Dal gambero infestante alla zanzara della malaria

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Dal gambero infestante alla zanzara della malaria: la lotta è biologica - Corriere.it
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UN BATTERIO CHE INFETTA L’APPARATO RIPRODUTTORE DELLE ZANZARE ANOFELE
Dal gambero infestante alla zanzara della malaria: la lotta
è biologica
L’anticoncezionale per i gamberi rossi della Louisiana che hanno colonizzato i fiumi italiani
di CRISTINA SERRA
Il gambero rosso della Louisiana
SCIENZE
(+2)
Parola d’ordine: combattere gli alieni
invasori. Non marziani dalla pelle
verde, ma specie animali che, uscite
dal loro habitat naturale, colonizzano
le nostre regioni. Le Università di
Trieste e Firenze insieme all’Ente
tutela pesca del Friuli Venezia Giulia
stanno studiando una pillola
anticoncezionale che inibisca la
riproduzione del gambero rosso della
Louisiana nelle acque dolci italiane.
Le Università di Trento e Perugia, con il Cnrs francese e la Harvard School of Public
Health, stanno studiando un batterio che infetta l’apparato riproduttore delle zanzare
anofele, vettori del plasmodio della malaria, che potrebbe essere usato per
contenere la riproduzione degli insetti e dunque la malattia stessa.
Si adatta ad ambienti nuovi e non ha molti predatori
naturali. È di bocca buona e resiste a condizioni climatiche difficili, come siccità o
temperature dell’acqua che possono addirittura gelare in inverno. È prolifico (fino a
600 uova per femmina) e i suoi piccoli, abbandonati a se stessi senza cure parentali,
IL GAMBERO DELLA LOUISIANA
http://www.corriere.it/scienze/14_giugno_17/dal-gambero-infestante…alaria-lotta-biologica-ce8b822e-f628-11e3-9bf3-84ef22f2d84d.shtml
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raggiungono la maturità sessuale in soli 3-4 mesi, pronti per ricominciare il ciclo. Il
gambero rosso della Louisiana (Procambarus clarkii) è una vera forza della natura:
originario del centro-sud degli Stati Uniti e del nord-est del Messico, è stato
esportato con leggerezza grazie alla facilità con cui si alleva, senza pensare alle
possibili conseguenze. Peccato che oggi stia colonizzando habitat propri del
gambero nostrano (Austropotamobius pallipes), mettendone in pericolo la
sopravvivenza e innescando cambiamenti ancora da capire.
I tentativi di arginare la diffusione del gambero rosso si
sono sempre scontrati con il rischio di causare danni collaterali all’ambiente o alle
specie native. Piero Giulianini, dell’Università di Trieste, in collaborazione con
Tiziano Scovacricchi, del Cnr-Ismar di Venezia, e altri partner, nell’ambito del
progetto europeo Life Rarity hanno studiato la biologia e le abitudini del gambero
della Louisiana con l’obiettivo di modificarne i ritmi riproduttivi a vantaggio del
ARGINARE LA DIFFUSIONE
gambero nostrano. «Sono due le strategie che stiamo seguendo, anche con la
collaborazione del collega Corrado Guarnaccia che lavora a Trieste all’Area Science
Park e che ha sintetizzato le molecole di cui necessitiamo», spiega Giulianini. «Nella
prima, abbiamo isolato un ormone specie-specifico chiamato Chh (ormone
iperglicemizzante dei crostacei) che regola selettivamente il metabolismo del
gambero rosso dopo somministrazione». Con tale ormone i ricercatori alterano il
metabolismo glucidico del crostaceo (ne alzano la glicemia, come accade ai
diabetici) e inducono cambi nel processo della muta che si ripercuotono poi
sull’intero ciclo riproduttivo.
La seconda strada, invece, sta portando alla produzione
di una pillola anticoncezionale basata sull’impiego dell’ormone gonado-inibitorio
LA PILLOLA PER GAMBERI
ottenuto per sintesi chimica, che previene la maturazione sessuale dei crostacei
invasori. La prima strategia è in fase più avanzata di sperimentazione: «Per prima
cosa, abbiamo iniettato il Chh ad alte concentrazioni nelle specie nostrane, per
verificare che non avesse effetti sui gamberi locali, e ora ci accingiamo a
somministrarlo per via orale, nel mangime», chiarisce Giulianini. «Quanto alla pillola
anticoncezionale, in un paio di settimane prevediamo di iniziare gli inoculi
sperimentali, prima di provare a inserirla nel cibo». «È preoccupante che il gambero
della Louisiana sia poco considerato da parte delle pubbliche amministrazioni, sia
per i danni (centinaia di migliaia di euro l’anno) della sua azione di scavo ad argini di
canali e corsi d’acqua, sia per quelli che causa alla specie nativa», dice
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Scovacricchi. «La stessa Unione internazionale per la conservazione della natura
(Iucn) ha purtroppo promosso quest’ultima declassandola da specie vulnerabile a
specie a rischio di estinzione.
LA ZANZARA ANOFELE
Da Trieste a Trento in un batter d’ali. Quelle della zanzara
anofele che, oltre a ospitare il plasmodio che causa la malaria, può contenere
diverse specie di batteri nei suoi organi e cellule. Uno di essi, appartenente al
genere Wolbachia, è stato individuato per la prima volta nelle cellule dell’apparato
riproduttore dell’anofele, dove pare riduca il livello di infezione del plasmodio. «I
batteri intracellulari come Wolbachia infettano insetti diversi», spiega Nicola Segata,
del Centro di biologia integrata dell’Università di Trento, tra gli autori della recente
ricerca pubblicata da Nature Communications. Una volta insediatisi nell’organismo,
creano complesse incompatibilità riproduttive che facilitano la diffusione di zanzare
infette rispetto a quelle non infette.
Un paradosso per il controllo della malaria? No, perché
oltre a favorire la riproduzione degli insetti che lo ospitano, nei test di laboratorio il
BATTERIO ANTIMALARIA
batterio rende inospitale al plasmodio le cellule della zanzara. Potrebbe quindi
diventare un’arma naturale di lotta biologica per il controllo della malattia. Dice
Segata: «Le infezioni da Wolbachia interessano zanzare femmina e maschio, e
inducono profondi scompensi riproduttivi come la femminilizzazione dei maschi o
l’impossibilità di generare uova fertili». Prima d’ora in natura non erano mai state
osservate infezioni di Wolbachia in anofele, per questo i ricercatori dubitavano di
poter usare questo batterio per combattere la malattia. «Il nuovo ceppo di Wolbachia
rinvenuto nelle zanzare campionate in Burkina Faso da Francesco Baldini, co-autore
dello studio, sembra davvero una strategia promettente per controllare le
popolazioni di anofele», spiega Flaminia Catteruccia, dell’Università di Perugia,
coordinatrice del progetto. «Infettando le zanzare con Wolbachia speriamo di
riuscire a controllarne la capacità di veicolare il plasmodio della malaria».
18 giugno 2014 | 10:19
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