Crisi e missioni … e la missione? - Centro Missionario Diocesano di

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Crisi e missioni … e la missione? - Centro Missionario Diocesano di
Stiamo cercando di scoprire sempre di più cosa vuol dire missione.
Non ci basta più positivamente fare qualcosa per i poveri, vorremmo lasciarci interrogare
sempre di più nei luoghi esistenziali della vita per scoprire tutto quello che dobbiamo “essere” .
Una riflessione che è sempre da scrivere…
Crisi e missioni … e la missione?
E’ un tempo difficile! La considerazione, più banale che mai, è quanto mai attuale.
Purtroppo.
La macro economia delle borse gioca a mosca cieca, il debito pubblico degli stati cavalca ed
i soldi in tasca alla gente sono sempre di meno, sempre più vuota la saccoccia. E’ una crisi
che sembra implacabile e che, ai più, non appare per nulla vera, perché assoluta novità.
Pochi ricordano, per limiti d’età, le crisi del passato ed i tempi degli stenti e della fatica
dell’immediato dopo guerra sono ormai lontani. Il grande tritacarne dell’economia per lo
più non ci appartiene, per un linguaggio lontano dal vissuto e per immancabili tranelli
mediatici ma, la fatica di arrivare a fine mese ed il conto in banca sempre più magro, sono
realtà per molti.
Dice il nostro Presidente del Consiglio che “ristoranti pieni” e “voli aerei esauriti”
sono segno di una crisi che non c’è, ma le fette di salame sugli occhi, grazie a Dio, è da
tempo che non si usano più e di famiglie in reale difficoltà ce ne sono tante.
La disoccupazione percorre il territorio nazionale implacabile e senza guardare in
faccia a nessuno. Che poi qualcuno su questo abbia l’ardire ed il coraggio di speculare pro
domo sua è, ancora una volta, una terribile realtà.
Che un uomo con responsabilità politica osservi la realtà con autocompiacimento e
desiderio di rivendicare i propri pseudo successi in un contesto come quello odierno, suona
davvero fuori posto e, soprattutto, irrispettoso.
“La politica - diceva Paolo VI°- è la più alta forma di carità” e la carità ha nel cuore
soprattutto i poveri.
Una politica incancrenita da interessi e completamente piegata al guadagno di pochi,
proprio dei poveri non sa cosa farsene. Potrebbe ipotizzare un taglio di bilancio… tagliando
proprio i poveri: non servono, sono improduttivi e per di più rovinano il paesaggio. Il paese
di Bengodi, tanto caro a Pinocchio, continua a trovare egoisti e superficiali pronti ad
immolarsi senza un minimo di dignità e spaventosamente disponibili a qualsiasi
compromesso pur di aver cara la pelle e continuare a vivere le proprie illusioni.
Le vittime della crisi sono, dunque, designate ed ogni meridiano ha ormai messo in
fila i suoi candidati affidandoli alla fame, abbandonandoli al proprio destino.
Non ci vuole molto per giungere a queste conclusioni dentro un contesto politicamente
ammalato.
Eppure l’appello al bene comune fa parte del tessuto sociale, civile e religioso della
nostra terra. Non siamo mai stati assenti ed avari nello scenario del mondo. Si potrebbe
raccontare di vite intere spese, in forza del Vangelo, ma anche di motivazioni professionali,
a servizio di una ricerca di equità che, in mille modi possibili, ha cercato di dare corpo e
voce alla presenza della giustizia. Si potrebbero elencare opere e sacrifici per rendere un
diritto la cura della vita, il valore dell’istruzione, il diritto al lavoro, la protezione della
legalità. Il riferimento a verbi di lotta e difesa, a principi di promozione e partecipazione,
ad esperienze di condivisione e corresponsabilità, hanno infiammato il cuore di intere
generazioni, immolato i propri martiri ed alla fine conquistato spazi di libertà.
Tutto questo non può rimanere storia perché la crisi ha i colori dell’attualità e la sua
faticosa ricerca di soluzione diventa concreta possibilità di futuro, un futuro che ci
accomuna senza distinzioni e privilegi. Di globalizzazione dobbiamo per forza vivere, ma
può essere un bene. La crisi ci globalizza nel senso che ributta ovunque i suoi tentacoli. A
quelli già più poveri chiede di più, ma agli altri fa suonare il campanello di allarme: non
può continuare così!
Il nuovo nome dello sviluppo si chiama sobrietà, perché ormai da tempo siamo fuori
dalle nostre possibilità di vita e, rotta la corda, l’ingiustizia a nessuno chiede scusa e di
ognuno si fa beffa. Esempio concreto il dramma monetario della cooperazione
internazionale alla quale, senza ritegno, il Governo chiude ogni fonte di finanziamento,
insieme alla riduzione di attenzione a chi è solo fonte di onerosi stanziamenti.
Fatichiamo a sillabare sobrietà, ma non c’è alternativa; fatichiamo ad ipotizzare una
situazione diversa, ma è reale possibilità di vita; fatichiamo a dare corpo ad eventuali
rinunce, ma le scelte sono ineludibili.
Ma potrebbe essere un bene, il nostro bene! Per noi cristiani non è faticoso
riconoscere il filo rosso che permette di tessere una trama significativa di relazioni e
condivisioni. “Avevo fame, avevo sete, ero malato, straniero, carcerato…” un racconto così
intenso che raccoglie immediatamente volti e storie, sentimenti e presenza. Un racconto
che va al cuore della vita: “l’avete fatto a me”. Non si tratta qui di teoria, non c’è da
supportare una ideologia politica e da suffragare una maggioranza, nessuna strategia di
potere, ma l’unica, vera progettualità dell’uomo: l’umanità, nella sua dimensione
esistenziale, il vivere.
Non è mai mancata nella comunità cristiana l’attenzione ai poveri. Ci sono uomini e
donne, che hanno scritto, grazie ai poveri, le pagine di santità della loro vita. E le missioni
sono il fiore all’occhiello dell’impegno della cristianità. Scuole, ospedali, orfanotrofi, poste
sanitarie, mense e poi, via via, cooperative e proposte di micro credito. Nel tempo si è
andata affinando la tattica dell’intervento umanitario e la risposta ai bisogni è diventata
sempre più esigente. C’è chi ne ha fatto una ragione sociale ed ha trovato la strada per
ritagliarsi persino un pezzo di gloria e di possibile tornaconto. E non lo dico per pensare
male. Rischiosa questa missione ridotta al bisogno, spesso trasformata nel monologo
dell’aiuto. All’altra parte, quella che per bontà si è mostrata capace di attenzione e di
generosità, è scappata di mano la consapevolezza del limite, la capacità di misurare le
proprie esigenze. Paesi ricchi e paesi poveri, poveri poveri e ricchi ricchi, la geografia oggi
non è più così essenziale, perché la geopolitica detta costantemente i suoi diritti e non è
disposta ad allentare i tentacoli, a riconoscersi dei doveri. E le missioni, pur lodevoli e
meritevoli sotto tutti i punti di vista, non sono altro che un piccolo contributo alla missione
più grande.
Su questa grande missione vale la pena di mettersi in gioco. Ed è una proposta che a
noi cristiani, proprio alla luce della crisi, offre la possibilità di dare carne e sangue,
intensità e passione, al Vangelo di sempre. La missione è una incredibile opportunità.
Economia, politica, sociologia, pedagogia e tutto quello che ruota attorno all’uomo
ridisegna spazi di credibilità, sviluppa potenzialità nascoste od assopite, libera pensieri e
scelte di responsabilità. Stare dentro questa storia è già missione. Gesù non ha cercato altri
sentieri oltre quelli della Palestina, non ha individuato altre prospettive, ma ha incontrato
l’uomo, proprio così com’è, nei suoi limiti, nel sua radicale povertà.
La missione… un inizio che non può prescindere da noi e che, qui ed ovunque, porta
a coniugare verbi di relazione, scambio, disponibilità, verbi che sono capaci di scrivere
pagine intense di politica e di economia, di solidarietà e cooperazione.
La crisi ed i poveri interrogano un sistema di vita non più sostenibile, provocano
una politica assolutamente malata di tornaconti privati, scaricano un’economia gestita a
titolo d’interesse e non di partecipazione.
La crisi ed i poveri bussano alla porta della Chiesa. Se nessuno apre il profumo degli
incensi corre il rischio di annebbiare la vista e l’illusione di salvare il salvabile si
abbandona ad un lento inesorabile degrado. La porta aperta è segno di qualcosa di nuovo,
di una disponibilità ad accogliere che compromette la vita, di una missione a cui si
appartiene senza resistenze.
Cristiani in politica, non perché più bravi, cattolici in economia non perché più
esperti, credenti nella cittadinanza non perché diversi, ma segnati dal Vangelo, questo sì
dovrebbe fare la differenza.
E la missione è ancora lunga…
don Giambattista
direttore centro missionario diocesano