istituto professionale per l` industria e l` artigianato

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istituto professionale per l` industria e l` artigianato
LICEO SCIENTIFICO
“CAMILLO GOLGI”
BRENO
Tesina Finale
MODERNITA’ E CRISI NEL “900:
LA RISPOSTA DI
OTTO WAGNER E GUSTAV
KLIMT
Monica Stofler
CLASSE 5° C ANNO SCOLASTICO 1998/1999
CITAZIONI
DER ZEIT IHRE KUNST
DER KUNST IHRE FREIHEIR
“Ad ogni epoca la sua arte, ad ogni arte la sua libertà”
Tre cose in ciascuna fabrica
Deono considerarsi, senza le quali niuno edificio
meriterà di essere lodato;
e queste sono l’utile, la perpetuità e la bellezza.
Andrea Palladio, “I quattro libri dell’architettura” (1570)
“Voglio sempre più imparare a vedere bello ciò che è necessario nelle cose,
cosi’ diventerò uno di quelli che rendono le cose belle.”
Friedrich Nietzsche – “La gaia scienza” (1882)
«Bisogna mostrare all’uomo moderno il suo vero volto»
Otto Wagner
“Lo strumento principale del comporre è la gomma da cancellare.”
Arnold Schoenberg
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CRONOLOGIA (dal 1895 al 1910)
1895
1896
1898
1899
1900
1901
1902
1903
1904
1905
1907
1908
1909
1910
Otto Wagner pubblica il saggio “Moderne Architectur” e realizza alcune stazioni ferroviarie
Klimt espone Amore e La musica
Obrist realizza il pannello murale La frustata, simbolo dell’art nouveau
Freud pubblica Studi sull’isteria
Munch espone la Pubertà
Roontgen scopre i raggi X
Marconi sperimenta il radiotelegrafo
I fratelli Lumiére realizzano la prima proiezione cinematografica pubblica
Klimt realizza i pannelli per l’aula magna dell’Università: La filosofia e La medicina
La cultura viennese scopre Le fonti per la storia dell’arte bizantina di Richter
La commissione critica i bozzetti di Klimt per La filosofia e La giurisprudenza
Wagner inizia la Casa della maiolica
Esce il primo numero di Ver Sacrum con la Nuda Veritas di Klimt (1°versione)
Olbrich inizia il Palazzo della Secessione
Pierre e Marie Curie scoprono il radio
Klimt dipinge Schubert al piano, la Nuda Veritas (2°versione) e Pesci d’argento
Wagner aderisce alla secessione viennese
Marconi inventa il telefono senza fili
VII mostra della Sezession
Esposizione universale di Parigi in cui sono presenti 42 opere della secessione
Freud pubblica L’interpretazione dei sogni
Max planck elabora la teoria dei quanti
Klimt pubblica Giuditta I
Gaudì pubblica il suo progetto della Cité Industrielle
Klimt realizza Pesci d’oro e il Fregio di Beethoven
Klimt realizza i primi motivi d’oro e La speranza I
Kandiskij realizza Il cavaliere azzurro
I fratelli Wright compiono il primo volo in aeroplano
Beidler inventa la fotocopia
Klimt realizza Le bisce d’acqua I e Le bisce d’acqua II
Wagner realizza la Ost.ostsparkassenamt (il palazzo della Banca Postale) a Vienna
Pirandello pubblica Il fu Mattia Pascal
Rutherfor elabora la teoria generale della radioattività
Klimt dipinge Le tre età della donna
A Dresda si fonda il movimento espressionista Die Brucke e dei Fauves a Parigi
Einstein elabora la Teoria della relatività
Klimt conosce Schiele
Picasso dipinge Les demoiselles d’Avignon
A Lisieur si collauda il primo elicottero
Klimt realizza il Bacio, Danae La speranza II e Vita e morte
Loos pubblica il suo Ornamento e delitto
Nasce il Francia il Cubismo
Wagner comincia la realizzazione della Neustiftgasse 40
Behrens realizza la Officine dell’A.E.G. a Berlino
Marinetti pubblica su Le figaro il Primo manifesto futurista
Kandinsky realizza il Primo acquarello astratto
Loos realizza Casa Steiner a Vienna
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VIENNA
La Vienna asburgica tra la fine dell’Ottocento e la prima guerra mondiale rappresenta una tappa
fondamentale nella formazione del pensiero e della cultura moderni: un crogiolo di impareggiabile
creatività e intelligenza che, fatalmente, dà il meglio di sé non nell’esplosione della propria pienezza
vitale ma nei bagliori della propria agonia.
Enfatica e fastosa capitale di un Impero al tramonto, Vienna fin de siècle copre di una maschera
brillante e raffinata l’angoscioso presentimento dell’imminente dissoluzione: la gestione di un impero che
si estende da Praga a Sarajevo e da Budapest a Trieste, con tutte le sue diversità etniche, culturali,
linguistiche e le connesse rivendicazioni socio-politiche, si dimostra ogni giorno più difficile. Una
consapevolezza della crisi tanto evidente quanto la volontà della sua rimozione: «La gente viveva nella
sicurezza - scriverà più tardi Kokoschka -, ciò nondimeno erano tutti pieni di paura. Io lo avvertii
attraverso il loro raffinato modo di vivere che derivava ancora dal barocco, io li dipinsi nella loro ansietà
e nel loro panico».
È uno scenario complesso e contraddittorio che in un febbrile ventennio vede muoversi e agire
molteplici personalità, anche assai dissimili tra loro, destinate a segnare profondamente gli sviluppi della
cultura europea: scrittori come Musil, Hofmannsthal, Schnitzler, Wedekind, Altenberg, Kraus, Trakl;
artisti come Klimt, Schiele, Kokoschka; architetti come Wagner, Hoffmann, Olbrich, Loos; musicisti
come Richard Strauss, Mahler, Schönberg; e su tutti l’ombra tangibile di Sigmund Freud e delle sue
ricerche.
Il loro influsso toccherà anche l’Italia, ma come sempre sarà mediato e sfumato dalla grande cultura
classica. Lo ritroveremo nella crisi del positivismo piranelliano, e nella sua analisi introspettiva della
maschera, nei personaggi inetti e senza valori (richiamo Nietzchiano) di Svevo, e nalla sua convinzione
che “la vita è inquinata alle radici”.
All’interno di questo febbricitante panorama gli scambi, gli incontri e le tangenze tra le diverse
correnti e discipline culturali sono fertili e molteplici.
Nella città che vede la nascita della psicanalisi e della dodecafonia, gli ultimi sussulti di un’epoca
trascorsa si tramutano nei primi fremiti di una nuova civiltà.
In un fertile sommarsi di cultura locale e apertura internazionale, Vienna è la capitale di un Impero
al declino che dà il suo sostegno alle nuove forme d’arte, come la Secessione, investendo l’estetica
dell’utopico compito di differire la fine o di darne almeno l’illusione. Lo spirito dell’epoca è in questa
coesistenza di spensieratezza e lacerazioni.
Klimt appartiene pienamente a questo clima contraddittorio di un mondo in disgregazione:
ineccepibile celebratore dei riti e dell’ideologia borghese-positivisti, e inquieto interprete della crisi del
sé; celebrato e poi censurato dall’ambiente ufficiale; ultimo rappresentante della pittura ottocentesca e al
contempo profeta del suo rinnovamento. In Klimt, l’esorcismo del presagio della fine si compie
attraverso una visione simbolico-decorativa del mondo, arcaica e insieme nuovissima: una visione che
giunge alle soglie dell'astrattismo senza, volutamente, oltrepassarle.
In Wagner invece, non troviamo la “forza totalizzante” della modernità, lo spirito eroico, la volontà
di radicale rinnovazione. Riscontriamo un atteggiamento di “esplorazione per frammenti”, di relazione
tra nuovo e antico, di ricerca di congruenze tra l’eredità del passato e la diffusione del gusto moderno.
Questo vede ancora una possibilità di salvezza nella città moderna: nell’attivismo razionale borghese
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BACKGROUND STORICO-URBANISTICO
Nel 1870, Vienna fu coinvolta in un’imponente progetto di ricostruzione urbana il cui punto
focale era la Ringstrasse: la grande arteria sulla quale prospettava un imponente complesso di edifici
pubblici e residenze private, e che occupava la larga cintura corrispondente alla linea di demarcazione tra
le Innere Stadt (l’antica città interna) e il suburbio.
Il fatto che Vienna disponesse, nel cuore dell’agglomerato urbano, di una vasta superficie libera,
tale da consentire un moderno sviluppo edilizio era, per ironia, una conseguenza dell’arretratezza, in
senso storico della città. Vienna, infatti, conservava ancora le grandi strutture difensive che le altre città
europee avevano oramai abbattuto da tempo, ma le cartine già del 1844, dimostrano come un compatto
anello di abitazioni aveva ormai circondato i bastioni di difesa, anche se si manteneva ad una certa
distanza da essi. fig.
La costruzione della Ringstrasse può essere un valido esempio dei cambiamenti di potere che si
susseguirono, nell’arco di pochi decenni, a Vienna.
Nel 1857 l’imperatore Francesco Giuseppe, spinto dalle forti esigenze d’ordine economico ed
abitativo nate dal massiccio incremento demografico nella città, accettò di adibire le aree militari (i
grandi spazi della Ringstrasse), ad uso civile, nonostante le preoccupazioni controrivoluzionarie
(l’importanza strategica dell’area difensiva per la corte imperiale si era messa in luce con la rivoluzione
del “48). Allo scopo però di contenere le insurrezioni vennero costruiti, vicino a punti strategici (quali ad
esempio le stazioni) caserme ed arsenali, e le strade furono progettate molto ampie, per ridurre al minimo
la possibilità di innalzare barricate per opera di potenziali ribelli. L’influsso imperial-militaristico, si nota
perciò nell’ampia e fitta rete stradale, e nel maestoso viale che circonda per intero la città interna con lo
scopo di facilitare lo spostamento d’uomini e materiali bellici in caso di pericolo.
Nel 1860, quando l’esercito viennese fu annientato in seguito ad una serie di battaglie, fu istituita
una monarchia costituzionale che, di fatto, rappresentò, nei territori occidentali dell’impero asburgico, la
presa di potere dei liberali austriaci. Questi compirono il primo passo decisivo contro il potere politico
trasformando le istituzioni dello Stato in conformità ai principi del costituzionalismo e ai valori culturali
del ceto medio. Vienna diventò il loro bastione politico, il fulcro della loro economia, il centro
d’irradiazione della loro vita intellettuale. Subito i liberali presero a modellare la città a loro immagine, e
sul finire del secolo, quando furono rovesciati da altre forze politiche, avevano pressoché raggiunto il
loro scopo. Il volto della città appariva trasformato grazie alla modifica del progetto della Ringstrasse,
atta ad esprimere i valori di una pax liberalis: non più palazzi, presidi e chiese simbolo del potere
aristocratico, imperiale e religioso come nella Innere Stadt, ma centri del potere costituzionale e cenacoli
dell’alta cultura, proprietà della cittadinanza e simbolo dell’ideale culturale borghese. Quest’ultimo è
riscontrabile nella nuova concezione spaziale del Ring: non più uno spazio che convoglia l’attenzione
verso un punto focale fig., ma una serie d’edifici che esaltano l’orizzontalità del corso centrale, senza
rigore architettonico né destinazione apparente, sopprimendo ogni visuale prospettica fig..
Gli edifici pubblici fluttuano perciò al di fuori di una precisa organizzazione, in uno spazio in cui
l’unico elemento stabilizzatore è dato dalla strada, dal corso. Il senso di isolamento e dissociazione
determinato dalla collocazione spaziale degli edifici, trova ulteriore accentuazione nella varietà degli stili
storici che ha presieduto alla loro realizzazione.
In virtù delle sue proporzioni e della sua omogeneità stilistica, la Vienna della Ringstrasse sarebbe
diventata per gli austriaci una sorta di simbolo, un modo per richiamare alla mente le stigmate di
un’epoca, qualcosa d’equivalente alla nozione di “Victorian” per gli inglesi, di “Grunderzeit” per i
tedeschi, di “Deuxième Empire” per i francesi. Gli obbiettivi pratici che la ristrutturazione della città
poteva tradurre in atto erano rigorosamente subordinati alla funzione simbolica – rappresentativa.
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Alla Ringstrasse non presiedeva un principio utilitaristico, bensì una proiezione autoculturale fig..
Il termine usato più sovente, per designare il grandioso programma edilizio degli anni sessanta, non era
“rinnovo” o “ristrutturazione”, bensì “abbellimento dell’aspetto cittadino”.
Per contrasto, le peculiarità urbanistiche per le quali più tardi Vienna sarebbe diventata famosa– la
creazione di unità abitative a basso costo e la pianificazione dello sviluppo urbano in chiave sociale–
nell’era della Ringstrasse erano del tutto inesistenti.
Nei tardi anni del diciannovesimo secolo, la “Ringstrassenstil” assunse a termine generico di
deplorazione col quale una generazione di figli dubbiosi, critici, esteticamente sensibilizzati, rifiutava i
padri fiduciosi, ottimisti, parvenu.
E fu la stessa reazione che ebbero i decadenti inglesi (1870-1920 c.a.), nei confronti dell’ipocrisia
del Victorian Age (Oscar Wilde in particolare lo criticò con un ironia che rimase però sempre indiretta).
E fu proprio in critica ad esso che si formarono i pionieri della città moderna, i nuovi intellettuali
dell’emergente cultura austriaca del Novecento, che nelle loro teorie e princìpi esternarono la nuova
sensibilità agli stati psichici (condizionamento derivante dai contemporanei studi di Freud), e lo spiccato
interesse per i condizionamenti, e per le prospettive, insiti nel razionalismo assunto a guida esistenziale.
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OTTO WAGNER
Otto Wagner (1841- 1918) fig. nasce come brillante architetto della Ringstrasse storicista ma se ne
discosta precocemente, prima con modifiche minime, poi sempre più sensibilmente fino a quando, negli
anni novanta, scatena il suo attacco contro il criticismo architettonico. Quest’allontanamento è subito
riscontrabile già nelle sue prime opere.
Nella sede della Landerbank, semplificò la facciata scandita in tre momenti architettonici
obliterando le articolazioni in verticale e ricollegando così l’edificio alla traiettoria della strada fig.. Ma è
nel cortile interno che l’architetto mostra già il gusto severo, raffinato ma essenziale che si imporrà poi,
nei suoi edifici “moderni” anche sulle facciate rivolte al pubblico fig.. I muri sono denudati di ogni
elemento decorativo, le finestre che si stagliano sulle pareti ad intonaco: si intravede chiaramente lo stile
funzionale del futuro. E già in quest’edificio possiamo ritrovare inoltre il nascente interesse per il
movimento secessionista viennese attraverso la scalinata la cui ringhiera richiama palesemente l’art
nouveau che caratterizzerà le stazioni della metropolitana . fig. 2 .
Le opere di questa prima fase tendono però tutte ad intonare l’estetica radicale– strutturale agli
imperativi della tradizione, dotandola di peculiarità cosmetiche atte a rendere più attraenti le strutture
stesse; esiste perciò una certa dissonanza tra l’etica funzionale della costruzione e la tradizione
dell’abbellimento legata a preoccupazioni per l’impatto sociale.
Malgrado questi elementi indicativi di un nuovo orientamento, Wagner si configurò come teorico
funzionalista e come stilista dell’edilizia urbana solo quando , nel 1893, vinse un concorso relativo ad un
nuovo piano di sviluppo urbanistico di Vienna. L’occasione del concorso era nata dall’annessione nel1890
di una larga fascia di sobborghi. Per la prima volta, dopo l’apertura della Ringstrasse si prospettava la
possibilità di una nuova pianificazione urbana conducibile su larga scala. Punto focale di questo nuovo
programma edilizio erano gli aspetti “non estetici” dell’evoluzione urbana: mezzi di trasporto, controlli
socio - sanitari, uso differenziato delle aree edificabili.
Rispondendo alla nuova problematica che preoccupava la municipalità, nel 1893 Wagner
prospettò al concorso un progetto nel quale i trasporti venivano prospettati quale fattore determinante
nella crescita della città. Dopo il Ring, la metropolitana, che Wagner realizza tra il 1894 e il 1901,
costituisce l’elemento unitario più presente e caratterizzante del paesaggio urbano viennese, e al contrario
del Ring, che si chiude su sé stesso ad anello, proietta tale paesaggio nei poli di espansione della
metropoli. Proponeva, di fatto, una serie di quattro strade e cinture ferroviarie di circonvallazione, la cui
la Ringstrasse sarebbe stata la prima, intersecate da arterie radiali. La premessa sagacemente avanzata da
Wagner per la Vienna del futuro era un’espansione proiettata all’infinito fig..
Egli disegnò l’architettura di oltre trenta stazioni e si occupò anche della parte ingegneristica del
progetto: pensò alla collocazione di ponti, viadotti e di 80 Km dilinea ferroviaria in piano, sotterranea e
sopraelevata fig..
Le stazioni sono semplici e funzionali, piccoli padiglioni posti all’interno delle grandi arterie di
comunicazione ma profondamente inserite nel rapporto con la città: formalmente si differenziano in
relazione alla situazione urbana nella quale sono collocate. Così nella Karlsplatz le stazioni gemelle fig.
risentono della presenza barocca della cattedrale di Fischer von Erlach ma al contempo colgono anche il
nuovo stile del palazzo della secessione di Olbrich che contemporaneamente stava sorgendo. Wagner
disegna una forma curva del coronamento che si pone in analogia con la linea barocca, ma pure, non
trascurando il “senso” moderno delle stazioni, le concepisce come due leggere strutture metalliche
rivestite da pannelli modulari in marmo arricchiti da finissime decorazioni. I materiali denunciano
chiaramente la loro natura senza camuffamenti ma reinterpretando criticamente il barocco (si pensi alle
dorature applicate ad alcuni elementi metallici in analogia con l’oro ligneo di Fischer von Erlach). La
ricchezza di soluzioni tecniche e di rappresentazioni formali alle quali Wagner piega il ferro, determina la
chiusura con storicismo e falsificazione, ma soprattutto l’apertura all’eleganza Art Nouveau.
E Wagner fregiò il suo progetto per la nuova futura megalopoli di un motto che avrebbe
influenzato tuta l’arte del “900 : (la necessità è la sola maestra dell’arte)
Artis sola domina necessitas
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Per Wagner, a questo livello, il termine “necessità” designava semplicemente le esigenze di
economia, efficienza e praticità nell’esercizio delle attività lavorative. Mentre gli architetti del Ring
avevano cercato di allargare la funzione dello storicismo per redimere l’uomo dalla tecnologia e
dall’utilitarismo, moderni, Wagner lavorava in direzione opposta. Voleva mettere in soffitta lo storicismo,
per affermare i valori di una civiltà urbana rigorosamente razionalistica. Asseriva che “la funzione
dell’arte è quella di nobilitare tutto ciò che è visibile, votandolo al conseguimento di risultati pratici…
L’arte ha il compito di adeguare il volto della città moderna all’umanità contemporanea.” Nella
prefazione al suo saggio sull’Architettura moderna (Moderne Architektur), pubblicato nel 1895, definiva
l’unica idea che per lui presiede a tutto il resto:
L’INTERO
FONDAMENTO
DELLE
CONCEZIONI
ARCHITETTONICHE
OGGI
PREDOMINANTI DEV’ESSERE SMANTELLATO, LASCIANDO IL POSTO ALLA
CONVINZIONE CHE L’UNICO PUNTO DI PARTENZA PER LA NOSTRA CREAZIONE
ARTISTICA E’ LA VITA MODERNA.
I nuovi architetti ed ingegneri avrebbero dovuto abbandonare il mondo anacronistico delle forme
e si sarebbero dovuti impegnare per mettere in risalto l’essenza migliore del loro intelletto, della loro
autocoscienza, del loro spirito democratico, e rendere giustizia alle immense conquiste della tecnica e
della scienza, nonché all’indole essenzialmente pratica dell’umanità moderna. Si dovevano elaborare
forme estetiche atte ad esprimere le verità del contesto urbano capitalistico, concreto, e febbrile.
Nel 1894, mentre era ancora impegnato in quest’opera, Wagner fu nominato docente di
architettura all’Accademia di Belle Arti. Questa designazione implicava il riconoscimento della sua
attività concettuale, con questa nomina la scuola rifletteva i suoi orientamenti: non scelse Wagner per i
suoi edifici neorinascimentali bensì per la sua capacità di “stabilire consonanza tra le esigenze d’ordine
artistico e gli imperativi della vita moderna nel ricorso ai nuovi materiali e alla tecniche aggiornate di
costruzione”. L’influenza di Wagner fu così determinante per tutta l’architettura successiva proprio grazie
al centro d’irradiazione che fu la scuola (poi nota come Wagnerschule), che diresse con rigore e ad un
tempo con larghe vedute dal 1894 al 1912, e che può considerarsi il parallelo della Secessione viennese di
Klimt. Non è un caso che sia stato il suo allievo prediletto, Joseph Maria Olbrich, colui che progettò il
Palazzo della Sezession a Vienna (la completa rinuncia ad ogni tipologia e morfologia tradizionale a
favore della scioltezza lineare e coloristica della pittura secessionista è caratteristica di Klimt fig.).
Ma fu nel 1895, col suo libro-sfida, L’Architettura moderna (Moderne Architektur), che Wagner
sviluppò una teoria storicistica volta ad interpretare il sofferto dilemma dell’eclettica “architettura in
stile” del diciannovesimo secolo. Egli sosteneva che nel corso della storia, ogni nuovo stile, ogni nuovo
ideale di bellezza era emerso per gradi da quello che lo aveva preceduto. “La nuova tecnica costruttiva, i
nuovi materiali, la nuova visuale e le nuove mete dell’uomo imponevano un mutamento o una
rielaborazione delle forme esistenti… Le grandi trasformazioni sociali hanno sempre dato vita a nuovi
stili.” Ma nella seconda metà dell’Ottocento questo processo si era alterato. Il ritmo dei cambiamenti
sociali era stato troppo rapido perché l’evoluzione artistica vi stesse al passo. Incapaci di elaborare uno
stile che esprimesse le esigenze e le prospettiva della società moderna, gli architetti avevano sfruttato tutti
gli stili storici del passato, nell’intento di colmare il vuoto. Non a caso, osservava Wagner , nell’era della
Ringstrasse una commissione di architettura veniva chiamata Stilauftrag, ossia “incarico di realizzazione
in stile”. Inconcepibile in ogni altra epoca della storia, il concetto stesso implicava la separazione
dell’arte dalla funzione concreta, la degradazione dell’architettura a mero prodotto di esercitazione
archeologica. Tali erano le origini del “vuoto artistico” di cui soffriva l’uomo contemporaneo. Wagner
incitava gli architetti (artisti, e non soltanto tecnici utilitaristici) alla rivolta morale promossa in nome
dell’uomo moderno contro mezzo secolo di letargo artistico.
Col suo insegnamento teoretico Wagner dichiarò guerra all’esercitazione mnemonica, facoltà
prediletta dallo storicismo; e condannava alla pari il classico “viaggio in Italia”, immancabile
coronamento degli studi accademici di architettura, affermando che i modelli italiani non potevano dire
granché alla moderna comunità umana. Che gli architetti neofiti visitassero invece “la metropoli” e “i
luoghi in cui si situano l’agio e il lusso moderni”.
Ma cos’era uno stile moderno? Un conto era abbattere i paraventi della storia, un altro definire
l’uomo moderno e celebrarne la natura in base a nuove formule di espressione architettonica. Nella
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ricerca di un linguaggio visivo che interpretasse il suo tempo, Wagner trovò alleati fra gli artisti e gli
intellettuali della giovane generazione viennese, pionieri dell’alta cultura del Novecanto. Nel 1897 alcuni
di costoro si riunirono in sodalizio, dando vita alla Sezession, un’associazione che mirava a spezzare le
catene della tradizione aprendo l’Austria alle innovazioni europee nel campo delle arti figurative, con
particolare riferimento all’art nouveau. Il motto della Sezession - DER ZEIT IHRE KUNST, DER
KUNST IHRE FREIHEIR (“Ad ogni epoca la sua arte, ad ogni arte la sua libertà”) – non poteva non
trovare incondizionata rispondenza in Wagner . A sua volta Ver sacrum (La sacra primavera), nome
prescelto per il periodico la Sezession, esprimeva la solenne determinazione del movimento, impegnato a
rigenerare l’arte in Austria e l’Austria attraverso l’arte. Spettò a Josef Olbrich, uno dei migliori allievi di
Wagner, disegnare il moderno, pionieristico padiglione della Sezession, conferendogli l’aspetto di un
tempio liberamente reinterpretato, nell’intento di evocare la funzione dell’arte, sostituiva alla religione
per l’élite laico- intellettuale di Vienna.
Il processo di trasformazione cui è sottoposta l’architettura, è evidente nella lettura cronologica
dei progetti di Wagner che, partendo dalla monumentalità dei predecessori giunge a un progressivo
dissolvimento degli elementi qualificanti tale monumentalità (svuotamento della cupola, alleggerimento
del cornicione, semplificazione delle partiture verticali, scomparsa delle colonne).
Nel 1910 Otto Wagner realizza l’ultimo edificio fondamentale della propia ricerca di
semplificazione formale: la casa d’affitto in Neustiftgasse 40 fig.. Qui Wagner applica tecniche e
materiali nuovi: l’alluminio, il cemnto armato, pilastri a vista, snelli elementi di sostegno, scale dal
disegno geometrico ed essenziale. Qui la logistica commerciale vince su quella privata. Le finestre
modulari, prive di davanzali e di pari ampiezza, evocano inequivocabilmente lo spazio interno uniforme e
cellulare di un edificio a destinazione prettamente lavorativa, ma implicano anche lo status di parità
socio-economica degli inquilini. Totalmente scomparsi sono gli elementi ornamentali secondo i dettami
art nouveau. Solo contenuti disegni, rigorosamente rettilinei, esaltano la geometria della struttura. In
questo trionfo di razionalismo architettonico l’indaffarato cittadino di Wagner, bisognoso di
orientamento, aveva modo di trovarlo più agevolmente: cercandolo nella chiara, compatta forma
dell’intera mole edilizia, con l’ausilio del grande pannello esterno che , simile a una grande lastra
marmorea, esalta dall’alto il prospetto dell’edificio verso la strada
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SECESSIONE
Le “secessioni” sono un fenomeno diffuso negli ambienti artistici centroeuropei della fine
dell’Ottocento: in quanto istituzioni organizzate vi furono, oltre quella viennese, la Secessione di
Monaco, fondata nel 1892, e quella di Berlino, fondata nel 1898, oltre a una serie di movimenti
secessionisti sorti negli stessi anni in altre grandi città come Praga e Budapest.
Il termine deriva dalla “secessio plebis” dell’antica Roma: «Quando nell’antica Roma la tensione
che i contrasti economici provocano sempre aveva raggiunto il culmine, accadeva spesso che una parte
della popolazione si ritirasse sul Monte Sacro, sull’Aventino o sul Gianicolo e che, nel caso che le sue
richieste non venissero esaudite, minacciasse di fondare là, proprio davanti al naso dell’antica città madre
e degli onorati padri dell’Urbe, una nuova Roma. Questa era la cosiddetta “secessio plebis”». Con
un’ovvia trasposizione di motivazioni e d’intenti, le secessioni di fine Ottocento nascono come reazione
contro il tradizionalismo dell’arte ufficiale, specie quella configurata nelle accademie.
La Secessione più celebre, quella viennese, nasce nel 1897, quando un gruppo di giovani artisti
decide, al termine di aspre polemiche, di abbandonare la corporazione ufficiale di tendenze conservatrici.
I soci fondatori della Secessione sono quaranta; il presidente è Gustav Klimt.
Scopo principale della nuova associazione è inserire l’arte austriaca nel panorama internazionale,
sia presentando in patria le opere dei maggiori artisti stranieri, sia promuovendo gli artisti austriaci
all’estero. Contemporaneamente si intende diffondere, al più ampio livello possibile della società
austriaca, una nuova sensibilità artistica, libera da ogni condizionamento commerciale: «Da noi - scrive
polemicamente il teorico della Secessione Hermann Bahr - non ci si scontra pro o contro la tradizione: a
noi questa manca del tutto. Non ci si scontra per questa o quell’evoluzione o trasformazione dell’arte, ma
per l’arte in sé e per sé».
Ai giovani e agguerriti secessionisti si aggiunge ben presto anche il maturo Otto Wagner, uno dei
“padri” dell’architettura moderna nonché professionista assai apprezzato nell’ambiente ufficiale, il quale
nel 1899 aderisce “scandalosamente” alla nuova associazione. All’insegna del duplice motto “l’arte per
tutti” e “l’arte in tutto”, la Secessione riunisce infatti non solo pittori e scultori, ma anche architetti e
designer (come Olbrich, Hoffmann, Moser), cui è affidato il compito di ridisegnare il volto della città
secondo i moderni dettami dell’estetica secessionista.
Nel 1903 si inaugura una personale di Klimt e si fondano le Wiener Werkstätte fig. che, nello
spirito delle “Arts and Crafts” di William Morris, dovevano realizzare la sospirata congiunzione tra arte e
artigianato.: l’architettura conquista infine la dimensione dell’arte applicata, si misura sul progetto a
piccola scala e sul dettaglio, e la sempre maggiore sacralizzazione dell’arte si accompagna all’esigenza di
estetizzare la quotidianità, di entrare nelle case e nobilitare gli oggetti d’uso, di trasformare in evento
artistico anche l’ora del tè. Una concezione totalizzante «un’arte per tutti» capace di fare i conti con il
profilarsi di un nuovo soggetto sociale, la società di massa, si caratterizza per il prevalere della linea retta
sulla curva e dell’aspetto geometrico su quello. un linguaggio figurativo fortemente bidimensionale, volto
a raccordare linee organiche e forme geometriche e alla creazione di un ritmo decorativo e strutturale,
anziché alla rappresentazione. si celebra la consonanza tra le arti riconosce nell’impressionismo il
battistrada del moderno, sottolinea di nuovo la funzione dell’arte giapponese Il quadrato divenne la forma
base e il marchio di fabbrica, si privilegiarono elementi semplici e netti contrasti di nero e bianco.
«Nessun settore della vita è tanto esiguo e insignificante da non offrire spazio alle aspirazioni artistiche»,
dichiara Klimt.
Le autorità intuiscono subito il vantaggio che può derivare all'Impero, in termini di immagine
internazionale, dall’attività della Secessione: pur tra inevitabili polemiche, concedono un terreno per la
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costruzione della sede dei fondi per il finanziamento delle sue attività, e l'imperatore - Francesco
Giuseppe visita la prima mostra del gruppo. La Secessione ha inoltre il merito di avere stimolato
l’impegno pubblico nei confronti dell’arte contemporanea, sollecitando una politica di acquisti, a cui
l’associazione stessa destinava un terzo del ricavato delle vendite.
«A ogni epoca la sua arte, a ogni arte la sua libertà», si legge sull’ingresso della Secessionhaus
(Casa della Secessione). Eretta da Olbrich nel 1898 e arredata da Hoffmann, la Secessionhaus è
l’attivissimo centro operativo del gruppo: laboratorio creativo di Ver Sacrum, la prestigiosa rivista
dell’associazione, ma soprattutto sede di importanti esposizioni che si susseguono con un ritmo di circa
tre all’anno alternando personalità straniere e membri dell'associazione (tra il 1898 e il 1905 si
organizzano 22 mostre). Con la grande flessibilità dei suoi spazi interni e con gli esemplari allestimenti,
che rinunciano a ogni invadente protagonismo, la Secessionhaus rappresenta una vera e propria
rivoluzione nel settore del tecniche espositive e museali.
Fu fondamentale per il successo immediato delle ambiziose iniziative secessioniste l’appoggio
anche finanziario dell’élite culturale ebraica e dei figli dell’alta borghesia burocratica costituitasi, dopo la
rivoluzione del 1848, come classe dirigente.
Il padiglione secessionista. inaugurato già nel novembre 1898 doveva essere funzionale
all’allestimento di mostre, ma in primo luogo avrebbe dovuto esibire se stessa, cioè essere un edificio
simbolico e dimostrativo che sapesse materializzare di colpo l’idea secessionista e le istanze del nuovo
stile «Solo nell’opera d’arte è la Verità, e tutto il resto non è che un gioco di specchi», scrive nella sua
Antigone il poeta Hofmannsthal: nella vecchia Europa al tramonto, quell’idea («soltanto come fenomeno
estetico l’esserci del mondo è legittimo»), espressa da Nietzsche in La nascita della Tragedia
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CONFRONTO WAGNER-KLIMT
Tra le molte figurazioni simboliche create dalla Sezession, la più congeniale a Wagner era,
presumibilmente, la Nuda veritas fig.: una fanciulla virginale che innalza lo specchio dell’arte al cospetto
dell’uomo. Ne aveva fornito il disegno Gustav Klimt, un pittore che al pari di Wagner avvertì
l’impellente esigenza di proclamare una nuova funzione dell’arte prima ancora di aver elaborato gli
strumenti artistici atti ad esprimerla. Presidente della Sezession e massima personalità del gruppo, Klimt
(una volta di più in analogia con Wagner), abbandonò la pittura di ispirazione storico-classicista che
aveva consacrato la sua fama come artista della Ringstrasse, impegnandosi in una ricerca sperimentale
quasi frenetica, col proposito di dar vita ad un linguaggio pittorico che esprimesse la condizione
dell’uomo contemporaneo. Wagner idolatrava Klimt. Lo definiva “… der grosste Kunstler, der die Erde
je getragen” (il più grande artista che abbia mai calcato la faccia della terra). Lo dimostra il fatto che
Wagner popolò di quadri di Klimt le pareti della sua bella villa di Huttelsdorf.
Klimt e la Sezession influirono sul pensiero di Wagner in due dimensioni: rafforzarono il suo
credo nella vita e nell’arte contemporanea e lo dotarono di un nuovo linguaggio visivo che soppiantò gli
stili storici della Ringstrasse. Per giunta, l’art nouveau stimolò, ma per altro verso inibì, i principi di
utilitarismo e di funzionalismo strutturale nell’architettura urbana di cui Wagner si era fatto promotore e
portavoce. E tuttavia il loro rapporto recava in sè qualcosa di paradossale, giacché Klimt e Otto Wagner
vedevano riflessa nello specchio della Nuda Veritas fig. due volti dell’uomo moderno dalle sembianze
diversissime.
La ricerca dell’uomo moderno operata da Klimt era essenzialmente orfica e introspettiva.Egli
cercava quell’homo psychologicus emerso in letteratura sin dai primi anni novanta dopo aver esordito con
una sana allegra rivolta nel nome della vita dell’istinto, e precipuamente di quella erotica, Klimt non
tardò peraltro a essere ossessionato dall’angoscia causata dal riemergere degli istinti repressi. Nel
prospettare un universo schopenhaueriano dai confini dissolti e dalle strutture razionali definite, Klimt
dipinse secondo un linguaggio simbolistico–allegorico, le sofferenze psichiche dell’uomo contemporaneo
incapace di sottrarsi al fruire del fato.
Il volto che Wagner vedeva riflesso nello specchio della modernità era del tutto diverso: era quello
di un borghese attivo, razionale, efficiente, à la page; di un uomo che abitava in una grande città, che
aveva poco tempo, molto denaro, e un gusto marcato per tutto ciò che era monumentale. Il cittadino
metropolitano di Wagner soffriva di un’unica carenza patologica, ossia la mancanza di un orientamento
preciso. Nel modo turbinoso del tempo e del moto che gli era proprio, ciò che Wagner definiva
“angosciosa incertezza” era sin troppo facilmente percepibile. Spettava all’architetto dare il suo
contributo per superarla fornendo linee di movimento definite. Nell’esplicazione di questo suo proposito
un valido aiuto fu offerto a Wagner dallo stile di Klimt e della Sezession. Innanzi tutto, la concezione
bidimensionale dello spazio elaborata da Klimt per proporre in chiave simbolica l’essenza astratta del
mondo illusorio della sostanza si prestava in architettura a conferire un senso affatto nuovo alle strutture
murarie. In contrasto col Mietpalast della Ringstrasse, pesantemente articolato e decorato, la prima casa
d’abitazione realizzata da Wagner nello stile della Sezession presentava una facciata la cui piatta
semplicità proclamava la propria funzionale essenza di “muro”. Laddove la casa scultorea e
decorativistica della Ringstrasse asseriva la sua diversità dalla strada, quella secessionista di Wagner
rifletteva semplice ovvietà della strada stessa, intesa come una mera superficie piana, sottomettendosi alla
sua direzione, e anzi esaltandola. Altrettanto va detto degli interni ove Wagner adattò le tipiche linee
dell’art nouveau al suo gusto della direzione. Tappeti, parquet, ringhiere delle scale: tutto fu disegnato a
giochi di nastri intrecciati e protesi verso la direzione principale di movimento, onde aiutare gli abitatori
dell’edificio a superare la loro “angosciosa incertezza”.
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GUSTAV KLIMT
Negli anni che vanno dal 1895 al 1990, mentre Sigmund Freud, isolato socialmente e frustrato
professionalmente, lavorava alla stesura di quell’Interpretazione di sogni che avrebbe segnato di
un’impronta indelebile la sua epoca, Gustav Klimt era impegnato in un’impresa non dissimile in campo
artistico. Ma mentre Freud negli anni cruciali della sua attività operava nell’oscurità, virtualmente isolato,
Klimt capeggiava un sodalizio di artisti ermetici, animati da idee e da propositi consimili, che ben presto
trovò un solido appoggio finanziario e sociale. Tuttavia, e ad onta del divario che li separava a livello di
fama e di fortuna, Freud e Klimt avevano molto in comune. Entrambi posero una crisi personale
manifestatasi negli anni della maturità, al servizio di un riorientamento radicale della loro attività
professionale (come Pirandello) Entrambi respinsero drasticamente il realismo fisicalistico che aveva
presieduto alla loro formazione. L’uno e l’altro, infine, sganciarono l’ambito operativo di loro pertinenza
– rispettivamente, la psicologia e l’arte – dai loro ormeggi biologico-anatomici. Decisi ad aprirsi una
strada nelle rovine della concezione sostanzialistica della realtà, Freud e Klimt, Sezession’immersero in
loro stessi e Sezession’imbarcarono per un voyage intérieur. Poi, quando palesarono al pubblico gli esiti
delle esplorazioni da loro condotte nel mondo degli istinti, incontrarono resistenza più o meno marcata in
due sfere diverse e precise: nell’ortodossia accademica liberal-razionalistica, e fra gli antisemiti. Al
cospetto di una siffatta ostilità, Freud e Klimt si ritrassero dalla scena pubblica per chiudersi nel rifugio
offerto da un’esigua ma scelta coterie, onde salvaguardare il nuovo territorio che si erano con tanta fatica
conquistati
Gustav Klimt fig.. viene ammesso, nel 1876, alla Scuola d’arti applicate del Museo dell’Arte e
dell’Industria gli consentirà il possesso di tecniche diverse. È l’epoca trionfale dello storicismo dalle cui
influenze egli si libera molto lentamente e che determinano i primi anni della sua attività.
Il primo incarico importante (1886) è la decorazione di un luogo deputato di Vienna, il nuovo
Burgtheater fig. . Si trattava di illustrare lo spazio dello scalone d’ingresso con scene della storia del
teatro Gustav si assume l’impegno più gravoso di decorare le due volte dell’ingresso e tre grandi
scomparti del soffitto centrale. Il suo storicismo si fa “scientifico”e il quadro si alimenta di dettagli e
fedeli modelli (lui stesso vi si raffigura). Illusionismo e fedeltà fisionomica resteranno sempre tratti
salienti della maniera klimtiana.
E cominciano a comparire anche nei ritratti quelle caratteristiche formali destinate a siglare la sua
attitività matura; si veda Il pianista Pembauer (1890), fig. dove è forte l’effetto di contrasto tra
l’esasperato realismo fotografico del volto e il fondo piatto con la lira stilizzata. Una tensione accresciuta
dalla cornice disseminata di motivi simbolici stilizzati.
La morte prematura del fratello Ernst nel 1892 innesca nel cuore di Gustav una sorda malinconia:
per qualche anno dipinge poco; quando riprende, nel 1895, è ormai entrato in piena fase simbolista.
Nel 1903 quando tutti tre i pannelli dell’Università a lui commissionati, che erano già stati oggetto
di critiche da parte della commissione ministeriale, sono pronti, la polemica esplode. Le opere Filosofia,
Medicina e Giurisprudenza, fig. 3 sono giudicate inadatte all’Aula Magna e si propone di esporle alla
Galleria d’Arte Moderna appena costituita. Klimt rifiuta la proposta di una destinazione diversa e
riacquista nel 1905 le proprie opere dallo Stato.
Lo scandalo segna la rottura tra l’artista e il mondo ufficiale e fa cadere la sua nomina a
professore dell’Accademia. Klimt rimane una figura carismatica nell’ambiente viennese, circondato
dall’entusiasmo della ricca e colta borghesia ebraica che ne colleziona le opere, ma si trova costretto a
rinunciare a quella che era la sua ambizione e fede d’artista, ovvero la realizzazione di grandi incarichi
pubblici, in cui vede la possibilità di un’arte non elitaria, di un’integrazione tra pittura e architettura e di
un ribaltamento della logica quadro-oggetto-merce.
Le accuse di oscenità celavano, dietro l’avversione per la carica erotica dei dipinti, il rigetto
dell’ideologia che in questi si faceva immagine. «Il trionfo della luce sulle tenebre dell’ignoranza»
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previsto dal Ministero e dall’Accademia era stato infatti ribaltato in un pessimismo visionario improntato
alla filosofia di Schopenhauer e di Nietzsche (la visione dell’antico non è certo apollinea, ma appare
ispirata alle formulazioni di Nietzsche in La nascita della tragedia) e filtrato dalla cultura simbolista.
Anziché la celebrazione del potere risolutorio della scienza, fu rappresentata la sua tragica impotenza a
liberare l’umanità dal dolore: i dipinti dichiaravano che la filosofia non può far comprendere all’uomo il
suo destino, né il progresso medico può sconfiggere la morte, e che il diritto non è che la legittimazione
della violenza e non può difendere né dal sopruso né dalle Furie, le dee della vendetta e della colpa. Al
centro della raffigurazione klimtiana stanno l’umanità dolente e il vuoto cosmico, spazio fluido e privo di
centro nella Filosofia e nella Medicina, a segmenti bloccati nella Giurisprudenza: Klimt denuncia la crisi
dei valori razionalistici e della fiducia positivista.
Dal nebbioso firmamento della Filosofia emerge un’apparizione dai contorni sfocati, come se il
vuoto verde-azzurro si condensasse in un immenso corpo femminile e in un volto di sfinge lunare:
«l’immagine del mondo e del suo enigma», , e con sublime indifferenza domina il corteo fluttuante alla
deriva dell’umanità. In basso appare una testa, la verità velata ma irraggiante luce, anch’essa una
rappresentazione femminile: più figura di sibilla e veggente che immagine della razionalità trionfante sul
dramma cosmico.
Nella Giurisprudenza lo spazio fluido ed esistenziale dei primi due dipinti si è pietrificato nella
fissità in nero e oro, è ormai gabbia senza scampo. Al galleggiamento amniotico di una folla inerte si
sostituisce la figura della vittima incastonata nella superficie come dentro la sua colpa. Nella parte
superiore, lontane, astratte, gelide nei loro paramenti geometrici, Verità, Giustizia, Legge sovrintendono
alla scena come imbalsamate in un mosaico bizantino. Il loro doppio sono le tre creature demoniache,
protagoniste della scena sottostante, che rappresentano il potere delle forze istituzionali. A essere
giudicato è un uomo che, con la schiena ricurva, attende, come in un incubo kafkiano, il verdetto già
compiuto nella trappola del polipo-utero che lo avviluppa. Così Klimt non solo smaschera la labilità del
mondo dell’ordine e della legge ma ostenta, come nella cosmologia degli altri due pannelli, il primato
delle forze oscure sulla ragione: la Giurisprudenza dichiara il definitivo abbandono di quei valori
pittorico-atmosferici che permeavano ancora Filosofia e Medicina, e la scelta della stilizzazione e della
superficie a collage di motivi ornamentali, di un colore uniforme e del tutto antimpressionista.
Giurisprudenza è costruita infatti sul contrasto tra una spazialità rigida e appiattita, legata
decorativamente ai modi del mosaico, e la prospettiva raccorciata del corpo fortemente tridimensionale:
la macchina scenografica e illustrativa dell’allegoria si è assottigliata in un tessuto di incastri, in un
puzzle ambiguo e ossessivo.
Nel manifesto klimtiano per la prima mostra della Secessione, il combattimento vittorioso tra
Teseo e il Minotauro, fig. tra il nuovo impeto e il vecchio dominio, si svolge sotto lo sguardo di Atena,
egida protettrice. Nello spirito del motto scelto dalla Secessione, Atena presenta l’Arte Vivente, una
creatura sensuale ed estatica che appare come il simbolo di quella che sarà la ricerca di Klimt, la pittura
come il luogo di celebrazione dell’eros e la donna come potente sacerdotessa del suo universo.
Alla seconda mostra dei secessionisti Klimt presenta Pallade Athena (1898) fig. che non manca di
suscitare dissensi. «Il pubblico è abituato a Palladi dove si veda chiaramente che in realtà sono statue di
marmo dipinte. Klimt ha rappresentato la sua Pallade apertamente come un Secessionista di oggi, una dea
o un demone della Secessione dal colorito pallido e azzurrino, dai grandi chiari occhi celesti, dai fini
capelli rossi che scendono sulla corazza da ambedue i lati». Ha in mano la vivida Nike a braccia aperte,
immagine della vittoria: è l’arte futura, incarnata da una creatura sensuale, simbolo della celebrazione
dell’eros che sarà al centro dell’universo artistico klimtiano. Al posto della tradizionale statuetta, Atena
tiene in mano un piccolo nudo di donna, ancora una “scultura vivente” dai capelli e dal pube rosso
fiamma, i colori dell’apocalittica meretrice di Babilonia, e dalle braccia allargate nel gesto che fu già
quello di offerta di sé delle antiche sacerdotesse di Astarte.
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La piccola figura dai capelli rossi sarà anche la protagonista di un’opera cardine, dipinta l’anno
successivo per lo studio di Hermann Bahr, come versione pittorica di un disegno. Stiamo parlando della
Nuda Veritas, fig. già apparsa nel fascicolo del marzo del 1898 di Ver Sacrum. Mutata è però l’iscrizione
posta in alto: la citazione di Schefer del disegno «Verità è fuoco, verità vuol dire illuminare e bruciare»,
viene sostituita nel dipinto, con chiaro senso polemico, da una frase di Schiller: «Se non puoi piacere a
molti con le tue azioni e la tua arte, piaci a pochi. Piacere a molti è male». Chiusa tra le due tabelle
dorate, la nota dominante è l’azzurro del velo che fluttua dietro la figura e attorno ai suoi piedi, e
ondeggiando evoca il movimento dell’acqua, è una Verità denudata dal velo, (iconografia rinascimentale
che coincide con una moderna Afrodite che sorge dall’onda azzurrata). I due fiori ai piedi della figura
sono denti di leone i cui pappi lanuginosi al minimo soffio di vento si spargono ovunque, e
simboleggiano il rapido diffondersi delle nuove idee. Lo specchio e il serpente insieme sono
tradizionalmente attributi della Prudenza, ma in una acquaforte di Klinger del 1880 sono i due strumenti
del peccato di Eva. D’altro canto, lo specchio è uno dei temi chiave del simbolismo fine secolo, dove al
motivo di Narciso si sovrappone il motivo di Dorian Gray: come il ritratto di Dorian, lo specchio
contiene e rivela l’io segreto e guardarsi riflessi equivale a gettare la maschera sociale per riconoscersi
nella propria più intima verità. Così come il serpente è contemporaneamente simbolo di saggezza e di
libido, lo specchio-fiaccola che la Verità tiene minacciosamente puntato sul pubblico è allo stesso tempo
vaso di Pandora e strumento di Psiche, perigliosa tentazione e insieme “scandalosa” rivelazione dei
contenuti più segreti della coscienza. Klimt, affida a una ristretta élite (i Secessionisti) il compito di
indicare le nuove vie dell’arte, coglie l’immagine della modernità nello specchio che la fanciulla tiene in
mano: uno specchio che non solo illumina, ma che abbaglia e incendia, e invita a esplorare la vita degli
istinti sepolti, a liberare le forze degli impulsi repressi. La Nuda Veritas racchiude in sé una verità in
carne e ossa: non solo astratti concetti relativi alla funzione sociale dell’arte, ma una verità che rimanda al
concreto erotismo della donna. E’ una creatura esplicitamente sessuata, dalle forme realistiche e definite,
con peli pubici e chiome rosso fiamma: è la sensuale nudità della donna, più che la nuda verità dell’arte, a
essere celebrata.
A partire da Nuda Veritas cade, nell’arte di Klimt, il senso del peccato, ma si leva un oscuro
timore del sesso. Con la sua femminilità ostentata e inaccessibile, suadente e minacciosa, la donna, sia
essa Giuditta o Salomè, riveste il ruolo protagonistico di sensuale e pago carnefice: all’inerme uomo, non
rimane che quello comprimario di vittima senza volto.
Nella Giuditta I del 1901 fig. si codifica il tipo klimtiano della donna fatale. Il tema della grande
seduttrice crudele, che porta alla rovina e alla morte il proprio amante, è un luogo comune della
letteratura e delle arti visive tra il 1890 e il 1914, una vera e propria ossessione su cui indugia
l’intelligenza europea fondo oro si disegna un paesaggio arcaico di alberi, montagne e viti, che è la
citazione puntuale di un rilievo. Il suo corpo rosato appare come un gioiello incastonato tra altri gioielli
in un’icona bizantina. Tutta una tradizione remota assimila il gioiello al segno della regolarità, ma anche
al simbolismo elementare del femminile: le pietre come acqua solidificata di cui conservano la
trasparenza e il riflesso luminoso, i metalli come energia cosmica condensata nel grembo della terramadre alla quale appartengono. E’ una celebrazione ambivalente della bellezza femminile, dove i
paramenti preziosi del suo trionfo sono anche la sua prigione, e dove, murati nella sua piatta parete di
gemme, volto e mani acquistano una qualità iperreale e una tensione che la fissità bidimensionale della
superficie ornata esaspera e neutralizza.
Altro tema ricorrente nella pittura di Klimt è quello delle sirene, creature incantate, ambivalenti e
tentatrici, che fluttuano in verdi alcove subacquee evocando sortilegi d’amore. Esse contengono ambedue
gli aspetti della mitologia del femminile al volgere del secolo: il mito della donna come essere
elementare, magicamente legato ai segreti della natura, specie quella acquatica, e l’aspetto infausto,
periglioso della seduzione femminile, in grado di suscitare piacere e dolore, di sprigionare la vita e di
condurre alla morte: è la rilevante idea di femme fatale tipica dell’opera di Klimt e di tutti gli autori a
cavallo fra “800 e “900.
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Bisce d’acqua I (1904-1907) fig. raffinatissima miniatura, eseguita su pergamena con tecniche
diverse, tra cui tempera, acquerello, applicazioni di oro e argento in foglia, ed è contenuta in una cornice
di argento cesellato, è il trionfo del principio “additivo” delle composizioni klimtiane. Ogni centimetro
del quadro è una densa concentrazione di microscritture decorativo-simboliche, e ricorda un tessuto
cellulare visto al microscopio e poi rivisitato dal gioielliere, ricorda quasi le lezioni del grande anatomista
Zuckerkandl e le sue ricerche sulle forme artistiche spontanee nel disegno delle sezioni dell’epidermide o
della materia cerebrale. Va aggiunto che, proprio su iniziativa di Klimt, Zuckerkandl tenne alcune lezioni
a un ristretto pubblico di artisti. I1 piccolo quadro, dove nell’accostamento delle due teste dai capelli
d’oro e nell’abbraccio dei due sottili corpi d’avorio si combinano assieme fragilità e passione, è ricolmo
dell’idea della metamorfosi, dell’analogia tra forma umana e vegetale.
Il gioco di ambiguità tra figura e sfondo, tra bordo del velo e contorno del corpo, rende mutevole
allo sguardo Bisce d’acqua II (1904-1907) fig. Se l’apologia degli amori tra donne è un altro dei temi
prediletti da poeti e scrittori decadenti (si pensi a Baudelaire, Verlaine, s) nelle arti visive nessun artista, ,
sta alla pari con la sensibilità lirica e nervosa del sogno saffico di Klimt. In questo dipinto la donna è un
essere felice nel primordiale elemento fluido, è autosufficiente nella propria sessualità, come dimostrano
le più o meno velate allusioni a un appagato lesbismo. Ma al tempo stesso, nei confronti dell’uomo, è una
seduttrice perigliosa e infausta. Nel dipinto malie di corpi femminili trasportati dal movimento delle onde
caraterizzano la fusione tra donna e natura.
Attorno al 1907 quel disagio metafisico, quegli spettri malevoli sembrano essersi decantati, il
volto estatico dell’eros prevale su quello funesto e la passione si sublima in un arabesco sempre più
elegante e sempre più struggente. Si dissolve ogni fisicità e ogni residuo naturalista si risolve nello
splendore arcaico delle spirali l’ibridismo klimtiano tra rappresentazione e astrazione, tra organico e
inorganico sono incastonate le sagome dell’Attesa, fig. e dell’Abbraccio, l’accento è posto stavolta sul
manto, assemblaggio di motivi decorativi elementari tesi a evocare il simbolismo primario del maschile e
del femminile, spirito e materia, conscio e inconscio. E ancora il tema della fusione amorosa e del potere
risanatore dell’eros e dell’arte ritorna nel Bacio fig., culmine dello “stile aureo”. Qui gli unici momenti di
naturalismo plastico sono i volti e le mani, Klimt dà forma visiva a un’utopia d’amore e la sua forma
allungata coniuga la qualità protettiva del grembo con il sogno verticale dell’ascesa. Eppure di questo
matrimonio cosmico l’unica vera protagonista è la donna, solo nel suo viso delicato in piena luce
leggiamo la dolcezza dell’abbandono. L’estasi erotica per Klimt non può che essere declinata al
femminile, proprio quella ricettività, quella capacità d’abbandono, tanto demonizzata dalla cultura
misogina al volgere del secolo, invece gli appare la chiave di una presunta “superiorità” femminile.
Espunte ormai le apparizioni funeste, enfatizzato lo “stile aureo”, c’è qualcosa che adesso
sopraggiunge a offuscare lo splendente feuilleton dell’utopia. Klimt avverte che i tempi stanno per
mutare radicalmente, che la frattura tra l’io e il mondo sta per diventare feroce, irrecuperabile, forse si
rende oscuramente conto che l’armonia formale non può più dare conto di quella “verità” disgregatrice
che sta per palesarsi all’orizzonte. Inquietanti segnali vengono dalle lontane provincie dell’impero, e
nell’aria si addensava il presagio dei colpi di pistola che, il 28 giugno del 1914, avrebbero frantumato il
mondo della Mitteleuropa borghese. Elementi di angoscia insidiavano perfino l’apparato accattivante
della Kunstschau: nelle opere di due giovani artisti nati dalla costola di Klimt, Schiele e Kokoschka, fig.
2 la stilizzazione si fa drammatica, spigolosa, espressiva, e il segno si traduce in lacerazione. Non è più
tempo di dimensione estetica, né di struggimenti, né di oreficeria, la città dei sogni si va mutando nella
città degli incubi. Klimt avverte oscuramente la disgregazione e difende dagli attacchi gli artisti più
giovani.
L’ultima opera impegnativa del periodo è ancora una Giuditta II (1909), fig. dal formato
allungatissimo e dal decorativismo esasperato: un arazzo variopinto se non fosse per l’isterismo di quelle
mani bellissime e febbrili che si aggrappano alla gonna. Poco dopo Klimt entra in una crisi artistica e
psicologica che durerà alcuni anni.
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Nel 1908 lo spirito secessionista sembra al suo apogeo, in realtà è già al suo tramonto. L’attività di
Klimt si interrompe., una nube nera che pare addensarsi e cancellare con la sua massa greve le superfici
rutilanti. Prevalgono i toni scuri e la riduzione a un’essenzialità scabra e quasi espressionista, l’intensità
di un ritratto sobrio come Il cappello nero (1910), fig. col suo cromatismo smorzato. Nonostante il
turbamento che prova dinanzi alle opere dei giovani Schiele e Kokoschka, rimane legato alla grande
epoca umanistica del realismo occidentale, impotente a compiere quel salto sulla sponda del parossismo
che ormai il tempo richiede, della pittura del panico, dove il pathos dell’angoscia e la terribile univocità
della distruzione intorbidano ormai il tempo degli enigmi e delle sottili ambivalenze della psiche. La
morbida malinconia di Vienna aveva definitivamente lasciato il suo posto alla ragione infelice: era
iniziata la lunga catena di suicidi di intellettuali viennesi che si concluderà solo con la fine della seconda
guerra mondiale.
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INDICE
• PRESENTAZIONE
PAG. 1
• CITAZIONI
PAG. 2
• CRONOLOGIA DAL 1895 AL 1910
PAG. 3
• VIENNA
PAG. 4
• BACKGROUND STORICO-URBANISTICO FINE “800
PAG. 5-6
• OTTO WAGNER
PAG. 7-9
• LA SECESSIONE
PAG. 10-11
• PARALLELO E CONFRONTO WAGNER – KLIMT
PAG. 12
• GUSTAV KLIMT
PAG. 13-17
• INDICE
PAG. 18
• BIBLIOGRAFIA
PAG. 19
18
BIBLIOGRAFIA
“ Art Dossier - Klimt”
Eva di Stefano
Giunti Gruppo Editoriale S.p.a – Firenze
Stampato a Prato nel giugno 1997
“Vienna fin de siècle - La culla della cultura mitteleuropea”
Carl E. Schorske
Gruppo Editoriale Fabbri, Bompiani, Sonzogno, Etas S.p.a
Stampato a Milano nel gennaio 1995
“L’arte moderna”
Giulio Carlo Argan
Sansoni per la Scuola Editore
Stampato a Milano nel 1997
“Cd rom arte – La vita e le opere dei più grandi artisti in cd – Klimt “
Giunti Multimedia S.r.l
Edizioni La Repubblica
“Otto Wagner”
Serie di Architettura a cura di Giancarlo Bernabei
Zanichelli Edtore Bologna
Stampato a Bologna nel 1994
“Dispensa derivante dal corso sulla modernità tenuto durante l’anno dai docenti della
scuola come approfondimento per insegnanti e laboratorio integrativo per alunni”
Relazione del prof. Giorgio Azzoni sul “Fare moderno”
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