tornare nel loro paese (Eritrea, Somalia, Sudan, Afghanistan…) e neanche emigrare altrove, in quanto la maggior parte dei paesi europei (Svizzera inclusa) ha aderito al cosiddetto accordo di Dublino che fissa la responsabilità per i richiedenti asilo in capo al primo stato di accoglienza o registrazione. Molti in Italia sono così costretti a vivere per anni in edifici occupati abusivamente. Uno di questi fabbricati è stato visitato in luglio dal Commissario per i diritti umani del Consiglio d'Europa, Nils Muiznieks, che ha dichiarato: “ho visto l'intollerabile situazione in cui versano circa 800 rifugiati in un palazzo abbandonato a Roma […]: inaccettabile in un paese come l'Italia". Gli abitanti di questo edificio vengono soprattutto dal Corno d'Africa, scappano dalle guerre; molti sono superstiti del conflitto in Darfur. Nonostante alcune episodiche tensioni, l’ordine nel fabbricato viene garantito dai membri di un “comitato locale”, otto rappresentanti dei quattro Paesi (Eritrea, Etiopia, Sudan e Somalia) più presenti. Cercare lavoro, ottenere la residenza, farsi riconoscere i titoli di studio si rivelano per queste persone obiettivi difficili da raggiungere. Ad accompagnarli in molti tentativi i membri dell’Associazione Cittadini del mondo, costituitasi nel 2004: uno dei preziosi esempi di dedizione all’altro che fioriscono nella società civile. Già dal 2002 alcuni medici, operatori sociali e diversi professionisti hanno deciso di dedicare, a titolo volontario, le loro competenze al sostegno dei diritti dei migranti. Dal 2006 l’associazione ha attivato un intervento socio-sanitario all'interno di questo palazzo occupato in zona Romanina, noto come Selam Palace o Hotel Africa. Aldilà dell’assistenza sanitaria l’associazione Cittadini del mondo cerca di promuovere una serie di interventi volti a ridare dignità e prospettive di futuro ai rifugiati: “ad un primo livello, l'obiettivo è informare gli abitanti di Selam Palace rispetto ai servizi presenti sul territorio e alle modalità di accesso, anche attraverso il segretariato sociale. Con il servizio di ascolto, poi, si conta di effettuare una costante ricognizione dei bisogni, che permetta di individuare, insieme agli avvocati, alle assistenti sociali, ai consulenti del lavoro, che affiancano operatori e operatrici dell'associazione, percorsi individuali di emersione da situazioni di precarietà e disagio sociale”. L'associazione è parte attiva di una rete regionale denominata GRIS Lazio (Gruppo Regionale Immigrazione e Salute), impegnata nel garantire l'accesso alla sanità e il diritto alla salute dei migranti con la partecipazione di numerose associazioni di medici, assistenti sociali, operatori sociali e psicologi. A cercare di riparare le maglie della quasi inesistente rete strutturale sono presenti sul territorio romano numerose associazioni di volontariato. Nondimeno per i tanti aiuti necessari le risorse sono insufficienti e soprattutto di questi tempi l’opinione pubblica sembra voler trascurare la realtà dei rifugiati e con loro del volontariato che si impegna per loro. Sparuti idealisti - i volontari o persone che scelgono di non chiudere gli occhi dinanzi alla realtà? Chi si accorge dello straniero che gli passa accanto e si lascia interpellare anche dai suoi problemi si pone domande, trova percorsi di riflessione e vie di impegno. Chi si attiva - nei modi più diversi, fosse anche “solo” informandosi sui problemi del nostro tempo - perde un po’ di tempo libero ma guadagna la libertà di incontrare e lasciarsi incontrare. (Corriere degli Italiani, 5 settembre 2012)