Dedicato al mio trisavolo che ha partecipato alla

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Dedicato al mio trisavolo che ha partecipato alla
XV edizione
I Colloqui Fiorentini – Nihil Alienum
Giuseppe Ungaretti. “Quel nulla d’inesauribile segreto”
Firenze, Palazzo dei Congressi
25 - 27 febbraio 2016
MENZIONE D’ONORE
SEZIONE NARRATIVA
ANDREA LEDDA
Dedicato al mio trisavolo che ha partecipato alla battaglia di caporetto, Dov'è rimasto gravemente ferito
Studente: Benedetta Villani
Classe II F
Scuola Liceo Scientifico "Giovanni Vailati" Genzano
Scrivo su ogni cosa, sul legno, sui cartoni dei fucili ma, sempre sempre su un librettino che tengo in petto
insieme alle fotografie. “Saper leggere e scrivere è l’unico modo per non sentirti mai solo, anche quando lo
pensi veramente”. Questo mi diceva sempre don Lorenzo, il parroco di Ploaghe, quando trascorrevo interi
pomeriggi da lui ad imparare, nonostante io fossi un uomo semplice, un pastore con intere greggi da
pascolare. In questa trincea siamo solo in due ad avere questa fortuna, io e il mio compagno Giuseppe.
“Vedi”- gli ho detto ieri sera- “Questa è Bainza e questo più basso è Ziromine”. Mi ha sorriso ma non ho
impiegato molto a capire che non conosceva il mio dialetto. “Sono Gavina e Gerolamo, sono piccoli ma già
stanno con le pecore in montagna”.
A volte mi basta chiudere gli occhi per risentire i profumi della mia terra e immaginare di non essermene mai
andato. Ricordo quando alla mia partenza, Bainza mi ha seguito quatta quatta per abbracciarmi un’ultima
volta e farsi promettere che sarei tornato. Non è semplice promettere sul tuo futuro se nemmeno te hai la
certezza su cosa ti riserverà eppure, in quel momento, non ho saputo cosa dire se non: “Ti farò una sorpresa,
babbo tornerà”. Non rispose ma sapevo che aveva capito. Fa freddo anche da noi, ma è diverso da qui. Il
maestrale arriva fino alle montagne e ne taglia la faccia ma, dopo, quando smette di soffiare, tutto è calmo e il
belato degli agnelli si sente fino in pianura così “muzere mia” dorme bene.
“Devi riposare adesso Andrea, che sto io di guardia, e copriti meglio, stanotte gela”. Sono assorto nei miei
pensieri, Giuseppe mi riporta alla realtà. Mi rannicchio cercando un po’ di calore dentro di me, fino a quando
anche questa notte passerà. Delle mattine, quando albeggia, gli abeti in lontananza frusciano felici e sembra
quasi che l’eco degli spari lontani possa essere dimenticato, cancellato, per non ricordarmi di quanto ero
pronto a questa guerra, strage inutile di popolo semplice. Forse anche don Lorenzo, qualche volta, sbaglia.
I miei compagni, vivi quanto possono, attendono e attendono che qualcuno dalla valle risalga con il rancio e
con le lettere, magari scritte da qualcuno, da uno scrivano, notizie buone, di salute, d’amore. E poi mi porgono
quegli scritti, in fila, come un compito, dalle mie labbra parole dei loro figli, dell’amata. E’ in quel momento
che mi ricordo dell’umanità delle persone. Qui non esiste né pietà né ammenda, né felicità o soddisfazione
poiché, per rispetto, nemmeno a battaglia vinta si riesce a festeggiare. Nessuno si lamenta. Qui si muore in
silenzio.
Se solo i nostri cari sapessero quanto freddo, quanto dolore, quanto niente si sopporta per vivere così da oltre
un anno. Spesso, su queste montagne, mi sento un agnello pronto al macello, spaesato e riverente, di poche
parole, asciutto. Tutto intorno a me diventa ovattato e i momenti in cui mi sento più coraggioso, che sono in
realtà pieni di incertezze, non fanno altro che ricordarmi dei rischi che corro.
In inverno, quando tutto è fermo, ogni sparo nella notte è risposta a un movimento, quasi sempre una vita.
Ed io intanto mi perdo in me e il sussurro dei vicini, i nemici, strano ma bello, mi culla. In primavera l’alba
risale dietro il monte e si affaccia d’improvviso, impudente permesso che si prende alla notte illuminando
questi prati coperti di noi.
Ricordo quando ho attraversato il mare che non avevo mai veduto, l’emozione e la paura ,propria dell’istinto
primordiale, di quando sono salito sulla barca e ho capito il distacco da quell’isola che senza guerra sarebbe
stata sicuramente per me inizio e fine. Forse una piccola oasi lontana dal continente, con troppe lingue e
troppi pensieri, una terra sassosa e dura, di poche parole, di molti sguardi. Una terra, dove le donne mostrano
uscendo solo il volto, che del resto è velato, come a casa di Giuseppe, dove è nato. Gli occhi delle donne,
parlano cantando e mi innamoro ancora di quelli di mia moglie Lisa al solo ricordo. Lei che ogni giorno scende
a Badde con la tinozza vuota che poi riporta piena e sente il peso dell’acqua sulla sua testa. La ricordo così, la
prima volta che la vidi, camminava a piedi scalzi risalendo al paese, sola e con lo sguardo fisso davanti a sé. In
un attimo smisi di parlare perché rapito da quella ragazza che nemmeno conoscevo, dalle sue labbra carnose
e dagli occhi nocciola. Due anni dopo dormivamo insieme come marito e moglie, lei diciott’anni io ventuno.
Mi manca Febo, il suo abbaiare sguaiato e diretto di quando metteva in riga le pecore, la sua coda strana che
piegava e poneva tra le zampe quando veniva a mendicare una carezza. Febo amico di ore silenziose, di
giornate passate a leggere, a scrivere seduto su un sasso irto aspettando la sera.
Bainza è brava più di me, ho detto a Lisa che finirà la scuola, anche se è femmina, perché il futuro deve essere
migliore. Strana è, dicono le sue amiche, loro corrono felici in “Carrera Longa” mentre lei seduta sul gradino di
casa, divora pagine di tutti i libri del prete, storie belle, storie tristi ma sempre nuove. Fizza mia cara se allungo
una mano mi sembra di toccarti ma, è solo un abbaglio che svanisce subito nel fumo di questa buona sigaretta
che mi ha regalato il signor Tenente.
Faccio finta di non sentire intorno a me il silenzio del buio, il fumo bianco che si alza ad ogni mio respiro e mi
ricorda che sono ancora vivo, il russare abbandonato di Pasquale, soldato di Napoli, che appoggiato al fucile
stringe ormai consumata l’immagine di San Gennaro. Domani ci sposteranno a Caporetto, forse, altri mesi di
attesa e di spari, forse.
Non so se potrò ancora scrivere ma lo spero tanto. Annuso come un cane un po’ di questa pace, si sta alzando
un leggero vento che annuncia un giorno ancora, le fronde degli abeti danzano per me ad ogni soffio di Eolo.
Incontro con lo sguardo gli occhi penetranti di Giuseppe, e capisco che ha sognato come me e sognando ha
trovato anche lui un po’ di pace da annusare.
Albeggia. Finisce il mistero, la verità lascia posto al fare che non sempre è la verità.
Andrea.