Industria 4.0: chi l`ha vista? - Business People

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Industria 4.0: chi l`ha vista? - Business People
Printing economy
DENTRO DI NOI
I settori medicale
e farmaceutico sono
quelli che presentano
le maggiori possibilità
di applicazione
della tecnologia 3D:
con le tecniche
di bio printing è già
possibile stampare vasi
sanguigni, mentre in tre
anni dovrebbe essere
possibile ottenere organi
e tessuti sintetici
paga solo i minuti-macchina utilizzati e il
materiale scelto.
Durante il suo discorso al Ted, la Cofounder e Ceo di Digital Forming, Lisa
Harouni, sosteneva che le stampanti 3D
possono essere definite come “the next
generation of customization”, la prossima generazione della personalizzazione.
Per l’Harouni, tale sistema diventerà un
laboratorio virtuale attraverso il quale le
persone realizzeranno prodotti personalizzati in completa autonomia. L’idea del
“pezzo unico”, del “tailor made” non è
nuova nel mondo industriale, soprattutto quello manifatturiero, ma competenze settoriali e macchinari professionali
ne hanno sempre limitato lo sviluppo. La
stampa 3D si propone di superare queste limitazioni offrendo la possibilità di
personalizzare qualsiasi oggetto, anche
una casa. Villa Asserbo in Danimarca, a
60 chilometri da Copenaghen, è stata per
esempio creata partendo da 820 fogli di
legno multistrato in appena quattro settimane. Ovviamente si tratta di un caso limite, ma le potenzialità per la personaliz-
zazione di massa stimolano la discussione in molti ambiti.
IN OGNI CASA?
A
questo punto è lecito chiedersi se ci
siano le basi per una reale diffusione futura nel mercato consumer. «È proprio in questa direzione che ci stiamo
muovendo», sostiene ancora Antonio Relaño di Bq. «Siamo convinti che entrerà
gradualmente a far parte della sfera domestica». L’orizzonte di questo scenario non
sembra comunque dietro l’angolo, anche
se alcuni settori potrebbero accelerarne
l’adozione. L’ambito educational è quello
più promettente. Se non è facile fare previsioni sulla diffusione in ogni casa, è già
più semplice stimare che la stampa 3D
approdi in quasi tutte le scuole di ogni ordine e grado. Gli esempi pionieristici non
mancano neppure in Italia. Sharebot ha
avviato una sperimentazione nella scuola elementare Stoppani di Milano, mentre a Ferrara gli studenti del liceo scientifico Roiti se la sono comprata con una
colletta. Nel Lazio, grazie ai fondi sociali
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europei, saranno distribuiti quest’anno kit
3D a circa 250 scuole, ma siamo ancora lontani dai numeri macinati Oltreoceano, dove solo il progetto MakerBot Academy ha portato questi dispositivi in quasi 10 mila istituti.
La stampa 3D rimane comunque un’opportunità da esplorare anche nel settore domestico, tanto che molte aziende di
elettronica di consumo, come Hp, Toshiba e perfino Olivetti, hanno avviato nuove divisioni. La prossima potrebbe essere addirittura Apple, che ha recentemente depositato un brevetto per un dispositivo in grado di stampare oggetti e colorarli. Di sicuro nel prossimo futuro assisteremo a una diffusione massiccia in molti ambiti. Quelli industriali sono, ovviamente, i più promettenti dal punto di vista
del business, ma non mancheranno applicazioni di nicchia altrettanto interessanti. In ambito medicale e farmacologico si
stanno svolgendo test che lasciano intuire
sbocchi quasi fantascientifici. Tecniche di
bio printing hanno già permesso all’equipe dell’Università di Sydney di stampare
dei vasi sanguigni, mentre, secondo le stime del team di ricerca dell’Università gallese di Swansea, entro tre anni si potranno
stampare organi e tessuti sintetici.
Ci vorrà ancora un po’ di tempo, ma non
troppo (una decina di anni, forse meno),
perché si possa ricevere il vaccino dell’influenza via email per poi stamparselo a
casa. L’idea, tutt’altro che campata in aria,
viene direttamente dal blog del famoso genetista americano Craig Venter, che
ha dichiarato di aver iniziato a realizzare
una stampante tridimensionale capace di
produrre Dna. Il prototipo, già funzionante presso il Venter Institute a Rockville in
Maryland, è un convertitore biologico digitale. Questo tipo di soluzione, sostiene
il genetista, potrebbe rappresentare una
straordinaria risorsa per contenere le prossime possibili pandemie. Il tempestivo invio del vaccino, a domicilio, consentirebbe di salvare milioni di vite. Seguendo un
principio simile, ma con finalità diverse,
la stampa 3D potrebbe essere usata anche
per produrre cibo. La società americana
Modern Meadow sta già mettendo a punto una stampante per produrre bistecche
artificiali. Stamperemo anche abiti, mobili, circuiti elettrici e pezzi di ricambio per
ogni necessità. Siamo agli inizi della quarta rivoluzione industriale.
P
INDUSTRIA 4.0:
chi l’ha vista?
© iStock/belekekin (1); /lucadp (1); /gjohnstonphoto (1)
SI POTRANNO
SPEDIRE I VACCINI
CON UN’EMAIL
PER STAMPARLI
DOVE È IN ATTO
UN’EPIDEMIA
Sviluppo
A PARTE ALCUNE ECCEZIONI, LE AZIENDE ITALIANE RISCHIANO
DI PERDERE IL TRENO DELLA “SMART MANIFACTURING” CHE,
ATTRAVERSO L’INTERNET OF THINGS, CLOUD E BIG DATA, PERMETTE
DI CREARE SISTEMI PRODUTTIVI AUTOMATIZZATI ED EFFICIENTI.
PER AGGUANTARE QUESTA RIVOLUZIONE, ALLA NOSTRA ECONOMIA
SERVE UNA CABINA DI REGIA. E TANTI FONDI, NON SOLO PUBBLICI
DI ANDREA TELARA
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Sviluppo
A
Orsenigo, in provincia di Como, nello stabilimento della Icam,
azienda dolciaria con
70 anni di storia alle
spalle e un fatturato
di circa 130 milioni di
euro, si producono più
di 350 tipi di cioccolato, basati su migliaia di ricette diverse. Roba da mandare in tilt anche le fabbriche più efficienti, se non fosse per un particolare
tutt’altro che trascurabile: alla Icam, da
qualche anno a questa parte, la tecnologia ha permeato tutti i processi produttivi, dalla fabbricazione vera e propria sino alle vendite, dalla logistica
alla gestione del magazzino. Non si
tratta però di una tecnologia qualunque, bensì di quella che sta determinando l’avvento dell’ “industria 4.0” o
della “quarta rivoluzione industriale”,
per usare due espressioni oggi molto in
voga tra gli economisti e gli esperti di
teoria aziendale. Mentre la prima rivoluzione industriale fu determinata nel
‘700 dall’invenzione della macchina
a vapore, la seconda dall’utilizzo dell’elettricità e la terza dall’avvento dell’informatica nel XX secolo, la quarta si
basa invece su un fenomeno ancor più
complesso come lo sviluppo dell’Internet of Things (l’Internet delle cose),
cioè la capacità di connettere alla rete
e di far dialogare tra loro molti oggetti reali, compresi quelli più sofisticati
come i macchinari dell’industria.
La fabbrica moderna è flessibile
e decentrata, capace di adattarsi ai mutamenti
e di prevenire le situazioni di emergenza
plicemente, si è resa conto negli anni
scorsi che certi tipi di tecnologie erano
perfettamente funzionali a raggiungere
gli obiettivi strategici tipici di un gruppo
che compete su scala globale ed esporta oltre la metà del proprio fatturato.
ESEMPI VIRTUOSI
Q
STABILIMENTO FAI-DA-TE
E
così gli impianti delle fabbriche
non si limitano più soltanto a lavorare i prodotti in automatico,
svolgendo funzioni già programmate. I
macchinari industriali diventano intelligenti, ricevono, immagazzinano, rielaborano e trasmettono ai vari reparti dell’azienda una gran mole di dati e infor-
mazioni. Ne nasce così un nuovo modo
di produrre più flessibile e decentrato,
capace di adattarsi in tempo reale ai
cambiamenti, di prevenire le emergenze, di fornire gli input necessari a chi lavora nelle imprese per aumentare l’efficienza dei processi o ridurre i consumi di energia. È proprio quello che avviene alla Icam, dove una rete di senso-
PENISOLA IN RITARDO
Intervista a Giancarlo Oriani, amministratore unico Staufen Italia
L
a quarta rivoluzione industriale? In Italia non è ancora
iniziata. È questa l’impressione che si ha leggendo
i dati di un’indagine di Staufen, società di consulenza
internazionale di origini tedesche, che ha sede in diversi
Paesi, dalla Germania sino alla Cina. «L’industria 4.0 è un
argomento decisamente poco familiare alle aziende tricolori»,
dice Giancarlo Oriani, amministratore unico di Staufen Italia, che
traccia un quadro non particolarmente confortante di come il sistema
produttivo del Belpaese sta affrontando le trasformazioni dell’industria.
Il ritardo è preoccupante?
Direi che non va affatto sottovalutato. Sia chiaro: pure le aziende di molti altri Stati,
compresa la Germania, sono ancora agli inizi nella sperimentazione di certi tipi
di innovazioni. Il guaio è che, purtroppo, le aziende tedesche si stanno comunque
muovendo, mentre in Italia parecchie imprese brancolano ancora nel buio. Quando
abbiamo chiesto loro se hanno implementato dei progetti legati all’industria 4.0, in
molte ci hanno risposto di non sapere neppure di cosa stessimo parlando.
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Tabula rasa, insomma...
Sì. Per questo ritengo che ci voglia un colpo di reni da parte del nostro
sistema produttivo, prima che il gap già accumulato diventi incolmabile.
A che cosa vanno imputate queste carenze?
I motivi sono diversi. Diciamo che, come spesso avviene, abbiamo difficoltà
a fare sistema e a capire che, di fronte a dei cambiamenti significativi del
modo di produrre, c’è bisogno di uno sforzo collettivo che coinvolga diversi
attori, dalle autorità pubbliche alle reti d’impresa.
Purtroppo, però, c’è un problema: la mancanza di risorse, pubbliche
ma anche private, visto che le pmi non possono investire tanto
nell’innovazione…
È vero. Proprio per tale ragione, penso che ci voglia soprattutto uno sforzo
collettivo, un approccio sistemico. Detto questo, è innegabile però che ci
sia anche un problema culturale, legato alla capacità di molte aziende di
mettere in discussione se stesse e le logiche con cui operano oggi. Saper
innovare significa anche questo.
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ri e meter distribuiti su tutto l’impianto
permette di prevedere con maggiore efficacia eventuali guasti nelle macchine
o di realizzare una completa tracciabilità dei prodotti, con la registrazione di
dati importanti sulla pressione, la temperatura e l’umidità di ogni singolo lotto in fabbricazione. «Ciò che ci ha spinto a mettere in campo queste innova-
zioni è l’estrema attenzione alla qualità
del prodotto, che è sempre stata una costante nella storia della nostra società»,
dice Plinio Agostoni, vicepresidente di
Icam ed esponente della famiglia proprietaria. L’azienda dolciaria lombarda,
insomma, non aveva certo l’ambizione di diventare protagonista di questa
quarta rivoluzione industriale. Più sem-
uello della Icam, però, non è
un caso isolato nel panorama
dell’industria italiana. In tutta la Penisola, ci sono diverse aziende che stanno sfruttando da tempo le
innovazioni dell’industria 4.0. Lo sanno bene i ricercatori della School of
Management del Politecnico di Milano che a questi temi hanno dedicato
un Osservatorio, evidenziando diverse
case history di imprese italiane virtuose (vedi box). In Emilia, c’è per esempio la Dallara Automobili, nota azienda che produce vetture da competizione e che ha sperimentato un nuovo sistema digitalizzato per la gestione dei
rapporti coi fornitori.
In Trentino, invece, c’è l’esperienza di
Adige, azienda che produce sistemi di
taglio a laser e ha ideato un virtual shop
attivo 24 ore su 24 e 7 giorni su 7, in
cui i clienti possono gestire gli ordini e i
preventivi con una certa autonomia.
LA MANIFATTURA DIVENTA INTELLIGENTE
Intervista a Giovanni Miragliotta, responsabile della ricerca Osservatorio Smart Manufacturing della School
of Management del Politecnico di Milano
U
na realtà con luci e ombre. È quella che emerge
dall’analisi dei ricercatori della School of Management
del Politecnico di Milano su come l’Italia sta affrontando
l’arrivo della quarta rivoluzione industriale e i cambiamenti
dei processi aziendali, portati in dote dall’avvento delle
tecnologie digitali. Oltre a trattare di Industry 4.0 (un’espressione oggi
molto in voga tra gli economisti), gli studiosi hanno esaminato nel profondo il
concetto di Smart Manufacturing, che probabilmente modificherà nel profondo
l’industria del ventunesimo secolo.
A che punto siamo con la manifattura smart?
Direi che c’è un cambiamento innescato da una concomitanza di fattori. L’utilizzo
di sistemi di produzione automatizzata e avanzata si combina infatti con tecnologie
come l’Internet of Things, i Big Data e il Cloud Computing.
Con quale risultato?
Ne deriva un processo di cambiamento basato sulla raccolta e la rielaborazione di
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una gran mole di dati, che vengono messi a fattore comune all’interno dell’azienda
allo scopo di rendere più efficienti i processi produttivi. In pratica, nelle imprese
che hanno avviato tali trasformazioni, non esistono più dei singoli sistemi aziendali
chiusi, che non dialogano tra loro. C’è invece un costante scambio di informazioni
a tutti i livelli. In questo modo, l’attività produttiva diventa più flessibile e i processi
decisionali si adattano più facilmente ai cambiamenti esterni e interni. Avendo la
disponibilità in tempo reale di dati sui consumi energetici o sulle performance di un
macchinario, per esempio, si può cercare con tempestività di renderlo più efficiente.
Ma le imprese italiane sono pronte ad affrontare questa sfida?
Nel nostro Paese, ci sono senza dubbio realtà d’avanguardia che hanno iniziato
da tempo a investire in questo tipo di innovazioni, raccogliendone i frutti. Il nostro
Osservatorio, infatti, ha analizzato diversi casi virtuosi. Purtroppo, se consideriamo il
sistema produttivo italiano nel suo complesso, l’adozione dello Smart Manufaturing
è indubbiamente rallentata da diversi fattori come le ridotte dimensioni delle
imprese o la carenza di un’adeguata cultura digitale.
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Sviluppo
AGUSTAWESTLAND
L’azienda italo-britannica del gruppo Finmeccanica, nota per
la produzione di elicotteri, ha avviato un processo di Smart
Manufacturing per migliorare l’efficienza. Il progetto si focalizza
sull’utilizzo di tablet e touchscreen per visualizzare i dati sulla
produzione in prossimità delle linee. Tali strumenti vengono consultati
dai supervisori per avere in tempo reale lo stato di funzionamento di
diversi impianti. L’obiettivo è però di estenderli a più dipendenti.
ADIGE
Adige è una media azienda della provincia di Trento che produce
sistemi di taglio col laser e che fa capo al gruppo Blm di Cantù (Co),
leader mondiale nella produzione di macchine per la lavorazione
di tubi metallici. In collaborazione con un partner olandese, Adige
ha creato uno shop virtuale in cui le aziende clienti possono inviare
disegni, specifiche di lavorazione e richieste di preventivo. Il sistema
restituisce prezzi e temi di consegna e può avviare la lavorazione.
DALLARA AUTOMOBILI
I fornitori sono una risorsa fondamentale per Dallara Automobili, storica
azienda di Varano Melegari (Pr), che da 40 anni produce vetture da
competizione. E così l’azienda emiliana ha deciso di consentire alle
principali imprese fornitrici di integrare i loro processi produttivi dentro
l’Erp (Enterprise Resource Planning) del gruppo, in modo da consentire
loro di pianificare meglio la propria produzione a medio-lungo termine.
DIAGEO
La nota multinazionale degli alcolici, presente anche in Italia e
proprietaria di marchi prestigiosi come Johnnie Walker, Crown Royal, J&B,
Smirnoff e Guinness, ha realizzato un progetto per migliorare l’efficienza
del business, con la raccolta in tempo reale di una gran mole di dati
sui processi produttivi. Tutte le informazioni vengono gestite su una
piattaforma pubblica di Cloud Computing.
ICAM
Un’applicazione concreta e virtuosa dell’Internet of Things la si trova
all’interno del gruppo Icam, che produce più di 350 tipi di cioccolata
e fattura oltre 130 milioni di euro. L’azienda ha creato un sistema per il
controllo automatico dei processi e per la manutenzione dei macchinari,
basato su una rete di sensori e meter distribuiti su tutto l’impianto che
aiutano a prevedere i guasti e tracciare i lotti.
OSPEDALE PAPA GIOVANNI XXIII
Nel nuovo ospedale di Bergamo opera un sistema di trasporti su carrellirobot del materiale tra le cucine, le lavanderie, la farmacia, i magazzini,
gli ambienti dedicati ai rifiuti o alle attività di sterilizzazione. I vantaggi
ottenuti con questa innovazione tecnologica sono una maggiore
puntualità delle consegne, la tracciabilità dei trasporti e una riduzione
dell’impatto ecologico. Il progetto è costato circa due milioni di euro e si
ripagherà in due anni e mezzo grazie ai risparmi sui costi generati.
WHIRLPOOL
La nota multinazionale di elettrodomestici ha avviato un progetto
pilota a Napoli per migliorare i processi produttivi, condividendo
informazioni attraverso una piattaforma Cloud. La sperimentazione,
avviata su una linea di produzione di lavatrici, permette di rilevare
con largo anticipo, e con maggiori dettagli, i difetti dei prodotti
prima che arrivino nei negozi o i malfunzionamenti degli impianti,
consentendo interventi di manutenzione che prevengano i guasti.
Senza dimenticare, poi, i casi di aziende più grandi come AgustaWestland o
Whirlpool, che stanno sperimentando sistemi digitali per rendere più efficienti le linee produttive e prevenire
eventuali guasti o difetti nei prodotti. A
dire il vero, trattando di queste materie,
gli studiosi del Politecnico non parlano soltanto di quarta rivoluzione industriale, ma fanno riferimento soprattutto
a un altro concetto importante.
Si tratta dello “Smart Manufacturing”:
un nuovo modo intelligente di produrre, che fa leva su un mix di diversi fattori. Oltre all’Internet of Things, di cui
si parla molto, nell’industria 4.0 intervengono altre tecnologie come il Cloud
Computing, cioè la “nuvola informatica” che permette di archiviare e accedere a informazioni senza immagazzinarle in dispositivi “fisici” come
gli hard disk, ma utilizzando software
e risorse disponibili sulla Rete. Un altro tipo di tecnologia utilizzata nello
Smart Manufacturing è quella dei Big
Data, che consente la raccolta e l’analisi con procedure informatiche avanzate
di una mole immensa di dati. Tali tecnologie si combinano poi con altri strumenti avanzati quali, per esempio, le
stampanti 3D (vedi articolo precedente) o i dispositivi computerizzati wearable come sofisticati occhiali, orologi o
sensori che i lavoratori possono indossare e portare sempre con sé, per raccogliere informazioni sull’ambiente circostante e sulle attività di produzione.
GAP DA COLMARE
IN FRETTA
M
essi tutti assieme e applicati su
larga scala, tali elementi possono dunque determinare una vera
e propria rivoluzione nell’industria. Purtroppo, però, fatta eccezione per qualche azienda d’eccellenza, l’Italia rischia
oggi di rimanere indietro in questo processo di trasformazione dei processi produttivi. A dirlo è un’indagine della società di consulenza Staufen, realizzata
su un campione di imprese rappresentative dell’intero tessuto industriale tricolore. Secondo la ricerca, oggi solo l’8%
delle aziende nazionali ha implementato al proprio interno dei progetti di sviluppo legati all’industria 4.0. La stragrande maggioranza delle imprese, inve-
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aziende private ma, come è avvenuto
in Germania, ci vorrà anche una spinta
da parte del settore pubblico, attraverso qualche stanziamento di risorse o
qualche agevolazione di cui per adesso
non si vede l’ombra.
NUOVO MODO
DI LAVORARE
O
ce, non ha ancora affrontato l’argomento
(37%) o lo sta semplicemente analizzando e osservando (29%), senza aver preso
la benché minima decisione. La Penisola, insomma, ancora una volta rischia di
perdere il treno dell’innovazione come
è avvenuto nei decenni scorsi con l’avvento dell’informatica e di Internet, che
ha visto il Belpaese arrancare parecchio
per tenere il passo delle altre nazioni industrializzate nella diffusione del Web
tra la popolazione o tra le aziende. Una
nota di ottimismo arriva però da Giovanni Notarnicola, Principal della sede italiana di Porsche Consulting: «Altri Paesi
come la Germania sono già in una posizione più avanzata di noi su questi temi,
ma ci troviamo nel periodo giusto per
mettere le basi anche nel nostro Paese
di un’agenda strategica a livello nazionale». «Certo», gli fa eco Michele Dalmazzoni, Collaboration & Business Outcome Leader di Cisco Italia,«è impensabile affrontare queste tematiche senza un approccio sistemico, che coinvolga una serie di soggetti diversi, dal pubblico al privato».
Per rendersene conto, basta guardare
a quanto ha fatto proprio la Germania
che ha elaborato una strategia 4.0 per
l’industria fin dal 2011 e ha finanziato
le prime ricerche con uno stanziamento di 210 milioni di euro, con l’obiet-
ALL’AVANGUARDIA
Alcune aziende
e prodotti tricolori in
prima linea nell’industria
4.0: dall’alto a sinistra,
in senso orario,
AgustaWestland
(Finmeccanica); il
cioccolato Icam; Adige,
che produce sistemi
a taglio laser; Whirlpool
(elettrodomestici);
e le vetture da corsa
della Dallara
© iStock/Askold Romanov (3), /scanrail (1), /kynny (1)
I pionieri italiani
tivo di continuare a sostenerle con oltre 430 milioni di euro fino al 2018.
Gli investimenti pubblici tedeschi hanno però soltanto la funzione di fare da
volano a quelli privati. Secondo le previsioni del magazine economico Wirtschaftswoche, infatti, in Germania le
aziende hanno in programma di destinare ben 40 miliardi di euro l’anno per
il prossimo quinquennio a supporto di
questa trasformazione dei processi produttivi, aumentando la propria efficienza del 3% ogni dodici mesi. Il risultato, almeno secondo le previsioni degli
economisti, sarà un maggior valore aggiunto per l’industria tedesca di 78 mi-
liardi di euro e una crescita annua del
pil pari ad almeno 1,7% annuo.
Di fronte a questa tabella di marcia stilata da Berlino, come si sta comportando invece l’Italia? Pure a sud delle
Alpi qualcosa si muove, anche se con
una certa lentezza e in maniera molto
meno strutturata. Il ministero dello Sviluppo economico (Mise) ha creato una
struttura ad hoc e individuato diverse
aree di intervento per lo sviluppo dell’industria 4.0, stimando un fabbisogno
di investimenti di 8-10 miliardi all’anno fino al 2030. Purtroppo, però, non è
ancora ben chiaro da dove questi soldi potranno arrivare. Certamente dalle
Non basta l’area It: cresce il bisogno di profili
ibridi, capaci di associare alle competenze
digitali una visione strategica d’insieme sul business
47
ltre a interrogarsi sulle strategie
industriali dei decenni a venire, il
Sistema-Italia necessita però anche di una riflessione sulle proprie politiche di formazione. «Nel mercato del
lavoro, soprattutto tra i giovani, ci sarà
sempre maggiore bisogno di competenze legate al digitale», dice Dalmazzoni, il quale ricorda l’impegno su questo fronte della sua società. Di recente,
infatti, il gruppo Cisco ha annunciato
un piano di investimenti da 100 milioni di euro nel nostro Paese e ha firmato
un accordo con il ministero dell’Istruzione per mettere in campo attività di
formazione per docenti e studenti delle scuole superiori, in particolare degli
istituti tecnici. Lo scopo dell’iniziativa,
che si svolge nell’ambito del programma Cisco Networking Academy, è appunto quello di fornire le competenze
necessarie, oggi e in futuro, per operare
con successo in un mondo sempre più
interconnesso e focalizzato sulle tecnologie per l’industria 4.0.
Ma non sono soltanto i giovani a essere
interessati da tale trasformazione. Anche molti profili senior delle aziende
sono coinvolti in questo processo perché, secondo Notarnicola di Porsche
Consulting, non basta più alle imprese
concentrare certi compiti e certe funzioni all’interno di quella che viene tradizionalmente come “area It”, che cura
l’intera infrastruttura tecnologica. «C’è
bisogno in maniera crescente di figure
professionali ibride», dice Notarnicola,
«capaci di associare alle competenze
digitali anche una visione strategica e
d’insieme sul business aziendale». Per
questo, anche chi è in fase avanzata di
carriera, a tutti i livelli della scala gerarchica, deve abbandonare vecchie logiche e farsi addirittura promotore dell’innovazione all’interno dell’impresa.
Con l’avvento della quarta rivoluzione
industriale, insomma, tutti devono rimettersi in discussione.
P
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GIOVANNI NOTARNICOLA
Principal Porsche Consulting
MICHELE DALMAZZONI
C&BO Leader Cisco
PLINIO AGOSTONI
Vicepresidente Icam