F. Barbiero - Il segreto della montagna sacra
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F. Barbiero - Il segreto della montagna sacra
CAPITOLO TERZO LA TOMBA DI MOSÈ La morte di Mosè L’analisi condotta a tavolino su dati forniti dalla Bibbia mi portò tre risultati importanti: il primo la convinzione che la Bibbia è un libro storico attendibile, addirittura un diario, per certe parti, scritto da testimoni oculari dei fatti. Il secondo che la ricostruzione passo passo dell’itinerario descritto in Numeri conduce dritto nell’area di Har Karkom, e questo costituisce una notevole conferma sia della sua identificazione con il biblico Horeb sia della storicità del testo biblico, che non potrebbe essere così preciso e coerente se fosse un racconto di fantasia. Il terzo che i personaggi protagonisti dei fatti biblici sono realmente esistiti, in primo luogo Mosè. Strano destino quello di quest’uomo. Tutta la sua vicenda si svolge in un deserto appartato, alla testa di un popolo costituito da poche migliaia di pastori senza patria. Ma egli è, in prospettiva, la figura più imponente della storia. Nessun uomo ha avuto una influenza tanto determinante sul costume, il pensiero e in definitiva l’essenza stessa della nostra civiltà. Ed è proprio questa civiltà che ora mette in dubbio la sua stessa esistenza, e tende a relegarlo nell’etereo limbo del mito. Io invece avevo raggiunto la convinzione assoluta che Mosè non è una leggenda, ma è stato un uomo vero in carne ed ossa. Mi domandavo se esistesse mai un modo per provarlo al di là di ogni possibile dubbio e scetticismo. La risposta, semplice ed immediata, era quella di trovare i suoi resti mortali. Se davvero Mosè è vissuto, è morto ed è stato sepolto, da qualche parte ci deve pur essere una tomba con le sue ossa e magari il suo nome, o comunque segni ed oggetti tali da identificarlo con certezza. Cominciai quindi ad indagare le circostanze della sua morte e sepoltura, alla ricerca di possibili indicazioni. Tutto quanto la Bibbia dice sull’argomento è scritto nell’ultimo capitolo di Deuteronomio, che chiude il Pentateuco: “Poi Mosè salì dalle steppe di Moab sul monte Nebo, cima del Pisga, che è di fronte a Gerico. Il Signore gli mostrò tutto il paese: Galad fino a Dan, tutto Neftali, il paese di Efraim e di Manasse, tutto il paese di Giuda fino al mar Mediterraneo e il Negev, il distretto della valle di Gerico, città delle palme, fino a Zoar. Il Signore gli disse: ’Questo è il paese per il quale io ho giurato ad Abramo, a Isacco e a Giacobbe: io lo darò alla tua discendenza. Te l’ho fatto vedere con i tuoi occhi, ma tu non vi entrerai!’ Mosè, servo del Signore, morì in quel luogo, nel paese di Moab, secondo l’ordine del Signore. Fu sepolto nella 42 valle, nel paese di Moab, di fronte a Bet-Peor; nessuno fino ad oggi ha saputo dove sia la sua tomba”. Tutto qui: tre versetti per descrivere gli ultimi momenti della vita di Mosè, il più grande personaggio della storia; due soltanto per descriverne la morte e la sepoltura. Lessi e rilessi questo passaggio infinite volte, cercando di ricostruire mentalmente gli ultimi momenti di Mosè; le sue emozioni mentre rimirava dall’alto del monte Nebo la Terra Promessa, il cui ingresso era negato proprio a lui, il supremo condottiero del popolo ebraico. Cercavo di immaginare il momento della sua morte, il dolore composto dei presenti, la preparazione della salma. Lo avevano unto con cinnamonno e mirra? Avvolto in un sudario? E dove avevano preparato la salma, sulla cima del monte stesso, o giù a valle? In una tenda allestita appositamente per questa operazione o nella tomba stessa? Erano stati celebrati riti funebri in suo onore? E dove? Chi vi assisteva? Quanto durarono? Tutto inutile: ogni tentativo di ricostruire quell’episodio utilizzando le notizie riportate da Deuteronomio, conduceva a qualcosa che non aveva senso. C’era qualcosa di assolutamente strano, stridente in questo racconto, che sulle prime non riuscivo a focalizzare, fino a che non mi resi conto che era proprio la scarsità di notizie fornita dal redattore di Deuteronomio che appariva incredibile. A quei tempi la morte e la sepoltura erano gli avvenimenti più importanti nella “vita” di un individuo, figurarsi la morte e sepoltura del più grande dei profeti, tanto grande “che non è più sorto in Israele un profeta come Mosè - lui con il quale il Signore parlava faccia a faccia - per tutti i segni e prodigi che il Signore lo aveva mandato a compiere nel paese d’Egitto, contro il faraone, contro i suoi ministri e contro tutto il suo paese, e per la mano potente e il terrore grande con cui Mosè aveva operato agli occhi di tutto Israele.” Due versetti in tutto, per di più estremamente vaghi, per raccontare uno degli avvenimenti più importanti di tutto il Pentateuco. Perché mai il cronista di Deuteronomio era così reticente su questo argomento? Possibile che quello che egli conosceva sulla morte e la sepoltura di Mosè fosse tutto qui? L’autore del testo biblico dimostra di essere informatissimo sugli avvenimenti immediatamente precedenti e successivi la morte del profeta. Non perde una battuta del lunghissimo discorso di Mosè nella valle di Moab. Descrive le cerimonie, i passaggi di consegna con accuratezza; è preciso e dettagliato. Soltanto quando arriva al clou di tutta la faccenda, al momento dei funerali e della sepoltura lui … non ne sa nulla. La cosa non mi sembrava credibile. Più ci pensavo più mi pareva strana, inverosimile, tanto incredibile che non riuscivo a capacitarmene. Ero davvero sbalordito. 43 Esaminai ogni possibile ipotesi, anche le più assurde, per spiegare questo incredibile silenzio su uno degli avvenimenti più importanti di tutto il Pentateuco, quello che coronava la vicenda umana del protagonista assoluto di questi libri. Ma l’unica spiegazione che avesse senso era che coloro che avevano assistito alla morte di Mosè, e provveduto alla sua sepoltura, volessero evitare di fornire informazioni che potessero in qualche modo compromettere il segreto dell’ubicazione della sua tomba. Tutto quanto aveva a che fare con la morte di Mosè doveva restare segreto. E così fu. Ne conseguiva che proprio l’unica informazione precisa e diretta circa l’ubicazione della tomba, la valle di Moab, ai piedi del Monte Nebo, di fronte a Bet-Peor, doveva essere guardata con sospetto, perché con tutta probabilità era stata fornita al solo scopo di fuorviare eventuali ricerche. Ricerche che in effetti devono aver avuto luogo da parte di qualcuno, dal momento che il versetto precisa che la tomba non è stata mai trovata. Tipologia della tomba di Mosè La convinzione che la tomba di Mosè potesse trovarsi ovunque tranne che nella Valle di Moab, si rafforzò quando cominciai ad indagare su che tipo di tomba si trattasse. L’unica ipotesi compatibile con la laconicità della descrizione di Deuteronomio, nel caso rispondesse al vero, era che le persone che assistettero alla morte di Mosè - e dal racconto non è dato sapere chi fossero, altra cosa che appare molto strana - trasportarono il corpo a valle, magari nel cuor della notte, scavarono una fossa nel terreno in un posto qualsiasi, vi calarono il cadavere e ricoprirono il tutto con un mucchio di sassi. Era un’ipotesi che avevo già sentito ventilare da qualche parte, ma mi sembrava talmente assurda e incompatibile con le mie conoscenze in fatto di usi e costumi funerari in quell’epoca ed in quell’area del mondo, che stentavo anche soltanto a prenderla in considerazione. La sepoltura era allora una cosa estremamente seria ed importante, cui ogni uomo che ne avesse i mezzi cominciava a pensare fin da quando raggiungeva l’età della ragione. Gli ebrei non erano da meno; anzi, tutta la letteratura, cultura e storia ebraica, fino ai giorni nostri, testimonia dell’estrema importanza che essi hanno sempre attribuito alla sepoltura. Cercai di capire, sulla base delle indicazioni contenute nella Bibbia, quale tipo di tomba Mosè potesse avere in mente per se stesso. Un tipo di tomba molto comune e suggestivo nel deserto è quella detta a tumulo, costituita da un gran mucchio di sassi sotto cui viene sepolto il defunto. Ero riluttante a prendere in considerazione quest’idea, perché una tomba del genere è 44 facilmente individuabile e soggetta ad essere violata; ma la scartai decisamente quando cominciai ad indagare se avesse una tradizione presso il popolo ebraico. Scopersi ben presto, infatti, che presso gli ebrei dell’esodo questo tipo di sepoltura era sommamente disonorevole e riservato a delinquenti e nemici giustiziati. Infatti, subito dopo la distruzione di Gerico, Giosuè fece giustiziare Akan, un israelita colpevole di essersi impadronito di nascosto di una parte del bottino in oro: “Tutto Israele lo uccise con pietre. Innalzarono su di lui un gran mucchio di pietre, che c’è anche oggi, e Jahweh si calmò dal furore della sua ira.”. (Gs. 7,26). Poco più avanti (Gs. 8,29), si legge che Giosuè, dopo aver preso e incendiato Ai, “attaccò il re di Ai ad un palo fino a sera; tramontato il sole, Giosuè comandò che venisse tolto il cadavere dal palo e fosse gettato all’ingresso della porta della città; vi gettarono sopra un gran mucchio di pietre, che esiste ancor oggi.” Giosuè è certamente una delle persone che provvidero a seppellire Mosè. Non è possibile che gli abbia riservato una sepoltura che lui stesso dimostra di considerare tanto disonorevole. Mosè era ebreo, condottiero del suo popolo. La sua idea di tomba doveva essere uguale a quella dei suoi predecessori. Lessi e rilessi l’intero testo del Pentateuco alla ricerca di una frase, un indizio qualsiasi che egli potesse avere una diversa concezione in merito. I pochissimi cenni che trovai, invece, mi confermarono che su questo punto egli doveva essere tradizionalista. Infatti, quando si parla della morte sua, o di qualche persona a lui vicina, come Aronne, viene sempre usata la formula classica “e sarai riunito ai tuoi padri”, che viene impiegata a riguardo dei patriarchi. Sul tipo di tomba dei patriarchi non c’è dubbio. Abramo aveva acquistato una caverna a Mac Pela, di fronte a Ebron e ne aveva fatto la propria tomba di famiglia. Cominciò con il seppellirvi sua moglie Sara e alla sua morte vi fu sepolto dai “suoi figli Isacco ed Ismaele,” (Gn. 25,9). Isacco a sua volta vi fu sepolto dai suoi figli Esaù e Giacobbe (Gn. 35,29). Giacobbe morì in Egitto, ma volle essere sepolto nella tomba di famiglia a Mac Pela. Anche per i suoi figli la massima aspirazione rimaneva quella di essere sepolti nella caverna insieme ai propri padri. Giuseppe, infatti, chiese l’autorizzazione al faraone di essere sepolto in Palestina, e, dopo averne ricevuto un rifiuto, raccomandò ai propri figli e discendenti di portare con sé le sue ossa, se mai vi fossero ritornati. Dalla Bibbia conosciamo anche i rituali che venivano celebrati in occasione dei funerali. Un dato costante che viene messo in risalto nei funerali dei patriarchi è che essi vengono sempre celebrati dai figli del defunto. La concezione di Mosè in merito alla propria tomba non poteva essere molto diversa da quella dei suoi padri. Semmai ci fosse stata qualche variante nella sua 45 concezione, questa doveva venire dal paese in cui era nato e vissuto durante i suoi anni formativi, e cioè l’Egitto della XIX dinastia. Per ragioni di lavoro dovevo recarmi spesso a Torino e a Parigi, entrambi sede di due fra i più importanti musei egizi dell’occidente, che divennero meta costante delle mie visite. Non mi fu difficile documentarmi e scoprire che le tombe egizie di quel periodo concettualmente non erano poi molto diverse da quella descritte in Genesi. Tutte le grandi famiglie dell’Egitto faraonico possedevano una tomba di famiglia, costituita da sale sotterranee intagliate nella roccia, dove venivano sepolti i membri della famiglia, generazione dopo generazione. Solo i faraoni, o persone di altissimo rango, venivano sepolti in tombe singole, ma il concetto di tomba era lo stesso: caverne scavate nella roccia. Varianti esistevano anche sull’ingresso alla camera sotterranea. L’ingresso delle tombe singole era sempre “segreto”, interrato. Poteva esser una scalinata che scendeva nelle viscere della terra, che poi veniva interrata, come per la maggior parte dei faraoni, oppure un pozzetto che scendeva verticalmente per parecchi metri, fino all’ingresso della galleria che conduceva alla camera mortuaria. Nel caso di Mosè, quindi, non avevo molta scelta. Che fosse di cultura ebrea o egiziana, aveva poca importanza ai fini della tomba; in ogni caso doveva essere una caverna intagliata nella roccia. Al più potevo immaginare che avesse fatto qualche concessione alle usanze egizie, predisponendosi una tomba singola. Anzi, all’inizio non mi passò neppure per la mente che si potesse trattare di una tomba di famiglia, proprio perché fuorviato da quel versetto di Deuteronomio, dove si parla di Mosè sepolto in un qualche sperduto angolo del deserto, al di là del Giordano, in un luogo mai più ritrovato. La tomba, quindi, doveva essere stata predisposta per lui soltanto, o al massimo per lui e Aronne, morto e sepolto anche lui nel deserto in circostanze altrettanto misteriose. La cosa mi appariva giustificata da un lato con l’influenza egizia, che inevitabilmente la cultura ebraica doveva aver subito nel corso della lunga permanenza in quel paese; dall’altro col fatto che Mosè era indubbiamente il più grande degli ebrei e poteva benissimo aver aspirato ad una sepoltura da “faraone”. Sbagliavo, come dovetti rendermi conto in seguito; ma al momento l’ipotesi mi appariva l’unica percorribile. Quanto ai diversi tipi di ingresso, l’ipotesi che privilegiai all’inizio, e vedremo in seguito perché, fu che si trattasse di un ingresso a pozzetto. 46 Ubicazione della tomba In conclusione sia le indicazioni della Bibbia, sia le consuetudini dell’ambiente in cui Mosè era nato e vissuto, concorrevano a confermare l’ipotesi che egli fosse stato sepolto in una tomba di tipo ipogeo, cioè una camera scavata nella roccia. Questa conclusione rendeva ancora più inverosimile il fatto che la tomba potesse trovarsi nella valle di Moab, come indicato dal versetto di Deuteronomio. Tombe del genere non erano disponibili ovunque. Il luogo doveva essere scelto con cura, in un sito idoneo dal punto di vista geologico, ma anche significativo da un punto di vista del culto dei morti e possibilmente al riparo da saccheggi e profanazioni. Non un posto qualsiasi, quindi. E quanto alla camera ipogea, erano necessari anni di lavoro per scavarla e prepararla adeguatamente. Non è detto che Mosè l’abbia fatto personalmente; poteva benissimo averla trovata già pronta, o acquistata, come a suo tempo aveva fatto Abramo. Una cosa, però, mi appariva praticamente certa: Mosè non poteva aver lasciato la scelta della propria tomba all’ultimo momento, fidando sulla buona sorte di trovare qualcosa di idoneo vicino a dove sarebbe morto. Non è credibile, infatti, che un uomo di quel tempo cominciasse a pensare alla propria tomba soltanto quando si avvicinava la sua ora; era l’incombenza di una vita. Mosè doveva aver fatto la sua scelta per tempo; quando e dove ancora non sapevo, ma certamente molti anni prima e sicuramente non nella valle di Moab. Era ridicolo pensare che Mosè avesse cominciato a guardarsi intorno per cercare un sito idoneo alla propria tomba soltanto dopo essere giunto nella valle del Giordano. Volli comunque verificare anche questa ipotesi, ricostruendo i movimenti e i tempi dell’Esodo per vedere se Mosè avesse avuto materialmente il tempo a disposizione per cercare e preparare una tomba nella valle di Moab. Da questa ricostruzione risultò in modo pressoché certo che Mosè era arrivato nella valle di Moab, con tutto il popolo ebraico, due o al massimo tre mesi prima di morire. I dati forniti dal racconto a questo proposito sono inequivocabili e permettono di ricostruire con precisione gli avvenimenti dell’ultimo anno di permanenza nel deserto del popolo ebraico. All’inizio dell’anno si trovavano a Cades Barnea, dove celebrarono la Pasqua (la Pasqua veniva celebrata nel quindicesimo giorno del primo mese dell’anno - vedi Lv. 23,5; Nm.9,3-5; Nm. 28,16; Nm.33,2 ecc.). Dopo la Pasqua gli ebrei partirono da Cades e si accamparono ai piedi del monte Hor (Nm. 33,37-38). Il primo giorno del quinto mese Mosè e gli anziani delle tribù salirono sul monte, dove nel corso di una suggestiva cerimonia Eleazaro venne nominato sacerdote al posto del padre Aronne, che morì subito dopo sul posto stesso (Nm. 20,22-29). 47 Trascorsi i trenta giorni di lutto proclamati per la morte di Aronne, gli ebrei dettero inizio alla loro marcia verso la Palestina. Era quindi l’inizio del sesto mese dell’ultimo anno. Chiesero il permesso di attraversare il territorio di Edom, ma fu loro negato (Nm.20,18-21). Furono costretti a compiere un lungo giro, durante il quale furono afflitti da morsi di serpenti, che fecero diverse vittime (Nm. 21, 4 seg.). Subito dopo dovettero affrontare in battaglia il re di Arad, che si era mosso a sbarrare loro il passo. Il re fu sconfitto ad Horma e le sue città distrutte (Nm. 21,1-3). Poi fu la volta del re di Esbon a contrastare il passaggio degli ebrei sul proprio territorio. Anch’egli fu sconfitto ed il suo popolo sterminato fino all’ultimo infante (Dt. 2, 26-35). E finalmente entrarono nella valle di Moab, sulla riva sinistra del Giordano, e se ne impadronirono, sterminando gli abitanti. Dopodiché piantarono il campo a Sittim, dove li troviamo quando Fineas torna dalla spedizione contro i madinaiti. Mosè radunò il popolo nella valle di Moab il “primo giorno dell’undicesimo mese” (Dt. 1,3). Tenne il discorso del testamento; poi investì Giosuè del potere supremo; infine salì sul monte Pisga ad ammirare la terra promessa e … morì. Erano passati appena cinque mesi da quando avevano tolto le tende dai piedi del monte Hor. Seguirono trenta giorni di lutto (Dt.34,8), come per Aronne, dopodiché Giosuè iniziò subito le operazioni per l’invasione della Palestina. Inviò esploratori in avanscoperta (Gs. 2,1) e fece gli ultimi preparativi per la campagna militare. Attraversò il Giordano nel decimo giorno del nuovo anno (Gs. 4, 19) e piantò il campo a Ghilgala, giusto in tempo per celebrare la Pasqua (Gs. 5,10), il quindicesimo giorno del primo mese dell’anno. Erano passati esattamente due mesi e mezzo dalla morte di Mosè. Questa è la cornice temporale entro cui si sono svolti quegli avvenimenti. Se ne deduce che Mosè è rimasto nella valle di Moab per al massimo tre mesi, densi, fra l’altro, di incombenze pressanti. Troppo pochi perché si possa pensare che egli abbia avuto modo di cercare e preparare una tomba. D’altra parte la tomba era già pronta quando egli morì, perché vi fu sepolto subito dopo, e comunque entro i trenta giorni del lutto. Esiste la possibilità teorica che egli avesse scelto e preparato la sua tomba nella valle di Moab molto tempo prima, durante un suo precedente ipotetico soggiorno, di cui peraltro la Bibbia non dà notizia. Ma dovetti scartare anche questa ipotesi, perché ci sono buone ragioni per ritenere che Mosè non fosse mai stato nella valle di Moab prima di allora. A questa conclusione ero giunto sulla base dei versetti Nm.10,29-32, dove si dice che Mosè, quando si accinse a partire alla volta della terra promessa, chiese a suo cognato Obab di fargli da guida. Segno evidente che lui non conosceva il percorso. 48 Inoltre la zona era abitata da popolazioni ostili; gli ebrei per passare e stabilirsi nella valle di Moab dovettero sterminarle. Sembra alquanto difficile pensare che avrebbero consentito ad un visitatore straniero di guardarsi attorno per cercare un luogo idoneo alla propria tomba. Mosè doveva aver scelto il luogo della propria tomba durante la sua lunga permanenza nel deserto prima dell’Esodo, quando abitava presso il suocero Ietro, oppure nei “quaranta” anni di permanenza dopo l’Esodo, trascorsi nel deserto insieme al popolo ebraico. Quindi nel Sinai; ma dove esattamente? Dei “quaranta” anni di permanenza nel deserto con il popolo ebraico non si sa quasi nulla: solo un elenco di località in Nm.33. Sulla base di una serie di considerazioni (vedi La Bibbia senza Segreti, pag. 270), ritenevo probabile li avessero trascorsi nel territorio dell’unica popolazione della zona che fosse loro amica, i madianiti, tra Eilath ed Har Karkom. E, infatti, le ultime stazioni citate in Nm 33, prima di Cades Barnea, Ezion Gever, Avrona e Iotvata, si trovano tutte nella valle Aravà a nord di Eilath. E’ possibile che Mosè abbia dedicato questo periodo alla ricerca e preparazione di una tomba idonea, in luogo segreto. Ma è altrettanto possibile che egli abbia operato la sua scelta già negli anni del suo primo esilio nel Sinai, quando conduceva al pascolo le pecore del suocero Ietro. Questa ipotesi mi sembrava anzi la più probabile, perché allora le necessità del pascolo lo portavano a girare in ogni più sperduto angolo di quel territorio, libero e solo. Nel corso di queste mie ricerche fui colpito dalla perfetta analogia fra la morte di Mosè e quella dell’altro protagonista assoluto dell’Esodo, Aronne. I due hanno sempre fatto coppia fissa in tutte le vicende dell’Esodo. Aronne aveva raggiunto Mosè sul monte Horeb; insieme avevano fatto piani per la liberazione degli ebrei; insieme tornarono in Egitto. Qui era stato Aronne a presentare Mosè agli anziani delle tribù, a testimoniare in suo favore e a parlare in suo nome. Insieme trascorsero tutto il periodo nel deserto, al servizio di Jahweh nel tempio tenda. Anche le circostanze della loro morte sono esattamente le stesse. Aronne muore lui pure prima di entrare in Palestina, sulla cima di un monte, alla presenza di pochissimi testimoni e viene sepolto lì intorno da qualche parte, non si sa bene come e da chi. Anche la sua tomba non è mai stata ritrovata. Anche per lui vengono celebrati trenta giorni di lutto. Valgono per Aronne le stesse considerazioni fatte per Mosè circa il tipo di tomba, le esequie e l’inspiegabile silenzio che circonda il tutto. Non avevo alcuna prova diretta, solo sensazioni, ma bastarono per convincermi che come erano stati uniti nella vita, così dovevano esserlo anche nella morte. Dovevano essere sepolti nella stessa tomba, o in tombe adiacenti, nello stesso luogo. Un luogo che avevano scelto 49 assieme, forse in occasione della venuta di Aronne nel Sinai, prima dell’Esodo; o dopo. Un luogo, comunque, situato ben lontano dalla valle di Moab, nel Sinai, a sud del Negev. E’ un territorio immenso, con infinite possibilità dove ricavare una tomba. In mancanza di indicazioni precise ogni ipotesi era valida e … parimenti inutile. Per poter anche soltanto pensare di iniziare una ricerca, occorreva innanzitutto individuare con sicurezza e precisione l’area in cui essa si trova. Ma come arrivarci? Sembrava un problema senza soluzione. Perché i madianiti furono sterminati Ero arrivato ad un punto morto, quando, meditando sullo sterminio dei madianiti, cominciai ad intravedere un indizio che restringeva enormemente il campo delle ricerche. Quello sterminio sfugge apparentemente ad ogni logica, anche per quei tempi efferati, e soprattutto è contrario proprio al codice di comportamento stabilito dallo stesso Mosè per Israele. In Deut. 20,10-19, egli stabilisce che lo herem, cioè lo sterminio totale di tutti gli abitanti di una regione, sia praticato soltanto in quei territori della Palestina destinati ad essere occupati in permanenza dagli israeliti. Per tutte le altre città nemiche, Mosè stabilisce che vengano uccisi soltanto gli uomini atti a portare le armi. Donne e bambini, invece, vanno risparmiati. Nessuna di queste condizioni è rispettata nel caso dei madianiti. Innanzitutto essi erano alleati e anche “consanguinei” di Israele. In secondo luogo il loro territorio, dove fra l’altro Israele aveva vissuto liberamente per lunghi anni, era al di fuori delle mire colonizzatrici degli Israeliti, trovandosi ben lontano dal luogo in cui essi erano accampati, in direzione diametralmente opposta rispetto alla Palestina. Non c’era alcuna ragione apparente per una guerra. E, infatti, i Madianiti certamente non si attendevano un attacco dai loro “fratelli” israeliti. La dimostrazione di ciò sta nel fatto che Fineas non perdette neppure un uomo (Nm.31,49) nella sua impresa; cosa possibile soltanto nel caso che gli attaccati non avessero il minimo sentore delle intenzioni degli attaccanti. Neppure il “feroce” Fineas, però, se la sentì in un primo momento di uccidere a freddo donne e bambini, che lui ed i suoi uomini dovevano conoscere personalmente, essendo cresciuti assieme. Li riportò vivi al campo ebraico, contravvenendo, evidentemente, ad un ordine esplicito di Mosè, da cui la sua ira. La giustificazione ufficiale addotta da Mosè per questo eccidio finale (Num.31,16) è sorprendente e mette bene in evidenza il fatto che esso era dovuto a qualcosa commesso da Cozbi a Bet Peor. Cosa mai poteva aver fatto la giovane donna di tanto grave? Per quanto mostruoso fosse il suo crimine, non si vede come esso possa aver giustificato lo sterminio della sua tribù di 50 appartenenza, donne e bambini compresi. Non è semplicemente possibile. A meno che … non di crimine si trattasse, ma di qualcosa d’altro. Meditai a lungo su questo episodio, giungendo infine alla conclusione che c’era una ed una sola spiegazione verosimile. Cozbi non si era macchiata di alcun crimine; la sua unica “colpa” doveva essere quella di essere venuta a conoscenza di qualcosa di tremendamente importante, che né lei né nessun altro doveva sapere. Un segreto di vitale importanza per Mosè ed i suoi più stretti collaboratori, al punto che non potevano permettere la sopravvivenza di nessuno che fosse anche soltanto sospettato di esserne a conoscenza. Cozbi doveva essersi confidata con il marito Zimri e quest’ultimo doveva essere stato tanto ingenuo da rivelare a Mosè quanto era venuto a sapere, sperando forse di ottenerne la gratitudine. Segnò invece la propria condanna a morte e quella della moglie e della sua intera tribù. Cozbi, infatti, poteva essere venuta a conoscenza del segreto soltanto da qualcuno della sua famiglia, dal padre o da un fratello. Ma quanti altri nella tribù ne erano a conoscenza? Se si voleva garantire la segretezza c’era una sola soluzione: uccidere tutti. Mosè mandò Fineas nel paese di Madian con questo preciso compito. Fineas, invece, uccise gli uomini, ma risparmiò le donne ed i bambini. Cosa normale a quei tempi. Così, infatti, si era comportato Giacobbe a Sichem (Gn.34,29); questa era la regola dettata dallo stesso Mosè. Mosè dimostra di essere molto ansioso circa il risultato di questa spedizione. Non riesce ad attendere Fineas nella sua tenda, ma gli corre incontro fuori dal campo. E si arrabbia quando vede che Fineas ha risparmiato donne e bambini, pronunciando parole il cui significato appare molto chiaro: “Ricordati che a Bet Peor fu una donna a rivelare il segreto. Quindi anche fra le donne ci può essere qualcuna che sa”. Anche fra i ragazzi poteva esserci qualcuno che, accompagnando il padre o un fratello, era venuto a conoscenza del segreto. Mosè non poteva correre rischi: ordinò che tutte le donne sposate e tutti i bambini maschi fossero uccisi. Anche i neonati finirono nel mucchio; una distinzione fra ragazzi in grado di comprendere e no avrebbe probabilmente tradito agli occhi di tutti la vera ragione di quell’ordine. Mosè dovette invece giudicare trascurabile il rischio che qualche bambina fosse stata messa a parte di una cosa tanto grande e pensò che non valeva la pena eliminarle. Cercai di immaginare una qualche altra spiegazione plausibile per questo atroce episodio, ma non riuscii a trovare nulla di anche lontanamente verosimile; questa mi appariva l’unica ragione per giustificarlo e l’unica coerente con le informazioni fornite dalla Bibbia. Ma che genere di segreto doveva essere per giustificare un simile comportamento? Innanzitutto si doveva trattare di qualcosa che riguardava lo stesso Mosè. E’ lui in persona, 51 infatti, che ordina la spedizione contro i madianiti, lui che si dimostra ansioso del risultato; lui che si inquieta nel vedere tanti superstiti e che ordina di sterminarli. Va da sé, comunque, che non poteva dichiarare ufficialmente il vero motivo di quello sterminio e dovette quindi inventare qualche scusa plausibile. Nessun indizio, quindi, viene fornito circa l’esistenza del segreto e tanto meno circa la sua natura. Ma non ci vuole molto ad indovinarlo. Stando ai versetti Nm.31,1-2, lo sterminio dei madianiti doveva avere una qualche relazione con la morte del profeta. Infatti, “il Signore disse a Mosè: ‘Compi la vendetta degli Israeliti contro i Madianiti, poi sarai riunito ai tuoi antenati’”. Da questi versetti sembra chiaro che l’eliminazione dei madianiti fosse una condizione necessaria perché qualcosa di programmato dopo la morte di Mosè potesse aver luogo senza problemi. La sua sepoltura? Supponiamo che Mosè avesse predisposto la propria tomba in un luogo che doveva assolutamente restare segreto. Cosa avrebbe fatto se fosse venuto a scoprire all’ultimo momento che qualcuno tra i madianiti ne era conoscenza? Non aveva più il tempo materiale per cercare un altro sito e poteva essere certo che, una volta che gli ebrei fossero entrati in Palestina, la sua tomba sarebbe stata saccheggiata. L’unico modo per evitarlo era di eliminare tutti coloro che erano venuti a conoscenza del segreto. Ma lui non poteva sapere chi fossero. Nel dubbio doveva ucciderli tutti. E così fece. A questo punto le cose cominciavano ad aver senso ed i fatti ad apparire collegati fra loro in modo coerente. Il luogo della sepoltura doveva restare segreto e questo spiega la reticenza del cronista in merito alla morte e sepoltura di Mosè. La tomba doveva trovarsi in territorio madianita, dove Mosè aveva speso gran parte della propria vita, e qualcuno di loro lo aveva scoperto, e questo spiegava l’episodio di Peor e l’eccidio dei madianiti. Si trattava comunque di un territorio immenso, che non offriva alcuna possibilità di ricerca, a meno che non avessi trovato una qualche indicazione che consentisse di delimitare ulteriormente il campo delle indagini, concentrandole su una pista precisa. Riesaminando il testo alla ricerca di possibili indizi, andai a rivedere alcuni passi che già ad una prima lettura mi avevano colpito per la loro stranezza, ma che non avevo collegato con questo problema. Una cosa che mi era apparsa subito singolare era la lunghezza del periodo di lutto proclamato in occasione della morte sia di Aronne che di Mosè: trenta giorni. E’ un numero che non significa niente nella tradizione biblica. Controllai nuovamente tutti i numeri presenti nel Pentateuco: trovai una gran quantità di tre, sette, quaranta, settanta e quattrocento, ma non trenta. Questo numero compare solo qui, e guarda caso proprio in relazione alla morte di entrambi, Aronne e Mosè. E’ una delle poche, se non l’unica notizia precisa fornita dal 52 narratore a questo proposito. Che senso poteva avere? C’era forse una connessione con il luogo della tomba? Un altro particolare, apparentemente insignificante, ma strano in questo contesto, mi aveva colpito proprio in apertura di Deuteronomio: “Queste sono le parole che Mosè rivolse a tutti i figli d’Israele al di là del Giordano, nel deserto, nell’Araba davanti a Suf, tra Paran, Tofel, Laban, Cazerot eDi-Zaab. Ci sono undici giorni di cammino per la via del monte Seir dall’Horeb a Cades-Barnea.” Non riuscivo a capire cosa centrasse la distanza dal monte Horeb a Cades, quando il luogo in cui si trovava in quel momento Mosè era la valle di Moab. Fra l’altro si trattava di una distanza assurda, perché Cades Barnea non dista da Har Karkom più di tre giorni di cammino. Mi sembrava assai più logico che il narratore volesse riferire la distanza dalla valle del Giordano al monte Horeb. Ed infatti, confrontando tutte le varie traduzioni ed i commenti su questo passo, mi convinsi che andava letto nel seguente modo: “Ci sono undici giorni di cammino dall’Horeb (alla valle di Moab), per la via del monte Seir fino a Kades Barnea”; vale a dire che ci sono undici giorni di cammino dalla valle di Moab al monte Horeb, seguendo la via del monte Seir fino a Kades Barnea (e di qui proseguendo per il monte Horeb). Avevo raggiunto questa conclusione indipendentemente dal problema della tomba di Mosè, quando cercavo di ricostruire questa parte dell’itinerario e la ubicazione del monte Seir. Ma ora mi chiedevo perché mai il narratore avesse sentito la necessità di specificare la distanza in giornate del luogo in cui Mosè era morto proprio dal monte Horeb. C’era una relazione coi trenta giorni del lutto? Provai a fare un po’ di conti. Se la tomba si trovava lontano dalla valle di Moab, coloro che seppellirono Mosè, e fra questi dovevano esserci per lo meno i suoi figli, Giosuè ed il sacerdote Eleazaro, dovettero allontanarsi per il tempo necessario ad andare sul posto, seppellirlo, celebrare i riti funebri e ritornare. Il tutto senza che la loro assenza fosse notata, per non destare sospetti. Questa era ovviamente una condizione essenziale per mantenere il segreto. Dovevano quindi aver escogitato qualcosa per coprire la loro assenza. Immaginai che il “lutto” fosse servito a questo scopo. La Bibbia non dice in che cosa consistesse, ma è possibile si trattasse di una sorta di coprifuoco, durante il quale non si potevano tenere cerimonie, riunioni ed altre attività sociali ed il tempio-tenda, dove Giosuè ed Eleazaro risiedevano abitualmente, rimaneva sbarrato. In queste condizioni era possibile allontanarsi senza che nessuno notasse la loro assenza. 53 Quanto alla durata dell’assenza, provai ad immaginare cosa succedeva se quell’indicazione in apertura di Deuteronomio si fosse riferita proprio alla durata del viaggio necessaria per arrivare alla tomba. Undici giorni per il viaggio di andata e altrettanti per il ritorno fanno ventidue giorni. Rimanevano otto giorni. Quanto duravano i riti funebri? Cercai nel testo una indicazione da cui potessi dedurne la durata con un buon grado di attendibilità. La trovai in Genesi 50,10, dove vengono descritte le onoranze funebri in onore di Giacobbe: sette giorni. Un ulteriore giorno doveva essere stato impiegato all’inizio per proclamare il lutto, controllarne l’applicazione e … preparare il morto per il viaggio. In tutto fanno appunto trenta giorni. Quanto ai trenta giorni di lutto per Aronne, i conti non tornavano perché i tempi del viaggio dovevano essere certamente inferiori, essendo morto sul monte Hor, non molto lontano da Cadesh Barnea. Pensavo fosse stata una specie di prova generale e la durata stabilita in modo da stabilire un precedente tale da non destare sospetti quando fosse arrivato il momento di Mosè. Tutto tornava in maniera coerente ed in questa ipotesi diventava possibile ricostruire gli avvenimenti in modo realistico e aderente al testo. Semplici coincidenze? Gli elementi a disposizione erano tutt’altro che certi e non pensai neppure per un momento di attribuire loro un valore diverso da quello di semplici indizi. Indizi che però puntavano decisamente all’area del monte Horeb come luogo della tomba. Perché no? Il monte Horeb si trovava in territorio madianita. Mosè era solito frequentare la zona quando pascolava le pecore al servizio del suocero Ietro. Sul monte Horeb gli era apparso Jahweh, investendolo della sua missione. Qui lo aveva raggiunto Aronne prima dell’Esodo e qui essi avevano condotto il popolo ebraico non appena usciti dall’Egitto. C’era forse luogo ove scavare la propria tomba più indicato che all’ombra del Monte Sacro? Era solo una debole traccia, ma decisi di seguirla. Prove ben più consistenti sarebbero emerse in seguito. 54 Continuate la lettura del libro sul sito www.liberfaber.com Troverete l’opera di Flavio Barbiero all’indirizzo: http://liberfaber.com/it/archeologia/prodottoil-segreto-della-montagna-sacra.html