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n° 331 - luglio 2007 © Tutti i diritti sono riservati Fondazione Internazionale Menarini - è vietata la riproduzione anche parziale dei testi e delle fotografie Direttore Responsabile Lucia Aleotti - Redazione, corrispondenza: «Minuti» Via Sette Santi n.1 - 50131 Firenze - www.fondazione-menarini.it L’immagine del gusto Il cibo è presente nelle espressioni artistiche di ogni tempo con la propria pluralità sensoriale Il cibo è vita e da sempre ha avuto un ruolo fondamentale nei riti umani, è indubbio lo stretto legame tra raffigurazione e alimentazione, già le incisioni rupestri del Paleolitico, che illustrano scene di caccia, testimoniano il ruolo dominante dell’approvvigionamento del cibo che da allora in poi si trova spesso inserito nelle rappresentazioni artistiche. Da “semplice” elemento imprescindibile per l’uomo legato ancora al nomadismo, col passaggio all’agricoltura e quindi a un atteggiamento sedentario, diventa l’elemento che, oltre al sostentamento, regolarizza e scandisce gli intervalli temporali della vita. Tale è il rapporto con l’arte che la lettura delle rappresentazioni permette addirittura di svolgere una ricostruzione storica delle tradizioni e consuetudini alimentari dell’uomo. Nelle civiltà più antiche, l’arte esprimeva una tale ufficialità rappresentativa che non permetteva licenze agli aspetti di una certa quotidianità. Il realismo era riservato a tutte quelle situazioni private o istruttive come per esempio quelle rinvenute nelle pareti delle residenze di Ercolano e Pompei. Si possono distinguere le Xenia, Cestino di uva Tunisia, Museo di El Jem rappresentazioni nelle quali il cibo compare in modo marginale, affiancando il protagonismo della figura umana, da quelle dove invece il ruolo primario è riservato proprio agli alimenti. Queste ultime espressioni prendono il nome di “natura morta”, denominazione ottocentesca che descrive il carattere di natura statica e immota in contrapposizione a quelle dinamiche e viventi improntate dalla presenza dell’uomo. Nella pittura greca difficilmente si trovano esempi di questo tipo, perché in genere si valorizzava la figura dell’uomo e le rappresentazioni degli alimenti sono, quindi, sempre complementari e funzionali a scene antropocentriche. Nella pittura romana, invece, compaiono delle vere e proprie nature morte, gli affreschi di Pompei riportano immagini di frutta, miele, formaggi, cacciagione pane e vino. Per gli antichi le nature morte corrispondevano a xenia, cioè “doni ospitali”, la frutta, le uova, la verdura, i doni che il padrone di casa offriva all’ospite nelle sue stanze che col tempo sono stati indicati anche da quadretti dipinti raffiguranti proprio questi elementi. Altro uso che concorre alla formazione di questo tipo di rappresentazione, è la tradizione di rifornire il defunto di cibi e oggetti per la vita nell’aldilà, tradizione che nel tempo ha sostituito il corredo di cibo, deperibile, con una sua raffigurazione. In seguito a queste evoluzioni si può considerare formato il genere pittorico definibile come natura morta, anche se per secoli è stato ritenuto una categoria di pittura minore, ponendosi in fondo a una classifica che vede, in primo Pittura murale - Pompei, Villa dei Misteri Arazzo di Bayeux: Normandia, Cattedrale di Bayeux pag. 2 piano quella riservata agli dèi, seguita dalla pittura storica, dai paesaggi e dai ritratti. Dimenticato nei secoli successivi, il cibo ricompare nella pittura solo marginalmente, come corredo alle storie narrate o, molto più spesso, con valore simbolico nell’ambito di rappresentazioni religiose, fino al definitivo riscatto avvenuto tra Rinascimento e Barocco. Nel primo caso si può citare un esempio che, per le particolari dimensioni e caratteristiche, è un capolavoro unico al mondo, l’arazzo di Bayeux: si tratta di una tela di lino lunga 70 metri per un’altezza di 50 centimetri realizzata nell’XI secolo per il Vescovo di Bayeux, sulla quale è ricamata la storia della conquista dell’Inghilterra da parte dei Normanni; in questo tra le varie scene di cerimonie, combattimenti e momenti di varia ufficialità è raffigurato anche un episodio di festosa convivialità come un pranzo e la sua la preparazione che mostra, riuniti intorno a un tavolo, i protagonisti della storia. Il gesto di nutrirsi ha sempre portato con sé una funzione simbolica: al cibo, infatti, sovente è data una forma specifica per richiamare un particolare valore simbolico. La cristianità vi trova molteplici spunti per riferimenti allegorici osservando particolare attenzione perché l’argomento in questione evoca anche il vizio capitale della gola (il peccato originale è un peccato di gola che nasce dal divieto di mangiare il frutto proibito), che nella voracità tende a rivelare gli aspetti più terreni dell’uomo invece di esaltarne quelli più nobili. La dottrina cattolica ha creato il significato simbolico di svariati oggetti e situazioni, che pur non diventando veri e propri idoli, assolvono il compito didattico di rendere visibile il senso trascendente del divino: il pane (anche rappresentato dall’ostia), per esempio, spesso simboleggia la “carne” di Cristo, valore che spicca in tutte le rappresentazioni dell’ultima cena e nelle cene in Emmaus. Insieme al vino, che rappresenta il sangue di Cristo, costituisce la sostanza eucaristica, la mela, invece, già simbolo nella mitologia classica come attributo di Venere e delle tre Grazie, in mano a Adamo ed Eva diventa il frutto proibito del paradiso e simboleggia la caduta dell’uomo, mentre l’acqua e anche i pesci si riferiscono al battesimo. Nell’arte di ispirazione religiosa uno dei temi più frequentemente affrontati è quello del cenacolo: l’ultima cena di Gesù con i discepoli. Molti dei più celebri pittori si sono confrontati con questo argomento, dall’affresco di Leonardo alla versione contemporanea di Aligi Sassu. Alcune varianti e curiosità su questo genere sono dovute a tipicità geografiche come quella, per esempio, della zona compresa fra le Alpi e il Piave: sulle tavole raffiguranti le ultime cene diffuse nelle piccole chiese, ora- Ultima cena - San Polo di Piave, Chiesa di San Giorgio Lucas Cranach: Eva Firenze, Uffizi tori e cappelle sono presenti i gamberi di fiume, specie di crostaceo che per la sua abbondanza nella zona era diventato cibo ordinario. In questo ruolo, fra il simbolico e il realistico, l’argomento alimentare attraversa tutto il Medioevo e il Rinascimento, in questa ultima fase, quando è l’uomo, posto pag. 3 al centro dell’universo, protagonista assoluto, non c’è spazio per altri generi di rappresentazione. Quando il Rinascimento si diffonde anche nel resto d’Europa, in special modo nelle Fiandre, la rigenerazione artistica si esprime in pittura attraverso studi minuziosi della realtà riprodotta fino nei minimi dettagli affiancati senza ordine e priorità, avvolti in una impalpabile inquietudine dovuta a quella mancanza di chiarezza di retaggio classico presente invece in Italia. Il Trittico delle delizie di Hieronymus Bosch, per esempio, è un grottesco convito di uomini uovo, frutti giganteschi, cozze antropofaghe, maiali travestiti da suore, allusioni erotiche e riferimenti sessuali, una sequenza di immagini che illustrano la caduta dell’uomo dal paradiso con la corruzione morale che lo riduce al più misero stato bestiale. In Italia, verso la metà del ‘500, si comincia a svelare la crisi dell’Umanesimo, l’artista Arcimboldi reagisce alle consolidate formalità artistiche attraverso una serie di elaborazioni proprio intorno all’uomo: sono famosi i suoi busti costruiti con frutta e verdure, ironiche allucinazioni oniriche che sembrano preannunciare elaborazioni surrealiste. La questione della natura morta, come genere a sé, del tutto svincolata dalla presenza umana e pienamente rivalutata, che si trascina dall’antichità, viene affrontata e riscattata definitivamente per la prima volta da Ca- ravaggio, quando nel 1596 dipinge il Canestro di frutta. In questa opera l’artista raffigura un cesto pieno di frutta appoggiato su un piano; gli elementi formanti la composizione, accompagnati da un tralcio di vite, non sono scelti per la loro bellezza perfetta e ideale, ma per la loro naturalità: alcuni acini dell’uva sono attaccati da parassiti, la mela è bacata, i fichi, troppo maturi, sono spaccati e magistralmente è dipinto il contrasto tra il fogliame fresco e quello ormai appassito. La tela rappresenta una vera innovazione per il periodo: la natura è elevata al ruolo di protagonista senza idealizzazioni, ma con schietto realismo, Caravaggio ne riscatta il valore, dichiarando, inoltre, che non vi è alcuna differenza di impegno e difficoltà tra il riprodurre un quadro con figure o un quadro di frutta. Il cibo, sia come prodotto della natura (elemento naturale), sia come vivanda elaborata dall’uomo (elemento culturale) doveva uscire dal quotidiano per salire sulla scena da protagonista diventare soggetto artistico con alte virtualità estetiche e sensoriali. L’avvicinamento al realismo si sta già diffondendo e si traduce in tele che rappresentano scene di vita quotidiana come, per esempio, il Mangiatore di fagioli di Annibale Carracci. In questo quadro il pittore, elaborando il tema fiammingo della natura morta con figure attraverso l’esperienza visiva manierista, riproduce l’uomo ponendolo Caravaggio: Canestro di frutta Milano, Pinacoteca Ambrosiana sopra Pieter Brugel il Vecchio: Banchetto Nuziale Vienna, Kusthistoriches Museum a lato Annibale Carracci: Mangiatore di fagioli Roma, Galleria Colonna gerarchicamente sullo stesso piano delle cose con sagace realismo. La naturalità si esprime nell’attenzione ai particolari, ma il tutto, al contrario, risulta ostentatamente costruito: il contadino che sta consumando un tipico pasto composto da una generosa ciotola di fagioli, verdure e pane sembra in posa, con una falsa spontaneità che dona alla scena una ambiguità che sorprende. I Mangiatori di ricotta di Vincenzo Campi esprimono invece una natura più istintiva, bestiale. Nella scena, tre uomini e una prosperosa donna in atteggiamento vorace e allusivo, interpretano l’erotismo nella strettissima relazione tra la sessualità e la gola che sopra Willem Claesz-Heda: Natura morta con torta ai lamponi - Dresda, Gemäldegalerie a lato Claude Monet: Petit déjeuner - Francoforte, Städelisches Kunstinstitut pag. 4 traducendosi in godimento e nutrimento diventa la spinta per la sopravvivenza. Gli aspetti del quotidiano nella loro bizzarria e assurdità hanno ispirato anche la pittura di Pieter Bruegel il vecchio, che cerca di esplorare le contraddizioni e i paradossi del quotidiano osservando direttamente certe espressioni collettive: le feste popolari non sono raffigurate per la loro spettacolarità e teatralità, ma, come accade nel Banchetto nuziale, l’attenzione dedicata alle operazioni che circondano l’evento e al consumo delle pietanze, allude più all’organizzazione sociale della festa e dissente crudelmente verso quella umanità povera di spirito e ingorda che sigla ogni evento con gratificazioni alimentari. Queste esperienze, escludendo le trionfali rappresentazioni sacre, aprono la strada al Barocco delineato da un arrendevole ritorno al realismo espressivo. In questo periodo la maggiore concorrenza sul genere pittorico arriva dalle Fiandre dove sono ricorrenti i temi delle tavole imbandite con cibi cotti e crudi, dolci e salati in affascinanti composizioni come quelle di Willem Claesz-Heda, Pieter Claesz e Roleof Claesz-Koetz. All’Illuminismo, che segna un ritorno ai temi classici, segue nell’800 un periodo di grandi tumulti: la rivoluzione francese, la rivoluzione industriale insieme allo sviluppo scientifico creano nell’uomo una profonda crisi interiore. sopra Georges Braque: Fruttiera con grappolo d'uva e bicchiere Stoccolma, Moderna Museet a lato Paul Cezanne: natura morta con mele e arance - Parigi, Musée de la Gare d’Orsay Nell’arte questa inquietudine sfocia in una netta divisione tra coerenza ai criteri scientifici e analitici che porta al Realismo e all’Impressionismo e rivendicazione della superiorità dell’uomo e delle capacità interpretative individuali che si esprime invece nel Romanticismo e nel Simbolismo. L’interpretazione dei temi che, come il cibo, riguardano la vita nel quotidiano vengono affrontati preferibilmente dagli appartenenti alla prima scuola di pensiero. L’approccio pseudoscientifico degli impressionisti, più che l’atteggiamento sognante dei simbolisti, si presta meglio ad affrontare gli aspetti di un quotidiano necessario come quello del nutrirsi e da Manet a De Nittis vengono dipinti particolari e suggestivi déjeuners. Tra il XIX e il XX secolo, rapidamente tutto si trasforma, si dà voce alle sensazioni interiori per mezzo dei colori, ogni tradizione artistica viene messa i discussione, la realtà è sistematicamente smontata e artificiosamente rimontata. Riferendosi agli interni fiamminghi del Seicento, I mangiatori di patate di Van Gogh, cinque contadini sgraziati e irruviditi dal lavoro rurale sono volumetricamente costruiti da una luce direzionale avvolgente e polverosa. Nella Natura morta con tre cuccioli di Paul Gauguin le pere, la ciotola del latte, i cuccioli, le tazze, semplificati nella forma da un netto contorno che li disegna, vivono in uno spazio volutamente piatto, senza profondità. La frutta dipinta da Cézanne in un gran numero di tele, dai colori vivaci, svela la ricerca della geometria delle forme per ricondurre la realtà a tre figure geometriche di base: cono, sfera e cilindro. I frutti e gli oggetti, disposti con studiata casualità, si dislocano in prospettive deformate e con svariati punti di vista, vivendo una propria dimensione, non naturalistica, ma dinamizzante lo spazio. Questi sono tutti esempi della trasformazione del genere pittorico, che ha ormai perso ogni valore allegorico e che cono- pag. 5 scerà una e vera e propria rivoluzione formale e concettuale con Picasso, Braque e Duchamp, assumendo gradatamente una fisicità sempre più astratta a vantaggio della sublimazione della struttura compositiva degli oggetti. È nell’ambito della Pop Art americana che la raffigurazione degli oggetti in particolare di tipo alimentare rivive nuovi splendori. Nell’esaltazione del prodotto commerciale, industriale e consumistico, insistendo sulla sua seduzione dovuta al fascino dei colori e delle forme, Wayne Thiebaud, ad esempio, dipinge feticci della società dei consumi: nell’invogliante esposizione delle Torte diverse, i dolci, abbondantemente esposti come in vetrina, da appetibili sopra Wayne Thiebaud: Torte diverse - San Francisco Campbell Thiebaud Gallery a lato Andy Warhol: Four Colored Campbell’s Soup Can - Rovereto, MART composti commestibili, diventato nella loro chiassosità cromatica impasti sintetici esprimendo proprio quell’elogio dell’apparenza delle società consumistiche. Il cibo, in qualità di bene consumabile o di materiale simbolico, è sempre stato considerato nelle espressioni artistiche di ogni tempo e an- che se a titolo e con forza diversa è costantemente riuscito a comunicare la propria pluralità sensoriale: gli aspetti di un realismo quotidiano, le interpretazioni simboliche più nobili esaltanti l’animo umano e quelle decisamente più prosaiche della seduzione della gola o di voracità più allusive. francesca bardi