Industria 4.0: chi l`ha vista? - Business People
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Industria 4.0: chi l`ha vista? - Business People
Printing economy DENTRO DI NOI I settori medicale e farmaceutico sono quelli che presentano le maggiori possibilità di applicazione della tecnologia 3D: con le tecniche di bio printing è già possibile stampare vasi sanguigni, mentre in tre anni dovrebbe essere possibile ottenere organi e tessuti sintetici paga solo i minuti-macchina utilizzati e il materiale scelto. Durante il suo discorso al Ted, la Cofounder e Ceo di Digital Forming, Lisa Harouni, sosteneva che le stampanti 3D possono essere definite come “the next generation of customization”, la prossima generazione della personalizzazione. Per l’Harouni, tale sistema diventerà un laboratorio virtuale attraverso il quale le persone realizzeranno prodotti personalizzati in completa autonomia. L’idea del “pezzo unico”, del “tailor made” non è nuova nel mondo industriale, soprattutto quello manifatturiero, ma competenze settoriali e macchinari professionali ne hanno sempre limitato lo sviluppo. La stampa 3D si propone di superare queste limitazioni offrendo la possibilità di personalizzare qualsiasi oggetto, anche una casa. Villa Asserbo in Danimarca, a 60 chilometri da Copenaghen, è stata per esempio creata partendo da 820 fogli di legno multistrato in appena quattro settimane. Ovviamente si tratta di un caso limite, ma le potenzialità per la personaliz- zazione di massa stimolano la discussione in molti ambiti. IN OGNI CASA? A questo punto è lecito chiedersi se ci siano le basi per una reale diffusione futura nel mercato consumer. «È proprio in questa direzione che ci stiamo muovendo», sostiene ancora Antonio Relaño di Bq. «Siamo convinti che entrerà gradualmente a far parte della sfera domestica». L’orizzonte di questo scenario non sembra comunque dietro l’angolo, anche se alcuni settori potrebbero accelerarne l’adozione. L’ambito educational è quello più promettente. Se non è facile fare previsioni sulla diffusione in ogni casa, è già più semplice stimare che la stampa 3D approdi in quasi tutte le scuole di ogni ordine e grado. Gli esempi pionieristici non mancano neppure in Italia. Sharebot ha avviato una sperimentazione nella scuola elementare Stoppani di Milano, mentre a Ferrara gli studenti del liceo scientifico Roiti se la sono comprata con una colletta. Nel Lazio, grazie ai fondi sociali 42 WWW.BUSINESSPEOPLE.IT MARZO 2016 europei, saranno distribuiti quest’anno kit 3D a circa 250 scuole, ma siamo ancora lontani dai numeri macinati Oltreoceano, dove solo il progetto MakerBot Academy ha portato questi dispositivi in quasi 10 mila istituti. La stampa 3D rimane comunque un’opportunità da esplorare anche nel settore domestico, tanto che molte aziende di elettronica di consumo, come Hp, Toshiba e perfino Olivetti, hanno avviato nuove divisioni. La prossima potrebbe essere addirittura Apple, che ha recentemente depositato un brevetto per un dispositivo in grado di stampare oggetti e colorarli. Di sicuro nel prossimo futuro assisteremo a una diffusione massiccia in molti ambiti. Quelli industriali sono, ovviamente, i più promettenti dal punto di vista del business, ma non mancheranno applicazioni di nicchia altrettanto interessanti. In ambito medicale e farmacologico si stanno svolgendo test che lasciano intuire sbocchi quasi fantascientifici. Tecniche di bio printing hanno già permesso all’equipe dell’Università di Sydney di stampare dei vasi sanguigni, mentre, secondo le stime del team di ricerca dell’Università gallese di Swansea, entro tre anni si potranno stampare organi e tessuti sintetici. Ci vorrà ancora un po’ di tempo, ma non troppo (una decina di anni, forse meno), perché si possa ricevere il vaccino dell’influenza via email per poi stamparselo a casa. L’idea, tutt’altro che campata in aria, viene direttamente dal blog del famoso genetista americano Craig Venter, che ha dichiarato di aver iniziato a realizzare una stampante tridimensionale capace di produrre Dna. Il prototipo, già funzionante presso il Venter Institute a Rockville in Maryland, è un convertitore biologico digitale. Questo tipo di soluzione, sostiene il genetista, potrebbe rappresentare una straordinaria risorsa per contenere le prossime possibili pandemie. Il tempestivo invio del vaccino, a domicilio, consentirebbe di salvare milioni di vite. Seguendo un principio simile, ma con finalità diverse, la stampa 3D potrebbe essere usata anche per produrre cibo. La società americana Modern Meadow sta già mettendo a punto una stampante per produrre bistecche artificiali. Stamperemo anche abiti, mobili, circuiti elettrici e pezzi di ricambio per ogni necessità. Siamo agli inizi della quarta rivoluzione industriale. P INDUSTRIA 4.0: chi l’ha vista? © iStock/belekekin (1); /lucadp (1); /gjohnstonphoto (1) SI POTRANNO SPEDIRE I VACCINI CON UN’EMAIL PER STAMPARLI DOVE È IN ATTO UN’EPIDEMIA Sviluppo A PARTE ALCUNE ECCEZIONI, LE AZIENDE ITALIANE RISCHIANO DI PERDERE IL TRENO DELLA “SMART MANIFACTURING” CHE, ATTRAVERSO L’INTERNET OF THINGS, CLOUD E BIG DATA, PERMETTE DI CREARE SISTEMI PRODUTTIVI AUTOMATIZZATI ED EFFICIENTI. PER AGGUANTARE QUESTA RIVOLUZIONE, ALLA NOSTRA ECONOMIA SERVE UNA CABINA DI REGIA. E TANTI FONDI, NON SOLO PUBBLICI DI ANDREA TELARA 43 WWW.BUSINESSPEOPLE.IT MARZO 2016 Sviluppo A Orsenigo, in provincia di Como, nello stabilimento della Icam, azienda dolciaria con 70 anni di storia alle spalle e un fatturato di circa 130 milioni di euro, si producono più di 350 tipi di cioccolato, basati su migliaia di ricette diverse. Roba da mandare in tilt anche le fabbriche più efficienti, se non fosse per un particolare tutt’altro che trascurabile: alla Icam, da qualche anno a questa parte, la tecnologia ha permeato tutti i processi produttivi, dalla fabbricazione vera e propria sino alle vendite, dalla logistica alla gestione del magazzino. Non si tratta però di una tecnologia qualunque, bensì di quella che sta determinando l’avvento dell’ “industria 4.0” o della “quarta rivoluzione industriale”, per usare due espressioni oggi molto in voga tra gli economisti e gli esperti di teoria aziendale. Mentre la prima rivoluzione industriale fu determinata nel ‘700 dall’invenzione della macchina a vapore, la seconda dall’utilizzo dell’elettricità e la terza dall’avvento dell’informatica nel XX secolo, la quarta si basa invece su un fenomeno ancor più complesso come lo sviluppo dell’Internet of Things (l’Internet delle cose), cioè la capacità di connettere alla rete e di far dialogare tra loro molti oggetti reali, compresi quelli più sofisticati come i macchinari dell’industria. La fabbrica moderna è flessibile e decentrata, capace di adattarsi ai mutamenti e di prevenire le situazioni di emergenza plicemente, si è resa conto negli anni scorsi che certi tipi di tecnologie erano perfettamente funzionali a raggiungere gli obiettivi strategici tipici di un gruppo che compete su scala globale ed esporta oltre la metà del proprio fatturato. ESEMPI VIRTUOSI Q STABILIMENTO FAI-DA-TE E così gli impianti delle fabbriche non si limitano più soltanto a lavorare i prodotti in automatico, svolgendo funzioni già programmate. I macchinari industriali diventano intelligenti, ricevono, immagazzinano, rielaborano e trasmettono ai vari reparti dell’azienda una gran mole di dati e infor- mazioni. Ne nasce così un nuovo modo di produrre più flessibile e decentrato, capace di adattarsi in tempo reale ai cambiamenti, di prevenire le emergenze, di fornire gli input necessari a chi lavora nelle imprese per aumentare l’efficienza dei processi o ridurre i consumi di energia. È proprio quello che avviene alla Icam, dove una rete di senso- PENISOLA IN RITARDO Intervista a Giancarlo Oriani, amministratore unico Staufen Italia L a quarta rivoluzione industriale? In Italia non è ancora iniziata. È questa l’impressione che si ha leggendo i dati di un’indagine di Staufen, società di consulenza internazionale di origini tedesche, che ha sede in diversi Paesi, dalla Germania sino alla Cina. «L’industria 4.0 è un argomento decisamente poco familiare alle aziende tricolori», dice Giancarlo Oriani, amministratore unico di Staufen Italia, che traccia un quadro non particolarmente confortante di come il sistema produttivo del Belpaese sta affrontando le trasformazioni dell’industria. Il ritardo è preoccupante? Direi che non va affatto sottovalutato. Sia chiaro: pure le aziende di molti altri Stati, compresa la Germania, sono ancora agli inizi nella sperimentazione di certi tipi di innovazioni. Il guaio è che, purtroppo, le aziende tedesche si stanno comunque muovendo, mentre in Italia parecchie imprese brancolano ancora nel buio. Quando abbiamo chiesto loro se hanno implementato dei progetti legati all’industria 4.0, in molte ci hanno risposto di non sapere neppure di cosa stessimo parlando. 44 Tabula rasa, insomma... Sì. Per questo ritengo che ci voglia un colpo di reni da parte del nostro sistema produttivo, prima che il gap già accumulato diventi incolmabile. A che cosa vanno imputate queste carenze? I motivi sono diversi. Diciamo che, come spesso avviene, abbiamo difficoltà a fare sistema e a capire che, di fronte a dei cambiamenti significativi del modo di produrre, c’è bisogno di uno sforzo collettivo che coinvolga diversi attori, dalle autorità pubbliche alle reti d’impresa. Purtroppo, però, c’è un problema: la mancanza di risorse, pubbliche ma anche private, visto che le pmi non possono investire tanto nell’innovazione… È vero. Proprio per tale ragione, penso che ci voglia soprattutto uno sforzo collettivo, un approccio sistemico. Detto questo, è innegabile però che ci sia anche un problema culturale, legato alla capacità di molte aziende di mettere in discussione se stesse e le logiche con cui operano oggi. Saper innovare significa anche questo. WWW.BUSINESSPEOPLE.IT MARZO 2016 ri e meter distribuiti su tutto l’impianto permette di prevedere con maggiore efficacia eventuali guasti nelle macchine o di realizzare una completa tracciabilità dei prodotti, con la registrazione di dati importanti sulla pressione, la temperatura e l’umidità di ogni singolo lotto in fabbricazione. «Ciò che ci ha spinto a mettere in campo queste innova- zioni è l’estrema attenzione alla qualità del prodotto, che è sempre stata una costante nella storia della nostra società», dice Plinio Agostoni, vicepresidente di Icam ed esponente della famiglia proprietaria. L’azienda dolciaria lombarda, insomma, non aveva certo l’ambizione di diventare protagonista di questa quarta rivoluzione industriale. Più sem- uello della Icam, però, non è un caso isolato nel panorama dell’industria italiana. In tutta la Penisola, ci sono diverse aziende che stanno sfruttando da tempo le innovazioni dell’industria 4.0. Lo sanno bene i ricercatori della School of Management del Politecnico di Milano che a questi temi hanno dedicato un Osservatorio, evidenziando diverse case history di imprese italiane virtuose (vedi box). In Emilia, c’è per esempio la Dallara Automobili, nota azienda che produce vetture da competizione e che ha sperimentato un nuovo sistema digitalizzato per la gestione dei rapporti coi fornitori. In Trentino, invece, c’è l’esperienza di Adige, azienda che produce sistemi di taglio a laser e ha ideato un virtual shop attivo 24 ore su 24 e 7 giorni su 7, in cui i clienti possono gestire gli ordini e i preventivi con una certa autonomia. LA MANIFATTURA DIVENTA INTELLIGENTE Intervista a Giovanni Miragliotta, responsabile della ricerca Osservatorio Smart Manufacturing della School of Management del Politecnico di Milano U na realtà con luci e ombre. È quella che emerge dall’analisi dei ricercatori della School of Management del Politecnico di Milano su come l’Italia sta affrontando l’arrivo della quarta rivoluzione industriale e i cambiamenti dei processi aziendali, portati in dote dall’avvento delle tecnologie digitali. Oltre a trattare di Industry 4.0 (un’espressione oggi molto in voga tra gli economisti), gli studiosi hanno esaminato nel profondo il concetto di Smart Manufacturing, che probabilmente modificherà nel profondo l’industria del ventunesimo secolo. A che punto siamo con la manifattura smart? Direi che c’è un cambiamento innescato da una concomitanza di fattori. L’utilizzo di sistemi di produzione automatizzata e avanzata si combina infatti con tecnologie come l’Internet of Things, i Big Data e il Cloud Computing. Con quale risultato? Ne deriva un processo di cambiamento basato sulla raccolta e la rielaborazione di 45 una gran mole di dati, che vengono messi a fattore comune all’interno dell’azienda allo scopo di rendere più efficienti i processi produttivi. In pratica, nelle imprese che hanno avviato tali trasformazioni, non esistono più dei singoli sistemi aziendali chiusi, che non dialogano tra loro. C’è invece un costante scambio di informazioni a tutti i livelli. In questo modo, l’attività produttiva diventa più flessibile e i processi decisionali si adattano più facilmente ai cambiamenti esterni e interni. Avendo la disponibilità in tempo reale di dati sui consumi energetici o sulle performance di un macchinario, per esempio, si può cercare con tempestività di renderlo più efficiente. Ma le imprese italiane sono pronte ad affrontare questa sfida? Nel nostro Paese, ci sono senza dubbio realtà d’avanguardia che hanno iniziato da tempo a investire in questo tipo di innovazioni, raccogliendone i frutti. Il nostro Osservatorio, infatti, ha analizzato diversi casi virtuosi. Purtroppo, se consideriamo il sistema produttivo italiano nel suo complesso, l’adozione dello Smart Manufaturing è indubbiamente rallentata da diversi fattori come le ridotte dimensioni delle imprese o la carenza di un’adeguata cultura digitale. WWW.BUSINESSPEOPLE.IT MARZO 2016 Sviluppo AGUSTAWESTLAND L’azienda italo-britannica del gruppo Finmeccanica, nota per la produzione di elicotteri, ha avviato un processo di Smart Manufacturing per migliorare l’efficienza. Il progetto si focalizza sull’utilizzo di tablet e touchscreen per visualizzare i dati sulla produzione in prossimità delle linee. Tali strumenti vengono consultati dai supervisori per avere in tempo reale lo stato di funzionamento di diversi impianti. L’obiettivo è però di estenderli a più dipendenti. ADIGE Adige è una media azienda della provincia di Trento che produce sistemi di taglio col laser e che fa capo al gruppo Blm di Cantù (Co), leader mondiale nella produzione di macchine per la lavorazione di tubi metallici. In collaborazione con un partner olandese, Adige ha creato uno shop virtuale in cui le aziende clienti possono inviare disegni, specifiche di lavorazione e richieste di preventivo. Il sistema restituisce prezzi e temi di consegna e può avviare la lavorazione. DALLARA AUTOMOBILI I fornitori sono una risorsa fondamentale per Dallara Automobili, storica azienda di Varano Melegari (Pr), che da 40 anni produce vetture da competizione. E così l’azienda emiliana ha deciso di consentire alle principali imprese fornitrici di integrare i loro processi produttivi dentro l’Erp (Enterprise Resource Planning) del gruppo, in modo da consentire loro di pianificare meglio la propria produzione a medio-lungo termine. DIAGEO La nota multinazionale degli alcolici, presente anche in Italia e proprietaria di marchi prestigiosi come Johnnie Walker, Crown Royal, J&B, Smirnoff e Guinness, ha realizzato un progetto per migliorare l’efficienza del business, con la raccolta in tempo reale di una gran mole di dati sui processi produttivi. Tutte le informazioni vengono gestite su una piattaforma pubblica di Cloud Computing. ICAM Un’applicazione concreta e virtuosa dell’Internet of Things la si trova all’interno del gruppo Icam, che produce più di 350 tipi di cioccolata e fattura oltre 130 milioni di euro. L’azienda ha creato un sistema per il controllo automatico dei processi e per la manutenzione dei macchinari, basato su una rete di sensori e meter distribuiti su tutto l’impianto che aiutano a prevedere i guasti e tracciare i lotti. OSPEDALE PAPA GIOVANNI XXIII Nel nuovo ospedale di Bergamo opera un sistema di trasporti su carrellirobot del materiale tra le cucine, le lavanderie, la farmacia, i magazzini, gli ambienti dedicati ai rifiuti o alle attività di sterilizzazione. I vantaggi ottenuti con questa innovazione tecnologica sono una maggiore puntualità delle consegne, la tracciabilità dei trasporti e una riduzione dell’impatto ecologico. Il progetto è costato circa due milioni di euro e si ripagherà in due anni e mezzo grazie ai risparmi sui costi generati. WHIRLPOOL La nota multinazionale di elettrodomestici ha avviato un progetto pilota a Napoli per migliorare i processi produttivi, condividendo informazioni attraverso una piattaforma Cloud. La sperimentazione, avviata su una linea di produzione di lavatrici, permette di rilevare con largo anticipo, e con maggiori dettagli, i difetti dei prodotti prima che arrivino nei negozi o i malfunzionamenti degli impianti, consentendo interventi di manutenzione che prevengano i guasti. Senza dimenticare, poi, i casi di aziende più grandi come AgustaWestland o Whirlpool, che stanno sperimentando sistemi digitali per rendere più efficienti le linee produttive e prevenire eventuali guasti o difetti nei prodotti. A dire il vero, trattando di queste materie, gli studiosi del Politecnico non parlano soltanto di quarta rivoluzione industriale, ma fanno riferimento soprattutto a un altro concetto importante. Si tratta dello “Smart Manufacturing”: un nuovo modo intelligente di produrre, che fa leva su un mix di diversi fattori. Oltre all’Internet of Things, di cui si parla molto, nell’industria 4.0 intervengono altre tecnologie come il Cloud Computing, cioè la “nuvola informatica” che permette di archiviare e accedere a informazioni senza immagazzinarle in dispositivi “fisici” come gli hard disk, ma utilizzando software e risorse disponibili sulla Rete. Un altro tipo di tecnologia utilizzata nello Smart Manufacturing è quella dei Big Data, che consente la raccolta e l’analisi con procedure informatiche avanzate di una mole immensa di dati. Tali tecnologie si combinano poi con altri strumenti avanzati quali, per esempio, le stampanti 3D (vedi articolo precedente) o i dispositivi computerizzati wearable come sofisticati occhiali, orologi o sensori che i lavoratori possono indossare e portare sempre con sé, per raccogliere informazioni sull’ambiente circostante e sulle attività di produzione. GAP DA COLMARE IN FRETTA M essi tutti assieme e applicati su larga scala, tali elementi possono dunque determinare una vera e propria rivoluzione nell’industria. Purtroppo, però, fatta eccezione per qualche azienda d’eccellenza, l’Italia rischia oggi di rimanere indietro in questo processo di trasformazione dei processi produttivi. A dirlo è un’indagine della società di consulenza Staufen, realizzata su un campione di imprese rappresentative dell’intero tessuto industriale tricolore. Secondo la ricerca, oggi solo l’8% delle aziende nazionali ha implementato al proprio interno dei progetti di sviluppo legati all’industria 4.0. La stragrande maggioranza delle imprese, inve- 46 WWW.BUSINESSPEOPLE.IT MARZO 2016 aziende private ma, come è avvenuto in Germania, ci vorrà anche una spinta da parte del settore pubblico, attraverso qualche stanziamento di risorse o qualche agevolazione di cui per adesso non si vede l’ombra. NUOVO MODO DI LAVORARE O ce, non ha ancora affrontato l’argomento (37%) o lo sta semplicemente analizzando e osservando (29%), senza aver preso la benché minima decisione. La Penisola, insomma, ancora una volta rischia di perdere il treno dell’innovazione come è avvenuto nei decenni scorsi con l’avvento dell’informatica e di Internet, che ha visto il Belpaese arrancare parecchio per tenere il passo delle altre nazioni industrializzate nella diffusione del Web tra la popolazione o tra le aziende. Una nota di ottimismo arriva però da Giovanni Notarnicola, Principal della sede italiana di Porsche Consulting: «Altri Paesi come la Germania sono già in una posizione più avanzata di noi su questi temi, ma ci troviamo nel periodo giusto per mettere le basi anche nel nostro Paese di un’agenda strategica a livello nazionale». «Certo», gli fa eco Michele Dalmazzoni, Collaboration & Business Outcome Leader di Cisco Italia,«è impensabile affrontare queste tematiche senza un approccio sistemico, che coinvolga una serie di soggetti diversi, dal pubblico al privato». Per rendersene conto, basta guardare a quanto ha fatto proprio la Germania che ha elaborato una strategia 4.0 per l’industria fin dal 2011 e ha finanziato le prime ricerche con uno stanziamento di 210 milioni di euro, con l’obiet- ALL’AVANGUARDIA Alcune aziende e prodotti tricolori in prima linea nell’industria 4.0: dall’alto a sinistra, in senso orario, AgustaWestland (Finmeccanica); il cioccolato Icam; Adige, che produce sistemi a taglio laser; Whirlpool (elettrodomestici); e le vetture da corsa della Dallara © iStock/Askold Romanov (3), /scanrail (1), /kynny (1) I pionieri italiani tivo di continuare a sostenerle con oltre 430 milioni di euro fino al 2018. Gli investimenti pubblici tedeschi hanno però soltanto la funzione di fare da volano a quelli privati. Secondo le previsioni del magazine economico Wirtschaftswoche, infatti, in Germania le aziende hanno in programma di destinare ben 40 miliardi di euro l’anno per il prossimo quinquennio a supporto di questa trasformazione dei processi produttivi, aumentando la propria efficienza del 3% ogni dodici mesi. Il risultato, almeno secondo le previsioni degli economisti, sarà un maggior valore aggiunto per l’industria tedesca di 78 mi- liardi di euro e una crescita annua del pil pari ad almeno 1,7% annuo. Di fronte a questa tabella di marcia stilata da Berlino, come si sta comportando invece l’Italia? Pure a sud delle Alpi qualcosa si muove, anche se con una certa lentezza e in maniera molto meno strutturata. Il ministero dello Sviluppo economico (Mise) ha creato una struttura ad hoc e individuato diverse aree di intervento per lo sviluppo dell’industria 4.0, stimando un fabbisogno di investimenti di 8-10 miliardi all’anno fino al 2030. Purtroppo, però, non è ancora ben chiaro da dove questi soldi potranno arrivare. Certamente dalle Non basta l’area It: cresce il bisogno di profili ibridi, capaci di associare alle competenze digitali una visione strategica d’insieme sul business 47 ltre a interrogarsi sulle strategie industriali dei decenni a venire, il Sistema-Italia necessita però anche di una riflessione sulle proprie politiche di formazione. «Nel mercato del lavoro, soprattutto tra i giovani, ci sarà sempre maggiore bisogno di competenze legate al digitale», dice Dalmazzoni, il quale ricorda l’impegno su questo fronte della sua società. Di recente, infatti, il gruppo Cisco ha annunciato un piano di investimenti da 100 milioni di euro nel nostro Paese e ha firmato un accordo con il ministero dell’Istruzione per mettere in campo attività di formazione per docenti e studenti delle scuole superiori, in particolare degli istituti tecnici. Lo scopo dell’iniziativa, che si svolge nell’ambito del programma Cisco Networking Academy, è appunto quello di fornire le competenze necessarie, oggi e in futuro, per operare con successo in un mondo sempre più interconnesso e focalizzato sulle tecnologie per l’industria 4.0. Ma non sono soltanto i giovani a essere interessati da tale trasformazione. Anche molti profili senior delle aziende sono coinvolti in questo processo perché, secondo Notarnicola di Porsche Consulting, non basta più alle imprese concentrare certi compiti e certe funzioni all’interno di quella che viene tradizionalmente come “area It”, che cura l’intera infrastruttura tecnologica. «C’è bisogno in maniera crescente di figure professionali ibride», dice Notarnicola, «capaci di associare alle competenze digitali anche una visione strategica e d’insieme sul business aziendale». Per questo, anche chi è in fase avanzata di carriera, a tutti i livelli della scala gerarchica, deve abbandonare vecchie logiche e farsi addirittura promotore dell’innovazione all’interno dell’impresa. Con l’avvento della quarta rivoluzione industriale, insomma, tutti devono rimettersi in discussione. P WWW.BUSINESSPEOPLE.IT MARZO 2016 GIOVANNI NOTARNICOLA Principal Porsche Consulting MICHELE DALMAZZONI C&BO Leader Cisco PLINIO AGOSTONI Vicepresidente Icam