Euronote - Inserto 37 Immigrazione

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Euronote - Inserto n. 37 - Immigrazione
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Inserto n. 37: Immigrazione
repressione e poco coraggio nelle politiche
migratorie dell’Ue
Il Trattato dell’Unione europea dichiara che l’Ue deve essere «un’area di libertà, sicurezza e giustizia»:
se ciò è abbastanza vero per i cittadini europei, almeno rispetto ad altre regioni del mondo, lo stesso
non si può affatto dire per i migranti che risiedono o cercano di farlo in territorio europeo. Con le
politiche e le pratiche messe in atto negli ultimi anni da molti governi europei, il tanto decantato
concetto della “protezione di rifugiati e migranti” sembra piuttosto essersi trasformato in una protezione
“da” rifugiati e migranti. La materia dell’asilo e dell’immigrazione è prevalentemente competenza dei
ministeri dell’Interno e della Giustizia europei, cosa che dimostra la chiara intenzione di privilegiare la
sicurezza interna anche a scapito dei diritti fondamentali delle persone. Alle frequenti tragedie che si
verificano nel Mediterraneo e ai confini esterni dell’Ue, che con una media annua di oltre 500 morti
accertati negli ultimi 12 anni (fonte: UNITED for Intercultural Action) appaiono più un “bollettino di
guerra” che una serie di fatali incidenti, governi e istituzioni europei rispondono inasprendo i controlli e
intensificando detenzioni ed espulsioni. Eppure il fatto che oltre 500.000 persone ogni anno tentino
l’ingresso nell’Ue senza disporre di permesso (e quindi in balia di organizzazioni criminali),
l’invecchiamento della popolazione europea e la conseguente necessità del “vecchio Continente” di
ringiovanirsi e di accogliere nuovi cittadini economicamente e socialmente attivi, dovrebbero portare
senza esitazioni a politiche di apertura, regolarizzazione, integrazione. Invece l’attenzione è
concentrata quasi esclusivamente sulla lotta all’immigrazione illegale, come se non fosse evidente che
senza la creazione di canali d’ingresso legali l’immigrazione, necessaria e inevitabile, non può che
essere clandestina. E questo spesso vale anche per molte persone che avrebbero diritto alla
protezione internazionale perché in fuga da guerre o persecuzioni. Oltre a ciò, per limitare i flussi
d’ingresso si chiede anche la collaborazione dei governi di Paesi terzi i cui livelli democratici e di tutela
dei diritti sono perlomeno discutibili.
Insomma, se «sull’immigrazione si misura la capacità politica dell’Ue», come dice il vicepresidente
della Commissione europea Franco Frattini, questa risulta piuttosto modesta e alquanto miope. Anche
le nuove misure proposte dalla Commissione, infatti, pur nel meritorio tentativo di dotare l’Ue di regole
comuni, privilegiano l’aspetto repressivo. Ma è lo stesso Programma pluriennale di cui l’Ue si è
recentemente dotata (Programma dell’Aia) a sancire che la politica comune nel breve-periodo
riguarderà solo l’immigrazione illegale, tutto il resto rimane competenza dei singoli governi e della loro
purtroppo modesta lungimiranza.
CITTADINI DI PAESI TERZI SOGGIORNANTI NELL’UE (DATI 2003)
Cittadini di
% CdPt su
Popolazione
Paese
Paesi terzi popolazione
totale
(CdPt)
totale
Austria
Belgio
Cipro
Danimarca
Estonia
Finlandia
Francia
Germania
Grecia
Irlanda
Italia
Lettonia
Lituania
Lussemburgo
Malta
Paesi Bassi
Polonia
8.082,0
10.355,8
715,1
5.397,6
1.356,0
5.219,7
59.635,0
82.536,7
11.006,4
3.963,6
57.321,1
2.319,2
3.462,6
448,3
397,3
16.258,0
38.218,5
http://www.euronote.it/inserto/inserto37.htm
551,1
274,0
33,3
204,8
267,5
72,5
2.060,8
4.794,3
687,7
135,2
2.000,0
28,9
32,5
21,9
2,7
477,9
685,7
6,81
2,64
4,65
3,80
19,72
1,39
3,45
5,80
6,25
3,41
3,49
1,25
0,93
4,88
0,67
2,94
1,79
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Portogallo
Regno Unito
Rep. Ceca
Slovacchia
Slovenia
Spagna
Svezia
Ungheria
Totale
10.407,5
59.328,9
10.203,3
5.379,2
1.996,4
42.197,9
8.975,7
10.116,7
455.298,5
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183,4
1.719,6
78,8
91,3
43,3
2.193,4
269,1
112,7
17.122
1,80
2,89
0,77
1,70
2,17
5,20
3,00
1,11
3,76
Note: per Cittadini di Paesi terzi (CdPt) si intende coloro che non hanno la cittadinanza di uno Stato membro dell’Ue. Questa tabella non comprende dunque i
cittadini europei residenti in un altro Stato membro da quello d’origine e quindi non rappresenta la migrazione intra-Ue. Ciò riguarda in modo particolare il
Lussemburgo, Paese dove l’incidenza di stranieri sulla popolazione totale è superiore al 36%, ma si tratta in larga maggioranza di cittadini di altri Stati membri
dell’Ue.
Va inoltre ricordato che il numero di residenti nati all’estero è molto più elevato di quello dei cittadini di Paesi terzi, specie in Paesi come Francia, Olanda e Svezia
dove la naturalizzazione di stranieri è piuttosto diffusa.
Fonte: Commissione europea, settembre 2005
miopia politica e scarsa conoscenza
Il fenomeno delle migrazioni ha carattere globale e, secondo stime dell’ONU, tra origine, transito e
destinazione dei flussi migratori interessa tutti i Paesi del mondo, per una stima totale di circa 190
milioni di persone considerate migranti a inizio 2005. È quanto emerge dal 3° World Migration Report,
curato dall’International Organization for Migration (IOM) e reso noto nel giugno di quest’anno, che
analizzando i costi e i benefici delle migrazioni evidenzia come molti luoghi comuni associati a tale
fenomeno (perdita di lavoro, diminuzione dei salari, incremento dei costi di welfare, ingovernabilità e
incontrollabilità) non siano solo infondati o esagerati ma contrari all’evidenza. Sono infatti piuttosto
chiari gli effetti benefici e il contributo allo sviluppo socio-economico e culturale che i migranti portano
sia ai Paesi d’origine che a quelli di destinazione dei flussi migratori. Situazione che riguarda
naturalmente anche l’Europa, continente dove i quasi 40 milioni di migranti residenti stimati
attualmente (cioè circa un quinto del totale mondiale) portano un contributo determinante al riequilibrio
della popolazione, caratterizzata da un generale quanto inesorabile invecchiamento. A differenza però
di quanto avviene nel Nord America, che presenta una quota di immigrazione simile a quella europea,
in Europa è ancora piuttosto scarso il livello di integrazione politica ed economica degli immigrati,
sottolinea l’IOM.
immigrazione necessaria
Per evidenti questioni demografiche ed economiche, nel corso del 21° secolo tutti gli attuali e futuri
Stati membri dell’Ue resteranno o diventeranno Paesi di immigrazione e, dopo il 2010, molti di questi
Paesi dovranno elaborare politiche attive a favore dell’immigrazione per rispondere alle proprie
necessità demografiche ed economiche. Ma se nel breve periodo i potenziali migranti continueranno a
rivolgersi all’Europa come luogo di destinazione, nel medio-lungo periodo altre regioni mondiali
diventeranno polo di attrazione per i flussi migratori e l’Europa dovrà competere a livello globale per
assicurarsi l’immigrazione (soprattutto qualificata) di cui necessiterà. Per questo, sottolinea l’IOM, l’Ue
e i suoi Stati membri dovranno sviluppare e implementare politiche più favorevoli all’immigrazione di
quelle attualmente in uso e studio, rivolte all’integrazione sociale e politica degli immigrati, così da
formare e influenzare anziché prevenire le migrazioni future, nell’interesse della popolazione immigrata
e della stessa popolazione europea.
pochi dati ma confusi
«Politiche efficaci devono basarsi su dati affidabili. La nostra conoscenza della situazione migratoria
nell’Unione europea è attualmente frammentaria ed incompleta» ha dichiarato il commissario europeo
responsabile per la Giustizia, Libertà e Sicurezza Franco Frattini, presentando lo scorso 1° settembre
le proposte della Commissione europea su immigrazione e asilo (vedi articolo seguente). E infatti il
Rapporto dell’IOM evidenzia l’attuale scarsa disponibilità di statistiche aggiornate e omogenee a livello
europeo. Nei Paesi con alti tassi di naturalizzazione e diritto di cittadinanza alla nascita (alcuni Stati
nordeuropei, così come avviene in Usa e Canada), il numero ufficiale di stranieri residenti legalmente
sottostima ampiamente la reale popolazione immigrata. In Svezia, ad esempio, nel 2001 si registrava
oltre un milione di residenti nati all’estero, mentre gli stranieri legalmente residenti erano solo 476.000;
nei Paesi Bassi, a fronte di oltre un milione e mezzo di persone nate all’estero si contavano solo
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690.000 residenti stranieri. Viceversa, le quote più elevate di stranieri residenti si registrano nei Paesi
con bassi livelli di naturalizzazione e con cittadinanza conferita sul principio dello ius sanguinis: qui il
numero dei cittadini stranieri spesso coincide con quello dei residenti nati all’estero. La comparazione
dei dati sulla popolazione straniera a livello europeo risulta essere quindi piuttosto difficoltosa e
differenti le statistiche rese note dalle diverse fonti (come si può constatare nella tabella di pag. II).
Secondo le registrazioni e i censimenti nazionali, nel 2001 i 15 “vecchi” Stati membri dell’Ue contavano
complessivamente 18,7 milioni di stranieri residenti legalmente, numero riportato nelle rilevazioni
Eurostat. L’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo economico (Ocse-Oecd), attraverso i
suoi corrispondenti nazionali, conteggiava invece 20,1 milioni di stranieri, di cui 6 milioni erano cittadini
europei residenti in un altro Stato membro da quello di nascita. Nel 2002, L’European Labour Force
Survey (LFS) stimava in 22,7 milioni il numero di persone residenti nell’Ue nate in un Paese terzo o in
un altro Stato membro rispetto a quello di residenza, e di quasi 15 milioni di esse disponeva di
informazioni relative al Paese di nascita. Ma, combinando le informazioni fornite dal LFS con i dati
ONU e con quelli provenienti dai censimenti e dalle registrazioni nazionali, secondo l’IOM è possibile
stimare un numero compreso tra i 33 e i 36 milioni di stranieri residenti legalmente e illegalmente
nell’Ue a 15. A questi vanno sommati almeno 1,5 milioni di residenti nei nuovi Stati membri e 1,7 in
altri Stati europei non Ue, per un totale complessivo di stranieri che vivono nell’Europa occidentale e
centrale stimato dall’IOM nell’ordine dei 39 milioni.
STRANIERI RESIDENTI E POPOLAZIONE IMMIGRATA NEI 15 “VECCHI” STATI MEMBRI DELL’UE:
UE15
Austria
Belgio
Danimarca
Finlandia
Francia 6
Germania
Grecia
Irlanda
Italia
Lussemburgo
Paesi Bassi
Portogallo
Regno Unito
Spagna
Svezia
Totale
Popolazione
Popolazione
Immigrati e Popolazione Popolazione Popolazione
straniera
Popolazione
straniera
popolazione immigrata
immigrata
immigrata
Popolazione residente
residente
straniera
secondo
con Paese con durata
straniera
con
totale
Eurostat
residente
residente
fonti
di nascita
soggiorno
Eurostat 1 Chronos DB OECD/Sopemi nazionalità
nazionali
noto
nota
ONU anno
nota
anno 2001
2000 3
anno 2001 4
LFS 5
LFS
LFS 2
anno 2000
8.067
754
764
695
756
893
899
798
10.356
853
847
784
879
n.a.
974
1.034
5.384
256
267
166
304
322
225
227
5.206
88
99
50
134
145
81
86
59.629
3.263
3.263
2.724
6.277
5.868
4.605
1.327
82.537
7.344
7.319
5.444
7.349
9.700
n.a.
8.915
11.018
161
762
362
534
n.a.
489
480
3.964
127
151
118
310
n.a.
232
263
57.321
1.271
1.363
n.a.
1.634
2.200
n.a.
511
448
148
167
161
162
145
127
119
16.193
652
690
555
1.576
1.675
1.179
1.593
10.408
191
224
106
233
n.a.
1.119
1.313
59.329
2.298
2.587
2.026
4.029
n.a.
3.307
4.467
40.683
801
1.109
450
1.259
2.664
858
664
8.941
487
476
295
993
1.028
681
933
379.484
18.692
20.088
13.936
26.429
24.640
14.776
22.730
1. Eurostat, popolazione fine anno 2002; 2. European Labour Force Survey (LFS) 2002 (per l’Italia dati non disponibili); 3. ONU Population Division 2002, dati 2000
o anno più recente disponibile; 4. Dati per Danimarca, Paesi Bassi, Finlandia e Svezia provengono dai registri nazionali della popolazione; dati per Austria, Francia
e Lussemburgo sono relativi ai censimenti più recenti; i dati della Spagna (2003) provengono dalle registrazioni delle municipalità locali; i dati della Germania sono
stimati in base alle registrazioni degli stranieri, alle statistiche sulle naturalizzazioni e altre fonti; i dati dell’Italia si basano sul numero dei permessi di soggiorno
(2003) e su stime relative ai minori stranieri; 5. European Labour Force Survey (LFS) 2002 (dati per Germania e Italia non disponibili); 6. Per la Francia, i dati
Chronos, Sopemi e del censimento sono relativi al 1999.
Fonte: International Organization for Migration (IOM), 3° World Migration Report, giugno 2005.
le nuove misure della Commissione
Una proposta di direttiva e tre comunicazioni costituiscono il pacchetto di misure in materia di
immigrazione e asilo che la Commissione europea ha adottato e presentato lo scorso 1° settembre,
nel quadro di quanto richiesto dal Programma dell’Aia per una politica europea comune (vedi euronote
n. 33/2004, pag. 6-8). Nel novembre 2004, infatti, adottando il nuovo programma pluriennale su
immigrazione e asilo il Consiglio europeo aveva invitato la Commissione ad avanzare proposte che
indicassero norme comuni a livello europeo sui vari aspetti dell’immigrazione, così da giungere alla
definizione di una politica europea che superi le differenze esistenti tra gli Stati membri e indichi un
trattamento uniforme e adeguato dei cittadini di Paesi terzi soggiornanti nell’Ue, soprattutto se ciò
avviene in ambito di illegalità. La Commissione ha così cercato di rispondere all’invito del Consiglio
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presentando una proposta di direttiva sul rimpatrio e tre comunicazioni, rispettivamente
sull’integrazione, sui programmi di protezione regionale e su migrazione e sviluppo. «Da una parte c’è
un messaggio chiaro: coloro che si trovano illegalmente nell’Ue devono tornare nel loro Paese
d’origine e se non siamo in grado di garantire un effettivo rimpatrio degli immigrati illegali, nel rispetto
della loro dignità, mettiamo in pericolo la correttezza e la credibilità delle nostre politiche di asilo e
immigrazione - ha dichiarato il commissario europeo responsabile per la Giustizia, la Libertà e la
Sicurezza, Franco Frattini - D’altra parte proponiamo, a livello nazionale ed europeo, misure che
mirano a una sostanziale integrazione degli immigranti legali, destinati a rimanere nelle nostre società:
tali misure tengono conto in primo luogo del contesto locale ed urbano in cui l’integrazione deve
avvenire». Le nuove misure adottate dalla Commissione si aggiungono alla proposta di regolamento
sulla raccolta di statistiche relative a immigrazione e asilo adottata recentemente, mentre entro la fine
dell’anno l’esecutivo europeo intende presentare un documento sull’immigrazione legale che dovrebbe
ulteriormente integrare la strategia europea in materia.
norme sui rimpatri
La proposta di direttiva, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di
cittadini di Paesi terzi soggiornanti illegalmente (vedi pag. V), ha lo scopo di armonizzare le misure
attualmente adottate dai singoli Stati dell’Ue, che causano trattamenti differenti e molte critiche perché
spesso non rispettose dei diritti delle persone interessate. Il documento introduce quindi norme comuni
su rimpatrio, allontanamento, uso di misure coercitive, custodia temporanea e reingresso che,
secondo le intenzioni della Commissione, intendono rispettare pienamente i diritti umani e le libertà
fondamentali. La proposta prevede una procedura in due fasi per porre termine a un soggiorno
irregolare: nei confronti del cittadino di un Paese terzo soggiornante illegalmente deve essere presa
una decisione di rimpatrio; solo se il cittadino in questione non intende rimpatriare volontariamente, gli
Stati membri fanno rispettare l’obbligo di rimpatrio con un provvedimento di allontanamento, contro cui
è prevista la possibilità di ricorrere. Sono fissate norme comuni anche per quanto concerne la custodia
temporanea, che deve garantire i diritti fondamentali e può durare al massimo 6 mesi. È inoltre
previsto un divieto al rientro per il cittadino allontanato, valido per l’insieme dell’Ue e di durata
massima di 5 anni salvo casi particolari.
agenda per l’integrazione
Per rispondere all’invito formulato nel Programma dell’Aia ad istituire un quadro europeo coerente in
materia di integrazione, la Commissione ha poi adottato la comunicazione “Un’agenda comune per
l’integrazione: quadro per l’integrazione dei cittadini di Paesi terzi nell’Unione europea”. Sono proposte
misure finalizzate a rafforzare l’applicazione dei principi fondamentali comuni attraverso orientamenti
per le politiche di integrazione dell’Ue e degli Stati membri. La comunicazione sottolinea l’importanza
di chiarire ulteriormente i diritti e i doveri dei migranti nell’Ue, di mettere a punto specifiche attività di
cooperazione e sviluppare lo scambio di informazioni sull’integrazione, nonché di includere
l’integrazione in tutti i pertinenti settori politici e di procedere a valutazioni. La “road map” della
Commissione propone 5 iniziative principali: il rafforzamento di Punti nazionali di contatto
sull’integrazione, la redazione di un manuale europeo, un sito web ampiamente accessibile,
l’istituzione di un Forum europeo sull’integrazione e un Rapporto annuale su migrazione e
integrazione.
dimensione esterna
Le due comunicazioni sulla migrazione e lo sviluppo e sui programmi di protezione regionale mirano al
rafforzamento della dimensione esterna delle politiche in materia di migrazione e di asilo.
Con la comunicazione sulla migrazione e lo sviluppo, la Commissione intende stabilire un nesso tra
migrazione e cooperazione allo sviluppo in uno spirito di partenariato con i Paesi d’origine dei migranti.
Sono proposti orientamenti politici che dovrebbero contribuire a massimizzare le conseguenze positive
delle migrazioni sullo sviluppo dei Paesi d’origine dei flussi migratori. Le rimesse, le competenze e
l’esperienza dei migranti sono infatti molto utili, sia che essi decidano di rientrare definitivamente nel
loro Paese sia che condividano semplicemente la loro esperienza con i compatrioti nel Paese
d’origine. La comunicazione esamina anche le possibili soluzioni per limitare gli effetti negativi
dell’esodo di operatori qualificati dai Paesi in via di sviluppo.
Per quanto riguarda invece i programmi di protezione regionale, essi sono finalizzati ad aiutare i Paesi
terzi che ospitano grandi comunità di rifugiati, o che devono far fronte ad un numero elevato di
richiedenti asilo, a rafforzare la loro capacità di protezione, sulla base di una compartecipazione e di
responsabilità condivise.
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È noto, infatti, che la stragrande maggioranza dei rifugiati resta nelle regioni d’origine, in condizioni di
estrema povertà e di dubbia sicurezza. La Commissione ritiene dunque importante assicurare a chi ne
ha bisogno una protezione da attuare rapidamente e che risponda ai loro bisogni. Il primo programma
“pilota” di protezione regionale sarà attuato nei nuovi Stati indipendenti occidentali, cioè in Ucraina,
Moldova e Bielorussia. Il programma sarà incentrato sul rafforzamento della capacità di protezione già
esistente, offrendo un sostegno pratico per quanto concerne l’esame delle domande d’asilo, il
rafforzamento della protezione sussidiaria, l’integrazione e la documentazione. Tra le zone
geografiche che potrebbero beneficiare del secondo programma pilota figurano la regione dei Grandi
Laghi (Tanzania) e il Corno d’Africa.
Nel luglio scorso, inoltre, la Commissione ha adottato la prima relazione annuale di monitoraggio e
valutazione per determinare il livello di cooperazione dei Paesi terzi nella lotta all’immigrazione illegale.
INFORMAZIONI:
Integrazione:
http://europa.eu.int/eur-lex/lex/LexUriServ/site/en/com/2005/com2005_0389en01.pdf
Migrazione e sviluppo:
http://register.consilium.eu.int/pdf/fr/05/st11/st11978.fr05.pdf
Programmi protezione regionale:
http://europa.eu.int/eur-lex/lex/LexUriServ/site/en/com/2005/com2005_0388en01.pdf
ASILO: IL PE MODIFICA LA PROPOSTA DEL CONSIGLIO
Il Parlamento europeo ha approvato a strettissima maggioranza (soli 3 voti di scarto), il 27 settembre scorso, la relazione
del deputato socialista Wolfgang Kreissl-Dörfler sulla proposta di direttiva recante norme minime per il riconoscimento e la
revoca dello status di rifugiato. La proposta modifica sostanzialmente quanto deciso nell’aprile scorso dai ministri dell’Ue,
in particolare per quanto concerne la facoltà del Consiglio di stilare a maggioranza qualificata un elenco comune, valido in
tutta l’Ue, di Paesi cosiddetti «super sicuri», che autorizzerebbe gli Stati membri a rifiutare automaticamente le domande
d’asilo alle persone provenienti da tali Paesi, senza ricorrere dunque all’esame della domanda. Pur accettando l’istituzione
di un elenco unico europeo “minimo”, gli eurodeputati respingono la definizione di liste nazionali integrative e auspicano
garanzie supplementari per i richiedenti asilo. Inoltre, secondo il Pe, gli Stati membri non devono trattenere i richiedenti
asilo in un centro d’accoglienza chiuso e devono sempre prendere in considerazione misure alternative «non custodiali».
L’eventuale trattenimento è possibile «solo se si è appurato che tale misura è necessaria, legale e giustificata» e deve
avvenire in luoghi chiaramente separati dalle carceri.
I deputati hanno poi adottato una serie di emendamenti, al fine di garantire il rispetto dei diritti dei rifugiati in tutte le fasi
della procedura: i richiedenti asilo devono poter ricorrere in appello contro le decisioni che negano loro lo status di rifugiato
e, nel frattempo, restare nel Paese finché non siano esauriti tutti i livelli di ricorso; deve essere loro assicurata la facoltà di
richiedere un colloquio individuale con le autorità, di usufruire di un rappresentante legale e di ricevere tutte le informazioni
relative alle procedure di asilo in un lingua ad essi conosciuta; va accordata attenzione particolare e data precedenza alle
domande d’asilo presentate da minorenni.
Anche le maggiori associazioni e organizzazioni europee impegnate per i diritti dei migranti criticano le misure proposte da
Commissione e Consiglio in materia di asilo e immigrazione. Con un documento reso noto lo scorso agosto, sottoscritto tra
gli altri da Amnesty International, Caritas Europa, European Council for Refugees and Exiles, Human Rights Watch, Jesuit
Refugee Service, Save the Children, Federazione delle Chiese Evangeliche, è denunciata una «contraddizione
fondamentale»: si propongono norme comuni per il trattenimento e l’espulsione dei richiedenti asilo cui è stata rifiutata la
domanda, mentre le possibilità di vedersi riconosciuto lo status di rifugiato variano enormemente da uno Stato membro
all’altro.
proposta di direttiva sui rimpatri
La Commissione europea ha presentato lo scorso 1° s ettembre una proposta di direttiva contenente
«norme e procedure comuni da applicarsi negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di Paesi terzi
soggiornanti illegalmente». Una proposta sollecitata dal Programma dell’Aia (adottato il 4 e 5
novembre 2004 dal Consiglio europeo), che intende disporre norme comuni, eque e trasparenti
riguardanti il rimpatrio, l’allontanamento, l’uso di misure coercitive, la custodia temporanea e il
reingresso, «che tengano pienamente conto del rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali
degli interessati», scrive la Commissione. Secondo l’esecutivo europeo, la cooperazione fra Stati
membri può funzionare solo se basata su una comprensione comune degli aspetti fondamentali,
perciò vanno stabilite norme comuni che, nel lungo periodo, costituiranno la base per un trattamento
uniforme e adeguato dei cittadini di Paesi terzi soggiornanti illegalmente. È stato scelto lo strumento
della direttiva, precisa la Commissione, in quanto strumento giuridico vincolante facilmente integrabile
in sistemi nazionali divergenti, mentre il regolamento sarebbe stato troppo rigido e un atto di
“legislazione leggera” (raccomandazione) non avrebbe avuto la forza giuridica vincolante necessaria.
Ambito di applicazione: riguarda coloro che non soddisfano le condizioni di ingresso ai sensi dell’art. 5
della Convenzione di Schengen o il cui soggiorno irregolare nel territorio di uno Stato membro è
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dovuto ad altri motivi.
Disposizioni più favorevoli: quelle vigenti in forza di accordi bilaterali o multilaterali tra l’Ue e i suoi Stati
membri e uno o più Paesi terzi, nonché quelle previste dal diritto comunitario nel campo
dell’immigrazione e dell’asilo.
Vincoli familiari e interesse del minore: gli Stati membri devono tener conto della natura e solidità dei
vincoli familiari, la durata del soggiorno nello Stato membro e l’esistenza di legami familiari, culturali o
sociali con il Paese d’origine; devono considerare inoltre l’interesse superiore del minore
conformemente alla Convenzione Onu sui diritti del fanciullo del 1989.
Decisione di rimpatrio: fissa un termine massimo per la partenza volontaria di 4 settimane, salvo
pericolo di fuga. Può essere distinta o contestuale al provvedimento di allontanamento e non è presa
quando gli Stati membri sono soggetti agli obblighi derivati dai diritti fondamentali (principio di non
refoulement, diritto all’istruzione, diritto all’unità familiare). Non riguarda inoltre: i cittadini di Paesi terzi
soggiornanti illegalmente in uno Stato membro ma in possesso di un permesso di soggiorno valido,
rilasciato da altro Stato membro, che rientrino volontariamente nel territorio di quello Stato; coloro che
hanno iniziato una procedura per il rinnovo del permesso di soggiorno o di altro permesso conferente
un diritto di soggiorno, fino al completamento della procedura.
Provvedimento di accompagnamento: ordinato nei confronti di un destinatario di una decisione di
rimpatrio se sussiste il rischio di fuga o per mancato adempimento dell’obbligo di rimpatrio entro il
termine per la partenza volontaria. Il provvedimento specifica il termine per l’esecuzione
dell’allontanamento e il Paese di ritorno.
Divieto di reingresso: i provvedimenti di allontanamento comportano un divieto di reingresso per un
termine massimo di 5 anni, mentre le decisioni di rimpatrio possono comportare un divieto di
reingresso. Se il cittadino interessato costituisce una grave minaccia per l’ordine pubblico o per la
sicurezza nazionale, il divieto può essere ordinato per termini superiori a 5 anni. In casi appropriati, il
divieto può essere sospeso in via eccezionale e transitoria.
Allontanamento: le misure coercitive per allontanare un cittadino di Paesi terzi che oppone resistenza
devono essere proporzionate e non eccedere un uso ragionevole della forza. Le misure coercitive
sono attuate nel rispetto dei diritti fondamentali e della dignità del cittadino interessato.
Impugnazione: i richiedenti asilo hanno diritto a un ricorso dinanzi a un giudice contro le decisioni di
rimpatrio e i provvedimenti di allontanamento. Il ricorso giurisdizionale ha effetto sospensivo o
conferisce al cittadino il diritto di chiedere la sospensione dell’esecuzione del provvedimento. Il
cittadino interessato ha la facoltà di farsi consigliare e rappresentare da un legale, mentre a coloro che
non dispongono di mezzi sufficienti è concesso il patrocinio a spese dello Stato.
Custodia temporanea: se vi è fondato sospetto che sussista un rischio di fuga e l’uso di misure meno
coercitive non è sufficiente, gli Stati membri tengono sotto custodia temporanea il cittadino di Paesi
terzi nei cui confronti è o sarà disposto l’allontanamento o il rimpatrio. La custodia temporanea è
disposta dalle autorità giudiziarie. In casi urgenti può essere disposta dalle autorità amministrative, nel
qual caso il provvedimento è convalidato dall’autorità giudiziaria entro le 72 ore successive all’inizio
della custodia temporanea. Il provvedimento di custodia temporanea è assoggettato al controllo
giurisdizionale almeno una volta al mese e l’autorità giudiziaria può prorogare la custodia fino a un
massimo di 6 mesi.
Condizioni della custodia: devono essere garantiti un trattamento umano e dignitoso, nel pieno rispetto
dei diritti fondamentali e in conformità con il diritto nazionale e internazionale; contatti con
rappresentanti legali, familiari, autorità consolari competenti e con le pertinenti organizzazioni
internazionali e non governative. Se la custodia non avviene presso gli appositi centri ma in un istituto
penitenziario, il cittadino deve essere tenuto costantemente separato dai detenuti ordinari. I minori non
vanno tenuti sotto custodia temporanea nei normali istituti penitenziari, mentre i minori non
accompagnati vanno separati dagli adulti, salvo se ritenuto contrario all’interesse superiore del minore.
Le organizzazioni internazionali e non governative possono accedere ai centri per valutare le
condizioni della custodia temporanea.
Convenzione Schengen: la presente direttiva sostituisce gli articoli 23 e 24 della Convenzione di
applicazione dell’Accordo di Schengen.
INFORMAZIONI:
http://europa.eu.int/eur-lex/lex/LexUriServ/site/en/com/2005/com2005_0391en01.pdf
Lampedusa: un caso europeo
Nel mese di agosto e fino al 13 settembre sono sbarcati a Lampedusa 1801 migranti. Di questi, 320
sono stati trasferiti in aereo a Bari, 760 in nave a Porto Empedocle, 580 in aereo a Crotone, 179 in
aereo per destinazione non comunicata, 65 deportati in Libia. Questi dati, contenuti in un dossier
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redatto dall’Arci e consegnato alla delegazione del Parlamento europeo in visita a Lampedusa lo
scorso 15 settembre, sono solo i più recenti relativi alla grave situazione dell’isola italiana, da oltre un
anno diventata ormai una delle principali “porte d’ingresso” nell’Ue e, per questo, al centro
dell’attenzione europea.
sbarchi, espulsioni e polemiche
Già nei mesi di settembre e ottobre 2004, quando in pochi giorni migliaia di persone provenienti dalle
coste nordafricane sbarcarono sull’isola, il problema assunse una dimensione europea. L’emergenza
umanitaria, venutasi a creare per un’isola non attrezzata a ricevere un flusso tale di immigrazione,
portò il governo italiano a rispondere con una generalizzata detenzione dei profughi e successive
espulsioni collettive (prevalentemente verso la Libia), senza troppa attenzione alla salvaguardia dei
diritti fondamentali delle persone e un’adeguata valutazione delle loro possibili necessità di protezione
internazionale. Organismi internazionali, come l’Alto commissariato Onu per i rifugiati (Acnur-Unhcr), e
organizzazioni come Amnesty International espressero forti preoccupazioni per la sorte degli immigrati
giunti sull’isola e di quelli espulsi, mentre le maggiori associazioni italiane ed europee impegnate per i
diritti dei migranti presentarono un esposto alla Commissione europea chiedendo un procedimento
d’infrazione contro il governo italiano. Intanto, continuarono gli sbarchi e la risposta detentiva e di
allontanamento da parte delle autorità italiane, tanto che nell’aprile 2005 la questione venne discussa
dal Parlamento europeo che adottò una risoluzione in merito. L’Europarlamento invitava l’Italia e gli
altri Stati membri ad astenersi dall’effettuare espulsioni collettive di richiedenti asilo e di “migranti
irregolari” verso Paesi in cui sia messa in pericolo la vita delle persone espulse, accusando il governo
italiano di «violazione del principio di non espulsione». Inoltre chiedeva alla Commissione europea di
«vegliare sul rispetto del diritto d’asilo» e di «far cessare le espulsioni collettive», ricordando la
necessità di una «politica comunitaria di immigrazione e asilo basata sull’apertura di canali di
immigrazione legale e sulla definizione di norme comuni di protezione dei diritti fondamentali degli
immigrati e dei richiedenti asilo». Per meglio monitorare la situazione, il Parlamento europeo chiedeva
poi l’invio di una delegazione al Centro di permanenza temporanea di Lampedusa e in Libia, così da
valutare la portata del problema e verificare la legittimità dell’operato delle autorità italiane e libiche.
Sempre in aprile, anche la Corte europea dei diritti umani chiedeva all’Italia di «fornire informazioni
sulla situazione a Lampedusa», in seguito ad un esposto presentato da un gruppo di migranti espulsi.
la politica dell’Ue
Negli ultimi mesi del 2004, mentre infuriavano le polemiche sui metodi adottati dalle autorità italiane e
gli Stati membri dell’Ue cercavano un’intesa sulla distribuzione degli oneri dell’immigrazione, il
Consiglio europeo adottava (4-5 novembre) il Programma dell’Aia, programma pluriennale contenente
indicazioni in materia di immigrazione e asilo con l’obiettivo di portare entro 5 anni alla creazione di
una politica europea comune, con priorità per norme e misure comuni in materia di immigrazione
illegale e controllo delle frontiere esterne. Dato il carattere internazionale delle migrazioni e dell’asilo, il
Programma dell’Aia considera centrale la dimensione esterna del fenomeno, prevedendo una serie di
misure da adottare nei confronti dei Paesi d’origine e di transito dei flussi migratori. Pur non adottando
la proposta avanzata da alcuni governi europei di istituire centri di accoglienza al di fuori dell’Ue, dove
trattenere i migranti che intendono recarsi nell’Unione europea (proposta fortemente osteggiata da
centinaia di Ong europee), il programma invita ad accrescere il partenariato con i Paesi terzi
soprattutto nel «prevenire e contrastare l’immigrazione illegale». Nel maggio 2005 l’Ue ha poi istituito
l’Agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne e, entro il 2006,
darà vita a un Fondo comunitario per la gestione delle frontiere, mentre è al vaglio delle istituzioni
europee la proposta di direttiva sui rimpatri presentata il 1° settembre scorso dalla Commissione (ved i
pagine precedenti). Tutte iniziative dettate dalla necessità di dotare gli Stati membri dell’Ue di norme
comuni nella gestione dell’immigrazione illegale, per scongiurare la schizofrenia che ha caratterizzato
finora le politiche dei singoli Stati e per dare ai migranti e ai Paesi terzi una visione di unità, chiarezza
e fermezza del governo europeo delle migrazioni.
la situazione in Libia
Ma è sul “come” viene attuato da alcuni Paesi terzi il contrasto delle migrazioni illegali che sorgono
non pochi interrogativi. I voli partiti dall’Italia nell’ultimo anno, che hanno allontanato dal territorio
italiano centinaia di persone giunte a Lampedusa e in altre località delle coste meridionali, hanno avuto
come destinazione principale la Libia, grazie a un accordo bilaterale siglato dalle autorità italiane e
libiche. La Libia non ha però mai sottoscritto la Convenzione di Ginevra sui diritti dei rifugiati ed è stata
oggetto, tra novembre e dicembre 2004, di un’ispezione europea con esiti tutt’altro che positivi. Una
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missione tecnica, costituita da funzionari dei ministeri degli Interni e delle polizie di alcuni Stati dell’Ue
inviati dalla Commissione europea, ha rilevato infatti una situazione gravissima: in molti centri di
detenzione per immigrati illegali sono detenute intere famiglie, minorenni con adulti, uomini con donne,
in condizioni di sovraffollamento e con livelli igienico-sanitari assolutamente insufficienti. Alcuni di
questi centri, e molti mezzi utilizzati per l’intercettamento dei migranti, sono stati finanziati dagli europei
(soprattutto dall’Italia), sulla base di accordi i cui contenuti sono rimasti finora quasi sconosciuti.
Inoltre, la maggior parte degli stranieri detenuti nei centri libici ha dichiarato alla missione europea di
essere in Libia per lavoro da anni, di non aver alcuna intenzione di trasferirsi in Europa, di non
comprendere i motivi della detenzione e di non aver accesso ad alcuna tutela legale. Molti di essi poi,
come documentato da alcuni reportage giornalistici, sono espulsi dalla Libia con accompagnamento
alle frontiere meridionali, cioè nel deserto, dove sono stati registrati oltre 100 decessi.
Nel giugno scorso, la Commissione europea ha quindi presentato un piano d’azione concordato con le
autorità libiche per attuare una «lotta congiunta» all’immigrazione illegale. Il piano prevede una
gestione comune dell’immigrazione, task force congiunte per operazioni (anche di salvataggio) in mare
e nel deserto libico, la formazione di guardie di frontiera e di poliziotti libici e la possibilità di una
cooperazione «intensificata» nella gestione dei migranti, che riguarderà i centri di accoglienza, la
formazione, il sistema di registrazione e l’equipaggiamento. Dal canto suo, la Libia ha assicurato il
pieno rispetto delle norme internazionali sui diritti dell’uomo, garantendo che si conformerà
pienamente alla Carta dell’Unione africana, che sui rifugiati fa riferimento alla Convenzione dell’Onu.
delegazione del Pe a Lampedusa
Una prima visita di una delegazione di europarlamentari a Lampedusa, nel giugno 2005, aveva
constatato una situazione «inaccettabile dal punto di vista legale e umanitario». Oltre alle gravi
condizioni sanitarie e di promiscuità in cui si trovavano i migranti accolti sull’isola, la delegazione del
Pe esprimeva preoccupazione per il fatto che funzionari di alcuni Paesi terzi collaborassero con le
autorità italiane nelle procedure d’identificazione, cosa alquanto pericolosa per i potenziali richiedenti
asilo. Data la difficile situazione riscontrata, l’Europarlamento programmava una nuova visita di
monitoraggio a Lampedusa per il mese di settembre e una successiva visita in Libia per verificare la
condizione delle persone lì espulse dalle autorità italiane. Così, lo scorso 15 settembre, una
delegazione di europarlamentari di tutti i gruppi politici guidata dal vicepresidente della commissione
Libertà civili, Stefano Zappalà, ha visitato il Centro di permanenza temporanea (Cpt) di Lampedusa,
dove nel 2004 sono stati “accolti” circa 10.500 migranti. La delegazione ha denunciato una «beffa
drammatica», dal momento che quasi tutti i migranti erano stati spostati dal Cpt prima della visita.
Nella struttura, adibita per accogliere circa 200 persone, «erano presenti solo 11 candidati all’asilo,
mentre a volte ci sono anche 1000 migranti», ha affermato l’europarlamentare francese Martine Roure.
Gli eurodeputati hanno protestato perché le autorità italiane hanno negato loro l’accesso ai registri
degli arrivi nel Cpt e delle espulsioni verso la Libia o altri Paesi e hanno espresso profondo rammarico
per «non aver visto il centro come funziona abitualmente». Non per questo, in ogni caso, è mancato
un giudizio duro e perentorio: «Riteniamo che le condizioni di accoglienza siano drammatiche e che
violino i diritti umani», ha infatti detto Roure che ha presentato sulla questione una relazione alla
commissione delle Libertà pubbliche del Parlamento europeo, commissione che ha in programma
ispezioni simili in altri Stati membri (Polonia e Malta in particolare) e in Libia.
il dossier dell’Arci
La “sensazione” degli europarlamentari sulla situazione di Lampedusa è confermata dal monitoraggio
effettuato da volontari coordinati dall’Arci negli ultimi 3 mesi sull’isola, che ha riscontrato «sospensione
del diritto», «violazione di leggi italiane e convenzioni internazionali» e «trattamento disumano» dei
cittadini stranieri. Il dossier dell’Arci, consegnato alla delegazione del Pe, denuncia le carenze rilevate
nel Cpt di Lampedusa: «mancanza di adeguata informazione sulla procedura di accesso al diritto di
asilo; non è tutelato il diritto alla difesa; spessissimo è negato il diritto alla salute; donne e minori sono
costretti negli stessi spazi degli adulti»; inoltre, i rimpatri collettivi messi in atto dalle autorità italiane
sono «vere e proprie espulsioni di massa, realizzati senza un’identificazione certa e in violazione del
diritto internazionale». L’Arci ha quindi chiesto agli europarlamentari che il Parlamento europeo
intraprenda tutte le azioni necessarie per ripristinare lo stato di diritto in Italia e, a questo scopo,
secondo l’associazione è necessaria la chiusura del Cpt di Lampedusa e la sua sostituzione con un
vero centro di accoglienza «dove le porte siano aperte e gli immigrati ricevano informazione e
assistenza». In risposta a tali denunce il ministero dell’Interno italiano ha fatto sapere che a
Lampedusa non sono violate le norme internazionali e che le accuse espresse sono frutto di una
«campagna mediatica denigratoria» e assolutamente «prive di fondamento».
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espulsioni collettive
Nonostante la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti umani e delle libertà fondamentali e
la Carta dei diritti fondamentali dell’Ue vietino espressamente le espulsioni collettive di cittadini di
Paesi terzi, cioè dichiarino che qualsiasi provvedimento di allontanamento (o respingimento) deve
essere rigorosamente individuale, e nonostante la Campagna promossa dalle Ong europee contro i
voli che effettuano rimpatri congiunti, la politica europea sembra prendere un’altra direzione. Tale
pratica è già stata messa in atto finora, seppur sporadicamente, da alcuni Stati membri e con accordi
bilaterali (ad esempio tra Italia e Germania e tra Francia e Spagna), ma con l’incontro dei ministri
dell’Interno del G5 (Francia, Germania, Italia, Regno Unito e Spagna), svoltosi a Evian (Francia) nei
giorni 4-5 luglio 2005, i voli comuni per l’espulsione degli immigrati illegali sono stati sanciti da un
accordo europeo tra Stati membri. Così, i primi rimpatri collettivi a livello europeo sono iniziati: il 14
settembre un volo organizzato dalla Germania (con l’Italia nel ruolo di Paese osservatore) ha
rimpatriato diversi cittadini centroafricani (in Benin, Ghana, Nigeria e Togo); il 22 settembre un aereo
partito da Madrid, dopo due tappe a Parigi e a Roma ha rimpatriato a Bucarest 20 cittadini rumeni; alla
fine di settembre l’Italia ha organizzato un volo con la partecipazione di Francia, Germania e Spagna.
«Questo tipo di voli - ha spiegato il ministro dell’Interno spagnolo Josè Antonio Alonso - consentirà di
risparmiare sui costi di rimpatrio, in particolar modo sulle rotte a lungo raggio». Anche una recente
sentenza della Corte di Cassazione italiana (8 agosto 2005) ha data il via libera alle espulsioni
collettive, a patto che il provvedimento espulsivo abbia una motivazione (anche identica) per ogni
singola persona espulsa. La Cassazione ha comunque ribadito l’importanza di verificare i casi singoli e
le garanzie per ciascun immigrato, sostiene l’Unhcr, secondo cui è importante che nei procedimenti di
allontanamento «siano seguite le norme stabilite dalle leggi vigenti: cioè i singoli cittadini stranieri
devono essere identificati, il provvedimento di allontanamento dal territorio deve essere loro
consegnato in una lingua comprensibile e in tempi utili ai fini di poter procedere a un eventuale
ricorso».
PRIMI CENTRI ITALIANI IN LIBIA
Sorgerà a Gharyan, nei pressi di Tripoli, in Libia, il primo Centro per migranti che l’Italia realizzerà fuori dal territorio
nazionale al fine di contrastare l’immigrazione. La notizia è contenuta nella “Relazione sul rendiconto generale dello Stato,
esercizio 2004” della Corte dei Conti, nella parte relativa al ministero dell’Interno. «L’Amministrazione - si legge nel
documento - ha comunicato che è in corso di realizzazione un primo Centro (località Gharyan, Tripoli) i cui lavori sono
iniziati». Inoltre, è scritto, «sono in corso di definizione le procedure per l’espletamento di una gara d’appalto» per la
costruzione di un secondo Centro, sempre in Libia, presso la città di Sebha.
CRITICHE ALLA DETENZIONE DEI MIGRANTI
«Siamo delusi dal riscontrare che la Commissione europea incoraggi la detenzione in Europa. Questa costosa misura
offusca il primato dell’Ue sui diritti umani». Così il Jesuit Refugee Service (JRS) ha commentato la proposta della
Commissione per una direttiva sui rimpatri (vedi pagine precedenti). In particolare il JRS si oppone «ai progetti sull’uso
sistematico di detenzione in Europa, e al proposto limite di durata della detenzione fino a sei mesi». Secondo il JRS, «non
c’è posto per la detenzione sistematica e arbitraria di emigranti irregolari in una politica d’asilo europea comune ed umana.
Bisognerebbe ricorrere alla detenzione solo come ultima possibilità ed esclusivamente nei casi dove sia presente
un’intenzione di rientro, e laddove abbiano avuto luogo accertamenti circa potenziali rischi di gravi abusi dei diritti umani
nei Paesi d’origine». Il JRS sottolinea inoltre che: chi affronta la detenzione amministrativa o l’espulsione deve avere
accesso a supporto e consulenza legale; categorie particolarmente vulnerabili come bambini, vittime di traffici e malati
gravi, non dovrebbero essere poste in detenzione o espulse in nessun caso; i nuclei familiari non dovrebbero essere
disgregati.
Monitoraggi svolti nei mesi scorsi dallo stesso JRS e dalla rete di Ong europee Migreurop hanno mostrato come, pur non
essendo disponibili dati ufficiali complessivi, ogni anno almeno 100.000 migranti siano detenuti nei Centri situati nei Paesi
dell’Ue e negli Stati vicini. In questi luoghi, che si trovano prevalentemente in posti isolati, lontani dalla vista degli abitanti
locali, oppure nei pressi delle frontiere, di aeroporti e stazioni, spesso sono violati diritti fondamentali come l’assistenza
sanitaria, la possibilità di ricevere visite, la protezione dei minori e dei familiari. In molti casi l’accesso è vietato alle Ong e
ai giornalisti, mentre i parlamentari possono accedervi a titolo personale, e spesso i migranti sono detenuti nelle prigioni
comuni, vittime di una criminalizzazione che non è motivata da un reato commesso. Il fatto poi che un numero crescente di
persone che necessitano di protezione sia fermato alle frontiere o nel Paese di arrivo e tratto in detenzione, non fa che
spingere sempre più individui a evitare le procedure legali per la richiesta d’asilo e a rivolgersi ai canali dell’immigrazione
illegale.
Per tutte queste ragioni, alcune organizzazioni tra cui il JRS, Human Rights Watch e Amnesty International hanno
costituito nell’ottobre 2004 una Coalizione internazionale per la protezione dei diritti umani di rifugiati, richiedenti asilo e
migranti. Gli obiettivi principali che la Coalizione si pone sono: limitare l’uso della detenzione dei migranti; sostenere forme
alternative alla detenzione e livelli decorosi di pratiche restrittive; promuovere maggiori protezione e rispetto dei diritti
umani per i migranti detenuti; segnalare e promuovere lo sviluppo e l’adozione delle migliori pratiche nell’uso della
detenzione.
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INFORMAZIONI: www.jesref.org; www.hrw.org; www.amnesty.org
CERCARE UN’ALTERNATIVA AI CPT
«Finora a livello dell’Ue non sono state avanzate proposte alternative ai centri di permanenza temporanea» (Cpt), ha
affermato recentemente il commissario europeo per la Giustizia, la Libertà e la Sicurezza, Franco Frattini, secondo cui «è
pericoloso che le persone che non possono entrare nei Paesi in quanto clandestini o per i quali è in fase di esame la
domanda d’asilo possano circolare liberamente». Eppure sono molti ormai a pensarla in modo completamente diverso. Nei
giorni 11 e 12 luglio 2005 si è svolto a Bari il Forum Mare Aperto, durante cui i presidenti di 14 Regioni italiane hanno
chiesto il superamento dei Cpt perché: «hanno sostanzialmente attratto l’intera materia dentro un quadro di mera
regolamentazione repressiva; si fondano su un’idea assai discutibile di “detenzione amministrativa”; invece di aggredire i
nodi spinosi della clandestinità colpiscono, nei loro diritti, le singole persone». Secondo le 14 Regioni italiane, la
clandestinità va contrastata «favorendo l’apertura di canali di ingresso legali, varando programmi seri di cooperazione allo
sviluppo, riconoscendo il diritto d’asilo, promuovendo la cultura dei pari diritti e doveri, ma anche consentendo i
ricongiungimenti familiari e serie politiche di integrazione sociale». Affinché il Mediterraneo diventi «un mare di pace, di
convivenza tra diversi e di diritti», i presidenti delle Regioni chiedono all’Italia e all’Europa di ridiscutere le politiche
dell’immigrazione. Un documento presentato al Forum da Arci, Asgi, Cgil, Md e Msf chiede di «superare la visione del
migrante come soggetto in sé pericoloso per l’ordine pubblico e come ospite in prova perpetua», al fine di emancipare la
discussione pubblica sull’immigrazione dalla logica dell’emergenza e per costruire una legislazione giusta ed efficace, che
preveda meccanismi di regolarizzazione permanente. La Cgil propone di sostituire i Cpt con una rete di centri
d’accoglienza sotto la giurisdizione degli enti locali, «qualificati come luoghi di informazione, formazione, assistenza psicosocio-sanitaria, mediazione culturale e tutela legale, con personale civile specializzato. Luoghi aperti, di vita sociale, inseriti
nella rete vasta di servizi all’immigrazione pubblici e convenzionati, collegati a un circuito di residenza-ostelli che
potrebbero rappresentare un’offerta abitativa agevolata». Secondo Sergio Briguglio, impegnato da anni sulle materie
dell’immigrazione, con le norme attuali l’espellendo non ha alcun vantaggio a cooperare con le autorità perché il divieto di
reingresso esteso a livello europeo ne preclude ogni speranza di soggiorno futuro. Così, lo straniero può prolungare il suo
soggiorno solo occultando i documenti e raggiungendo la scadenza dei termini di trattenimento nei Cpt. Graduando invece
le sanzioni sulla base della gravità dell’infrazione commessa, da un minimo di un’ammenda a un massimo di misure di
sorveglianza di pubblica sicurezza, si potrebbero garantire maggiori diritti alle persone interessate, limitare il numero delle
posizioni illegali e diminuire gli oneri a carico dello Stato.
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