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Cesare Dal Palù
Cesare Dal Palù è nato
a Venezia il 20 gennaio
1923. Dopo aver stabilito
contatti con antifascisti
veneziani quali Agostino
Zanon Dal Bo e Giovanni
Ponti, si lega al gruppo
di giovani di S. Elena che
costituiranno uno dei
nuclei del battaglione
garibaldino “Biancotto”.
Arrestato insieme a
Cesco Chinello nell’aprile
del 1944, viene liberato
da un’amnistia nel
successivo novembre.
Intervista di Giovanni Sbordone
Padova, studio dell’intervistato presso l’Ospedale di Padova
2 febbraio e 17 marzo 2005
Cominciamo dall’inizio…
Sono nato a Venezia il 20 gennaio 923.
Dove abitava?
Sono nato a Santa Fosca, poi ho abitato a San Moisè, poi ad Ancona, poi
sono tornato a Venezia, a San Canciano: ho cambiato otto case! Durante la
guerra abitavo in campo Rialto Nuovo.
Quanto è stato, ad Ancona?
Dunque, il papà è diventato direttore del Banco di Roma di Ancona nel
936, mi pare, io facevo la quarta ginnasio. Ancona era una città dove il °
Maggio, invariabilmente, sui muri del porto apparivano le falci e martello: una città anarchica e comunista. Avevamo un professore chiaramente
comunista. Ricordo, per esempio, che ero ad Ancona quando è morto Pio
XI, un Papa dal quale ci si aspettava che parlasse contro il nazismo; ricordo
che c’era molta attesa per la nomina del nuovo Papa: poi siamo rimasti delusi. Ecco, vede, già allora c’erano germi di antifascismo, ma sempre un po’
confusamente perché, cosa vuole, noi a quell’epoca eravamo indottrinati,
anch’io ero inquadrato – ero avanguardista ciclista – e sfilavamo.
Come tutti…
Sì, come tutti: per forza, la realtà era quella che era…
Memoria resistente
In famiglia che tipo di idee avevate?
982
Mah, il papà era abbastanza ligio alle regole; poi lui, nel 938 mi pare, è stato
nominato direttore del Banco di Roma di Beirut, che allora era Siria francese; quando siamo entrati in guerra contro la Francia i francesi l’hanno
messo in campo di concentramento, perché eravamo nemici; poi c’è stato
l’armistizio con la Francia, l’hanno liberato ed è diventato direttore della
sede di Istanbul.
Per cui noi, per cinque anni, non l’abbiamo quasi mai visto. Io avevo anche
uno zio liberale, ebreo, che mi ha aperto gli occhi: per esempio ricordo che
una volta, da bambino, mi ha detto che Napoleone non era un grand’uomo,
ma un avventuriero che faceva sempre guerra. Non so come dire, ma per
un ragazzo era come vedere un mondo rovesciato. Ad Ancona avevamo un
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professore, il professor Cattalini, comunista (allora non dichiarato), che ci
spiegava in classe – nel ’37, pensi! – che se ci fosse stata una guerra l’avremmo persa, che l’impero inglese e l’America erano troppo potenti perché potessimo vincerla! Ecco, gente che ci apriva gli occhi, che un po’ alla volta ci
faceva vedere una realtà diversa da quella che ci era stata inculcata coi “colli
fatali di Roma” e così via. Voglio dire: l’importanza delle piccole cose, che
poi maturano col tempo…
Come si chiamava questo suo zio liberale?
Cesare Guastalla. Durante l’ultima fase della guerra è stato nascosto, si è
salvato. È lui che mi ha fatto leggere la Storia d’Europa di Croce: e già allora ho cominciato a intravedere qualcosa di diverso da quello che ci avevano
insegnato. È importante avere qualcuno che ti mostri la possibilità di vedere
le cose da un altro punto di vista, un punto di vista che noi non avevamo.
Perché avevate sempre sentito una sola voce.
Una sola voce che ci parlava di tutti questi trionfi, di questa grandezza.
Mussolini era un oratore efficace, incisivo, c’è poco da dire; ben differente
da Hitler, che era un isterico, un pazzo. Ricordo che ero in campo San Luca
mentre la radio trasmetteva un discorso di Hitler: è andato avanti a parlare
per tre ore e aveva una voce sgradevole, isterica; mentre Mussolini aveva una
voce più gradevole, era molto conciso, efficace, trascinante per noi ragazzi, e
non solo. Ho visto Hitler la prima volta che è venuto a Venezia, che era anche la prima volta che veniva in Italia: in impermeabile, accanto a Mussolini
trionfante in divisa, sembrava il suo attendente, il suo servitore. Invece poi
Mussolini è stato completamente dominato da lui.
Era in Piazza San Marco?
In Piazza San Marco, sì, con mio nonno paterno, sono andato a vederli.
Che anno era?
Credo fosse il ’34 o il ’35, ero piccolo. Hitler aveva appena preso il potere.
Poi sono andato anche a vedere quella famosa sfilata dell’Impero a Roma;
Mussolini parlava da Palazzo Venezia e ricordo che avevo vicino a me una
giovane donna inglese impazzita per Mussolini, completamente impazzita.
Chi la ha accompagnata, a Roma?
Memoria resistente
A Roma sono andato con mio papà.
E quanti anni aveva?
983
Pochi, ne avrò avuti tredici. Sono sfilati i meharisti, truppe cammellate
tripolitane, col turbante, la polizia coloniale con i mantelli rossi e neri, gli
ascari eritrei con il cappello alto. Erano tutte manifestazioni che ci affascinavano, da bambini è difficile non essere affascinati da queste cose. E poi
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eravamo tutti inquadrati nella Gioventù Italiana del Littorio, che organizzava campeggi estivi e invernali.
A che età?
Avrò avuto 4-5 anni, abitavo ad Ancona. Se non fosse stato per loro io non
avrei mai sciato, perché mio papà era sì direttore di banca, ma a quel tempo un
direttore di banca era un morto di fame rispetto a quello che sarebbe adesso.
Non parliamo dell’automobile, ma non poteva permettersi neanche di mandarmi a sciare: io avevo i suoi calzoni risistemati, la sua giacca a vento enorme,
il paletot rivoltato. Mi ricordo che una volta mio padre ha speso cento lire per
comprare un libro, di quelli grandi, e mia madre si è arrabbiata moltissimo…
Questo nel ’36-’37, quindi in anni in cui non c’era ancora la guerra: ma il nostro
era un paese povero, non un paese ricco. La nostra generazione ha conosciuto diversi mondi: quello fascista di un’Italia povera, veramente povera; poi la
guerra; poi il dopoguerra col miracolo economico e l’entusiasmo di una rinascita; poi questa morta gora attuale che, devo dire, è il periodo peggiore. È il
peggiore, perché non c’è più slancio. Non è perché sono invecchiato… io sono
invecchiato, questo è ovvio, però la volgarità che c’è adesso non c’è mai stata.
Peggio anche del fascismo?
Peggio del fascismo in assoluto no, perché bene o male c’è una sorta di democrazia. Ma sa: un ragazzo non poteva sentire l’oppressione del fascismo
come la potevano sentire gli adulti e soprattutto gli intellettuali (perché agli
altri basta mangiare, bere e…); e a quel tempo per noi c’erano anche queste
iniziative che ci allettavano, come i campeggi o i treni popolari. Alla domenica c’erano i treni popolari, la gente prendeva il biglietto per 4 lire. Difatti
ricordo che sono andato – non con un treno, ma con una “nave popolare”
– da Ancona a Zara; ed è stata la prima volta che ho fumato una sigaretta,
perché non costavano niente, essendo Zara porto franco.
Memoria resistente
Poi c’erano il dopolavoro e tutte quelle cose lì…
Sì, effettivamente, anche per i ragazzi… Perché poi l’indottrinamento avveniva a scuola; là, in quei campeggi, si sciava. Sì, è vero, al mattino dovevamo
assistere all’alzabandiera, ma insomma nell’alzabandiera non c’è niente di
male. Bestemmiando, perché dovevamo alzarci presto, con un freddo boia,
perché ad Asiago era molto freddo, ma insomma… Solo dopo abbiamo cominciato a capire, grazie appunto a certe letture, a certe frasi pronunciate
da certi adulti; e quindi abbiamo cominciato a capire che le cose non erano
così belle come ce le dipingevano.
Per esempio: quando c’è stato l’intervento in guerra, lei cosa ne pensava?
984
Ecco, a questo proposito non concordo con certe cronache di oggi. Ricordo
che ero in Piazza San Marco, vicino al campanile, quando c’è stata la dichiarazione di guerra di Mussolini. Io avevo sentito tutti i suoi discorsi (quello
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delle sanzioni, quello dell’Impero, ecc.) e c’era sempre stato un entusiasmo
indescrivibile; e invece quel giorno della dichiarazione di guerra devo dire
che nella Piazza c’è stato il gelo. Sì, sotto l’Ala napoleonica c’erano i fascisti
che urlavano come pazzi, come al solito, di entusiasmo; ma tutta la gente
che era un po’ più in fondo, vicino a me… ho avuto proprio una sensazione
di gelo, anche perché tutti si sono resi conto della gravità della situazione.
E lei, personalmente?
Anch’io: ero proprio angosciato.
Ma non ve l’aspettavate, cioè, non era una cosa prevedibile?
Mah, sì e no, insomma… Non saprei dirle quali fossero le attese. Io già allora
avevo cominciato ad ascoltare una radio francese, mi pare, al Lido, dove i miei
zii avevano una villa: andavamo in villa e sentivamo la radio; poi, durante la
guerra, ascoltavo “Radio Londra”, e via via è stato un progressivo maturarsi.
Torniamo un attimo indietro. Diceva che in quarta ginnasio è andato ad Ancona; fino a quando ci è rimasto?
Ho fatto la seconda metà della quarta ginnasio, quinta ginnasio e prima
liceo. In seconda liceo ero di nuovo a Venezia, al Foscarini.
Con chi era in classe, al Foscarini?
Con Gian Mario Vianello, per esempio; ma per poco, perché poi mi sono
ritirato e ho studiato privatamente. Venivo da Ancona e l’idea di cambiare
di nuovo professori, di dover ricominciare da capo… mi sono stufato e ho
deciso di saltare la terza liceo. Poi ho studiato privatamente, anche con il
professor Ponti, che sarebbe diventato un membro influente del Comitato
di Liberazione Veneto.
Il futuro sindaco.
Sì, è stato anche sindaco.
E poi ha dato l’esame di maturità…
Ho dato l’esame due giorni dopo che era scoppiata la guerra.
Memoria resistente
Con un anno di anticipo, quindi.
Due anni; perché io, essendo di gennaio, ho cominciato che non avevo ancora sei anni, quindi quasi due anni di anticipo. L’esame non è stato così
difficile: era scoppiata la guerra, c’era una commissione interna ed erano
abbastanza indulgenti.
Poi si è iscritto all’università, qui a Padova?
985
Sì, ho cominciato a fare su e giù da Padova per andare all’università. Nei
primi due anni, ’4-’42, praticamente la vita continuava abbastanza normale,
la guerra era lontana, a parte qualche bombardamento, soprattutto a Trevi-
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so, a Padova è stato nel ’44. C’erano pochi bombardamenti e la vita per noi
studenti era la solita.
La svolta è stata nel 943.
Sì. Ma anche lo scoppio della guerra, nel settembre 939, è un momento
che ricordo bene: ero in spiaggia e là ho avuto la notizia dell’invasione della
Polonia (ero in spiaggia anche quando gli alleati sono sbarcati in Sicilia, e
c’è stato il famoso discorso del Bagnasciuga di Mussolini). Noi poi la fronda
abbiamo cominciato a farla quando eravamo universitari; mi ricordo che
eravamo… non “giovani fascisti”, come si chiamavano?
I Guf?
Guf! Eravamo del Guf, andavamo a far campeggio di sci, d’inverno, e le
gare di fondo, col moschetto, tiro in sagoma ecc. C’era anche Gian Mario
Vianello.
Prima del 943?
Sì, prima del 943 o nell’inverno del ’43; e là già si parlava tra noi ridicolizzando il fascismo. Perché il fascismo ci appariva ridicolo, a noi universitari:
ricordo che una volta, a Bormio mi pare, ci hanno radunati tutti in una
grande spianata, con i centurioni della Milizia grassi e tronfi, e ci hanno fatto fare – a mezzogiorno e mezzo, con la fame che avevamo – la “prova della
manifestazione di entusiasmo” per i camerati tedeschi. Robe da matti!
Sulla neve?
Sulla neve, con la fame. Figurarsi cos’è successo! Di tutto: urla, abbiamo
buttato per aria i cappelli, ridevamo. Ed era la prova della manifestazione di
entusiasmo. Poi abbiamo fatto una gara di fondo di quattro o cinque chilometri (quindi abbastanza impegnativa) e, arrivati morti di stanchezza e di
fame, ci hanno fatto fare un saggio ginnico per i camerati tedeschi. Erano
cose folli, per cui era logico che si creasse anche questo stato di irrequietezza, che non si credesse più in quello che ci avevano insegnato per anni. Per
cui già allora, in questi campeggi, facevamo la fronda, che poi si è concretizzata per noi nella “Resistenza”. Grazie all’amicizia con Gian Mario Vianello
ho preso contatto con il gruppo di Sant’Elena.
C’era anche Cesco Chinello…
Memoria resistente
Cesco, che allora si chiamava Ivone; e c’erano Livio Maitan, Mario Marcé,
Marco Stringari.
Erano tutti di Sant’Elena?
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Loro sì; io no, ma andavo là con loro. Ricordo che nel luglio del ’43, poco
prima del 25 luglio, eravamo una sera sull’erba di Sant’Elena, con la “Amerigo Vespucci” attraccata accanto. Era una notte bellissima, c’erano poche luci
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e si vedevano le stelle; e discutevamo tra di noi di come il re avrebbe potuto
liberarsi di Mussolini. E così ho cominciato, con quel gruppo di Sant’Elena.
Poi io avevo contatti anche con Zanon Dal Bo, che era del Partito d’Azione.
Era stato suo professore al Foscarini?
No, io ero nell’altra sezione; ma comunque l’avevo contattato, non so come.
E ricordo l’annuncio della deposizione del “cavalier Benito Mussolini”, per
radio, il 25 luglio. Una grande gioia, si credeva che…
Che fosse finita…
E invece cominciava, purtroppo, almeno per noi del Nord Italia. E poi ricordo che l’8 o il 9 settembre sono andato – non mi pare che ci fossero gli altri
del gruppo – a casa dell’avvocato Giavi, non ricordo come mai, e c’erano
questi vecchi socialisti che pensavano di andare con i moschetti 9 sul ponte
del Littorio (allora si chiamava così) a bloccare i tedeschi che arrivavano coi
carri armati1.
Come nel 848!
Sì, era un po’… fantascientifico, ecco. Un altro ricordo molto vivido è che
ero alla stazione di Padova quando è passato il treno dei deportati da Roma,
in ottobre credo; perché io facevo su è giù da Venezia a Padova per andare a
lezione, ed ho visto quel treno merci su un binario laterale.
Erano deportati militari?
No, erano gli ebrei di Roma. Penso che fosse quel treno di cui tanto si è
parlato, in ottobre, degli ebrei di Roma, che si è fermato anche a Padova2.
Quello che mi ha colpito è stato che quella povera gente chiedeva acqua attraverso le feritoie: allora un nostro carabiniere ha preso un recipiente ed è
andato alla fontanella per portargli dell’acqua, ma un tedesco che avrà avuto
sì e no diciott’anni, con il mitra, l’ha cacciato via in malo modo. Queste sono
le cose che poi uno ricorda perfettamente, anche se sono passati sessant’anni. E un altro vivo ricordo è quello dell’inaugurazione dell’anno accademico,
con il famoso discorso di Concetto Marchesi, e il manipolo di repubblichini
– ma quella volta non si chiamavano ancora così – che è entrato armato
nell’aula magna; cosa che è assolutamente proibita, entrare armati all’università. E mi ricordo che è stata una scena indescrivibile, perché tutta l’aula
di noi ragazzi urlava contro questo manipolo.
Memoria resistente
Ma Marchesi non era suo professore.
No, io facevo medicina.
Ma voi sapevate già, vi aspettavate che lui avrebbe detto qualcosa?
987
Noi sapevamo che c’era l’inaugurazione, ma non ci immaginavamo un discorso così forte. Io ci sono andato perché era l’inaugurazione dell’anno ac-
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cademico, non pensavo che sarebbe diventato un evento memorabile.
Lei all’epoca conosceva le idee di Marchesi?
No, non sapevo niente. Poi, quando Marchesi ha fatto il discorso della
“matta bestialità” e ha inaugurato l’anno accademico nel nome del popolo
italiano (che era una forma inedita, rivoluzionaria), è stata proprio un’esplosione di entusiasmo, veramente… tutta l’aula che gridava, urlava. E quando
poi siamo usciti c’erano questi repubblichini col mitra che ci dicevano: “Vigliacchi, se avete coraggio venite avanti!”: il che non era tanto facile, essendo
loro col mitra e noi completamente disarmati. Me lo ricordo perfettamente,
è stata veramente memorabile, quell’inaugurazione dell’anno accademico.
E col militare, lei come ha fatto?
No, io sono del 923, ero universitario, quindi avevo la proroga, non dovevo
andare militare. Io studiavo, andavo su è giù da Padova; a un certo punto si
scendeva a Ponte di Brenta, si passava a piedi il ponte che era andato giù e si
risaliva su un treno dall’altra parte.
L’avevano bombardato?
Penso proprio di sì. Durante la guerra avevo anche una stanza a Padova:
l’inverno ’44 è stato di un freddo terribile. Ricordo che compravo le patate
americane per mettermele in tasca e scaldarmi le mani, e ho dato fuoco al
letto perché ci ho messo la stufetta e hanno preso fuoco le lenzuola. L’acqua
dei rubinetti era fredda, e ricordo che una mattina ha fatto il ghiaccio. Sono
cose che si ricordano ma che sono irrilevanti, danno solo l’idea di quale fosse la situazione. Mia mamma si era inventata il dolce di fagioli, il dolce di
carote, faceva il burro col latte: questa era la quotidianità.
Ecco, e poi… aspetti che mi sono fatto anche degli appunti… Beh, nell’inverno 943-’44, una sera, non ricordo bene quando, Gian Mario Vianello mi
ha portato ad una riunione (forse a casa di Turcato) perché c’era, così, un
po’ l’idea che io potessi aderire al Partito comunista. E invece, quando sono
stato là e si è cominciato a parlare, io mi sono messo a discutere e non se ne
è fatto niente.
Ma lei aveva già le sue idee politiche o…
Io poi sono sempre stato socialista.
Memoria resistente
E prima di questo episodio?
988
Sì… ma sa, da ragazzi, a diciotto anni, è difficile avere idee molto chiare;
tanto più che noi uscivamo dal fascismo, quindi era una realtà che conoscevamo solo per modo di dire. Ricordo che a un certo momento ero nascosto,
non so perché, a casa di Marcé (uno del nostro gruppo, che poi è diventato
ammiraglio) e Livio Maitan mi ha dato da leggere la vita di Trotskij, perché
lui era già trotzkista; e così finché ero nascosto ho letto la vita di Trotskij.
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Ma politicamente, allora, le mie idee erano confuse, anche se mi affascinava
il socialismo. Eravamo tutti ammiratori dell’Armata Rossa, di cui seguivo
l’avanzata su una bellissima carta geografica dell’Enciclopedia Treccani: ma
quando Gian Mario mi ha portato a casa di Turcato io ho cominciato a
discutere, non mi ricordo più perché o su che cosa, ed è finita che non se ne
è fatto niente, perché per entrare nel Partito comunista bisognava essere
abbastanza… allineati.
Un altro episodio che ricordo molto bene è stato quando il professor Ponti,
un certo giorno, mi ha mandato a Padova dal professor Meneghetti3 (ho
letto che è successo anche a Cesco Chinello, ma non lo sapevo4) per avere da
lui del fosforo giallo, che doveva servire a incendiare gli archivi del distretto
militare a Venezia.
Perché Meneghetti insegnava chimica all’università, quindi aveva per le mani
queste sostanze…
Era mio professore di farmacologia. E ricordo che sono andato da lui e gli
ho detto:
“Mi manda il professor Ponti”.
E lui: “Ponti… Gio Ponti, l’architetto?”
“No – ho detto – non Gio Ponti! Il professor Ponti! Per il fosforo giallo!”
“Non conosco nessun professor Ponti”.
Meneghetti era un uomo imponente e io sono rimasto completamente disorientato; era anche mio professore, per cui ero in soggezione, ed è finita che
me ne sono andato con la coda fra le gambe. Ma poi ho capito che questi “resistenti” erano di un’ingenuità incredibile, e infatti dopo li hanno arrestati.
E ancora ancora Meneghetti con me si è difeso: perché mandavano una persona sconosciuta, senza nessun affidavit, senza una parola d’ordine… avrei
potuto essere una spia.
Non lo avvertivano prima?
Evidentemente no! O forse Meneghetti lo sapeva, ma non mi conosceva, non
sapeva chi io fossi! A Cesco ha dato una boccetta contenente un liquido assolutamente innocuo; doveva essere acqua, altro che fosforo giallo. A me invece
ha fatto questa sceneggiata, ha cominciato a dire: “Gio Ponti, l’architetto?”,
e io mi sono completamente disorientato; anche perché ero molto giovane e
abbastanza ingenuo, e quindi sono tornato a casa con la coda fra le gambe.
Memoria resistente
Con Ponti che rapporti aveva?
989
Era stato il mio professore privatamente, quando ho saltato la terza liceo
andavo a lezione da lui. Cercavamo, assieme, di tradurre in qualche modo
Tacito, ma ricordo che anche lui non lo traduceva così facilmente, perché
era professore di italiano. Non so come mai, non mi ricordo come sia avvenuto il mio contatto con lui, ma in qualche modo Ponti mi ha detto di
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andare da Meneghetti (non so neanche chi l’abbia chiesto a Cesco, non ne
ho la più pallida idea). Sono episodi che restano nella memoria, flash che si
ricordano come se fossero oggi, ma scollegati tra loro, in mezzo ci sono dei
vuoti incolmabili. A volte sono cose di importanza modesta che ti rimangono impresse in mente, e altre no.
In aprile, poi, mi hanno arrestato, perché c’è stato uno che ha fatto la spia. E
ricordo che, quando siamo andati all’interrogatorio da Zani, io ero seduto
da una parte della stanza, Cesco era seduto di fronte a me, e non potevamo
né alzarci né parlare tra di noi; e invece vedevo che il terzo si muoveva con
maggior disinvoltura e poteva parlare, allora ha cominciato a venirmi il sospetto che potesse essere la spia.
Possiamo dire il nome, tanto l’ha scritto già Cesco.
Sì, Pignatti.
Questo interrogatorio era a Ca’ Giustinian?
Era a Ca’ Giustinian, dove c’era Zani, la guardia repubblichina5.
E ogni volta vi portavano a piedi da Santa Maria Maggiore a Ca’ Giustinian?
Io sono andato all’interrogatorio una volta sola, mi pare: in lancia fino a S.
Moisè e poi a piedi. Ricordo ancora la spiacevole sensazione delle manette
ai polsi. C’era una fontana, allora, a S. Moisè, e molte donne con i secchi che
raccoglievano l’acqua; e si capiva che erano dalla nostra parte e avrebbero
voluto liberarci. All’interrogatorio ho fatto un nome, che mi hanno detto
che si poteva fare, perché ormai era in salvo.
Vi picchiavano?
No, era un interrogatorio.
Cosa sapevano di voi? Su che basi vi avevano arrestato?
Mah, sapevano che noi avevamo costituito un gruppo e che facevamo della
propaganda sovversiva. Infatti sia io che Cesco siamo stati condannati a due
anni per “associazione sovversiva e propaganda anti-nazionale”, mi pare.
In sostanza distribuivate volantini…
Sì, volantini e cose di questo genere, allora era questo il genere di attività
che si faceva.
Memoria resistente
Facevate anche scritte sui muri?
990
Mah, questo non me lo ricordo. Dopo, quand’ero in carcere, sono stato per
vari giorni in infermeria (non ricordo più cosa avevo inventato per andarci)
e andavo “all’aria” da solo; allora sul muro ho scritto “abbasso il duce”, sono
stato anche cretino, così mi hanno rimandato in cella. Ma prima che mi
arrestassero era quella l’attività che facevamo. Sa, è difficile ricordare tutto:
ricordo l’episodio di Meneghetti perché quello è stato abbastanza particola-
Memoria resistente
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re. E poi i volantini e quelle cose là…
Avevate anche armi?
No, in quella fase no. Quando ci hanno arrestati era proprio la fase iniziale;
erano passati solo pochi mesi dal settembre ’43, la Resistenza era ancora
all’inizio.
Vi hanno arrestato in aprile.
Aprile del ’44, sì. E ricordo che all’aria – quando si andava a passeggiare per
un’ora in un cortiletto oblungo, si diceva andare all’aria, l’ora d’aria – mi trovavo con Felisati e Gusso, che poi sono stati fucilati6. Li ricordo benissimo: uno
dei due era stato marinaio, ci raccontava le sue avventure, il naufragio…
Erano di San Donà?
Di San Donà, sì. E poi all’aria con noi c’era, perlomeno che io sappia, un
comunista importante, Gaddi, solamente che i fascisti non avevano capito
chi era e quindi se l’è cavata.
Invece voi lo sapevate chi era?
991
“Radio carcere” lo diceva: io sapevo che era Gaddi, però nessuno dei fascisti
l’ha sospettato. E con noi c’era anche uno slavo (invece Cesco dice che era
un comunista austriaco che si fingeva slavo) da cui avevo imparato “Smrt
Fascismu Svoboda (o Sloboda) Narodu”, che vuol dire “morte al fascismo,
libertà ai popoli”; e poi ci aveva insegnato anche una bestemmiaccia in slavo… Poche celle più in là c’era anche quello che aveva ammazzato a martellate sua nonna. E anch’io, come Cesco, da detenuto sono uscito dal carcere
per fare un esame; due poliziotti – non repubblichini, poliziotti – mi hanno
scortato fino a Padova e sono venuto qua, nell’Istituto di patologia medica.
La sessione di esami era già finita, ma ho detto al vecchio bidello che ero un
detenuto e che dovevo fare l’esame; e il professor Pari, che era antifascista,
ha riunito la commissione e, coi due scagnozzi seduti in fondo all’aula, mi
hanno interrogato; ho anche risposto abbastanza male, devo dire. Va bene
che in carcere si studia bene perché non c’è altro da fare, ma non ho risposto
bene; però mi hanno dato trenta e lode, date le circostanze e anche perché
avevo un bel libretto. Poi, al ritorno, questi due poliziotti hanno detto a mia
madre che non avevano mai sentito un esame bello come il mio. Al ritorno
eravamo nel trenino della “Veneta” (perché quella volta da Padova a Venezia si andava con la Veneta, non con il treno) e c’erano i miei amici che non
sapevano che ero detenuto; ero fra due poliziotti armati, ma non avevo le
manette, e i miei amici mi venivano vicino a parlare male del fascismo! Per
fortuna quelli della Questura, all’epoca, cominciavano ormai a capire come
sarebbe finita la guerra.
E in carcere ricordo anche un ebreo, al quale ho regalato un pullover quando l’hanno deportato; ma devo dire che nessuno in realtà sapeva quello che
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succedeva agli ebrei in Germania; anche lui era convinto di andare a lavorare e diceva: “ho sempre lavorato, lavorerò anche là!”. Nessuno sapeva,
almeno in quell’ambiente.
Si ricorda il suo nome?
Si chiamava Leone, non ricordo il cognome; era di Torino e si chiamava
Leone. Sarà stato in agosto o settembre del ’44, quindi verso la fine della
guerra, eppure non si sapeva dei Lager; è una cosa stupefacente, nessuno sapeva. E poi sono stato in cella con un altro che era del delta e mi raccontava
che a casa sua, a Natale, appendevano una acciuga sul soffitto e, col pane,
ognuno andava a toccar l’acciuga perché si insaporisse il pane; poi anche
questo è stato deportato in Germania per lavorare con la Todt.
Poi io – grazie a mia madre che ha corrotto il medico del carcere, che si
è fatto dare un sacco di soldi – ho finto un attacco di appendicite (che da
studente di medicina sapevo com’era) e sono stato trasferito nella cosiddetta
“Sala custodia” dell’Ospedale Civile.
A San Giovanni e Paolo?
Sì: all’ingresso del chiostro c’era un reparto per detenuti, dove adesso ci deve
essere un repartino di psichiatria. E là ricordo la notte della rappresaglia…
La rappresaglia di Ca’ Giustinian?
Sì. Quella notte è successa una cosa strana, una vera coincidenza. Noi sapevamo che ci sarebbe stata la rappresaglia: e nel mezzo della notte è venuto
in Sala custodia un manipolo di repubblichini per portar via i carabinieri
che ci sorvegliavano, che sono stati poi deportati in Germania, e sostituirli
con dei repubblichini.
Deportavano questi carabinieri in particolare, o i carabinieri in generale?
I carabinieri in generale, credo perché erano fedeli al re, avevano fatto giuramento al re: per cui, a quel che si diceva, i carabinieri sono stati deportati
tutti in Germania. Ecco, devo confessare che quello è stato per me l’unico
momento di vero terrore, perché pensavo che fossero venuti a prendermi
per la rappresaglia.
Come avevate saputo dell’attentato?
Memoria resistente
Eh beh, in carcere si sapeva tutto! Ricordo per esempio che, quand’ero ancora
in carcere, ero all’aria e “Radio carcere” ha diffuso la notizia che erano sbarcati
gli americani in Normandia: è stato un momento di grande gioia per noi.
Si sapeva tutto.
Non si sa come arrivino le notizie, ma con “Radio carcere” si sa sempre tutto.
E all’Ospedale, invece, eravate un po’ più isolati che in carcere?
992
Sì, ma della rappresaglia si sapeva, perché c’era stato l’attentato di Ca’ Giu-
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stinian, non so se avessimo i giornali.
Avrete sentito anche il botto, magari…
No quello no, ma insomma… Là in Sala custodia, poi, hanno portato anche
gli ebrei veneziani che avevano rastrellato.
Quella volta della casa di riposo?
Credo che fosse quella volta. In quei giorni, per una delazione, hanno preso
anche mio nonno, che era ebreo, ed era nascosto in casa sua: c’era gente che
voleva prendere la sua casa, per cui l’hanno denunciato. Una parte degli
ebrei – ma non mio nonno – erano stati raccolti nella Sala custodia dell’Ospedale e ricordo che, quando sono venuti a prenderli per deportarli, il
professor Spanio (che allora era il primario e poi è stato sindaco di Venezia:
un uomo imponente, coi capelli bianchi) ha imposto ai repubblichini che
mariti e mogli potessero abbracciarsi prima di partire.
Li portavano via separati?
Mah, non so bene: li hanno portati via. E ricordo l’ufficiale tedesco che è venuto a prenderli, con quell’ebreo triestino che ha fatto da spia7 e ha razziato
tutti gli altri ebrei. Eh sì, c’era un ebreo triestino che aveva tradito. Erano
loro due che sono venuti all’Ospedale: ricordo ancora la faccia e gli occhi di
quell’ufficiale tedesco che ci passava in rivista uno per uno.
E l’altra rappresaglia, quella dei Sette Martiri?
No, di quella dei Sette Martiri non si è saputo niente…
Ma quando sono venuti a prenderli…
No, perché li hanno presi là, nelle case attorno, mi pare.
Però i fucilati li hanno presi in carcere, se non sbaglio, a Santa Maria Maggiore.
Non so bene, non credo; del resto io allora non ero più a Santa Maria Maggiore. Ma neanche Cesco ne parla tanto, di questo episodio; si è saputo
meno, mentre Ca’ Giustinian è stato più clamoroso, diciamo così.
Poi Cesco parla anche di questa visita medica che gli hanno fatto per decidere se
mandarlo in Germania o no.
Memoria resistente
No, a noi non l’hanno fatta, perché è successo quando ero già in Sala custodia dell’Ospedale: essendo – teoricamente – malato, è chiaro che non
serviva la visita…
Quanto tempo è rimasto in ospedale?
In tutto sono rimasto detenuto per sette mesi, di cui quattro in carcere; in Sala
custodia credo di essere andato in luglio. Quando è stata Ca’ Giustinian?
A fine luglio, mi pare…
993
Ero andato all’Ospedale poco prima, quindi doveva essere in luglio.
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E fino a quando ci è rimasto?
Sono rimasto fino a che ci hanno liberato, a novembre mi pare; c’è stata
un’amnistia che non ci spettava ma, non so come, siamo riusciti ad averla
lo stesso. Poi sono stato all’Ospedale militare di Sant’Anna, perché avrei
dovuto andare militare e invece…
Come mai non è partito militare?
Perché noi universitari del ’23 siamo gli unici che non sono dovuti partire.
Solo alla fine della guerra avremmo dovuto, ormai nel ’45. E io mi fingevo
appunto malato, ero all’Ospedale di Sant’Anna come ammalato; ricordo la
stanza, e che ero con Alvise Berengo, il fratello di Marino.
Faceva finta anche lui o era malato sul serio?
Mah, credo fosse là anche lui per finta… Poi, non so come, mi hanno licenziato come convalescente e sono uscito. Ma ormai era tutto in sfacelo. Per
cui, di noi universitari del 923, nessuno è andato sotto le armi, o pochissimi
credo. Tant’è vero che dopo, quando sono uscito, andavo anch’io con Cesco
a San Tomà, dove c’era quel negozio con le armi.
Il fabbro Tenderini?
Sì, il fabbro con le armi. E poi ero con Cesco quando abbiamo disarmato
quel repubblichino con la fidanzata a San Simeon Piccolo…
Quindi era anche lei nel gruppo della “Biancotto”.
Infatti: io sono partigiano del battaglione “Biancotto”, anche se non sono
comunista; ma neanche Marcé era comunista, e neanche Livio Maitan.
C’erano Gian Mario Vianello, Cesco Chinello e Marco Stringari che poi è
morto in montagna, combattendo. Ricordo il discorso di Livio Maitan alla
commemorazione di Stringari.
Dov’era Stringari in montagna?
Mi pare che fosse sull’Altopiano di Asiago; credo che sia stato ucciso dagli
ucraini, sa che c’era una divisione ucraina in Veneto. Livio Maitan ne ha
fatto, dopo la Liberazione, una commemorazione molto retorica, com’era
nel suo stile.
Memoria resistente
Della “Biancotto” conosceva anche “Kim” Arcalli e gli altri?
No, io conoscevo soprattutto il gruppo di S. Elena; poi, quando si faceva
qualche azione, probabilmente c’erano anche gli altri, con cui però non avevo familiarità. Io poi avevo un po’ di paura, perché mia mamma era ebrea e
quindi aveva l’obbligo di andare ogni giorno, o ogni due, in Questura, non
so per quale motivo, credo per dei controlli.
Ma non è stata deportata.
994
No, perché mio padre non era ebreo. Però lui era a Istanbul, dove dirigeva il
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Banco di Roma, per cui mia mamma era sola e andava in Questura a registrarsi; non so perché, non so come fosse la prassi. E quindi io, come mezzo
ebreo… anzi, secondo gli ebrei sono ebreo, perché il figlio di madre ebrea è
ebreo.
Lei era battezzato?
Sono stato battezzato durante la guerra.
E non ha mai avuto problemi?
No, perché c’era l’accordo fra il Vaticano e Mussolini, per cui i figli di matrimoni misti dovevano essere tutelati, appunto perché potevano essere battezzati. Io sono stato battezzato: ho fatto battesimo, comunione, cresima,
tutto insieme durante la guerra; avevo un cugino di mia nonna che era vicario di San Marco, un certo monsignor Macachek, cecoslovacco, perché mia
nonna era mezza cecoslovacca.
E se non si fosse battezzato?
No, non cambiava niente; ma insomma, le precauzioni non sono mai troppe.
Comunque questo essere “misto” mi rendeva un po’ più timoroso, sia per me
che per mia madre; anche se non avevamo idea della tragedia che si stava consumando per il popolo ebraico. Mio nonno è morto, credo nella Risiera di San
Sabba; o forse sul treno, perché aveva più di ottant’anni. E come dicevo mia
madre doveva presentarsi sempre in Questura; ma già allora (fine ’44 – inizio ’45) in Questura erano molto più gentili, avvertivano la mamma se c’era
qualche problema, perché capivano che ormai l’aria stava cambiando. Anche
le guardie carcerarie, per esempio, si rendevano conto che stava cambiando
l’aria, e allora era cambiato anche il loro modo di fare verso di noi. Il problema
vero erano i fascisti sfegatati, spesso ragazzini: ricordo che in Piazza S. Marco
ce n’era uno delle Brigate nere che avrà avuto quindici anni, col mitra. Ma devo
dire che personalmente l’odio era più verso i tedeschi, che sentivamo come
truppa d’occupazione: in fondo una truppa d’occupazione è sempre una cosa
diversa, i fascisti bene o male erano dei nostri, anche se feroci. E poi i tedeschi
erano più violenti, più decisi: come ho detto, mi ha veramente impressionato
quella scena del treno alla stazione di Padova, il modo con cui quel ragazzino
tedesco ha cacciato via un nostro carabiniere, non uno qualsiasi… Quindi
capisce bene che episodi come questo colpiscono molto.
Memoria resistente
Perché dimostravano che lo stato italiano non contava più niente…
995
Non contava più niente. Erano praticamente dei fantocci in mano ai tedeschi, si sentiva che a comandare erano i tedeschi.
Ecco, così: come vede sono flash, perché è difficile a distanza di sessant’anni ricordare tutto: anche se devo dire che sono fra le cose che si ricordano
di più, altre vengono cancellate molto più velocemente. La cella, la ricordo
ancora bene: i secondini che venivano di notte a battere sulle sbarre, il bu-
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gliolo, quando venivano a bruciare i ferri della brandina perché c’erano le cimici. Le cimici si arrampicano sul soffitto e poi si lasciano cadere sul labbro:
sono di una bravura unica! Infatti mia mamma, quando veniva a colloquio,
la cosa che la impressionava di più era che continuavo a grattarmi: me l’ha
detto dopo, continuavo a grattarmi.
Avevate anche voi questi stratagemmi, come mettere l’acqua sotto i piedi del
letto…
No, questo non lo ricordo. Mi ricordo invece una notte, quando ero nella cella grande con Toni Lucarda (uno scultore che andava per la maggiore
a Venezia, di quelli della buona società; l’avevano arrestato per borsa nera,
un’accusa buona per tutte le stagioni: serviva per arrestare chiunque non fosse gradito al regime), che abbiamo acceso le candele: ho alzato il cuscino, è
stata una fuga di pidocchi incredibile, una roba… me li ricordo come fosse
adesso!
In carcere avevate disponibilità di libri e cose del genere?
Io mi sono letto tutta la letteratura russa, in carcere.
Ma i libri ve li portavano da casa, oppure c’era una biblioteca del carcere o qualcosa di simile?
C’era una biblioteca del carcere, c’era un prete che li portava, era un piccolo
prete di San Giacometto. E arrivavano anche da casa, perché io ho studiato
in carcere, quindi i libri di medicina sicuramente me li hanno portati da
casa… Eh sì, non c’era tanto altro da fare.
Quindi non era un regime carcerario particolarmente severo, da questo punto di
vista…
Sa, non è che leggere Dostoevskij o un libro di medicina fosse pericoloso
per i fascisti.
Memoria resistente
E potevate anche scrivere?
996
Io non ricordo di avere mai scritto. Ho ricevuto lettere? Mi pare di no, anche se c’erano dei detenuti che facevano i postini (me ne ricordo uno che
era dentro per truffa e sapeva tutti i codici a memoria, molto meglio di un
avvocato: sono bravissimi, perché in carcere imparano tutto…). Ma sa, il regime carcerario è una cosa strana. Il primo giorno è tragico. La prima notte,
quando ti prendono le impronte, ti portano via le stringhe, ti portano via la
cinghia e ti mettono in questa cella… Il primo giorno è terribile, secondo
me, perché si ha la sensazione di non poter fare quello che si vuole, di essere
costretti: quella è una sensazione terribile. Dopo, come a tutto, l’uomo si
adatta; ci si abitua insomma… Beh, si mangiava male, questo sì! Mi ricordo una volta che il pane era più ammuffito del solito e tutto il carcere si è
messo a battere sulle gamelle coi cucchiai: un rumore infernale! Tutti, rit-
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micamente, tutto il carcere, era veramente impressionante. E la mamma mi
raccontava che a Rialto vedeva la polizia carceraria che raccoglieva le foglie
di verza per terra, per far la zuppa a noi. Poi però qualche volta lasciavano
che ci portassero le vivande da casa, e allora...
Con la sua famiglia che contatti aveva? Le visite ogni quanto avvenivano?
Eh, non erano tanto frequenti, no. Io ricordo un solo colloquio. In Sala custodia dell’Ospedale non c’erano colloqui, perché non c’era neanche lo spazio. Quando ero in Ospedale non ho mai visto mia madre, e in carcere l’avrò
vista una volta o due. C’era un tramite, probabilmente era il sacerdote.
Ecco una cosa di cui non si è mai parlato: detenuto con noi, in Sala custodia, c’era un fascista che era venuto dall’Argentina apposta per arruolarsi in
guerra, era venuto con tutta la famiglia – la moglie e non so quanti figli – e
aveva aderito a un certo “Fascio Bianco”, che doveva esserci; c’erano dei dissidenti tra i fascisti, ma non se ne è mai parlato e io non sono mai riuscito a
capire cosa fosse. Voi che siete storici dovreste occuparvene: c’è stato un Fascio Bianco? Questo argentino si chiamava Napoleone (di questo son sicuro, ma il cognome non lo so) ed era un italiano di Argentina; era del Fascio
Bianco: una sorta di setta, di eresia all’interno del fascismo repubblicano.
E l’avevano incarcerato per questo?
Mah, non si sa, perché poi non si capisce mai. Incarceravano così facilmente… Per esempio ricordo che, quando dall’infermeria mi hanno portato di
nuovo in cella, ero in una cella al primo piano, mi pare; perché a quel punto
ero già stato condannato e non ero più in una cella di isolamento (che poi
era di isolamento per modo di dire, perché eravamo in tre, ma erano talmente piccole quelle celle che in tre proprio ci si stava appena); una volta
condannati si va in una cella comune, diciamo così, non più in quella di
isolamento, ed eravamo in celle a quattro o a sei, più spaziose. E là erano
con me lo scultore Toni Lucarda, il parrucchiere Cappello e uno studente di
architettura che si chiamava Gramola, l’ha citato anche Cesco Chinello.
Eravate tutti politici o c’erano anche detenuti comuni?
Memoria resistente
No, loro non erano politici: una volta condannati non c’era più questa distinzione. All’inizio io ero al piano terra, braccio destro, politici: sono andato a rivedermi le celle due anni fa. Loro invece erano stati arrestati per borsa
nera, che non si capisce bene… come ho detto era tutto un po’ confuso.
Dunque, riassumendo: lei, sia prima che dopo il carcere, che tipo di azioni ha
fatto? Volantinaggio…
997
Facevamo riunioni, volantinaggio, e queste azioni per disarmare qualche
repubblichino. Quand’ero a Sant’Anna, Cesco voleva che io rubassi della
stricnina per avvelenare un ufficiale tedesco… “Ma dove la trovo la stricnina?”; lui credeva che in Ospedale si trovasse la stricnina così! Eravamo gio-
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vani, ingenui, forse molto più ingenui dei ragazzi di adesso. E poi le riunioni:
prima per decidere se aderire al Partito d’Azione o no, poi la vicinanza col
Partito socialista. Sa, tutti i passaggi è difficile ricordarli, perché si tratta di
vita quotidiana; quello che si ricorda di più sono certi eventi, certi episodi,
certi momenti, che sono i più importanti, cruciali: l’arresto, la rappresaglia,
gli ebrei, la Liberazione a Ca’ Littoria, le azioni contro i repubblichini, le
armi a San Tomà, queste cose qua. E poi si ricordano i compagni: Gusso,
Felisati, Leone…
Lei che conosceva il gruppo della “Biancotto”, sapeva ad esempio della Beffa del
Goldoni, o l’ha saputo dopo?
No, non ne sapevo niente.
Quello era un gruppo più ristretto.
Sì, era un gruppo più ristretto, e devo dire che li ho molto ammirati: trovo
che sia stata una delle azioni più belle fatte nella Resistenza, e devo dire che
è stata ricordata troppo poco: perché è stata efficace, è stata coraggiosa, incruenta, e quindi è stata un’azione molto bella, molto importante.
E quando ha sentito la notizia, ha capito che erano stati questi ragazzi che lei
conosceva?
No, la notizia non si è saputa affatto, perché non l’hanno pubblicata sul
“Gazzettino”.
Ma non se ne parlava?
Non ricordo quando l’ho saputo, può darsi che l’abbia saputo anche presto,
ma è una cosa che mi sfugge completamente. So che ho avuto, dopo, una
grande ammirazione per quelli che l’hanno compiuta, è stata un’azione molto bella, molto molto valida.
E poi, quando c’è stata la Liberazione, ricordo che presidiavo… credo che
fosse Ca’ Littoria, che non so dove sia, credo in Strada Nuova, vicino alla
Ca’ d’Oro.
Ca’ Littoria, sì, è in Strada Nuova, ai Santi Apostoli.
Ma qual è?
Sul Canal Grande, quel palazzo con le grandi colonne… infatti il vero nome di
Ca’ Littoria è Palazzo Michiel delle Colonne.
Memoria resistente
Eh, sì, c’era l’atrio con queste grandi colonne.
Da Rialto verso la Ca’ d’Oro, diciamo.
Eh, infatti, ricordo che era là. Ca’ Littoria si chiamava. E invece adesso come
si chiama?
998
Palazzo Michiel delle Colonne. Ma nel dopoguerra si è chiamata anche Ca’
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Matteotti, perché c’era la Camera del Lavoro.
Ah, c’era la Camera del Lavoro. Ecco, io ero là che presidiavo Ca’ Littoria, e
sono arrivati gli inglesi che ci hanno dato le “Navy Cut”, le loro sigarette con
una concia molto particolare.
Si ricorda anche quando l’avete presa Ca’ Littoria, al momento della Liberazione?
No, non ricordo; doveva essere già stata abbandonata. Noi eravamo là coi
fucili, il solito famoso moschetto 9.
E che altri ricordi ha dei giorni della Liberazione?
Beh, ovviamente ricordo le campane. E tutti i tedeschi prigionieri in Strada
Nuova, perché si erano arresi… E ricordo che quella volta ho anche sbagliato, perché io un pochino sapevo il tedesco, l’avevo studiato quando avevo
dieci-undici anni: dovevo dire “Deutschland kaputt!” e invece ho detto “è
finita con la Germania”, “fertig mit Deutschland”, che non vuol dire niente
perché “fertig” in tedesco non vuol dire “finito” nel senso che intendiamo
noi, ma vuol dire una cosa compiuta, fatta. Per cui ho sbagliato…
Forse avranno capito lo stesso!
Sì, credo proprio che abbiano capito lo stesso. Io ero là a Ca’ Littoria, ricordo che c’era questa calletta, bisogna che ci torni; era una calletta stretta
e noi eravamo là, armati. Doveva esserci ancora qualche fascista a qualche
finestra o su qualche tetto verso i Santi Apostoli, perché mi ricordo che si
sentiva sparare. E poi, appunto, questi prigionieri tedeschi che erano stati
presi e andavano non so dove, verso i Santi Apostoli.
Memoria resistente
Erano prigionieri degli Alleati o dei partigiani?
Eh, questo non me lo ricordo. Gli Alleati erano già arrivati, perché ci avevano dato le sigarette: sono venuti col motoscafo, di notte. Ma noi eravamo là
già da un giorno. Adesso non ricordo quanti giorni siamo rimasti; ricordo
questo andito con le colonne e la porta d’acqua, gli inglesi che arrivavano,
io in questa calletta con questo fucile, i tedeschi ammassati che sfilavano
in Strada Nuova, io che gli ho detto: “fertig mit Deutschland”… altro non
mi ricordo. Poi ricordo che ero a casa mia, che aveva le finestre sul Canal
Grande, ed è passato un barcone con tutti i Resistenti che cantavano “Bandiera Rossa”, Gian Mario Vianello che sventolava una bandiera rossa… Ma
sono flash: grazie a Dio si dimenticano tante cose. E devo anche dire che
nell’entusiasmo della vittoria, della fine della guerra, si pensava meno alla
vendetta: mentre in carcere pensavo sempre a come vendicarmi della spia
(che poi, poveretto, doveva essere malato ed è morto), dopo invece si dimenticano tutte queste cose, si è più presi dall’entusiasmo, dalla voglia di fare;
si pensa al presente e al futuro. E ricordo che, essendo io poco fisionomista,
999
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a volte mi capitava di incontrare qualcuno – ricordo in particolare uno in
Bacino Orseolo – che non riuscivo a ricordare se era un fascista, uno che
avevo conosciuto in prigione, o magari qualcun altro che era indifferente
a tutto; per cui non sapevo se dovevo salutarlo o no… Perché poi le cose si
confondevano, tanto più che dopo la guerra tutti avevano cambiato casacca,
per cui era anche difficile riconoscere quelli che erano stati fascisti, a meno
che non si avesse avuto diretta esperienza… E mi ricordo perfettamente la
perplessità che ho avuto, di non sapere più chi fosse questo che incontravo.
Nel dopoguerra ho poi fatto anche dei comizi per il Partito socialista: non
so neanche come mai li ho fatti, come mai mi sono iscritto al Partito socialista, forse mi hanno contattato loro. Mi ricordo un comizio a Mira e un altro
in campo Santa Margherita, dove c’era una sede del Partito socialista, vicino
a quelli che vendono il pesce…
L’edificio isolato in mezzo al campo?
Sì, quello piccolo, isolato, là.
Adesso è il Consiglio di Quartiere, prima era stata una sede fascista. Questo
succedeva subito dopo la guerra, nel 946? Il referendum…
Sì, nel 945. Mi ricordo il referendum, l’attentato a Togliatti, la vittoria di
Bartali… Sono tutte cose che si ricordano come flash. È difficile, impossibile… guai a ricordare tutto! E poi, siccome ero un medico e facevo ricerca,
ho detto “adesso devo fare bene il mio lavoro”, e ho lasciato la politica attiva.
Molto tempo dopo, nel 992, mi sono candidato al Senato con il Partito socialista, ma ho sbagliato tempi; oltretutto a Padova i socialisti non avevano
mai avuto più del 7%…
Nel dopoguerra lei ha avuto rapporti con l’Anpi o con altre associazioni partigiane?
No, non ho avuto particolari rapporti con loro. Ho avuto però la tessera di
partigiano, ho avuto qualche contatto con l’Anpi di Padova – mi pare fosse
dove sono gli Istituti – ma non mi ricordo perché e come.
Quando è venuto a vivere a Padova?
Memoria resistente
Mi sono trasferito nel 952, perché sono rimasto all’università e a Venezia
non avevo più motivo di stare. Ma, dopo, i ricordi sono molto più vaghi, proprio perché avevo deciso che, essendo un tecnico, dovevo fare il mio mestiere
e dovevo cercare di farlo bene.
Diciamo anche che, dopo, sono successe cose meno eccezionali, rispetto alla guerra…
1000
Erano meno eccezionali. Mi ricordo la scissione di Saragat, e io sono rimasto nel Psi; non capisco come mai, invece, Livio Maitan è andato a finire con
Saragat, e questa è una cosa che mi stupisce… Chi lo sa? Era trotzkista,
dopo è diventato marxista-leninista. Ma non l’ho più visto.
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Di questi suoi ricordi ha mai parlato in famiglia, o anche pubblicamente?
No, non ne ho mai parlato. Ma devo dire che se ne parla adesso, perché prima
non si è mai parlato di queste cose, neanche dell’Olocausto. È stato tutto sopito, in un certo senso. E questo probabilmente è dovuto al fatto che, essendoci stata la guerra fredda, tutto doveva essere normalizzato, diciamo. Poi
ricordo il referendum, l’attentato a Togliatti, la scissione di Saragat; e dopo
gli eventi più importanti sono stati qui in clinica, all’università. È la vita, no?
Che ti prende e ti trascina; tanto più avendo io deciso di staccarmi dalla politica e di fare il tecnico. Pur partecipando sempre: ho sempre votato a sinistra,
tanto eravamo abituati a essere perdenti… Mi ricordo che ero il solo, negli
anni Ottanta, a dire, anche a mia moglie, che la storia cammina sempre e che
quindi non si può pensare che le cose restino sempre immutate: in un modo
o nell’altro cambieranno, non si sa come, non si sa quando, ma cambiano. Infatti sono cambiate: in peggio per molti versi, ma sono cambiate. Ho sempre
avuto fiducia nel cammino ineluttabile e imprevedibile della storia. Eravamo
abituati a votare, a perdere regolarmente, ad avere i democristiani. Un grande momento che ricordo è stata l’elezione di Giovanni XXIII; perché Pio
XII era per me il peggio del peggio. Ricordo la Madonna Pellegrina: dovevo
andare a fare una visita a Mestre, ero in ritardo e c’era il corteo della Madonna Pellegrina, ho osato suonare il clacson… Credevo che mi linciassero! Ho
avuto più paura che coi fascisti! Era terribile, sa.
Questo nel ’48?
Sì, sarà stato il ’48 o il ’49. Pensi che in spiaggia, dopo la guerra, c’era la
polizia in divisa, col metro, che ti misurava l’altezza dello slip, perché era
proibito avere lo slip piccolo; e avevano il binocolo per guardare se quelli
usciti con il pattino facevano l’amore o no: cose da pazzi!
È stata dura, poi, vedere che tutti i fascisti erano là ai loro posti come prima,
tranquilli e sereni. L’amnistia di Togliatti è stata un colpo di genio, politicamente; però, per chi aveva fatto la Resistenza, non era proprio il massimo.
Bene: la ringrazio molto.
Ecco, ho detto anche un sacco di cose inutili…
Memoria resistente
Meglio dire più cose che dimenticarne qualcuna…
Devo dire che la Resistenza a Venezia non è stata cruenta; è stata più di
propaganda, di preparazione per il dopo, a parte poche azioni che però sono
state pagate. Quei disgraziati di San Donà, per esempio, probabilmente li
hanno presi per non fucilare dei veneziani…
Per limitare le reazioni a Venezia, vuole dire?
Eh, penso proprio di sì. Per limitare la reazione popolare. Perché, tutto
sommato, queste nostre erano zone in cui i fascisti erano la minoranza: si
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ha voglia a dire che la maggior parte della popolazione è stata estranea alla
Resistenza. Non è vero: la maggior parte della popolazione era antifascista,
cioè lo era diventata, non che lo fosse inizialmente – erano tutti fascisti
– lo è diventata dopo. Gli ebrei sono stati protetti dalla popolazione: se lei
guarda il numero dei deportati in rapporto agli ebrei italiani, la percentuale
è minore che in altri paesi, perché hanno trovato riparo nelle case, nei conventi, oltre confine. Mia suocera, nel Basso Vicentino, faceva la staffetta
partigiana e aveva degli ebrei in casa. E poi il tedesco per il Veneto era un
nemico storico.
C’era la memoria della Grande Guerra…
C’era quella memoria, ed era anche recente: cosa vuole che siano vent’anni?
Se stiamo ancora discorrendo di cose accadute sessant’anni fa…
E prima ancora c’era stato il Risorgimento, il 848, gli austriaci.
Eh sì, erano passati solo vent’anni, vent’anni nella storia non sono niente…
C’era gente che era scappata dal Veneto per paura dell’avanzata austriaca,
che era andata a Firenze, profughi ecc. Quindi non è che i tedeschi fossero
molto amati da noi, c’è poco da fare. Adesso emerge il concetto di guerra
civile, ma noi odiavamo più i tedeschi, che per noi erano i nemici naturali. E
poi erano arroganti, si sentivano superiori a noi: i fascisti al confronto sembravano dei poveri diavoli. Tant’è vero che dopo la guerra, come al solito,
sono volati gli stracci (come sempre in questo paese): processavano i ragazzini ma i caporioni, tranne pochi, se la son cavata tranquillamente, e questo
faceva rabbia. A Venezia due o tre fucilazioni in tutto. Per esempio c’era
uno dei ragazzi che ci sorvegliavano in Sala custodia dell’Ospedale, uno di
Mestre che avrà avuto diciassette anni e col quale ci prendevamo in giro perché loro dicevano di avere le armi segrete e noi dicevamo: “Armi segrete? Fra
poco vi facciamo la festa!”; insomma si scherzava. E questo ragazzo, dopo
la guerra, sono andato a difenderlo in tribunale, perché non aveva senso
condannare proprio quelli quando viceversa c’erano ben altri colpevoli. Per
esempio Zani e Cafiero8, due delinquenti.
E sono stati fucilati.
Memoria resistente
Cafiero, soprattutto, era un personaggio losco. E dunque sono andato a difendere questo ragazzo in tribunale, a testimoniare che con noi erano stati
gentili; devo dire, anzi, che quella volta i giudici non li ho amati tanto…
Era la Corte d’Assise Straordinaria?
1002
No, era a Rialto. Il Pubblico Ministero ha cominciato a prendermi in giro
perché ero venuto a difendere un fascista. E io mi sono arrabbiato moltissimo,
perché ho pensato che magari lui non aveva fatto niente, mentre io ero stato
in carcere per mesi; parlava di me come testimone prendendomi in giro, o
forse mi faceva delle domande prendendomi in giro, non ricordo bene. Ma
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io testimoniavo per un bravo ragazzo che non aveva fatto niente di male, era
stato sempre gentile con noi; erano due ragazzini quelli che ci sorvegliavano,
era tutto da ridere, non c’era un atmosfera di violenza… Era un periodo un
po’ curioso.
Va bene, insomma… cose di una volta. Però trovo giusto che la memoria
storica rimanga; non per quello che abbiamo fatto noi, che sono cose di importanza relativa nell’economia generale della guerra e della Resistenza, ma è
importante che non vadano dimenticate. E soprattutto che si sfati la leggenda
di una guerra civile in cui la maggioranza della popolazione stava alla finestra:
stavano alla finestra, però guardavano verso di noi. Perché i partigiani hanno
trovato appoggio, c’è poco da fare: se non hai l’appoggio della popolazione
non riesci a far niente di fronte a gente bene armata. Del resto, se i fascisti
cantavano “Le donne non ci vogliono più bene, perché indossiamo la camicia
nera”, vuol dire che avevano la consapevolezza di essere poco amati!
Lei aveva mai preso in considerazione l’ipotesi di andare in montagna?
Mah, sa… nessuno me l’ha mai neanche fatta balenare; all’epoca non sapevo
neanche che esistesse una Resistenza in montagna. Da Venezia la montagna
è lontana. Voglio dire, per uno che abita a Feltre è più facile. Venezia, non so
spiegare, è una città un po’ particolare: non è mai stata bombardata, vedevamo le fortezze volanti che passavano, gli stormi, tutt’al più bombardavano
Marghera, dal carcere sentivamo che bombardavano Marghera. Eravamo
abbastanza sicuri che non avrebbero bombardato Venezia. E poi mi hanno
arrestato subito, nell’aprile del 944, quindi non c’è stata per me l’opportunità di andare in montagna; quell’opportunità l’hanno avuta i militari, per
esempio, che sono stati smobilitati e avevano paura di essere catturati dai
tedeschi e mandati in Germania. Uno solo di noi, Marco Stringari, è andato in montagna; ma non so come mai ci sia andato, forse io ero già dentro
quando è successo.
Memoria resistente
Ma ad esempio Cesco scrive che, dopo la fucilazione di Biancotto, lui ha subito
pensato di andare a combattere in montagna per vendicarlo. Quindi c’era un po’
questa idea…
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Quand’ero nella Sala custodia dell’Ospedale, per esempio, c’erano stati dei
tentativi di farmi scappare, organizzati da Gian Mario Vianello, da un altro amico – Gigi Di Stasi – e da mia mamma: avrei dovuto fare una visita
specialistica, scavalcare il muro e scappare. Ma poi non se ne è fatto niente,
non so perché, forse perché è venuta l’amnistia. Poi, sa, alla fine del 944 la
guerra stava ormai per finire, quindi non c’è mai stata per me questa idea di
andare in montagna; del resto nemmeno Chinello ci è andato. Le dirò che
io non avrei saputo neanche dove andare, non ne avevo la più pallida idea.
Vivevo nella nostra realtà veneziana, non avevo nessuna idea di altre realtà.
Le informazioni erano molto scarse: se non si sapeva niente dello stermi-
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nio degli ebrei, si figuri lei! Più che altro seguivamo sulla carta geografica
l’avanzata dell’Armata Rossa: io ho imparato tutta la geografia della Russia,
dell’Ucraina, dagli Urali alla Germania, conosco tutte le battaglie.
Ascoltavate la radio…
Sì, “Radio Londra” ma anche i bollettini di guerra tedeschi, che dovevano
ben dire quel che succedeva.
E avete mai pensato che i russi potessero arrivare qua prima degli americani?
No, perché stavano avanzando anche gli americani in Italia. E poi non avevamo idea che ci potesse essere un conflitto tra russi e americani, anche perché
gli americani aiutavano i russi. Ci interessava l’Armata Rossa, le sue vittorie.
Dei crimini di Stalin non sapevamo assolutamente niente. Perché, non so
come mai, ma nella propaganda fascista di questo non si parlava mai.
Forse perché temevano che si facessero dei paralleli con quello che facevano
loro…
Eh, appunto! Perché contro la dittatura comunista non si scagliavano; in
realtà tutto quello che io ricordo era contro le democrazie: imbelli, panciafichisti, demo-pluto-masso-giudocrazie. Di questo sì che sapevamo tutto:
la presa in giro di Churchill, la demonizzazione degli ebrei ecc., ma non si
parlava mai della Russia.
Anche perché in mezzo c’è stato il periodo in cui la Russia e la Germania…
Memoria resistente
C’è stato il patto Molotov-Ribbentropp, fra Stalin e Hitler, era una situazione un po’ confusa. Era molto più evidente la presa in giro delle democrazie, che dovevano apparire come imbelli; l’appeasement del 938, Monaco,
ecc. Ma dell’Urss non si parlava mai: e per noi era diventata un mito.
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note
1
L’episodio è raccontato con dovizia di particolari in A. Cerutti, Memorie, Marsilio, Venezia, Marsilio,
980, p. 00.
2
Si riferisce alla retata del ghetto di Roma del 6 ottobre 943; si veda G. Debenedetti, 6 ottobre 943,
Roma OET, 945.
3
Su Egidio Meneghetti si veda C. Saonara, Egidio Meneghetti. Scienziato e patriota. Combattente per
la libertà, Padova, Istituto veneto per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea – CLEUP,
2003.
4
Questa intervista nasce dalla lettura, da parte dell’intervistato, dell’autobiografia di Cesco Chinello, La mia “educazione sentimentale”. Autobiografia resistenziale, in Nella Resistenza. Vecchi e giovani
sessant’anni dopo, a cura di Giulia Albanese e Marco Borghi, Portogruaro, Nuova Dimensione, 2004
(riprodotta in questo volume), in cui lo stesso dal Palù viene più volte citato. È a questo testo che ci si
riferisce più volte nel corso del colloquio.
5
Waifro Zani, già ufficiale del Regio Esercito, venne inquadrato nella Gnr col grado di Capitano. Fu
conosciuto e temuto come uno dei più feroci torturatori fascisti in attività a Venezia.
6
Giovanni Felisati e Enzo Gusso, due dei tredici fucilati nella rappresaglia per l’attentato di Ca’ Giustinian (28 luglio 944).
7
Si trattava di Mauro Grini, ebreo triestino che collaborò attivamente con i nazisti nella ricerca e la
cattura dei suoi correligionari nell’Italia settentrionale, sulla storia di questo allucinante personaggio
si veda M. Franzinelli, Delatori. Spie e confidenti anonimi, l’arma segreta del regime fascista, Milano,
Mondadori, 200, pp. 85-87.
8
Il 4 giugno 945 la Cas di Venezia si pronuncia contro Waifro Zani ed Ernani Cafiero: è la seconda
sentenza emessa dalla Cas, che condanna a morte entrambi gli imputati (M. Borghi – A. Reberschegg,
Fascisti alla sbarra. L’attività della Corte d’Assise Straordinaria di Venezia (945/47), Venezia, Istituto
veneziano per la storia della Resistenza e della società contemporanea – Comune di Venezia, 999, pp.
08-0, Sentenza 2/945).