Dispense - Perry - Dipartimento di Filosofia

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Dispense - Perry - Dipartimento di Filosofia
 Elisa Paganini LA PROSPETTIVA DEL PARLANTE Dispense per il corso di Filosofia del linguaggio A. A. 2014-­‐15 Aggiornate il 13.3.2015 JOHN PERRY E GLI INDICALI 1. John Perry – Frege sui dimostrativi Il testo di Perry che qui analizziamo contiene nel titolo la parola “dimostrativi”. Di fatto però si occupa di ciò che noi oggi chiamiamo indicali (cioè quelle espressioni il cui significato cambia sulla base del contesto d’uso) e i dimostrativi sono solo un sottogruppo degli indicali (sono cioè quelle espressioni il cui significato dipende non solo dal contesto d’uso, ma anche da un gesto ostensivo che li accompagna). Perry chiama gli indicali “dimostrativi” perché è influenzato da Kaplan che leggeremo nel prossimo modulo e che chiama per un certo periodo gli indicali “dimostrativi”. Come vedremo, il testo di Kaplan “Demonstratives” è stato pubblicato nel 1989, ma le sue idee circolavano ben prima della sua pubblicazione; per di più, un testo piuttosto tecnico di Kaplan, “Logic of Demonstratives”, era stato già pubblicato negli anni ’70 del ‘900 e, data l’influenza su tutto il dibattito delle idee di Kaplan, la letteratura finisce per adottare la terminologia di Kaplan. Perry, nel testo che leggiamo, si chiede come caratterizzare il senso (inteso freghianamente) degli indicali. Il testo è diviso in due parti: nella prima parte Perry mostra che Frege si trovò in difficoltà a caratterizzare il senso degli indicali e si propone di spiegare perché Frege si è trovato in tale difficoltà; nella seconda parte, Perry propone una soluzione che pur non essendo pienamente in sintonia con quanto scrive Frege è a suo avviso una soluzione al problema di Frege. Come sappiamo, Frege introduce la distinzione fra senso e significato in “Funzione e concetto” e la approfondisce in “Senso e significato”. Frege però si occupa anche brevemente di indicali in un testo che noi non leggiamo, si tratta di “Il Pensiero”, pubblicato da Frege nel 1918. Questo testo, insieme ad altri, doveva far parte di un libro che si sarebbe intitolato Ricerche logiche, ma che non è mai stato completato dallo stesso Frege. Noi non leggiamo “Il Pensiero” perché la parte sugli indicali è solo una minima parte dell’intero testo e quindi la sua lettura ci distrarrebbe troppo dall’argomento del corso. Ne prenderemo però in considerazione per forza alcuni passi considerati dallo stesso Perry. PRIMA PARTE DEL SAGGIO DI PERRY 2. Considerazioni preliminari: senso, pensiero e significato indiretto Nel saggio “Senso e significato”, il senso di un enunciato viene definito da Frege come equivalente al valore cognitivo dello stesso. Inoltre Frege identifica il senso di un enunciato con il pensiero espresso dallo stesso enunciato e con il significato indiretto degli enunciati oggetto di atteggiamento proposizionale. Sebbene Frege ritenga che il senso di un enunciato sia identico al pensiero da esso espresso che a sua volta è identico al significato indiretto di un enunciato subordinato, può essere utile considerare questi tre aspetti separatamente, perché per ognuno viene data una caratterizzazione leggermente diversa. Il senso di un enunciato è considerato da Frege un modo per rendere conto della differenza cognitiva fra l’identità della forma “a=a” e l’identità della forma “a=b”. Quindi, secondo Frege, se due enunciati hanno diverso valore cognitivo, allora hanno sensi diversi. 2 Il senso di un’espressione è ciò che noi comprendiamo quando la capiamo ed è ciò che ci permette di determinare il riferimento. Il senso di un enunciato è ciò che noi comprendiamo quando lo capiamo ed è ciò che ci permette di determinare il valore di verità dell’enunciato stesso. Il pensiero di un enunciato è introdotto come un altro modo di parlare del senso dello stesso enunciato. Il pensiero è introdotto per chiarire la nozione di giudizio e viene caratterizzato da Frege come ciò per cui si pone innanzitutto la questione della verità. Da questo possiamo dedurre che per Frege: se due enunciati hanno valori di verità diversi, esprimono pensieri diversi. Il significato indiretto è introdotto da Frege per rendere conto degli atteggiamenti proposizionali. Il celebre esempio che Frege considera è “Copernico credeva che le orbite dei pianeti fossero circolari”. Qui la subordinata è “le orbite dei pianeti sono circolari” che, presa isolatamente, si riferisce al Falso per Frege; ma la subordinata in quanto tale non ha il suo significato abituale: ha un significato indiretto. Se non fosse così, allora la potremmo sostituire con un qualunque enunciato che ha lo stesso valore di verità e dovremmo mantenere il valore di verità dell’intero enunciato che descrive l’atteggiamento proposizionale di Copernico. Il criterio di differenza fra significati indiretti è dato dal diverso atteggiamento proposizionale che una persona può avere nei confronti di due enunciati subordinati. Il criterio si può esprimere pertanto nel modo seguente: se una persona crede che S e non crede che S’, allora i due enunciati subordinati non hanno lo stesso significato indiretto 3. Altre considerazioni preliminari: saturatori di senso, senso posseduto e senso espresso Per Frege ogni enunciato ha un senso e, in base al principio di composizionalità, il senso di un enunciato si ottiene componendo il senso delle parti che lo costituiscono. Ad esempio il senso di “due più due è uguale a quattro” si ottiene componendo il senso di “due” col senso di “( ) più due è uguale a quattro”. Per Frege “( ) più due è uguale a quattro” esprime un senso che è insaturo o incompleto e che necessita di essere saturato. Come può essere saturato? Può essere saturato dal senso di un nome come “due” che denota un oggetto o può essere saturato dal senso di un’espressione come “qualcosa” che denota un concetto e che ha a sua volta un senso insaturo. Tutti gli enunciati hanno (o posseggono) un senso per Frege, ma alcuni hanno un senso incompleto (o insaturo) altri hanno un senso completo (o saturo). Prendiamo in considerazione l’enunciato “Sergio Mattarella è divenuto Presidente della Repubblica Italiana il 3 febbraio 2015” Questo enunciato di per sé ha un senso completo. E l’enunciato esprime lo stesso senso in qualunque situazione venga usato (cioè esprime lo stesso senso o pensiero se lo proferisco io, se lo proferisce il lettore, se lo proferisco oggi, se lo proferisco fra un anno, se lo proferisco a Milano o a New York). Prendiamo ora in considerazione l’enunciato “Sergio Mattarella è divenuto Presidente della Repubblica Italiana” 3 Questo enunciato ha un senso incompleto o insaturo. E quando l’enunciato viene proferito esprime un senso completo o saturo, cioè un pensiero. Ma il suo senso completo o saturo varia nelle diverse occasioni d’uso. Ad esempio può esprimere un senso per certi versi equivalente a “In un qualche giorno Sergio Mattarella è divenuto Presidente della Repubblica Italiana” oppure se lo proferiamo come risposta alla domanda “Che cosa è successo il 3 febbraio 2015?” l’enunciato esprimerà un senso completo equivalente a “Sergio Mattarella è divenuto Presidente della Repubblica Italiana il 3 febbraio 2015”. Per ricapitolare, un enunciato come “Sergio Mattarella è divenuto Presidente della Repubblica Italiana il 3 febbraio 2015” ha un senso completo e ogni volta che è usato esprime questo senso completo (che è un pensiero). Un enunciato come “Sergio Mattarella è Presidente della Repubblica Italiana” ha un senso incompleto e ogni volta che è usato può arrivare ad esprimere un senso completo (o pensiero), ma il pensiero espresso da tale enunciato varierà nelle diverse occasioni d’uso. Queste osservazioni sui saturatori di senso e sui sensi posseduti e espressi dagli enunciati saranno utili per le riflessioni successive di Perry. 4. Il problema posto dagli indicali Nel precedente paragrafo abbiamo visto che alcuni enunciati hanno un senso completo che esprimono in ogni occasione d’uso e altri enunciati hanno un senso incompleto. Ad esempio 1) “Sergio Mattarella è divenuto Presidente della Repubblica Italiana” è un enunciato che ha un senso incompleto (o insaturo) e tale senso incompleto può essere saturato da un’espressione che denota un particolare intervallo di tempo. Ad esempio può essere saturato nel modo seguente: 2) “Sergio Mattarella è divenuto Presidente della Repubblica Italiana il 3 febbraio 2015” Quello che è stato fatto in questo caso è saturare l’enunciato con un’espressione che denota un particolare intervallo temporale (un giorno), cioè l’espressione “il 3 febbraio 2015”. Ma chiediamoci ora se l’enunciato seguente ha un senso completo: 3) “Sergio Mattarella è divenuto Presidente della Repubblica Italiana oggi” La domanda è se l’indicale “oggi” sia in grado di saturare il senso dell’enunciato 1) e quindi se l’enunciato 3) abbia un senso completo. Primo tentativo di risposta: A questa domanda si potrebbe rispondere che il senso di 3) è incompleto perché il suo valore di verità varia al variare del momento di proferimento e quindi ogni proferimento permette all’enunciato di esprimere sensi completi (o pensieri) diversi. L’inadeguatezza della prima risposta: Frege stesso nel saggio “Il Pensiero” rifiuta questa prima risposta. Egli ritiene che quando proferiamo un enunciato che contiene un indicale di tempo, “il momento di proferimento dell’enunciato è parte dell’espressione del pensiero”. Seconda risposta di stampo freghiano: secondo Frege, quando proferiamo un enunciato che contiene un indicale, questo enunciato esprime un senso completo. E se conosciamo le condizioni di proferimento, allora possiamo riconoscere il pensiero (o senso) espresso. 4 Il problema posto dagli indicali: ma come facciamo a ottenere un pensiero a partire da un enunciato con senso incompleto come “Sergio Mattarella è divenuto Presidente della Repubblica Italiana”, da un indicale come “oggi” e da un contesto? O per dirlo in altri termini, qual è il contributo di un indicale per completare (o saturare) il senso dell’enunciato in cui compare? Secondo Perry, questo è il problema che Frege si è trovato a dover risolvere quando ha preso in considerazione gli enunciati che contengono indicali. Perry prende in considerazione tre possibili modi in cui Frege avrebbe potuto risolvere il problema e si propone di dimostrare che nessuno dei tre è adeguato. I primi due non sono adeguati perché distinguono fra senso e pensiero di un enunciato, mentre Frege non fa questa distinzione. L’ultimo modo per risolvere il problema non distingue fra senso e pensiero di un enunciato, ma si rivela comunque inadeguato. 5. La prima proposta: i sensi degli enunciati sono ruoli Prima di presentare l’idea che il senso di un enunciato è un ruolo, è utile spiegare che cos’è il ruolo e che cos’è il valore di un indicale per Perry. Solo in un secondo momento potremo considerare che cos’è il ruolo di un enunciato che contiene un indicale. Perry distingue fra il valore cognitivo di un indicale (cioè, ciò che capiamo quando comprendiamo il termine indicale) e il valore che tale termine assume. Prendiamo in considerazione ad esempio l’indicale “oggi”, chiunque lo comprenda sa che ad esso è associata una regola che ci dice che sulla base del contesto in cui l’indicale “oggi” è proferito tale indicale assume come valore il giorno in cui è proferito. Questa regola viene chiamata da Perry il ruolo dell’indicale. Com’è evidente, se l’indicale “oggi” è proferito il 3 febbraio 2015 assume come valore il giorno 3 febbraio 2015, se è proferito il 4 febbraio 2015 assume come valore il giorno 4 febbraio 2015. Per ricapitolare, il ruolo di un indicale è una regola che ci dice a cosa si riferisce l’indicale in ogni contesto d’uso, il valore di un indicale è ciò a cui si riferisce l’indicale nel particolare contesto d’uso. Quello che noi comprendiamo, quando comprendiamo l’indicale, è il suo ruolo (cioè la regola ad esso associata), non necessariamente il suo valore. Supponiamo ad esempio di sentire una registrazione di cui non sappiamo quando è stata fatta e in cui si dice “oggi è una bella giornata”, noi comprendiamo quello che è detto (non è come se sentissimo una registrazione in una lingua sconosciuta) perché conosciamo il ruolo dell’indicale “oggi”, ma non conoscendo il contesto di emissione non conosciamo il valore dell’indicale “oggi”. Tutti gli indicali hanno un ruolo. Ad esempio all’indicale “io” è associata la regola che ci dice che, a seconda del contesto d’uso, l’indicale si riferisce alla persona che usa quell’espressione. Ad esempio se sono io ad usarlo assumerà come valore Elisa Paganini, se è il lettore a usarlo assumerà un altro valore. Il ruolo dell’indicale può essere considerato una funzione che, applicata a un contesto d’uso, assume un valore. Non è facile caratterizzare il contesto (cioè non è facile stabilire quali sono i parametri rilevanti di un contesto), ma ci sono alcuni parametri che possiamo chiaramente individuare in un contesto d’uso di un indicale e che sappiamo essere rilevanti: il tempo, il luogo, il parlante e sicuramente molti altri. Poiché il ruolo di un indicale è ciò che noi comprendiamo quando capiamo l’indicale (il ruolo corrisponde cioè al suo valore cognitivo), possiamo pensare che ciò che completa il senso di un enunciato incompleto quando ad esso viene associato un indicale è il ruolo dell’indicale e quindi il senso dell’intero enunciato diventa un ruolo. Cerchiamo di capire che cosa significhi questo. Prendiamo ad esempio l’enunciato “Sergio Mattarella è diventato Presidente della Repubblica Italiana” che sappiamo essere un enunciato con un senso insaturo (o incompleto). Come può la parola “oggi” completare il senso insaturo di questo enunciato? 5 L’idea è che c’è una regola che ci dice qualcosa del genere: l’enunciato “Sergio Mattarella è diventato Presidente della Repubblica Italiana oggi” è vero quando è proferito nel contesto c se il valore di “oggi” nel contesto c cade sotto il concetto a cui si riferisce “Sergio Mattarella è diventato Presidente della Repubblica Italiana”. L’idea che il senso di un enunciato che contiene un indicale è un ruolo può essere formulata in termini più generali nel modo seguente (assumendo che S(d) sia un enunciato che contiene un indicale d): l’enunciato S(d) è vero quando è proferito nel contesto c se il valore di d in c cade sotto il concetto a cui si riferisce S( ). Per comprendere la difficoltà in cui incorre questa proposta per caratterizzare il senso di un enunciato che contiene un indicale, occorre confrontare il senso di un enunciato completo che non contiene un indicale col senso di un enunciato completo che contiene un indicale. Consideriamo la differenza fra “Sergio Mattarella è diventato Presidente della Repubblica Italiana il 3 febbraio 2015” e “Sergio Mattarella è diventato Presidente della Repubblica Italiana oggi” Nel primo caso il senso insaturo di “Sergio Mattarella è diventato Presidente della Repubblica Italiana” si applica al modo di presentazione di un oggetto associato al nome “il 3 febbraio 2015” per ottenere il senso completo dell’enunciato. Il senso del nome “il 3 febbraio 2015” è costante in tutti i contesti d’uso e quindi il senso dell’enunciato “Sergio Mattarella è diventato Presidente della Repubblica Italiana il 3 febbraio 2015” è costante per tutti i contesti d’uso. L’enunciato “Sergio Mattarella è diventato Presidente della Repubblica Italiana il 3 febbraio 2015” ha lo stesso senso in tutti i contesti d’uso ed esprime lo stesso pensiero in tutti i contesti d’uso perché assume sempre lo stesso valore di verità (e noi sappiamo che per Frege il pensiero è ciò a cui il valore di verità si attribuisce). In questo caso non c’è quindi alcun problema a considerare il senso dell’enunciato equivalente al pensiero che esprime. Prendiamo ora in considerazione l’enunciato “Sergio Mattarella è diventato Presidente della Repubblica Italiana oggi”. Supponiamo che il senso di questo enunciato sia il ruolo ad esso associato come lo abbiamo sopra caratterizzato. Il ruolo dell’enunciato sarà pertanto lo stesso in tutti i contesti d’uso perché la regola che lo caratterizza è la stessa in tutti i contesti d’uso. Tuttavia noi sappiamo che questo enunciato assume diversi valori di verità in diversi contesti d’uso e quindi non possiamo dire che esprime lo steso pensiero freghiano in tutti i contesti d’uso. Il problema di questa caratterizzazione del senso di un enunciato che contiene un indicale dipende dal fatto che il senso caratterizzato come un ruolo è costante in tutti i contesti d’uso e non può pertanto essere equivalente al pensiero espresso dall’enunciato il cui valore di verità può variare da contesto a contesto. 6. La seconda proposta: i pensieri degli enunciati sono informazioni Prendiamo in considerazione l’enunciato “Sergio Mattarella è diventato Presidente della Repubblica Italiana oggi” proferito il 3 febbraio 2015 e pienamente padroneggiato da chi lo ascolta; l’enunciato ci fornisce l’informazione che può essere divisa in due componenti: (i) il senso incompleto di “Sergio Mattarella è diventato Presidente della Repubblica Italiana” e (ii) un oggetto, cioè il giorno 3 febbraio 2015. Questa informazione non determina univocamente un pensiero, ma un insieme di pensieri equivalenti dal punto di vista informativo. L’idea di questa proposta è che un pensiero è una classe di pensieri equivalenti dal punto di vista informativo. Se accettiamo questa idea allora l’enunciato “Sergio Mattarella è diventato Presidente della Repubblica Italiana oggi” proferito il 3 febbraio 2015 e l’enunciato “Sergio Mattarella è diventato Presidente della Repubblica Italiana ieri” proferito il 4 febbraio 2015 esprimono lo stesso pensiero. 6 La regola che permette di stabilire l’equivalenza di senso fra enunciati è la seguente: un proferimento di S(d) nel contesto c e un proferimento di S’(d’) nel contesto c’ esprimono lo stesso pensiero se i sensi incompleti di S( ) e S’( ) sono gli stessi e se il valore di d in c è lo stesso del valore di d’ in c’. Questa proposta però non può rispecchiare quello che ha in mente Frege, vediamo perché. 1) Innanzitutto finiscono per esprimere lo stesso pensiero enunciati che lo stesso Frege ritiene esprimano pensieri diversi. Si prenda ad esempio l’enunciato “Sergio Mattarella è diventato Presidente della Repubblica Italiana il 34° giorno del 2015” e l’enunciato “Sergio Mattarella è diventato Presidente della Repubblica Italiana il giorno di San Biagio del 2015”. Ora, è evidente che il senso di “il 34° giorno del 2015” è diverso da quello di “il giorno di San Biagio del 2015” e quindi i due enunciati non hanno lo stesso senso per Frege. E tuttavia in base alla caratterizzazione di pensiero nei termini di classe di equivalenza di pensieri, i due enunciati esprimono lo stesso pensiero e dovrebbero inoltre esprimere lo stesso pensiero di “Sergio Mattarella è diventato Presidente della Repubblica Italiana oggi” proferito il 3 febbraio 2015, ma è evidente che il pensiero espresso da quest’ultimo enunciato non può essere equivalente a quello dei due precedenti enunciati che non sono equivalenti fra loro. 2) Inoltre vale la pena di rendersi conto che in base a questa caratterizzazione di pensiero, costituiscono il pensiero di un enunciato non solo il senso incompleto di un’espressione ma anche oggetti. Ma per Frege un oggetto non può mai essere il senso di un’espressione. Gli oggetti sono il significato dei nomi per Frege, ma non sono il loro senso. E per Frege, non si dà mai il caso che un’espressione linguistica abbia come senso un oggetto. Quindi, questa caratterizzazione del pensiero è in contrasto con quanto pensa Frege. 3) Questa caratterizzazione del pensiero non rende conto del criterio di differenza di senso proposto da Frege. Secondo Frege, se due enunciati A e B sono tali che un parlante competente è disposto ad accettarne uno e non l’altro, allora non hanno lo stesso senso. Eppure si possono costruire dei controesempi, se Frege intende il senso come classe di pensieri equivalenti. Si possono cioè costruire esempi di enunciati tali che pur esprimendo pensieri appartenenti alla stessa classe di equivalenza hanno valori cognitivi diversi per l’ascoltatore. Ad esempio ne “Il Pensiero” Frege prende in considerazione due proferimenti dell’enunciato “Il Dr. Lauben è stato ferito”: l’uno proferito da una persona che lo conosce come l’unica persona che è nata in un certo giorno e l’altro proferito da una persona che lo conosce come l’unico medico che vive in una certa casa. Per Frege, queste due persone esprimono pensieri diversi pur proferendo le stesse parole e esprimendo pensieri che appartengono alla stessa classe di equivalenza. La stessa idea può essere esemplificata usando il dimostrativo “quello”. Supponiamo che una persona guardando il porto di una certa città veda una nave portaerei dalla poppa e da cui sia chiaramente leggibile il nome della stessa, cioè “Enterprise”; se questa persona proferisce l’enunciato “Quello è l’Enterprise”, chiunque l’ascolta accetterà il proferimento come corretto. Supponiamo ora che questa persona si sia spostata di un chilometro e che veda ora la stessa nave da prua senza che il nome della nave sia visibile; se questa persona proferisce l’enunciato “Quello è l’Enterprise”, chi lo ascolta potrebbe dubitarne o dissentirne. Questo significa che i due proferimenti non hanno lo stesso valore cognitivo e tuttavia esprimono pensieri equivalenti dal punto di vista informativo. Da queste osservazioni si può facilmente dedurre che i pensieri intesi come informazioni (o classi di pensieri equivalenti da punto di vista informativo) non possono essere equivalenti ai sensi freghiani. E quindi questa caratterizzazione del pensiero non può essere accettata da Frege. 7 7. La terza proposta: gli indicali forniscono la saturazione del senso Nel caso dei nomi propri, Frege è disposto a riconoscere che persone diverse possono attribuire sensi diversi a uno stesso nome. Per riconoscere quale senso una persona collega a un certo nome occorre presumibilmente considerare le sue credenze. Se la persona P associa al nome Gustav Lauben la descrizione D, P deve credere che Gustav Lauben è D. Si può supporre che Frege faccia un’assunzione analoga nel caso degli indicali: ogniqualvolta un parlante usa un indicale associa all’indicale una descrizione D in quella particolare occasione d’uso. Se ad esempio usa l’indicale “oggi” associa ad “oggi” una descrizione D e crede che oggi sia D. C’è una differenza importante che vale la pena di sottolineare fin dall’inizio. Nel caso dei nomi propri si può assumere che ciascun parlante associ al nome una descrizione che è la stessa per tutte le occasioni d’uso, questo non può accadere nel caso degli indicali. Quindi, ad esempio, nel caso di “oggi” il parlante deve associare una diversa descrizione per ogni diverso giorno in cui lo usa. Questa caratterizzazione della nozione di senso presenta alcuni problemi. Il primo problema è che è naturale caratterizzare il senso di un indicale usando altri indicali e non sembra scontato che si possa associare a un indicale una descrizione priva di indicali. Questo è un problema perché questa caratterizzazione rischia di essere circolare: il senso di un indicale è caratterizzato da una descrizione che contiene indicali. Ma anche se questa difficoltà potesse essere superata e quindi si potesse dimostrare che un parlante associa a ciascun uso di un indicale una descrizione che non contiene indicali, ci sono tre problemi che Perry rileva e che ritiene insormontabili. Questi problemi permettono a Perry di concludere che questa caratterizzazione del senso degli indicali non è pertanto adeguata. Consideriamo nel dettaglio questi problemi. 7.1 Primo problema: l’irrilevanza della credenza per esprimere un pensiero In base a questa caratterizzazione del senso di un indicale, ad ogni uso di un indicale è associata una descrizione D e il parlante crede che l’oggetto denotato dall’indicale sia D. Ora, è importante notare che qualunque cosa creda il parlante riguardo all’oggetto a cui si riferisce l’indicale, questo non è ciò che permette all’indicale di riferirsi a quel particolare oggetto. Facciamo un esempio, supponiamo che oggi sia l’11 febbraio, ma che io mi sia confusa e creda che sia il 10 febbraio 2015. Se io dico “Oggi è soleggiato” non esprimo il pensiero equivalente a quello espresso da “il 10 febbraio 2015 è soleggiato”, ma esprimo un pensiero equivalente a quello espresso da “l’11 febbraio 2015 è soleggiato”. Quindi il pensiero che io esprimo utilizzando l’indicale “oggi” è indipendente dalle mie credenze. 7.2 Secondo problema: la credenza non è necessaria per esprimere un pensiero Non solo qualunque credenza io abbia è irrilevante per determinare il riferimento dell’indicale, ma addirittura io posso non avere alcuna credenza riguardo al riferimento di un certo indicale e tuttavia riesco comunque ad esprimere un pensiero utilizzando l’indicale in un enunciato. Si immagini ad esempio che io abbia perso completamente la nozione del tempo e non sappia più quale giorno sia oggi. Questo non mi impedisce di dire “Oggi è soleggiato” e di riuscire ad esprimere un pensiero con questo enunciato. I due problemi appena elencati sono illustrati dalla storia di Rip van Winkle (un personaggio fittizio di un racconto di Washington Irving) che si è addormentato una sera e si è risvegliato 20 anni dopo credendo di essersi svegliato il giorno successivo: quindi si sveglia il 20 ottobre 1823, ma crede che sia il 20 ottobre 1803. Supponiamo che quando si sveglia egli 8 dica “Oggi è il 20 ottobre 1803”, per quanto sia convinto di quello che dice, la descrizione che egli associa all’indicale “oggi” è irrilevante per determinare il pensiero che esprime e non è necessaria. 7.3 Il terzo problema: la credenza non è sufficiente per esprimere un pensiero Non solo non è rilevante quale descrizione un parlante associa a una descrizione e neppure è necessario che il parlante associ a un indicale una particolare descrizione, ma una qualunque descrizione (anche se completamente adeguata all’oggetto denotato) può essere insufficiente a determinare il riferimento dell’indicale. Al riguardo, si consideri l’indicale “io”. Supponiamo che David Hume da solo nel suo studio in un particolare pomeriggio del 1775 abbia detto fra sé e sé “Io ho scritto il Trattato” e supponiamo che David Hume associ alla parola “io” una particolare descrizione. Ovviamente quello che ha detto è vero. Supponiamo inoltre un’altra persona che si chiama Heimson sia pazza e creda di essere David Hume. Anche questa persona da sola nel suo studio dice fra sé e sé “Io ho scritto il Trattato” e associa alla parola “io” la stessa descrizione che vi associa David Hume in quel particolare pomeriggio del 1775. Ovviamente Heimson ha detto qualcosa di falso. Possiamo anche immaginare che la vita mentale di Heimson in quel pomeriggio sia in tutto e per tutto paragonabile a quella di Hume in quel particolare pomeriggio del 1775. Tuttavia ciò che Hume e Heimson associano mentalmente alla parola “io” non è sufficiente a determinare il pensiero espresso, perché uno ha ragione e l’altro ha torto. Da queste osservazioni segue che la descrizione che un particolare parlante associa mentalmente all’uso di un determinato indicale non è sufficiente a caratterizzare il pensiero di un enunciato contenente tale indicale. 8. Un bilancio sulla teoria di Frege Come abbiamo visto, Perry si propone di spiegare perché Frege si trova in difficoltà quando considera gli indicali. Frege ritiene che un enunciato contenente indicali esprima un senso completo (o saturato); e tuttavia non sembra riuscire a trovare un modo per caratterizzare il senso di un indicale in modo che possa saturare il senso espresso da un enunciato insaturo, perché ogni caratterizzazione si rivela inadeguata. Secondo Perry, queste difficoltà portano Frege a scrivere che ciascuno di noi è dato a se stesso in un modo primitivo e incomunicabile e quindi il senso di “io” è equivalente a un modo di presentazione di sé primitivo e incomunicabile. Poiché ogni caratterizzazione del senso di un indicale si rivela inadeguata per la dottrina di Frege, allora Frege deve aver pensato che il senso dell’indicale “io” sia equivalente a un modo di presentazione di sé primitivo e incomunicabile. Perry ritiene che questa caratterizzazione del senso di “io” non sia una soluzione del problema per due ragioni principali. 1) Innanzitutto Perry ritiene che sia molto difficile pensare che ciascuno di noi sia presentato a se stesso in modo primitivo e che anche se ciascuno di noi fosse presentato a se stesso in modo primitivo, e quindi associasse a se stesso una descrizione primitiva e incomunicabile, non avrebbe alcuna certezza che quella descrizione si applichi solo a se stesso. Che cosa vuole dire che ciascuno di noi è presentato a se stesso in modo primitivo? Significa che il modo in cui mi colgo non è scomponibile in componenti più semplici. Il problema che si pone è che anche supponendo che questa comprensione primitiva di noi stessi ci sia, che cosa ci garantisce che riesca a cogliere effettivamente noi stessi? Ad esempio, supponiamo che io solo so che il mio computer ha un graffio, il fatto che pensi al mio computer come a “l’oggetto graffiato” non fa sì che questa descrizione 9 affettivamente si applichi solo e unicamente al mio computer. Allo stesso modo anche supponendo che ciascuno di noi associ a se stesso una descrizione primitiva, come si fa a essere sicuri che tale descrizione si riferisca solo a se stessi? Per di più, se questa descrizione che ciascuno di noi associa a se stesso è incomunicabile, non possiamo neanche chiedere agli altri se effettivamente si applica solo e unicamente a noi stessi. 2) In secondo luogo, Perry critica l’idea che il senso che ciascuno associa alla parola “io” sia incomunicabile. L’idea che il senso di un indicale sia incomunicabile diventa ancora più inverosimile quando consideriamo indicali diversi da “io”, consideriamo ad esempio l’indicale “ora”. Supponiamo che un professore universitario conosca e accetti il contenuto del seguente enunciato “Il Consiglio di Dipartimento inizia alle ore 12 del 16 febbraio 2015”. Dal momento che i Consigli di Dipartimento sono convocati con un certo anticipo, è disposto ad accettare quell’enunciato per parecchi giorni prima dell’evento. Ora supponiamo che sia arrivato il giorno del Consiglio di dipartimento e sia arrivata l’ora, ma il professore non sapendo che ora è non accetta come vero l’enunciato “Il Consiglio di Dipartimento inizia ora”. Poiché un parlante competente (come il professore) è disposto ad accettare il primo enunciato e non l’altro in un particolare istante di tempo, allora per Frege hanno sensi diversi. Poiché il senso di “ora” è diverso dal senso di “ore 12 del 16 febbraio 2015”, dobbiamo accettare che il pensiero associato alla parola “ora” cambia ad ogni momento di proferimento. Ma questo sembra inverosimile. Oltre a ciò, Frege ci dice che tale senso è incomunicabile. Ma l’appello a sensi incomunicabili non sembra risolvere il problema di Frege: infatti rimane inspiegato come faccia questo senso incomunicabile a saturare il senso insaturo dell’enunciato a cui è applicato. Perry conclude quindi che il senso di un enunciato che contiene un indicale non può essere coerentemente caratterizzato da Frege finché associa a ogni enunciato un senso che è equivalente al pensiero espresso, che è a sua volta equivalente al significato indiretto dell’enunciato. SECONDA PARTE DEL SAGGIO DI PERRY 9. La proposta di Perry Perry ritiene che il problema presentato da Frege si possa risolvere se si distingue fra senso di un enunciato che contiene un indicale e pensiero espresso da quell’enunciato. Il senso di un enunciato corrisponde per Perry al suo ruolo, cioè alla regola che ci dice quando l’enunciato è vero in un certo contesto. Abbiamo già preso in considerazione questa regola, la ripetiamo qui di seguito. Assumendo che S(d) sia un enunciato che contiene un indicale d, la regola dice: l’enunciato S(d) è vero quando è proferito nel contesto c se il valore di d in c cade sotto il concetto a cui si riferisce S( ). Il pensiero espresso da un enunciato indicale è invece equivalente per Perry all’informazione fornita dall’enunciato che, secondo Perry, è costituita da due tipi di elementi: (a) gli oggetti a cui gli indicali si riferiscono nel particolare contesto d’uso degli enunciati (cioè il valore degli indicali in un particolare contesto d’uso) (b) il senso incompleto del resto dell’enunciato Questi due fattori determinano univocamente il valore di verità dell’enunciato. 9.1 Rudolf Lingens Rudolf Lingens è una persona che ha problemi di memoria, non sa più come si chiama e non sa dove si trova. Di fatto Rudolf Lingens si chiama Rudolf Lingens e si è perso nella biblioteca di Stanford. Non sapendo cosa fare, Lingens si mette a leggere i libri della biblioteca 10 e fra i libri che legge ce n’è uno che descrive nei minimi dettagli la biblioteca di Stanford e uno che offre una biografia completa di Rudolf Lingens. Tuttavia egli non può dire “Io sono Rudolf Lingens” e “Questo luogo è il sesto piano della quinta ala della biblioteca di Stanford”. Quello che gli manca è la conoscenza autoreferenziale (o auto-­‐centrata) che porta ad affermare questi due enunciati, ma è comunque in grado di afferrare i pensieri che questi enunciati esprimono. Questo significa che egli è in grado di afferrare certi pensieri, ma non è in grado di coglierli in modo auto-­‐centrato e questa conoscenza autocentrata è quello che permette di cogliere certi pensieri attraverso i sensi (o ruoli) dei corrispondenti enunciati indicali (o che contengono indicali). 9.2 Hume e Heimson Hume e Heimson pensano entrambi “Io sono David Hume”. Quando pensano questo enunciato afferrano lo stesso senso o ruolo, ma il pensiero che l’enunciato ha nella bocca delle due persone è diverso. E quindi quell’enunciato nella bocca di Hume esprime un pensiero diverso da quello che lo stesso enunciato ha nella bocca di Heimson. 9.3 Il professore e il Consiglio di Dipartimento Riconsideriamo il caso del professore che accetta “il Consiglio di Dipartimento inizia alle ore 12 del 16 febbraio 2015”, ma non è disposto ad accettare “il Consiglio di Dipartimento inizia ora”. Il pensiero espresso dai due enunciati è lo stesso, ma il modo in cui il pensiero è presentato (il loro ruolo) è diverso e il professore non è in grado di accettare quel pensiero attraverso il senso di “il Consiglio di Dipartimento inizia ora”. 10. Perché abbiamo bisogno di conoscenza autocentrata? Perché al professore non basta accettare l’enunciato “il Consiglio di Dipartimento inizia alle ore 12 del 16 febbraio 2015”, ma in un particolare giorno e a una particolare ora deve anche accettare “il Consiglio di Dipartimento inizia ora”? Come tutti sappiamo, accettare questo secondo enunciato in un particolare momento è essenziale per le nostre azioni. Se il professore non accetta “il Consiglio di Dipartimento inizia ora”, non si reca al Consiglio di Dipartimento. Se invece lo accetta, si alza e si reca velocemente al luogo del Consiglio. Allo stesso modo, come sottolinea Perry, se io e il lettore accettiamo l’enunciato “Un orso mi sta attaccando”, entrambi corriamo a gambe levate. Se io e il lettore afferriamo il pensiero che un leone mi sta attaccando, il nostro comportamento cambia, io corro a gambe levate, il lettore va a cercare aiuto. 11. E il riferimento indiretto? Come abbiamo visto, per Frege il senso di un enunciato è equivalente al pensiero che esprime e al riferimento indiretto di tale enunciato ha quando costituisce una subordinata di atteggiamento proposizionale. Che cosa dobbiamo dire del riferimento indiretto di un enunciato subordinato? E’ identico al senso o ruolo dell’enunciato? O è identico al pensiero che tale enunciato esprime? Secondo Perry, il riferimento indiretto di un enunciato è equivalente al pensiero espresso. Cerchiamo di capire perché. Consideriamo questi tre enunciati: (a) Io credo che Sergio Mattarella sia stato eletto Presidente della Repubblica oggi (b) Camilla crede che Sergio Mattarella sia stato eletto Presidente della Repubblica oggi (c) Camilla crede che Sergio Mattarella sia stato eletto Presidente della Repubblica ieri Supponiamo che Camilla proferisca (a) il 31 gennaio 2015 e che l’1 febbraio 2015 io voglia riportare quello che crede Camilla, quale enunciato userò? (b) o (c)? E’ evidente che nel 11 riportare la credenza di Camilla io userò (c), non utilizzo quindi la stessa espressione indicale usata da Camilla, cioè “oggi”, ma uso un’altra espressione che si adatta al mio contesto di proferimento, cioè “ieri”. La credenza che io riporto non ha lo stesso senso o ruolo di quella riportata da Camilla, ma ha lo stesso pensiero. Quindi il riferimento indiretto degli enunciati subordinati coincide col pensiero e non con il senso di tali enunciati. Prendiamo ora in considerazione un altro esempio. Maria indicando il pianeta Venere al mattino dice “Io credo che quella sia la Stella del Mattino” e indicando il pianeta Venere alla sera dice “Io credo che quella non sia la Stella del Mattino”. Noi siamo disposti a dire che Maria non si contraddice e una persona si contraddice secondo Perry se accetta il senso o ruolo di un enunciato e della sua negazione in uno stesso contesto. Ma questo non è il caso di Maria che accetta solo un pensiero e la sua negazione, ma non accetta il senso di un enunciato e il senso della negazione di tale enunciato nello stesso contesto. 12. Alcune considerazioni conclusive E’ bene tener presente che la soluzione che Perry propone per il problema di Frege non vuole essere una soluzione che lo stesso Frege avrebbe adottato. Perry ritiene che per risolvere il problema posto da Frege occorra distinguere fra senso e pensiero espresso da un enunciato, cioè fra valore cognitivo di un enunciato e l’informazione che questo fornisce in un particolare contesto d’uso. Questa distinzione non sarebbe stata accettata da Frege. Perry ritiene inoltre che l’identificazione fra pensiero e significato indiretto non debba essere abbandonata e questo rende la sua soluzione in linea con quanto sostiene lo stesso Frege. 13. Perry – Il problema dell’indicale essenziale Immaginate di essere al supermercato e di notare una striscia di zucchero sul pavimento di una corsia. Capite che a qualcuno si è rotto il sacchetto dello zucchero e sta combinando un disastro, lo cercate quindi per avvisarlo, non lo trovate e ad ogni vostro movimento la striscia di zucchero si ingrossa. A un certo punto, un dubbio vi coglie e siete costretti a dire: “Io sto commettendo un disastro”. Quando arrivate a credere di essere voi a commettere un disastro, acquisite una credenza che prima non avevate. Per metterla in termini un po’ schematici, in un primo tempo siete disposti ad asserire: -­‐Credo che qualcuno stia commettendo un disastro ma poi, dopo la scoperta che siete voi, siete pronti ad asserire: -­‐Credo che io stia commettendo un disastro. In questo secondo caso, l’uso dell’indicale “io” nella subordinata è essenziale per caratterizzare la vostra credenza. Se voi sostituite il vostro nome all’indicale “io”, non ottenete lo stesso tipo di informazione. Supponete ad esempio che io sostituisca il mio nome all’indicale “io”, otterrò: -­‐Credo che Elisa Paganini stia commettendo un disastro ma questo modo di esporre la mia credenza non è equivalente al primo a meno che io non sia anche disposta ad asserire: -­‐Credo che io sia Elisa Paganini Quindi per rendere conto della scoperta che ho fatto quando ho scoperto di essere la responsabile del disastro ho bisogno dell’indicale “io”. L’indicale diventa quindi essenziale per riportare la mia nuova credenza. Facciamo un altro esempio. Supponiamo che io accetti di asserire quanto segue: -­‐Io so che il 16 febbraio 2015 alle 12 c’è il Consiglio di Dipartimento, 12 Supponiamo che lo so da alcuni giorni prima del 16 febbraio. Ad un certo punto, il 16 febbraio, mentre sto lavorando nel mio studio, guardo l’orologio e scopro che sono le 12. A questo punto faccio una scoperta che posso esprimere nel modo seguente: -­‐Io so che ora c’è il Consiglio di Dipartimento. Per poter rendere conto della nuova informazione che ho acquisito devo utilizzare l’indicale “ora”. Quindi l’indicale si rivela essenziale per rendere conto della scoperta che ho fatto. Facciamo ancora un terzo esempio. L’autore de La guida dell’escursionista alla desolazione selvaggia crede che il modo migliore per ritornare alla “desolazione civile” a partire dal selvaggio Lago Gilmore sia salire sul Monte Tallac, ma ha una perplessità, non sa se il lago di fronte a cui si trova è il lago Gilmore e non sa se la montagna che vede è il Monte Tallac. Dopo un momento di perplessità, inizia a dirigersi al sentiero che sale la montagna. Che cosa spinge il suo comportamento? È arrivato ad accettare il seguente enunciato: -­‐ Credo che questo sia il lago Gilmore e che quello verso cui mi dirigo sia il monte Tallac. In questo caso la nuova credenza acquisita è espressa attraverso gli indicali “questo” e “quello”; senza indicali, la sua nuova credenza non può essere adeguatamente caratterizzata. Gli indicali ancora una volta sono essenziali per caratterizzare la sua nuova credenza. Consideriamo un ultimo esempio che ci aiuta a capire che le “credenze localizzate” cioè le credenze su chi siamo, dove siamo e dove ci troviamo non sono sostituibili con altre credenze. Supponiamo che due camperisti considerino corretta una certa guida turistica e la mappa ad essa allegata, ma che non siano d’accordo su dove si trovano. In questo caso sarebbero disposti ad accettare gli stessi enunciati “non localizzati”, come ad esempio “Pavia è a sud di Milano” o “Bergamo è a nord-­‐est di Milano”, ma non sono d’accordo su dove si trovano e pertanto sono in disaccordo su quale strada debbano imboccare. Le loro credenze localizzate pertanto divergono. Perché il fatto che ci siano credenze che noi possiamo caratterizzare solo con l’uso di indicali è un problema filosofico? La ragione è che questo fatto richiede di mettere in discussione una caratterizzazione classica dei cosiddetti atteggiamenti proposizionali. Gli atteggiamenti proposizionali sono tradizionalmente caratterizzati come una relazione fra un soggetto e una proposizione che è un portatore di un valore di verità in senso assoluto e che esprime un senso; ma questa caratterizzazione si rivela inadeguata. Quello che noi faremo è (i) innanzitutto ricostruire quella che è l’interpretazione classica degli atteggiamenti proposizionali e considerarne i limiti, (ii) in secondo luogo mostrare che non è adeguata un’interpretazione de re degli atteggiamenti proposizionali contenenti indicali, (iii) in terzo luogo chiarire che non possiamo neanche considerare una proposizione come una funzione da contesti a valori di verità, e (iv) infine considerare la soluzione che propone Perry in base alla quale occorre distinguere fra stato di credenza e oggetto della credenza per risolvere il problema sollevato. 14. L’interpretazione classica degli atteggiamenti proposizionali E’ opportuno innanzitutto considerare qual è l’interpretazione classica degli atteggiamenti proposizionali (e in particolare della credenza) e in secondo luogo considerare perché questa interpretazione è problematica quando le subordinate contengono indicali. L’interpretazione classica viene fatta risalire a Frege, ma il modo in cui è presentata da Perry non è del tutto freghiano. L’interpretazione classica è definita “dottrina delle proposizioni” e viene divisa in tre tesi principali. 13 Prima tesi: la credenza è una relazione fra un soggetto e un oggetto; e l’oggetto è identificato dall’enunciato che segue il verbo di credenza. Ad esempio in “Pierino crede che Milano sia una bella città” riporta in base all’interpretazione classica una relazione fra un soggetto (Pierino) e un oggetto che è identificato da “che Milano sia una bella città” e tale oggetto è chiamato “proposizione”. La seconda e la terza tesi riguardano gli oggetti identificati dall’enunciato subordinato chiamati anche “proposizioni”. Seconda tesi: tali oggetti (o proposizioni) hanno un valore di verità in senso assoluto e non relativamente a un parlante o al momento di emissione. Terza tesi: se due proposizioni sono identiche, allora hanno lo stesso senso. Per avere lo stesso senso non è sufficiente che abbiano lo stesso valore di verità e non è neanche sufficiente che abbiano le stesse condizioni di verità, ma occorre che contengano gli stessi concetti. Questa terza tesi può essere difficile da comprendere e vale la pena soffermarsi su di essa. Consideriamo ad esempio perché non è sufficiente che due proposizioni abbiano lo stesso valore di verità per essere identiche. Consideriamo ad esempio le proposizioni identificate da “che il mare sia salato” e da “che il latte sia bianco”, le proposizioni identificate da questi enunciati subordinati hanno chiaramente lo stesso valore di verità, ma non sono per questo identiche. Noi afferriamo contenuti diversi nei due casi. Consideriamo inoltre perché non è sufficiente che due proposizioni abbiano le stesse condizioni di verità per essere identiche. Consideriamo ad esempio le proposizioni identificate da “che Milano sia nel nord d’Italia” e da “che la città di cui Sant’Ambrogio è patrono sia nel nord d’Italia”. È evidente che le proposizioni identificate nei due casi hanno le stesse condizioni di verità, cioè coinvolgono gli stessi oggetti e le stesse relazioni: ciò che rende vera una proposizione è ciò che rende vera l’altra proposizione. Ma le due proposizioni non sono equivalenti perché una persona può crederne una senza crederne l’altra. Poiché non è sufficiente per l’identità di due proposizioni né che abbiano lo stesso valore di verità, né che abbiano le stesse condizioni di verità, si richiede qualcosa in più, cioè che utilizzino gli stessi concetti. E due enunciati che utilizzano gli stessi concetti hanno lo stesso senso. 15. Il problema della dottrina tradizionale Quando l’enunciato subordinato che compare dopo un verbo di credenza contiene un indicale, allora non sembra plausibile ritenere che l’enunciato subordinato identifichi una proposizione che ha un valore di verità in senso assoluto. Si pensi ad esempio all’enunciato “Credo che io abbia combinato un disastro”, in questo caso l’enunciato subordinato “che io abbia combinato un disastro” non sembra identificare una proposizione il cui valore di verità è indipendente da chi l’ha proferito o da quando è stato proferito. Quindi si potrebbe osservare che in questo caso l’enunciato subordinato non identifica una proposizione il cui valore di verità è assoluto. Prima replica del difensore della dottrina delle proposizioni: il difensore della dottrina delle proposizioni potrebbe insistere che l’enunciato subordinato contenente un’indicale è una scorciatoia che talvolta si può adottare per esprimere una proposizione. Nel caso specifico, l’enunciato subordinato “che io abbia combinato un disastro” è un’abbreviazione per la proposizione che ha la struttura α ha combinato un disastro. E α è un qualche concetto che si adatta solo a me e che chiunque mi ascolta è in grado di cogliere. Se questa obiezione è corretta, allora quando dico “Credo che io abbia combinato un disastro”, quello che credo può essere ugualmente espresso da “Credo che A abbia combinato un disastro” dove A è un’espressione linguistica che esprime il concetto α. 14 Obiezione alla prima replica: Questa difesa del sostenitore della dottrina delle proposizioni non è adeguata. Come abbiamo già visto “Credo che io abbia combinato un disastro” non può essere equivalente a un enunciato che esprime un atteggiamento proposizionale che non contiene indicali come “Credo che Elisa Paganini abbia combinato un disastro”. Infatti, io potrei credere di aver combinato un disastro, ma non ricordarmi come mi chiamo. Affinché “Credo che io abbia combinato un disastro” sia traducibile in “Credo che Elisa Paganini abbia combinato un disastro” occorre che io accetti anche “Credo che io sia Elisa Paganini” ma questa credenza contiene un indicale e non può essere tradotta in una credenza che non contiene indicali. Seconda replica del difensore della dottrina delle proposizioni: Il teorico delle proposizioni potrebbe riconoscere che non c’è un concetto che io sola soddisfo e che ogni volta che uso la parola “io” questa possa essere sostituita da un’espressione linguistica che identifica quel concetto. Potrebbe sostenere qualcosa di più debole: cioè, può sostenere che ogni volta che uso la parola “io” ho in mente un qualche concetto -­‐non sempre lo stesso-­‐ che si adatta solo a me e che costituisce l’ingrediente concettuale che completa la proposizione che io esprimo in modo incompleto. Obiezione alla seconda replica: Questa seconda strategia argomentativa non è adeguata per due ragioni. La prima ragione è analoga a quella che abbiamo visto per la prima replica: si ritiene che ci sia un’espressione non-­‐indicale che sostituisce l’espressione indicale che viene usata per esprimere una credenza e che permette di saturare la proposizione insatura che io ho espresso. Ma l’espressione non-­‐indicale non è adeguata ad esprimere l’oggetto della mia credenza. In generale, se si dà il caso che “credo che io sia P” e se l’espressione concettuale A è tale che non solo io, ma anche chi mi ascolta ritiene che io solo la soddisfi, non basta tradurre la mia credenza con “credo che A sia P” senza aggiungere “credo che io sia A”. La seconda ragione è che non sembra né necessario né sufficiente affinché il parlante e l’ascoltatore comprendano un enunciato di credenza contenente un indicale che essi siano in grado di sostituire l’espressione indicale con un’espressione non-­‐indicale. Supponiamo che quando dico “credo che io abbia commesso un disastro”, associ a me l’espressione concettuale “l’unica filosofa brizzolata al supermercato il 14 febbraio 2015 alle 15,34” e che tale definizione concettuale sia condivisa da chi mi ascolta. Non è affatto scontato che io sia l’unica a soddisfare la descrizione, all’insaputa mia e di chi mi ascolta ci potrebbe essere un’altra filosofa brizzolata al supermercato proprio in quel momento e questo non mi impedirebbe di esprimere una credenza con l’enunciato indicale. D’altra parte, supponiamo che io dica “credo che ora sia il momento di uno spuntino” ma non sia in grado di caratterizzare il momento presente con nessuna espressione concettuale che non coinvolga un indicale, questo non significa che io non abbia espresso una credenza con quell’enunciato. Perry dimostra in questo modo che la dottrina tradizionale delle proposizioni non riesce a rendere conto degli atteggiamenti proposizionali quando contengono indicali. Prima di presentare la sua soluzione al problema prende in considerazione due teorie rivali alla dottrina tradizionale delle proposizioni e mostra che nessuna delle due si rivela adeguata per risolvere il problema. 16. Credenza de re C’è una teoria sugli atteggiamenti proposizionali che mette in discussione la terza tesi della dottrina tradizionale delle proposizioni. In base alla dottrina tradizionale un atteggiamento proposizionale mette in relazione un soggetto con un oggetto (o proposizione) che ha un valore di verità assoluto e che è individuato da un senso. 15 Ricostruiamo quest’ultimo aspetto, che è messo in discussione dalla teoria che stiamo per prendere in considerazione. Che cosa vuol dire che una proposizione è individuata da un senso? Vuol dire che una proposizione non è individuata né semplicemente dal valore di verità, né semplicemente dalle condizioni di verità, ma è individuata dai concetti coinvolti dalle varie espressioni linguistiche utilizzate. Ad esempio “Milano è nel nord d’Italia” e “la città di cui Sant’Ambrogio è patrono è nel nord d’Italia” esprimono proposizioni che hanno lo stesso valore di verità e hanno le stesse condizioni di verità, ma non sono equivalenti, una persona può credere la proposizione espressa da uno dei due enunciati senza credere la proposizione espressa dall’altro dei due enunciati. E questo mostra, secondo il sostenitore della dottrina tradizionale, che i due enunciati esprimono proposizioni con sensi diversi, cioè costituiti da espressioni linguistiche che coinvolgono concetti diversi. La teoria che prendiamo in considerazione in questo paragrafo ritiene che un atteggiamento proposizionale non sia da ritenersi come una relazione fra un soggetto e un oggetto dotato di senso, ma sia da intendersi come una relazione tripartita fra un soggetto da una parte e oggetti e concetti insaturi dall’altra. Ad esempio se io credo che Milano è nel nord d’Italia, io (che sono il soggetto) sono in relazione con un oggetto (quello identificato dal nome “Milano”) e con un termine concettuale insaturo (quello identificato dall’espressione “essere nel nord d’Italia”). Questa idea è corretta per Perry, ma non risolve il problema dell’indicale essenziale. Vediamo innanzitutto qual è la ragione per ritenere che un atteggiamento proposizionale debba essere caratterizzato in questo modo. Supponiamo che io sia disposta ad asserire “Milano è nel nord d’Italia” ma che abbia scarsa cultura religiosa e quindi che non sia disposta ad asserire “la città di cui Sant’Ambrogio è patrono è nel nord d’Italia”, questo non impedisce a qualcuno che mi ha sentito asserire il primo enunciato di asserire in alcuni casi “Elisa Paganini crede che la città di cui Sant’Ambrogio è patrono sia nel nord d’Italia”. Supponete che alcuni esperti di cultura ecclesiastica chiamino le città sulla base del loro patrono e chiedendosi se io sia a conoscenza della collocazione della città di cui Sant’Ambrogio è patrono riportino la mia credenza nel modo sopra descritto. Sembra essere corretto quello che dicono e la ragione sembra essere che io conosco la collocazione geografica di una certa città anche se non conosco il suo patrono. L’idea è quindi che è possibile sostituire un termine singolare con un altro avente lo stesso riferimento in un enunciato subordinato di atteggiamento proposizionale quando caratterizziamo la credenza o l’atteggiamento proposizionale de re. Nei casi di credenza de re, le credenze riguardano oggetti indipendentemente da come sono caratterizzati. Ad esempio io credo di una particolare città, cioè di Milano, che è nel nord d’Italia, questo non esclude che ci siano molti concetti che individuano Milano in modo univoco che io non conosco e che non facciano parte della mia credenza. Quando io credo di Milano che è nel nord d’Italia, credo che uno specifico oggetto abbia una certa proprietà e non è necessario che io possegga un concetto che lo individua in modo univoco. La credenza (o atteggiamento proposizionale) de re va distinta dalla credenza de dicto. Un soggetto s ha una credenza de dicto quando è in relazione con una proposizione completa, ha invece una credenza de re quando è in relazione con uno o più oggetti e con un elemento concettuale insaturo (o “proposizione aperta”). Io posso esprimere la mia credenza de dicto nel modo seguente: -­‐ Io credo che Milano sia nel nord d’Italia e posso esprimere la mia credenza de re nel modo seguente: -­‐ Io credo di Milano che sia nel nord d’Italia. Cerchiamo ora di capire perché si potrebbe credere che gli atteggiamenti proposizionali de re possano servire per rendere conto del problema dell’indicale essenziale. Nel caso della credenza de re, noi riportiamo una credenza di un soggetto verso un oggetto di cui non 16 possiede concetti che lo individuano in modo univoco; e sopperiamo a questa difficoltà riportando la credenza del soggetto in termini che egli stesso non riconoscerebbe, ma ritenendo che la sua credenza riguardi certi oggetti e certe proprietà possedute da tali oggetti. Così come nel caso degli atteggiamenti proposizionali de re riteniamo che il soggetto della credenza non conosca necessariamente tutti i termini concettuali che individuano l’oggetto (o gli oggetti) della sua credenza, così nel caso di credenze che utilizzano indicali non si pensa che il soggetto della credenza possegga un termine concettuale che individua in modo univoco l’oggetto della sua credenza. Per ripetere la stessa idea con degli esempi, così come io posso credere di una certa città (Milano) che è nel nord d’Italia senza conoscere che una certa descrizione la individua in modo univoco (ad esempio, “la città di cui Sant’Ambrogio è patrono”), così posso credere che io ho commesso un disastro senza conoscere una descrizione non-­‐indicale che mi individua in modo univoco. Ciò che unisce gli atteggiamenti proposizionali de re e gli atteggiamenti proposizionali con indicali è che il soggetto della credenza può non essere a conoscenza di un elemento concettuale (cioè, può non possedere un concetto che individua in modo univoco l’oggetto della sua credenza). Tuttavia, caratterizzare le credenze indicali come credenze de re non risolve il problema degli indicali essenziali. Supponiamo che sia corretto dire “Elisa Paganini crede che abbia commesso un disastro” e che vogliamo tradurre questa credenza in un atteggiamento proposizionale de re utilizzando una descrizione D che mi individua univocamente, in questo caso avremo un enunciato del tipo “Elisa Paganini crede della persona che univocamente soddisfa D che abbia commesso un disastro”. Ma mentre la credenza indicale spiega perché io mi comporto in un certo modo (ad esempio, chiudo il sacchetto di zucchero che si trova nel mio carrello e informo il personale di quello che ho fatto), la credenza de re non riesce a rendere conto del mio comportamento. Per rendere conto del mio comportamento, non basta dire che io credo di una certa persona che ha commesso un disastro, ma occorre anche affermare che credo di essere io quella persona. In questo modo si spiega perché la credenza de re non possa rendere conto del problema dell’indicale essenziale. 17. Proposizioni relativizzate Abbiamo considerato nel paragrafo precedente una strategia che consiste nel ritenere la credenza non una relazione fra un soggetto e una proposizione caratterizzata da un senso completo, ma una relazione fra un soggetto da una parte e oggetti e concetti incompleti dall’altra. In questo modo si metteva in discussione la terza tesi della dottrina tradizionale delle proposizioni. Ma c’è un modo alternativo di considerare le credenze (e gli atteggiamenti proposizionali). L’idea è di mettere in discussione la seconda tesi della dottrina tradizionale delle proposizioni, cioè la tesi in base alla quale le proposizioni sono vere o false in senso assoluto. Si può ritenere che quando un enunciato contiene indicali allora esprime una proposizione che è vera o falsa solo relativamente a chi proferisce l’enunciato e al tempo in cui lo proferisce. Per sviluppare questa idea occorre tener presente che in base alla teoria tradizionale le proposizioni sono vere o false in senso assoluto, ma possono variare il loro valore di verità in mondi possibili diversi. Ad esempio l’enunciato “Sergio Mattarella è Presidente della Repubblica Italiana il 14 febbraio 2015” è vero in senso assoluto in questo mondo, cioè è vero chiunque lo proferisca e in qualunque momento lo proferisca. Ma le cose sarebbero potute andare diversamente e quindi in qualche mondo possibile “Sergio Mattarella è Presidente della Repubblica Italiana il 14 febbraio 2015” è falso. Una proposizione può pertanto essere considerata come una funzione che applicata a mondi possibili assume come valori, valori di verità. 17 Questa idea può essere estesa e si può ritenere che ci siano proposizioni che sono equivalenti a funzioni che applicate a parlanti e a istanti di tempo assumano come valori, valori di verità. Si può quindi pensare che gli enunciati indicali esprimano proposizioni di questo tipo. La domanda che occorre porsi è se facendo questa assunzione il problema dell’indicale essenziale sia risolto. E Perry si propone di mostrare che questa assunzione non risolve il problema dell’indicale essenziale. Per rendersene conto consideriamo la proposizione espressa da “io ho commesso un disastro” e supponiamo che sia equivalente a una funzione che applicata a parlanti e istanti di tempo assuma valori di verità diversi. Supponiamo inoltre che io creda di aver commesso un disastro. In base alla teoria delle proposizioni relativizzate io sono nella relazione di credenza con una funzione che applicata a coppie di parlanti e istanti di tempo assume come valore, un valore di verità. Questa spiegazione della mia credenza non spiega la differenza che c’è fra me e chiunque altro sia all’interno del supermercato: come io credo che la funzione assuma il valore vero se applicata a me il 14 febbraio 2015 alle 15,34, anche altri acquirenti del supermercato possono credere che quella funzione applicata a Elisa Paganini in quel preciso istante di tempo assume come valore il vero. Pertanto il credere che la proposizione espressa sia una funzione da indici (cioè, parlanti e istanti di tempo) a valori di verità non riesce a rendere conto del problema degli indicali essenziali perché non rende conto della differenza fra l’atteggiamento del soggetto di credenza e l’atteggiamento di chi riporta la credenza di un'altra persona. 18. L’accessibilità limitata Le difficoltà finora presentate possono far credere che gli enunciati indicali esprimono proposizioni di un tipo particolare, cioè proposizioni ad accessibilità limitata. L’idea è che una proposizione espressa da un enunciato che contiene indicali non è equivalente ad alcuna proposizione espressa senza indicali e che quindi c’è qualcosa che caratterizza queste proposizioni che non caratterizza le altre, cioè che sono proposizioni ad accessibilità limitata. In base a questa assunzione, gli enunciati che contengono indicali riescono ad esprimere proposizioni complete o sature solo in circostanze speciali. Solo io posso esprimere la proposizione completa che esprimo dicendo “Io ho commesso un disastro”, nessun altro può esprimere la stessa proposizione con quelle parole. E in base alla stessa assunzione, se supponiamo che il Consiglio di Dipartimento sia fissato per le ore 12 del 16 febbraio 2016, c’è un solo momento in cui si può dire in modo veritiero “Il consiglio di Dipartimento inizia ora”, in altri momenti la proposizione completa espressa con quell’enunciato non può essere espressa con quelle parole. Aggiungere alle proposizioni espresse da enunciati senza indicali altre proposizioni espresse con enunciati contenenti indicali vuol dire accettare che oltre a un mondo comune a tutti esistono infinite prospettive. Perry non ha un argomento per mettere in discussione questa tesi, ma la ritiene poco plausibile. Come vedremo nel prossimo paragrafo, per Perry enunciati indicali e enunciati non indicali possono esprimere la stessa proposizione (e quando sono subordinate in enunciati di credenza, tali enunciati esprimono lo stesso oggetto di credenza). Quindi -­‐a suo avviso-­‐ non c’è bisogno di assumere che gli enunciati indicali esprimano proposizioni di un tipo particolare: proposizioni ad accessibilità limitata. 19. La soluzione di Perry La soluzione di Perry è -­‐ di fatto -­‐ un abbozzo di soluzione e non una vera e propria soluzione. 18 Consideriamo tutte le persone che hanno detto in momenti diversi “Io ho commesso un disastro”. Queste persone hanno qualcosa in comune, ma questo qualcosa in comune non è una proposizione completa, non è neanche una proposizione relativizzata, ma secondo Perry è un certo stato di credenza. Le persone che credono “Io ho commesso un disastro” hanno uno stato di credenza identico. L’oggetto della credenza di tali persone non è però lo stesso. L’oggetto della credenza è caratterizzato de re. Secondo Perry l’oggetto della loro credenza è costituito dalle cosiddette credenze de re, cioè da insiemi costituiti da oggetti e da proposizioni con un senso insaturo. E gli stati di credenza sono secondo Perry ciò che risolve il problema dell’indicale essenziale. Ciò che rende essenziale l’indicale è la caratterizzazione dello stato di credenza che è condiviso da tutti coloro che esprimono la loro credenza attraverso lo stesso enunciato indicale (cioè lo stesso enunciato che contiene un indicale) e questo stato di credenza può essere espresso solo attraverso gli indicali.