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ESPERIENZE E PROSPETTIVE DI INNOVAZIONE
NELLA SCUOLA ELEMENTARE PER UN APPROCCIO
PRECOCE ALL’ALGEBRA COME LINGUAGGIO
Nicolina A. Malara & Giancarlo Navarra
GREM, Dipartimento di Matematica, Università di Modena e Reggio Emilia
In questo lavoro si espongono gli aspetti teorici e le linee guida di un progetto
di innovazione didattica in matematica (ArAl) volto a rivisitare l’insegnamento
dell’aritmetica in chiave pre-algebrica ed a promuovere un approccio precoce
al linguaggio algebrico sin dalla scuola elementare con l’attivazione di processi di rappresentazione ed elaborazione di fatti matematici via via più complessi. Si richiamano inoltre le principali unità didattiche del progetto, ampiamente sperimentate, caratterizzandone le specificità.
1. INTRODUZIONE
La letteratura internazionale nel campo delle ricerche sull'apprendimento della
matematica e in particolare sull’apprendimento dell’algebra e sulle difficoltà ad
esso connesse - a livelli di età differenti, dagli inizi sino all'università - evidenzia la diffusione della crisi dell'insegnamento tradizionale di questa disciplina.
La ricerca degli ultimi vent’anni si è focalizzata su un grande numero di approcci possibili per sviluppare il significato degli oggetti e dei processi algebrici; fra i principali: il problem solving (si enfatizza il punto di vista dell’analisi
dei problemi e dell’equazione), l’approccio funzionale (l’uso delle lettere per
indicare la misura di grandezze e la codifica formale di relazioni fra grandezze),
l’approccio alla generalizzazione (l’uso di espressioni per rappresentare patterns geometrici, sequenze numeriche, ‘regole’).
Un ruolo determinante viene attribuito all’approccio linguistico e alle ricerche
che affrontano gli sviluppi didattici che si possono prevedere partendo da una
concezione dell’algebra come linguaggio. Questo ruolo diventa ancora più significativo se viene associato all’ipotesi di un avvio precoce all’educazione algebrica partendo da una rilettura didattica delle relazioni fra l’aritmetica e
l’algebra. Molte ricerche documentano i modi nei quali una limitata esperienza
degli studenti in campo aritmetico possa rappresentare un ostacolo per
l’apprendimento dell’algebra (si vedano i survey di Kieran 1989, 1992 o Lin1
chevski 1995). Si ritiene che l’approccio anticipato possa ridurre queste difficoltà.
L’interesse verso un avvio precoce all’algebra è recente, pochi sono gli studi in
questo campo anche se frequenti negli ultimi anni (Falcao et al. 2000, Carpenter
& Franke 2001, Carraher et al. 2001, Kaput & Blanton 2001, Lee 2001, Malara
& Navarra 2001, Schielmann et al. 2001, Warren 2001). Si stanno cominciando
a formulare delle risposte a domande come: a) quanto precoce può essere
l’algebra precoce?; b) Quali sono i vantaggi e gli svantaggi per un inizio anticipato? c) Come si collegano le risposte a queste domande alle teorie sullo sviluppo cognitivo e sull’apprendimento, e sulle tradizioni culturali ed educative
dell’insegnamento dell’algebra? d) Quali aspetti dell’algebra e del pensiero algebrico dovrebbero far parte di un’educazione algebrica anticipata? e) Un avvio
precoce all’algebra, quali conseguenze può comportare per gli insegnanti e la
loro formazione?
Quest’ultima domanda riassume uno degli aspetti cruciali relativi alla realizzabilità di esperienze didattiche innovative come quelle proposte nel progetto
ArAl.
Intrecci fra aritmetica e algebra
Il progetto ArAl si colloca dunque all’interno di quella cornice teorica che assume la denominazione di early algebra (avvio precoce al pensiero algebrico):
in esso si sostiene che i principali ostacoli cognitivi si collochino in campo
pre-algebrico, e che molti di essi nascano in modi insospettabili in contesti aritmetici e pongano in seguito ostacoli concettuali spesso insormontabili allo
sviluppo del pensiero algebrico. Numerosi fra gli studi più recenti in campo internazionale sulla didattica dell’algebra mostrano come gli studenti difettino di
appropriate strutture aritmetiche dalle quali generalizzare e come, senza la consapevolezza delle procedure in aritmetica e del modo in cui esse nascono, non
possiedano una base concettuale sulla quale costruire le loro conoscenze algebriche.
I problemi sul piano della didattica dell'algebra elementare si pongono pertanto
al livello della costruzione: (a) delle conoscenze aritmetiche di base; (b) delle
conoscenze algebriche.
Al primo livello (corrispondente grossomodo all’età fra i 6 e i 12 anni) non si
tiene sufficiente conto del passaggio all'algebra; al secondo (il cui inizio avviene tradizionalmente attorno ai 13 anni) si tende a concentrare un'eccessiva attenzione sui processi di calcolo. Il risultato è che il pensiero algebrico non viene costruito progressivamente come strumento e oggetto di pensiero parallelamente all’aritmetica ma successivamente ad essa, e viene esaltato soprattutto nei
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meccanismi manipolativi e negli aspetti computazionali. Di conseguenza, l'algebra perde alcune delle sue caratteristiche essenziali: da un lato di linguaggio
adatto a descrivere la realtà e dall'altro di potente strumento di ragionamento e
di previsione attraverso la messa in formula di conoscenze (o di ipotesi) sui fenomeni (nel nostro caso elementari) e la derivazione di nuove conoscenze (mediante trasformazioni consentite dal formalismo algebrico) sui fenomeni stessi.
Seguiamo ora una strada a ritroso. Iniziamo proponendo alcune riflessioni sulla
didattica dell’algebra nella scuola media per risalire poi, lungo i rami di un immaginario albero genealogico, verso gli ‘antenati aritmetici’ dei concetti algebrici.
Modelli potenzialmente fuorvianti
Come si è detto, l'insegnamento tradizionale dell'algebra è in crisi. Oltre alle
ragioni elencate all’inizio si ritiene che due delle probabili cause di natura didattica e psicologica siano:
• l'investimento di un tempo eccessivo nell'esercizio delle tecniche;
• il mancato riconoscimento dei blocchi psicologici e cognitivi che impediscono
l'accettazione del linguaggio algebrico da parte degli studenti.
Esperienze condotte da ricercatori in ambito internazionale con alunni di 12-13
anni (Mac Gregor & Stacey 1993, 1997, Mac Gregor & Pirie 1999, Malara
1999, Radford 2001) portano a ritenere che le nozioni di algebra elementare
non siano necessariamente difficili in sé, piuttosto che i difetti si trovino nella
pratica didattica che non tiene sufficientemente conto
a) di una diffusa inadeguata comprensione dell'aritmetica,
b) delle difficoltà di tipo linguistico connesse con l'apprendimento di un linguaggio formale.
Sulle difficoltà linguistiche ritorneremo fra poco. Ci limitiamo qui a segnalare
alcuni esempi di come pur legittimi modelli relativi alle operazioni acquisiti in
ambito aritmetico possano risultare fuorvianti, oppure inibire, delle progressioni
concettuali in ambiente algebrico.
Alcune ricerche partono dalla considerazione che il modello della moltiplicazione come addizione ripetuta appreso alla scuola elementare implica che moltiplicando e moltiplicatore siano numeri interi, per esempio: l’alunno ‘vede’ ‘5
+ 5 + 5 + 5’ come ‘5 x 4’, letto come ‘5 ripetuto 4 volte’. In seguito però, a livello algebrico, se la scrittura ‘3x’ viene riferita a quel modello, e quindi interpretata come ‘3 ripetuto x volte’, molti studenti possono perdere il controllo del
significato di fronte a quel 3 ripetuto ‘quante volte?’ perché non riescono a
‘vedere’ il numero delle volte (Navarra 2001). Oppure: se lo studente è capace
di interpretare ‘3x’ come ‘x + x + x’, cioè come ‘x ripetuto 3 volte’, il passag3
gio ad un moltiplicando non intero può costituire un passaggio logico ancora
una volta di difficile comprensione: in ‘0,3x’ ripetere x per 0,3 volte non ha
senso perché non può avere un confortante supporto concreto. Pur sapendo
dall’aritmetica che la moltiplicazione gode della proprietà commutativa, spesso
lo studente vede moltiplicando e moltiplicatore come cose aventi uno status
differente. Per esempio, in ambito algebrico: in ‘2y’ vede ‘2’ come un entità
diversa da ‘y’ anche perché, se è in grado di cogliere in ‘2y’ la proprietà commutativa, e quindi l’equivalenza fra ‘due volte y’ e ‘y volte 2’, accade che se
scrive ‘y2’, l'insegnante gli dice che ha sbagliato, e questo lo consolida nel misconcetto di quella che potremmo definire una diversità ontologica fra il numero e la lettera (naturalmente è di fondamentale importanza approfondire il
concetto di convenzione).
Linguaggio naturale e linguaggio formale
Difficoltà come queste, sorte in ambito aritmetico influenzano poi una lunga
catena di possibili errori nel momento in cui gli studenti affrontano la messa in
equazione di una situazione problematica. Alcuni esempi:
1. tentano (come ogni traduttore ingenuo) una traduzione “letterale” del testo;
2. non conoscono oppure non usano le convenzioni della notazione algebrica;
interpretano i numeri come aggettivi, e le lettere come etichette o come abbreviazioni;
3. interpretano un'equazione come sequenza di istruzioni, nel quale caso l'‘=’
significa ‘dà luogo a’;
4. non sanno interpretare testi di problemi “a traduzione non sequenziale” vale
a dire problemi nei quali l'ordine con cui i termini figurano nel testo non è
quello adeguato alla loro elaborazione matematica;
5. non distinguono chiaramente somme, prodotti e potenze (ambiguità fra
struttura additiva e moltiplicativa); 6. hanno idee confuse su rapporto e differenza.
Si ipotizza inoltre che abitudini inconsce e processi cognitivi presenti nell'uso
del linguaggio naturale possano entrare in conflitto con le procedure richieste
da un linguaggio formale. Ad esempio: ‘y è tre volte più grande di z’ viene tradotto letteralmente in modo errato con ‘y = 3 x + z’ (‘tre volte più z’) oppure
con ‘y = 3 x > z’ (‘tre volte maggiore di z’). In altre parole, si suppone che,
senza una completa consapevolezza delle procedure in aritmetica e del modo in
cui esse sono scritte, gli studenti possiedano una base concettuale troppo povera sulla quale costruire successivamente le conoscenze algebriche.
Sembra opportuno però sottolineare come gli errori e le misconcezioni degli
allievi spesso non siano né prese a cuor leggero né stupide, ma rappresentino il
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risultato di riflessioni e di tentativi ragionevoli per attribuire un senso ad espressioni matematiche altrimenti prive di significato. Alcuni potrebbero indicare ragionamenti, più che scorretti, interrotti, rappresentando così l'inizio di
riflessioni potenzialmente produttive.
2. FINALITÀ DEL PROGETTO ARAL
La costruzione collettiva di significati
L’ultima considerazione sulla presenza di riflessioni potenzialmente produttive ci riporta a quanto abbiamo scritto in precedenza a proposito dell’avvio
precoce all’algebra. Alunni giovani – forse soprattutto i più giovani, quelli dei
primi anni della scuola elementare - spesso meno condizionati dagli errori o
dagli stereotipi, più liberi, più propensi ad esprimere la loro creatività, più disponibili a mettersi in gioco – possono essere condotti a partecipare, all’interno
della classe, alla costruzione collettiva di nuovi significati proprio attraverso
l’esplicitazione di riflessioni, ipotesi interpretative, un uso anche ‘sporco’ dei
linguaggi, aspetti molto spesso destinati a rimanere confinati nel limbo di un
sofferto non detto, e a dare origine ad errori e misconcetti destinati a gravare
pesantemente sul rapporto dello studente con la matematica e, più in generale,
con la scuola.
Sul piano linguistico, alcune fra le difficoltà principali che gli alunni più giovani devono comunque affrontare quando incontrano l’algebra sono rappresentate
dal dover comprendere:
i) perché si usa un linguaggio simbolico;
ii) a quali vincoli deve sottostare un linguaggio simbolico;
iii) la differenza fra risolvere e rappresentare una situazione problematica.
La prospettiva di iniziare gli allievi all’algebra come linguaggio, in un andirivieni continuo con il pensiero dall’aritmetica, può favorire l’individuazione di
una didattica più efficace con alunni fra i sei e i quattordici anni che si fondi
sulla negoziazione e quindi sull'esplicitazione di un contratto didattico per la
soluzione dei problemi algebrici basato sul principio “prima rappresenta, poi
risolvi”. Tale prospettiva (sulla quale torneremo fra breve in modo più approfondito) sembra molto promettente per affrontare uno dei nodi più importanti
nel campo concettuale dell'algebra: la trasposizione in termini di rappresentazione dal linguaggio naturale nel quale sono formulati o descritti i problemi a
quello algebrico-formale in cui si traducono le relazioni che essi contengono. In
questo modo la ricerca della soluzione viene trasferita alla fase successiva.
Ma prima di affrontare la dualità rappresentare/risolvere, ci concentriamo su un
punto fondamentale del quadro teorico al quale fa riferimento il progetto ArAl.
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Il balbettio algebrico
Riteniamo che vi sia una forte analogia fra le modalità dell’apprendimento del
linguaggio naturale e quelle del linguaggio algebrico; per spiegare questo punto
di vista ricorriamo alla metafora del balbettio. Il bambino, nell’apprendimento
del linguaggio, si appropria poco alla volta dei suoi significati e delle regole
che lo supportano, che sviluppa gradualmente attraverso imitazioni e aggiustamenti sino agli approfondimenti dell’età scolare, quando imparerà a leggere e a
riflettere sugli aspetti grammaticali e sintattici della lingua. Nella didattica tradizionale del linguaggio algebrico si comincia invece privilegiando lo studio
delle regole, come se la manipolazione formale fosse precedente alla comprensione dei significati. Si tende quindi ad insegnare la sintassi dell’algebra trascurando la sua semantica. I modelli mentali propri del pensiero algebrico dovrebbero essere costruiti invece attraverso quelle che chiamiamo forme iniziali
di balbettio algebrico. La nostra ipotesi è che i modelli mentali propri del pensiero algebrico debbano essere costruiti sin dai primi anni della scuola elementare - nei quali il bambino comincia ad avvicinarsi al pensiero aritmetico - insegnandogli a pensare l’aritmetica algebricamente; in altre parole, costruendo
in lui il pensiero algebrico progressivamente come strumento e oggetto di pensiero, in un fitto intreccio con l’aritmetica. Partendo dai suoi significati, attraverso la costruzione di un ambiente che stimoli in modo informale
l’elaborazione autonoma del balbettio algebrico e che assecondi quindi
l’appropriazione sperimentale di un nuovo linguaggio nel quale le regole possano trovare la loro collocazione gradualmente, all’interno di un contratto didattico tollerante verso momenti iniziali sintatticamente ‘promiscui’.
Risolvere e rappresentare: prodotto e processo
Queste considerazioni ci conducono ad un aspetto delicato della costruzione da
parte degli alunni delle loro idee sulla matematica, idee che concorrono a formare quella che Schoenfeld chiama l’epistemologia dell’alunno. Ci riferiamo a
quelle convinzioni che egli elabora dentro di sé e che lo conducono a ritenere
che la soluzione di una situazione problematica (una semplice addizione per un
bambino di seconda elementare o un problema più complesso per un alunno un
po’ più grande) sia essenzialmente – o esclusivamente -: la ricerca di un risultato. Questo naturalmente comporta che l’attenzione sia concentrata su ciò che
è in grado di produrre tale risultato, e cioè l’operazione. Risolvere problemi significa, in buona sostanza, fare calcoli. L’alunno dovrebbe invece essere accompagnato ad imparare ad allontanare da sé la preoccupazione del risultato, e
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quindi della ricerca delle operazioni che consentono di ottenerlo, e raggiungere
un livello superiore di pensiero: sostituire al calcolare il “guardarsi” mentre si
sta calcolando. È il passaggio dal livello cognitivo a quello metacognitivo in
cui il risolutore interpreta la struttura del problema.
Possiamo dire che nel primo caso si punta all’individuazione del prodotto, cioè
delle operazioni che consentono di risolvere il problema, nel secondo
all’individuazione del processo, cioè delle scritture che consentono di rappresentare una manifestazione articolata del pensiero. Nel primo caso prevale
l’aspetto diacronico: i processi mentali del calcolo si svolgono sequenzialmente
nel tempo e la soluzione emerge alla fine di un’azione. Nel secondo invece la
dimensione temporale scompare: l’autore si astrae dal fare e si pone nella dimensione concettuale dell’individuazione della struttura dell’algoritmo che ha
usato. Questo è un concetto basilare per comprendere il passaggio da un modo
di pensare aritmetico ad un modo di pensare algebrico. È molto delicato perché
si collega ad uno fra gli aspetti più importanti del gap epistemologico fra l'aritmetica e l'algebra concernente i contratti espliciti e impliciti soggiacenti le due
procedure: mentre l'aritmetica comporta un'immediata ricerca della soluzione,
l'algebra, al contrario, pospone la ricerca della soluzione e comincia con una
trasposizione formale dal dominio del linguaggio naturale ad uno specifico sistema di rappresentazione.
Secondo il nostro punto di vista, come si è già avuto occasione di sottolineare,
la prospettiva che vede l’algebra come linguaggio può dunque favorire
l’individuazione di una didattica più efficace con alunni fra i sette e i quattordici anni che si fondi sulla negoziazione e quindi sull'esplicitazione di un contratto didattico per la soluzione dei problemi algebrici basato sul principio
“prima rappresenta, poi risolvi”. Tale prospettiva sembra molto promettente
per affrontare uno dei nodi più importanti nel campo concettuale dell'algebra: la
trasposizione in termini di rappresentazione dal linguaggio naturale nel quale
sono formulati o descritti i problemi a quello algebrico-formale in cui si traducono le relazioni che essi contengono e successivamente la loro soluzione.
Si ritiene quindi non solo che siano necessarie modifiche profonde
nell’insegnamento dell'algebra al livello della scuola media, ma che sia anche
opportuno anticipare alla scuola elementare l'approccio a tali problemi cominciando dall'individuazione delle concezioni didattiche più produttive per
favorire il passaggio dal pensiero aritmetico a quello algebrico.
3. ASPETTI METODOLOGICI
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Il progetto ArAl e gli insegnanti
Quanto abbiamo scritto sinora sintetizza la cornice all’interno della quale si
collocano le attività del progetto ArAl. Questo peraltro, ha come utenti principali insegnanti di scuola elementare e media che, per lo meno sino a questo
momento, non dispongono in genere di una formazione matematica universitaria, provenendo prevalentemente da una cultura umanistico-pedagogica i primi
e scientifico-sperimentale i secondi.
Esso si propone quindi agli insegnanti anche come occasione importante per
una riflessione sulle loro conoscenze (che sono poi quelle che condizionano la
scelta delle modalità attraverso le quali essi trasmettono ai loro alunni le conoscenze di base) e sulle loro convinzioni in campo matematico – si potrebbe dire
sulla loro epistemologia. Le situazioni proposte nelle Unità si sviluppano in
ambienti didattici stimolanti ma spesso non facili da gestire, e comportano per
l’insegnante numerosi aspetti delicati che coinvolgono altrettante competenze.
In altre parole, l’insegnante che intende affrontare delle didattiche innovative si
trova a fare i conti in primo luogo, come si è detto, con le sue conoscenze e le
sue convinzioni, e allo stesso tempo con un contorno di aspetti metodologici e
organizzativi tutt’altro che secondari che supportano in modo operativo una
cultura del cambiamento.
Alcuni aspetti significativi
Il contratto didattico
Controllare costantemente la chiarezza del contratto didattico in tutte le sue fasi. Questo significa, soprattutto per quanto riguarda la scuola elementare, che lo
scopo del progetto non è quello di fornire anticipatamente delle competenze
tecniche quanto di investigare su quali siano le forme più adatte per costruire
negli alunni delle concezioni matematiche favorevoli al graduale formarsi del
pensiero algebrico. Gli alunni, peraltro, devono essere resi consapevoli di quella che è l’essenza del contratto: che essi sono i protagonisti della costruzione
collettiva del balbettio algebrico. Questo significa educarli alla graduale sensibilità verso le forme anche complesse di un nuovo linguaggio favorendo la riflessione sulle diversità e sulle equivalenze dei significati delle scritture matematiche, la scoperta graduale dell’uso delle lettere al posto dei numeri,
l’applicazione significativa delle proprietà, la comprensione dei diversi significati dell’‘uguale’, le infinite rappresentazioni di un numero e così via.
La discussione su temi matematici
Attivare la discussione collettiva su temi matematici conduce a privilegiare aspetti metacognitivi e metalinguistici; gli alunni sono condotti a riflettere sui
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linguaggi, sulle conoscenze e sui processi (risolvere un problema, tradurlo in
linguaggio algebrico), a porsi in relazione con le ipotesi e le proposte dei compagni, a confrontare e classificare traduzioni, a valutare le loro proprie convinzioni, ad operare delle scelte consapevoli. Questo comporta da parte
dell’insegnante la consapevolezza dei ‘rischi’ e delle peculiarità di questa modalità didattica. La discussione favorisce le potenzialità di un pensare
l’aritmetica in chiave algebrica, e la ricerca ha ormai messo in luce come la
verbalizzazione e l’argomentazione siano dei veicoli fondamentali per la comprensione.
L’interpretazione dei protocolli
Costruire le competenze per una interpretazione fine e per la successiva classificazione delle proposte e dei protocolli degli alunni comporta confrontarsi con
una grande varietà di scritture matematiche, elaborate spesso con un uso misto e
personalizzato di linguaggi e di simboli più o meno propriamente accostati.
Questi atteggiamenti si sviluppano soprattutto quando è l’insegnante stesso a
stimolare anche la creatività, oltre che la riflessione. Gli alunni, nel momento in
cui percepiscono di essere produttori di pensiero matematico e di contribuire ad
una costruzione collettiva di conoscenze e di linguaggi, esprimono una grande
varietà di proposte quasi sempre tutt’altro che banali che, messe assieme, rappresentano un patrimonio comune a tutta la classe. È qui che diventa importante
la capacità dell'insegnante di individuare (e far individuare) le parafrasi di una
possibile traduzione corretta selezionando le traduzioni errate, ambigue, ridondanti, fuorvianti, fantasiose, e così via. Attività di questo tipo risultano importanti perché aiutano non solo l’alunno, ma ancor prima l’insegnante, a capire
che ogni consegna in campo matematico è disponibile ad una lettura a livelli
differenti, anche a seconda del modo nel quale è organizzata la sua formulazione nel linguaggio naturale
4. LE UNITÀ
Unità 1: Il progetto Brioshi (seconda elementare – prima media)
L’unità privilegia l’approccio agli aspetti linguistici della matematica. Si sviluppa attorno ad un personaggio immaginario, Brioshi, un alunno giapponese
che sa comunicare solo in linguaggio matematico e si diverte a scambiare problemi e soluzioni con classi di altre nazioni. L’unità propone attività di traduzione dal linguaggio naturale a quello aritmetico e viceversa cominciando con
semplici frasi del tipo “A 4 togli 2” e proseguendo con attività più complesse
come il ‘gioco del numero nascosto’ (“Ad un numero nascosto aggiungi quattro
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e ottieni dieci”). Si mostra come lo scambio di messaggi possa iniziare con
modalità tradizionali (simulazioni, biglietti, fax) sino ad una ‘comunicazione
matematica’ in tempo reale fra due classi attraverso una chat-line realizzata con
il software MSN Messenger Service.
Unità 2: La griglia (seconda elementare – terza media)
L’unità rappresenta una palestra per il pensiero pre-algebrico sino a divenire
campo di applicazione delle equazioni di primo grado. Si sviluppa attorno
all’esplorazione di un quadrato di cento caselle numerate da 0 a 99 e, attraverso
la scoperta di regolarità, giochi su ‘percorsi numerici’ all’interno della griglia e
su frammenti di essa (‘La mappa del tesoro’, ‘Il gioco dell’isola’, ‘L’isola che
non c’è’), situazioni problematiche anche su griglie di dimensioni differenti
dall’originale, riflessioni su modi diversi di rappresentare i numeri nelle caselle,
conduce alla generalizzazione attraverso l’uso delle lettere sino alla ‘conquista’
della griglia di dimensioni n x n.
Unità 3: Piramidi di numeri (prima elementare – terza media)
L’unità intende favorire lo sviluppo del pensiero relazionale. Attraverso
l’esplorazione di ‘piramidi’ formate da 3, 6, 10 mattoni, si giunge
all’individuazione e alla rappresentazione della rete di legami sempre più complessi fra i numeri scritti nei mattoni. Vengono enfatizzati l’aspetto binario delle operazioni e la rappresentazione non canonica dei numeri. All’inizio
l’attività si svolge in un ambiente aritmetico, per allargarsi progressivamente
verso l’algebra e la scoperta ingenua dell’uso delle lettere e delle equazioni Attraverso la riflessione sulle rappresentazioni vengono esaltati gli aspetti linguistici e metalinguistici.
Unità 4: La Matematóca & altri giochi matematici (seconda e terza elementare)
L’Unità si propone di fornire, attraverso delle varianti originali di giochi molto
noti (Domino, Gioco dell’Oca, Memory, Tombola), o altri inventati (Il gioco
delle mascherine) dei materiali che pongano gli alunni nella condizione di
ri/visitare argomenti dell’aritmetica secondo una prospettiva che ne favorisca
una visione algebrica. Allo stesso tempo, attraverso l’uso di opportuni mediatori didattici (macchie, nuvolette, foglietti, ecc.) i bambini si avvicinano al numero sconosciuto e alle sue possibilità di rappresentarlo. Man mano che i giochi
procedono, i materiali che costituiscono il loro supporto concreto si modificano
e le indicazioni scritte in linguaggio naturale lasciano il posto a semplici scrit-
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ture in linguaggio algebrico nelle quali l’incognita è rappresentata, per esempio,
dal punteggio del dado usato nel gioco.
Unità 5: Regolarità (quinta elementare – prima media)
Vengono proposte delle attività nelle quali bisogna scoprire la regolarità di una
struttura. In una prima fase vengono fatte analizzare collane costituite da gruppi
di perle diversamente colorate e variamente alternate; in una seconda fase
strutture composte da fiammiferi disposti in modo da formare case, ponti, reticoli di varie dimensioni; in una terza fregi e timbri; in una quarta successioni
aritmetiche. In ogni fase, attraverso l’esplorazione e la discussione, gli alunni
vanno alla ricerca della regolarità e successivamente le rappresentano in linguaggio matematico. La scoperta di regolarità è preziosa per la formazione del
pensiero pre-algebrico in quanto favorisce il passaggio alla generalizzazione.
Unità 6: Dalla bilancia all’equazione (quinta elementare – terza media)
L’unità costituisce un approccio al pensiero algebrico. Attraverso la soluzione
collettiva di situazioni problematiche con la bilancia a piatti si scoprono il
‘principio dell’equilibrio’ e i due princìpi di equivalenza; il passaggio
dall’attività sperimentale alla sua rappresentazione sulla carta conduce alla
‘scoperta’ delle lettere in matematica e dell’equazione. Anche gli algoritmi per
la soluzione dell’equazione vengono elaborati e raffinati progressivamente attraverso attività sia collettive che individuali, durante le quali gli alunni elaborano e confrontano rappresentazioni differenti, affinano competenze relative alla traduzione dal linguaggio naturale a quello simbolico e viceversa, esplicitano
proprietà delle operazioni, si abituano all’uso della lettera come incognita.
Successioni di problemi verbali opportunamente organizzati a livelli di difficoltà crescenti conducono gli studenti ad investigare sui problemi risolvibili
algebricamente.
Prospettive per il futuro
Attualmente il progetto si sta estendendo, altre unità sono in cantiere,
(sull’individuazione di relazioni funzionali, di proprietà aritmetiche e l’avvio
alla loro prova, sulla divisibilità), altri insegnanti sono coinvolti nella messa a
punto e sperimentazione delle nuove unità del progetto. Molto si sta attuando
per la divulgazione di queste nuove idee e soprattutto dei risultati ottenuti nelle
classi tra gli insegnanti, sia futuri - in seno alla scuola di specializzazione, sia in
servizio -nell’ambito di corsi di formazione promossi dagli enti territoriali e dal
MURST.
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Più in generale attraverso la rete telematica dell’INDIRE e dei relativi forum;
crediamo nella voglia e nella capacità dei docenti, anche di coloro che vivono
lontani dai centri di ricerca. Certo la strada è lunga ma crediamo che sia quella
giusta.
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