1 LA FABBRICA DELLE IDENTITÀ: TRA SOGGETTIVITÀ E PROSSIMITÀ.

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1 LA FABBRICA DELLE IDENTITÀ: TRA SOGGETTIVITÀ E PROSSIMITÀ.
LA FABBRICA DELLE IDENTITÀ: TRA SOGGETTIVITÀ E PROSSIMITÀ.
Roberto Radice
«Quand’ero giovane, avevo ali forti e instancabili,
ma non conoscevo le montagne.
Quando fui vecchio, conobbi le montagne
ma le ali stanche non tennero più dietro alla visione.
Il genio è saggezza e gioventù.»
(Edgar Lee Masters)
Sembrano disorientati, incapaci di stare fermi. Mentre parlano con te messaggiano al cellulare con
il tipo o la tipa e ridono con l’amico che sta dall’altra parte della stanza. Saltano da un discorso all’altro attraverso fibre ottiche invisibili - e quando ti dovrebbero ascoltare, per gli adulti sono sempre i giovani che
devono ascoltare, sono già in un altro luogo. Quasi evanescenti. Il giorno prima brillano di allegria e le
parole hanno un flusso sgargiante incontenibile; il giorno dopo a fatica bisbigliano un saluto e il mondo
intero è uno schifo. Sono irrefrenabili per il sabato sera che li attende al cinema multisala e sono arrabbiati
perché a casa gli hanno dato l’ennesimo castigo, niente computer per una settimana. Si nascondono per
fumare l’ultima sigaretta, masticano frettolosamente un chewing-gum per profumare l’alito tabaccato per
poi salire sull’auto del padre che li attende. Si vantano dell’ultima nota sul registro, presa a scuola in
mattinata, che così recita: “M. ride con la compagna mentre si annusano reciprocamente le ascelle”. Si
disperano dell’ennesima amicizia andata delusa in un tradimento, del gruppo che li ha esclusi,
dell’attrazione non contraccambiata. Mostrano l’ultimo modello di smartphone acquistato al Media World
e sfottono “quelli che se la menano” solo perché hanno i soldi per l’ultimo paio di Nike Air Max da 140 euro
o per i Ray-Ban davvero fashion mentre loro indossano jeans e felpona con cappuccio con il logo D&C
comprati al mercato, il tarocco del ben più noto marchio di moda (D&G… docce e gabinetti). Per strada
schiamazzano o girano come ombre silenziose con l’Ipod sparato a tutto volume nelle orecchie. I ragazzi
usano grazielle ricolorate con le bombe spray e così la bici dell’anziano per eccellenza diviene un oggetto di
culto, mai concluso e sempre in cantiere per nuove e fiammanti rifiniture. Le ragazze cambiano quasi ogni
giorno la frase del loro stato su Facebook, frase catturata dall’ultimo film in cui recita l’attore più figo del
momento mentre i ragazzi si sfidano alla Wi oppure organizzano un’uscita serale per fare qualche tag su
muri candidi, pronti per essere segnati dalla loro traccia distintiva, che è pur sempre segno d’identità.
Indossano i pantaloni a vita bassa, infilano i jeans nelle All Star così che i loro corpi in cambiamento
assumano forme stravaganti e variopinte. Se un gruppetto di adolescenti si è fermato a parlare vicino a una
panchina, puoi sapere in quanti erano e da quanto tempo non ci sono più osservando le loro impronte
metropolitane: l’asfalto maculato dai loro sputi. Le ragazze si confidano e parlano per ore del loro mondo e
degli accadimenti della propria vita affettiva, dell’ultima litigata con la best o il best di turno mentre i
ragazzi si azzuffano e giocano alla lotta simulando una caotica danza. Si atteggiano da sempiterni
onnipotenti ma i giovani spesso non sanno nemmeno da che parte girarsi per prendere la metro in una
grande città. Solitudini aggregative che a tratti fuggono dalla realtà, ma questa rinuncia non è forse ricerca
di qualcosa di assente nella società?
Viaggiano a megabyte, in wireless e non li puoi trattenere. Qualcuno li ha racchiusi in una definizione: sono
la generazione del “digito ergo sum” (digito quindi sono!)
Ma se ti fai a loro prossimo, li incontri, doni tempo alla rivelazione delle loro narrative e gli offri uno
spazio accogliente, eccoli che arrivano. Se metti in gioco la tua disponibilità a stare con loro si avvicinano, se
ti metti in ascolto comunicano. I giovani che incontro - spesso disorientati, annoiati, confusi perché
bersagliati da messaggi contradditori e contrastanti - racchiudono in loro anche quella vitale capacità di
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trovare percorsi creativi e positivi, di tracciare inediti paesaggi di identità Nelle situazioni che vivono,
spesso pesanti o troppo leggere, hanno comunque quel timido e fragile slancio per cacciare fuori la testa e
respirare una boccata d'aria pura. Questi giovani - nel loro essere eccessivi come solo i giovani sanno
esserlo - sono il limite e la possibilità di cambiamento per se stessi e per il piccolo globale mondo che li
circonda e che spesso anche li accerchia. Gli adolescenti sono la nostra possibilità per essere adulti,
educatori e genitori.
I giovani non sono il futuro, come ama affermare chi i giovani li scruta senza mai trascorrere un
pomeriggio in loro compagnia - ma sono il presente.
Un presente che incentiva la performance, il no limits man, un fare che è solamente produrre e dove le
proprie competenze sono carta straccia di fronte al sistema delle raccomandazioni.
Un presente bulimico di cose, dove il sovraimpiego del futuro annichilisce il presente stesso e genera uno
stress devastante, che ha dato forma all’individuo-massa che ha continuo bisogno di consumare per sentirsi
vivo.
Un presente che non riconosce diritto di cittadinanza locale, che non offre opportunità di impegno per
ancorarsi, che vede estranee le persone che attraversano il medesimo spazio urbano e che ha relegato il
prossimo nella distanza intangibile del mondo globale.
Un presente che costruisce muri di sicurezza per racchiudere identità che hanno paura dell’alterità, del
diverso, del migrante, di colui che giunge dal mare.
Un presente che disciplina soggettività e verità attraverso le pratiche biopolitiche del consumo e della
comunicazione, dove prevaricano modelli di menzogna e la verità ha assunto il suono della bugia.
Un presente dove chi dovrebbe essere responsabile (ovvero dare spiegazione delle conseguenze delle
proprie azioni) elegge ad habitus il compromesso, l’interesse personale, il denaro per il denaro, la
negazione dei fatti, l’inosservanza delle leggi divenendo modello di cattivi comportamenti.
Un presente che non rende disponibili nuovi valori sorprendenti, che ti inculca di “essere sempre te stesso”
ma ciò non fa altro che renderti vulnerabile ai camaleonti carnivori pronti a prendere il tuo posto.
Un presente dove il valore dell’impegno non trova mai una meta ma è destinato a una corsa a ostacoli che
tende a più infinito in una continua ri-costruzione dell’identità (una sorta di lifting permanente)
Un presente che cancella il bello sotto colate laviche di cemento,distruzioni nucleari e ingegnerizzazione del
Pianeta.
Un presente in cui le parole confondono significato e significante, dove si è sempre in contatto ma i parlanti
sono sempre più distanti. Un presente che sta cancellando la parola cultura come possibilità di realizzazione
identitaria e dove ti viene inculcato di fare ciò che rende e non ciò che ti piace e che ti darà soddisfazione
umana.
Conquistare la propria identità - in un presente che rende docile il tuo corpo e ti chiede di essere
“uno, nessuno e centomila” - è opera assai complessa e ardua, ma preservarla è ancora più difficile.
Ma i giovani, con la loro poliedrica irrequietezza, hanno in sé quella potenza che se messa a contatto con
l’esperienza umana della prossimità potrà trasformarli in punti di r-esistenza.
Giovani come soggettività che insistono su di un punto di vista, che è poi la vista da un punto. Che chiedono
di incontrare la propria responsabilità e solo in tale modo saranno consapevoli di sé e dell’altro che hanno
di fronte. Giovani che chiedono senso del loro agire così da trovare piacere nel fare congiunto, in un essere
per e della comunità che apra alla convivialità delle differenze. Giovani con la loro richiesta di un aiuto al
mondo adulto e con il medesimo mondo adulto che chiede aiuto ai giovani, quell’aiuto tra prossimi che
Samuel Beckett in Aspettando Godot esprime con folgorante poesia:
“C’è qualcuno che chiede aiuto”
“Sì – risponde l’altro – questa richiesta è per tutta l’umanità”
“Ma in questo momento – dice il primo – l’umanità siamo tu ed io”
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