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RIVISTA DI STUDI ITALIANI NOTE E RASSEGNE GABRIELE D’ANNUNZIO: UN CLASSICO DEL NOVECENTO RENZO RICCHI Firenze S iamo nel pieno delle celebrazioni per il centocinquantenario della nascita di Gabriele D’Annunzio. Tanti i libri pubblicati su di lui, numerosi i convegni. In questo quadro, spicca l’iniziativa della casa editrice Carabba di Lanciano che, dopo aver edito la ristampa anastatica di Primo Vere che già vide la luce sotto questa sigla editoriale nel 1880, ha varato un’intera collana diretta dal prof. Gianni Oliva, docente all’Università di Chieti, nella quale, ad oggi (giugno 2013), sono già apparsi ben undici volumi grazie ai quali è possibile entrare più approfonditamente nella personalità e nel lavoro di scrittore di questo autore. Ricordiamo, solo per accenni: intanto il testo dello stesso Oliva Interviste a D’Annunzio (1895-1938) di cui lo studioso ci riferirà più avanti; e poi: Carteggio D’Annunzio-Hérelle (1891-1931) a cura di Mario Cimini (799 pagine contenenti 492 documenti della corrispondenza epistolare tra lo scrittore e il suo primo traduttore francese, Georges Hérelle appunto: un corpus riunito e ordinato per la prima volta); Lettere a Natalia De Goloubeff (1908-1915) a cura di Andrea Lombardinilo (585 pagine con le lettere, che erano date per disperse, alla donna che gli fu vicina nell’ultimo periodo di permanenze alla Capponcina e negli anni dell’esilio ad Arcachon); Ariel a Mèlitta a cura di Vito Morettii (557 pagine che narrano la lunga vicenda tra il poeta e Letizia De Felici negli anni 1922-1934 del Vittoriale; Carteggio D’Annunzio-Bruers a cura di Mirko Menna e Raffaella Castagnola (116 pagine col carteggio del poeta con l’amico bibliotecario-archivista del Vittoriale nell’ultimo periodo della sua vita, 1921-1935); Vite vissute di Gabriele D’Annunzio, 277 pagine sulla costruzione del divismo e del mito dannunziani); Avrò la forza di scriverti, carteggio inedito con la giovane Ester Pizzutti a cura di Vito Moretti relativo agli ultimissimi anni di permanenza dell’autore al Vittoriale; Lettere a Barbara Leoni (1887-1892) a cura di Vito Salierno (oltre mille lettere a Elvira Natalia Fraternali, 985 pagine, un corpus fino ad oggi conosciuto solo in minima parte che contiene tra l’altro un diario del lavoro dello scrittore nel periodo forse di maggiore creatività). Infine D’Annunzio-Tenneroni carteggio a cura di Mirko Menna; carteggio 18801922 con Filippo di Titta a cura di Enrico Di Carlo; carteggio 1894-1922 con Giacomo Puccini a cura di Aldo Simeone. Al prof. Gianni Oliva abbiamo rivolto alcune domande: 560 GABRIELE D'ANNUNZIO: UN CLASSICO DEL NOVECENTO D.- Prof. Oliva, cosa ha rappresentato Gabriele D’Annunzio nella letteratura italiana del Novecento? Ha avuto maggiore influenza sulla poesia o sulla narrativa? Che tipo d’influenza? R.- Credo che sia un dato ormai acquisito che D’Annunzio sia alla base della letteratura del Novecento. Del resto sono note le affermazioni di poeti non certo “dannunzisti” come Montale e Luzi i quali dicevano che non aver preso nulla da lui sarebbe stato un pessimo segno. D.- “Rinnovare o morire” rappresentava il suo “manifesto” di scrittore. Ѐ riuscito a “rinnovare” e in che modo? R.- L’espressione “rinnovarsi o morire” condensa lo sperimentalismo inesausto di D’Annunzio. All’epoca, quando l’Italia era densamente carducciana, D’Annunzio vira verso l’Europa con le liriche simboliste di Canto Nuovo; quando l’Italia, alla fine degli Anni Ottanta, vedeva fiorire il romanzo architettonico-naturalista (si pensi al Mastro don Gesualdo), nello stesso anno esce Il piacere che è il primo romanzo moderno; allorché il teatro italiano languiva dietro i siparietti piccolo-borghesi del “lui, lei e l’altro”, D’Annunzio sperimenta un nuovo teatro con un ritorno all’antico che prevede parola, musica e danza. D.- Nel suo lavoro troviamo una continua contaminazione di modelli (classici e contemporanei, italiani e stranieri): quale è stato il risultato letterario di questo suo metodo di lavoro? R.- Quella che lei chiama “contaminazione” di modelli diversi in realtà è conoscenza profonda delle letterature classiche e straniere. Se per “contaminazione” poi si vuole intendere, come una volta, “plagio”, occorre rifarsi a quanto si è scritto negli ultimi anni sulla poetica dell’invenzione da intendersi come ritrovamento (invenzione da invenio). Mi permetto a riguardo di rinviare al mio D’Annunzio e la poetica dell’invenzione (Milano: Mursia, 1992). D.- Molta critica considera D’Annunzio la prima personalità italiana di respiro autenticamente europeo tra Otto e Novecento. Lei cosa ne pensa? R.- Non c’è dubbio che D’Annunzio sia uno dei pochi scrittori italiani che hanno portato l’Italia in Europa e l’Europa in Italia. D.- A suo avviso riesce, nella sua opera, ad attuare la propria opinione secondo cui c’è grande affinità tra la musica e il linguaggio? Coglie ed evoca l’armonia segreta delle cose? R.- C’è grande affinità tra musica e linguaggio. Prima parlavo della sonorità della parola. Voglio dire (come avviene anche in Pascoli) che la poesia è intesa come una sorta di tessitura sillabica, la cui scelta non è mai casuale bensì corrispondente a suoni evocativi (mi viene in mente l’espressione stagna l’azzurra caldura, ove i suoi cupi delle – u – fanno pensare alla calura di un pomeriggio estivo). Questo meccanismo porta a considerare l’essenza e l’armonia segreta delle cose. 561 RENZO RICCHI D.- Secondo D’Annunzio il poeta è un eterno “ulisside”, pensa che il pubblico abbia sete di poesia e che il futuro sia dei poeti… R.- La poesia oggi ha fatto la fine prefigurata da Baudelaire per il suo albatros, cioè tutti i marinai oziosi si divertono a torturarlo. Questa non è più l’epoca della poesia, ammesso che ci sia mai stata un’epoca della poesia. Dirò di più: la poesia viene bistrattata perché ritenuta la peggiore nemica della tendenza dominante di una società attenta al solo valore economico delle cose. Se ci sarà un’inversione di tendenza non saprei dire, ma certo non sarà a breve. D.- Cosa determina la malinconia costante che traspare dall’arte di D’Annunzio? R.- Sulla malinconia dannunziana ho scritto un libro, D’Annunzio e la malinconia (Bruno Mondadori 2007) ove facevo notare come sia superficiale fermarsi al D’Annunzio che si vede, ossia al personaggio dalla grande gestualità. In quel libro ho indagato che cosa c’è sotto l’apparenza e come la malinconia sia la cifra fondamentale dell’arte dannunziana. D.- C’è ancora interesse, oggi, per i suoi libri, oppure è il suo “personaggio” che attira di più l’attenzione? R.- Personalmente sono della cordata di quei critici che non amano molto il personaggio D’Annunzio e sono più attenti alla qualità della sua scrittura, anche se mi rendo conto che divulgare un D’Annunzio amante e guerriero sia più redditizio per i mass media. Una volta, con Gibellini, abbiamo coniato una sorta di motto: dal gesto al testo. D.- Indubbiamente D’Annunzio intuì le potenzialità del nascente cinema. Come contribuì a legittimare e ispirare lo spettacolo cinematografico? R.- Il cinema è uno dei campi di sperimentazione di D’Annunzio. La macchina delle meraviglie riusciva a rendere concreta l’immaginazione. D.- All’estero D’Annunzio è tradotto? Dove, principalmente? R.- Credo che D’Annunzio sia tradotto un po’ ovunque. In Francia lo era fin dall’Ottocento (si ricordi la collaborazione con Hérelle). Anni fa a New York le librerie erano piene dei suoi romanzi tradotti. Del resto basti pensare ai convegni di studio su “D’Annunzio e la Francia”, “D’Annunzio e le isole britanniche” e via dicendo. D.- Nella collana editoriale che lei dirige, hanno un posto di primo piano i carteggi. Quale funzione occupano questi carteggi nell’insieme dell’opera letteraria e della personalità di questo autore? R.- Nella mia collana “La Biblioteca del particolare” che dirigo per Carabba presto molta attenzione ai carteggi inediti perché credo che la documentazione privata sia la strada più oggettiva per ricostruire l’attività dello scrittore e dell’uomo. Ѐ un lungo lavoro che prosegue da anni e che ha dato già risultati notevoli: si pensi al carteggio completo di D’Annunzio-Hérelle, alle lettere a Barbara Leoni recuperate nella loro integrità, al carteggio con Annibale Tenneroni, eccetera. 562 GABRIELE D'ANNUNZIO: UN CLASSICO DEL NOVECENTO D.- Nella collana edita da Carabba lei ha scritto un libro in cui esamina l’uso che Gabriele D’Annunzio, consapevole fin dall’inizio dell’importanza dell’industria giornalistica, fece delle interviste ai quotidiani: ebbene, che ruolo occupa questo tipo di comunicazione nella costruzione del suo mito? R.- Raccogliere le interviste (poco meno di un centinaio ma avrebbero potuto essere molte di più) ha significato offrire una documentazione che altrimenti sarebbe andata perduta. Attraverso quelle testimonianze si può (almeno questa è l’impressione) entrare dentro il laboratorio o, se si preferisce, dietro le quinte. Certo, da allora è cambiata la tecnica dell’intervista. Gli intervistatori di allora erano molto rispettosi del’autore che avevano davanti e non conoscevano il giornalismo d’assalto dei nostri giorni. __________ 563