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DE LA BEAUTÉ DI GABRIEL DE MINUT:
IMITAZIONE CINQUECENTESCA DEL
DIALOGO DELLE BELLEZZE DELLE DONNE
DI AGNOLO FIRENZUOLA
Il profilo critico del Firenzuola è venuto a delinearsi principalmente
in base all'interesse linguistico presentato dalle sue opere, a cui si
riconosce il merito di una lingua elegante, limpida, musicale,
"derivante da un'armonica mistura di modi illustri e forme popolaresche," una lingua che tende aH'"epicurismo della p a r o l a " e che,
simultaneamente, introduce il ritmo del p a r l a t o . " Al suo Dialogo
delle bellezze delle donne si attribuisce, oltre al pregio linguistico, un
posto di preminenza nella storia della trattatistica, essendo ritenuto, quasi concordemente, "la più importante opera della precettistica rinascimentale, riguardante la bellezza muliebre" e "il più
compiuto e meglio riuscito trattatello d'estetica femminile" della
letteratura italiana.
Il valore del Dialogo dovrebbe essere ricercato anche in rapporto
alla trattatistica cinquecentesca francese che, secondo me, dimostra
di averne subito l'influsso. Il presente saggio, che non ha la minima
pretesa di esaurire l'argomento nella sua vasta complessità, vorrebbe pertanto avviarne le indagini, rivelando qualche fonte probabile. Propongo che il Dialogo delle bellezze delle donne abbia
ispirato il trattato De la Beauté di Gabriel de Minut, di cui sembra
costituire la fonte principale. Un'analisi comparata di vari aspetti
dei due trattati dovrebbe confermare quest'ipotesi e possibilmente
rilevare, entro i limiti imposti dallo spazio, la direzione su cui si
determina il metodo d'imitazione e di traduzione effettuato dal
trattatista francese.
Il Dialogo del Firenzuola, pubblicato nel 1541, preceduto da
un'epistola "Alle nobili e belle donne pratesi," consiste in due
"Discorsi," che l'autore finge avvenuti a Prato, nell'estate del 1540,
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tra cinque interlocutori: lui stesso, che si presenta nelle vesti di
Celso, e quattro bellissime donne pratesi nascoste nei nomi Amorrorisca, Selvaggia, Verdespina, e L a m p ì a d a (proprio quei nomi
ricordati dal D'Annunzio nel sonetto delle Città del silenzio).
Nel "Discorso primo delle bellezze delle donne intitolato Celso,"
capitato tra le quattro giovani, mentre stavano discutendo della
bellezza, e invitato a dire "che cosa è questa bellezza e come ha da
essere fatta una bella" (p. 479), Celso, d o p o aver premesso che "la
d o n n a è il più bello obietto che si rimiri, e la bellezza è il maggior
d o n o che facesse Iddio all'umana creatura; con ciò sia che con la di
lei virtù noi ne indirizziamo l'animo alla contemplazione e per la
contemplazione al desiderio delle cose del cielo" (p. 479), propone di
spiegare prima cosa sia la bellezza in generale, e poi "la perfezione,
l'utilità, o vero l'uso di ciaschedun membro in particolare, di quelli
però che si portano scoperti" (p. 481). Fondendo le varie definizioni di
Aristotele, Platone, Cicerone, Ficino, Dante e Vetruvio, dichiara che
"la bellezza non è altro che una ordinata concordia e quasi una
armonia occultamente risultante dalla composizione, unione e commissione di più membri diversi...bene proporzionati e in un certo
modo belli; i quali prima che alla formazione di un corpo si uniscano,
sono tra loro differenti e discrepanti" (p. 484). Prima di penetrare nel
cuore dell'argomento, istruisce il lettore nella conoscenza delle proporzioni del corpo femminile con un'esposizione sulla figura sferica,
aderente ai canoni estetici del tempo, che avevano ispirato anche la
Flora del Tiziano e l'Alcina dell'Ariosto, e accompagnando il discorso
con abili disegni tratti dall'ambiente pratese. A rendere la bellezza più
armoniosa ed equilibrata, contribuiranno i colori e le doti della leggiadria, grazia, venustà, aria e maestà.
D o p o avere, nel "Discorso primo," decomposto ed analizzato il
corpo femminile nelle sue parti costituenti, nel "Discorso secondo
della perfetta bellezza di una donna," lo ricostruisce, cercando di dare
consistenza al modello ideato nel primo. Muovendo dal principio,
condiviso dai suoi contemporanei, che la bellezza perfetta non si trova
racchiusa in nessun essere umano, propone di ritrarre la donna ideale
seguendo l'esempio del pittore Zeusi: come questi che, dovendo dipingere la divina Elena, nel tempio di Crotone, non la ritrasse da un
modello realmente esistente, ma compendiò da cinque belle fanciulle
Crotoniati le parti più belle d'ognuna, cosi il Firenzuola costruisce la
d o n n a ideale con le parti più belle, scelte da ciascuna delle quattro
avvenenti interlocutrici, d a n d o simbolicamente alla sua creazione il
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nome di " c h i m e r a . " Vengono poi descritte le particolari bellezze
del viso femminile e le altre membra di mano in m a n o .
Circa mezzo secolo d o p o , Gabriel de Minut, letterato francese di
origine italiana, partendo da premesse opposte, tenta di spiegare
cosa sia la bellezza e, identificando la bellezza ideale con un
modello di donna vivente, descrive minuziosamente le particolari
bellezze dell'ultima, nel suo trattato De la Beauté. Discours Divers.
Pris sur deux fort belles façons de parler, desquelles l'hébrieu et le grec
usent, l'hébrieu Tob, et le grec Kalon Kagaçon, voulant signifier ce qui
est naturellement beau et aussi naturellement bon. Avec la Paulegraphie ou description des beautez d'une dame tholosaine, nommée la
Belle Paule. Essendo l'autore deceduto, il volume fu fatto pubblicare dalla sorella, la badessa Charlotte de Minut, nel 1587 , e
dedicato, secondo il desiderio dello scrittore, a Caterina de' Medici.
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Il trattato, preceduto da un'epistola " A u Lecteur," è diviso in
due parti: la prima, dal titolo " P o c o a poco. De la Beauté ou Kalon
Kagaçon," la seconda, intitolata " L a Paulegraphie particulière ou
description des beautez d'une dame Tholosaine, dicte la Belle
Paule." Già la divisione, in due parti, di cui la prima tratta della
bellezza in generale e la seconda di una bellezza particolare, precedute da un'epistola, richiama la struttura generale del Dialogo delle
bellezze delle donne.
Nell'epistola al lettore, Minut si proclama "précurseur" e
"avant-coureur" della bellezza che intende rappresentare e che è
tale come Dio desidera che sia in noi, cioè "calon cagathon," 'che
vuol dire, in francese, che ciò che è bello è buono.' Dichiara, inoltre,
che il profitto che vuole ricavare, a compenso dell'olio consumato
durante quarantadue notti a scrivere il suo "traitté," è di poter destare
il popolo francese ed incitarlo a ricuperare quella 'buona bellezza' e
quella 'bella bontà' che gli erano state elargite da 'Madre Natura,' ma
che erano ormai sparite (p. 15). Paragona la lettura del suo libro ad un
viaggio 'lungo' e 'faticoso,' reso ancora più 'noioso' dalla "prolixité de
langage mal limé et mal rabotté," che conta di alleggerire con la
giustapposizione di "lardons facétieux" (più in là trasformati in "marguerites sauvages," p. 19) alle 'cose serie ed edificanti di cui tratta nei
[suoi] diversi e vari discorsi sulla bellezza' (p. 17), ed adottando "la
frase toscana, della quale, in caso simile, si serve il poeta dell'Arno per
disacerbar col diletto lo fanno" (p. 18). Conclude con un augurio,
anch'esso in italiano: "buon viaggio faccia la barqua [sic]!" (p. 19).
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La prima parte, "Poco a poco. De la Beauté ou Kalon Kagaçon,"
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consiste in trentadue capitoli che, sorretti da esempi storici, letterari,
leggende, miti, ed aneddoti, trattano di vari argomenti che vertono
tutti sul tema della bellezza in generale. Modificando, apparentemente, la teoria fìciniana, distingue poi tre tipi di bellezza, a cui fa
corrispondere tre tipi d'amore: la bellezza fisica — "beauté séditieuse
ou bien scandaleuse,...beauté de corps" (cap. XXIV-XXVI) — che
genera l'amore 'bestiale' o 'sensuale'; la bellezza spirituale — "beauté
mignarde ou bien gentille et sobrement gaillarde, [...] beauté d'esprit"
(XXVII-XXXI) — su cui si fonda l'amore basato sull'amicizia; ed
infine la bellezza religiosa — "beauté religieuse ou bien saincte, chaste
et pudique, [...] beauté d'ame" (XXXII) — bellezza superiore, in
quanto generativa di 'dilezione.' Viene definita come 'una bellezza, il
cui fiore non appassisce mai, come le foglie dell'alloro, che rimangono
verdi in tutte le stagioni,' e 'bellezza santa, casta, onesta, pudica,'
scolpita dal 'più esperto e delicato scultore di Dio,' bellezza 'adorna
dei doni dello Spirito Santo, accesa da un perpetuo amore divino e
dalla carità,' bellezza che 'si difende con l'aiuto di Dio' e che 'fa
fermare l'ardito.' E una bellezza talmente "exquise et singulière" che
'offusca ogni altra così come il sole oscura lo splendore di tutte le
altre stelle' (pp. 193-195). Minut precisa che 'non è senza ragione
che ha scelto di fondarsi su tale bellezza per far passare ovunque, e
senza contraddizione alcuna, il proposito che funge da guida al suo
trattato, vale a dire calori caga thon, cioè che ciò che è bello è anche
buono,' intendendo parlare di una 'bellezza bianca, pura, tersa, sincera, e candida che non si distingue che minimamente dalla suddetta
bellezza religiosa' (p. 196).
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Nella prima parte de De la Beauté, non si può sempre discernere
l'ispirazione firenzuolana dalla generale ispirazione neoplatonica, di
cui è permeata tutta la trattatistica cinquecentesca. Si deve rilevare,
pertanto, che le suggestioni mitologiche, le circostanze e i personaggi
storici, i riferimenti a determinati scrittori antichi, e gli aneddoti,
relativi alla donna e alla bellezza, evocati nel Dialogo delle bellezze delle
donne, si riscontrano quasi tutti puntualmente nella prima parte di De
la Beauté. Se è dubbio che si tratti solo di coincidenza, al tempo stesso
sarebbe speculativo asserire conclusivamente che gli elementi suddetti
siano esclusivamente di derivazione firenzuolana, quando invece
potrebbero essere stati desunti da altre fonti o appartenere al repertorio di erudizione dello scrittore francese, ragione per cui mi astengo dal
riportarne il lungo elenco. Nei luoghi in cui l'influsso firenzuolano è
chiaramente percettibile, si avverte che il metodo d'imitazione di
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Minut si attua attraverso una tecnica di elaborazione e di ampliamento, che si delinea sin dalle prime pagine e che si noterà maggiormente nella "Paulegraphie." Per esempio, non si limita a rievocare un
personaggio, mettendone in risalto la caratteristica principale, come
aveva fatto il Firenzuola, ma ne narra la storia completa. Tale è il caso
di Cornelia Gracco che, citato brevemente nel Dialogo (p. 490), è
sviluppato e corredato di innumerevoli dettagli nel trattato francese:
Minut ritiene necessario discutere della vita di Cornelia fino alla
morte, non solo, ma richiamare la ricca statua di marmo, fatta ergere
in suo onore dai Romani, e perfino l'epigrafe su di essa incisa (p. 191).
L'autore francese, in una tendenza tipicamente rabelesiana, sembra
voler includere il tutto nel suo scritto; ne risulta che l'argomento
principale, l'essenza, ossia la 'beauté' in generale, viene relegata in
secondo piano, soffocata da uno spirito enciclopedico che tende piuttosto allo sfoggio di erudizione. Non a torto, conclude la prima parte
del volume con una frase che rispecchia questa riflessione: "Fin de la
proposition universelle, Calon Cagathon" (p. 197).
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E nella seconda parte, intitolata " L a Paulegraphie particulière...," che è evidente l'ispirazione del Firenzuola e, in m o d o
particolare, della seconda parte del Dialogo, il "Discorso secondo
della perfetta bellezza di una d o n n a . " La "Paulegraphie," a p p r o priatamente definita "la partie la plus étrange de ce v o l u m e , " è
dedicata a Paule de Viguier, gentildonna di Tolosa, celebre per la
sua straordinaria bellezza e virtù. Soprannominata la "Belle P a u l e "
da Francesco I, fu "la merveille et l'admiration de son siècle,"
anche in età avanzata. Era sulla settantina q u a n d o il suo 'fanatico
a d o r a t o r e , ' ne fece la descrizione 'tecnica e minuziosa' delle bellezze. Secondo Lacroix, Minut, u n o degli uomini più "lettrés"
dell'epoca, avrebbe scritto la "Paulegraphie" " p o u r se donner le
plaisir de décrire in extenso les charmes le plus secrets de cette
vénérable m a t r o n e , " e l'audacia dell'iniziativa sarebbe stata giustificata dalla solida reputazione morale di cui godeva la signora de
Viguier: "si la belle Paule n'avait pas eu une reputation de vertue si
bien établie, nous dirions que son cicerone in partibus pouvait se
vanter d'avoir de la m é m o i r e . "
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La " P a u l e g r a p h i e " si apre con la proclamazione della bellezza
" g r a n d e et singulière" di Paule, 'la più bella donna che Dio abbia
mai creato.' Ella incarna il terzo tipo di bellezza, la "beauté religieuse," e, in onore di lei, Minut si propone di edificare un 'tempio
di gloria' (p. 199). Avendo già istruito il lettore, nella prima parte,
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" P o c o a p o c o " — proprio come si legge nel titolo...—, sulla proposizione di Kalon Kagathon, che tutto ciò che è bello è buono, va da sé
che la 'bellezza corporea' di Paule comporti un'altrettanta 'bellezza
spirituale.' Fedele a questa premessa, l'autore non indugia, nemmeno
minimamente, sulla descrizione delle doti morali della sua donna.
Paule è ritratta come l'essere più bello e più perfetto dell'universo:
bella come Flora — anzi alcune membra sono più belle di quelle di
Flora (p. 234) — e casta come Laura, è una "Diva" (p. 237). L'autore
si meraviglia che Jean Lemaire de Belges abbia omesso la Belle Paule
dall'Illustration de Gaulles (p. 207) e che il principe Charles IX, discorrendo, durante una cena a Tolosa, nell'estate del 1564, sulle bellezze
della città, non vi abbia incluso Paule (p. 208).
Prima di iniziare la descrizione delle membra di Paule, Minut, come
aveva fatto il Firenzuola , descrive anche lui la persona in generale,
ossia le proporzioni del corpo di Paule, i cui tratti e lineamenti del viso
e del corpo sono armoniosamente proporzionati e seguono la regola
del compasso e dei colori: "hereusement conduits avec la suite des
couleurs, nuances, ombrages et r'haussements naturels..., et en toutes
ses mesures, ordres, compas, proportions et dimensions, si bien taillée,
burinés, siseillée et compassée par la droicte reigle" (p. 209). Le
bellezze 'particolari,' che Dio ha elargito individualmente alle altre
belle donne, si trovano tutte riunite in Paule, come 'le linee che, tirate
dalla circonferenza, si congiungono tutte al proprio centro' (p. 213).
Accennando ai dotti scrittori, che avevano ritratto la donna ideale
prima di lui, e che non avevano potuto rappresentarla che attraverso
qualche bellezza 'particolare' (possibile allusione al Firenzuola, che si
era servito di quattro belle donne per ritrarre il suo ideale), si vanta che
lui, invece, può descrivere l'unica donna che possegga incontrovertibilmente la bellezza 'intera' (pp. 213-214). Insiste che Paule è 'interamente, universalmente, assolutamente, risolutamente bella': "nue,
vestue, entière ou despecée, debout, assize ou couchée, en parlant,
chantant ou se taisant, en ballant ou en cheminant, riant ou plourant, à
cheval, en coche ou à pied...en cousant,...en filant...est entièrement,
universellement, absoluement et resoluement belle" (p. 213).
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Procedendo alle "pièces" di Paule, Minut analizza in primo luogo i
capelli ("le poil"). La sua descrizione segue alquanto fedelmente quella
resa dal Firenzuola, di cui parafrasa l'intero passo sui requisiti dei
capelli perfetti e, per dimostrare l'importanza della chioma, quale
elemento indispensabile di gloria e corona della bellezza femminile,
anche lui trae da Omero, l'antica Grecia e la mitologia modelli di
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bellezze dai capelli biondi come l'oro e spinge l'imitazione fino a
trasporre lo stesso passo di Apuleio, citato e riportato dal Firenzuola:
E quando il già più volte allegato Apuleio ha mostro dove consista
la lor bellezza, soggiugne queste parole:
Tanta è la dignità della chioma, che ancor che una bellissima
donna molto sontuosamente si abbigli d'oro e di perle e di ricchissime vesti si ricuopra e con quelle fogge e quelle gale che si possono
imaginare vada addobbata, se ella con vago ordine non si avrà
disposti i capegli e con dolce maestria assettati, mai non si dirà
ch'ella sia né bella né attillata.
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che, nella sua versione, diventa:
Et à la verité, entre les particulieres beautez de la femme, il n'y en a
point qui ait esté estimée de tout temps plus seante que celle du
poil. La dignité et excellence du poil, dit Apulée, est telle, qu'ores
qu'une femme fust d'ailleurs belle e qu'elle eust les accoustrements
de sa teste, et d'autres encores plus exquis et precieux joyaux, si le
poil n'est beau et tenu comme il faut, elle ne mérite point d'estre
mise au rang des belles (pp. 214-215).
Dell'elegante descrizione firenzuolana, Minut traspone in francese
solo gli elementi che ritiene essenziali e quelli che sono più traducibili,
omettendo le espressioni più indefinite o ricercate, quali "sontuosamente," "fogge," "gale," "vago ordine," o rendendole in un tono più
familiare, prosaico quasi, per cui "che...sontuosamente si abbigli"
diventa "qu'elle eust les accoustrements"; "se con vago ordine non si
avrà disposti i capegli e con dolce maestria assettati" diventa "si le poil
n'est...tenu comme il faut."
Nel saggio sulla chioma femminile, Minut, pur seguendo abbastanza da vicino il Firenzuola, fa prova di una certa indipendenza
(anche rispetto ai suoi contemporanei): apporta un cambiamento alla
scelta del colore. Concede si ai capelli di Paule tutti gli attributi della
perfezione, ma li ritiene belli per un ulteriore motivo: invece di
essere solo " b i o n d i " e "simili a l l ' o r o " (Firenzuola, p. 522), sono
addirittura di colore d'oro argenteo (non dimentichiamo che Paule
aveva più di settant'anni!), il che dona più 'bellezza' e 'ricchezza'
alla chioma: "la couleur de l'or..., à la verité, est belle, mais quand la
couleur de l'argent y est entremeslée, comme, à ce que l'on peut
veoir, elle est en la chevelure de nostre Paule, le poil, que l'on
n o m m e par cela poil argentin, n'en est que plus riche et plus beau
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" ( p . 216). Con ovvia allusione alla scienza astrologica, arguisce il
pregio dei capelli biondo-argentei, sostenendo il valore dell'argento, il quale, come l'oro, estratto dalla terra 'non è che terra
affinata,' — è un metallo prezioso:
d'autant que, outre ce qu'il en est plus delié et undé, il semble
proprement advis qu'ils se tirent en quelque façon de la terre là où
se tire l'or, qui n'est qu'une terre affinée, pour s'approcher de plus
pres au ciel, aux fins de rapporter par là à la naissante aurore, qui
son teint d'or de lys decore pour nous rendre nostre jour (p. 216).
La descrizione dei capelli di Paule, che viene ripetuta tre volte,
mentre non aggiunge nulla di nuovo alla loro bellezza, concede all'autore lo spunto per lanciare rimproveri, atteggiandosi a moralista, alla
moda del secolo, per seguire la quale, gli uomini si facevano crescere i
capelli fino a ricoprirne le spalle, a guisa di "capot," "comme si la forêt
n'estait grande assez pour y nourrir des bestes grises" (p. 218), mentre
le donne se li tagliavano. Dalla moda, che definisce "superfluité" (p.
219), ritorna ad un ennesimo elogio del "poil paulin," "beau poil
naturel et naïf, un poil ondé, un poil fin et delié, un poil grand et
plantureux, un poil ramé et argentin, un poil bien conduit et mené..."
(p. 219) che è una traduzione letterale dei capelli "sottili, assettati,
crespi, copiosi, lunghi, risplendenti e bene abbigliati" della descrizione
del Firenzuola (p.524), eccetto per l'aggettivo "risplendente," che però
è pur sempre implicito nel termine "argentin." Finalmente, la tirata
sulla chioma di Paule si conclude e con una punta spiritosa: 'Or via, ci
si è soffermati troppo a lungo su un "poil", passiamo ad altro;
andiamo, sta annottando' (p. 219).
Nel ritratto della fronte, Minut richiama il Firenzuola prima implicitamente, nell'attribuire anche a Paule una fronte simile a quella di
'Flora, che è stata stimata bella a causa della fronte, secondo la
descrizione che ne è stata fatta' (p. 219), e poi più esplicitamente,
descrivendola "grand et large, sans ply, sans ride ni macule, sans
pointe, brosse ni eleveure" (p. 219), traducendo cosi, quasi alla
lettera, la descrizione firenzuolana della fronte che " h a da essere
spaziosa, cioè larga, alta, candida e serena...senza crespe, senza
panni...quieta e tranquilla," tale da generare " u n a certa contentezza nello animo di chi la m i r a " (pp. 526-527). Ugualmente, per
Minut, la fronte è "la touche, l'indice et la vraye marque de l'esprit,
représentant, comme qui le verrait dans un miroir, l'humeur, la
nature et la complexion de la personne qui la p o r t e " (p. 220), per cui
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una fronte distesa esorta "à se despouiller de tristesse et melancolie,
vraye gresle de champ de l'esprit, et se revetir de joye et allegresse,
vrayes conservatrices de la vie et santé de l ' h o m m e " (p. 222). Paule,
la cui fronte possiede tutte le qualità della bellezza perfetta, "est
douée d'une grande bonté, sagesse, erubescence, modestie et
attrempence" (p. 220). Minut, come aveva fatto nella descrizione
dei capelli, ora, anche in quella della fronte, cade in abbondanti
ripetizioni, senza aggiungere nulla al concetto principale del testo
originale. Notiamo, da parte sua, la preoccupazione di voler spiegare, il più esplicitamente possibile, come per poter riuscire a
persuadere il lettore della veridicità delle sue asserzioni.
Il Firenzuola aveva esaltato gli occhi, le "luci," nei quali si posa
"il più perfetto di tutti i sentimenti, e per lo quale l'intelletto nostro
piglia, come per finestre di trasparente vetro tutte le cose visibili,"
ponendoli in altro perché "speculatori dell'universo" (p. 501).
Minut riproduce fedelmente la descrizione firenzuolana delle p r o porzioni, il taglio e la funzione degli occhi — traducendo anche
quasi alla lettera l'espressione "i due maggiori luminari," a cui il
Firenzuola ne aveva paragonato lo splendore (p. 527), in "les deux
soleils j u m a u x " (p. 222) — allontanandosene solo nella scelta del
colore. Il Firenzuola, nel riferire esempi di donne dagli occhi belli,
aveva accennato accuratamente ad entrambe le tradizioni relative
al colore degli occhi di Venere, lodati neri da alcuni e "pendenti nel
color del cielo" da altri, concludendo che "l'uso commune par che
abbia ottenuto il tané oscuro tra gli altri colori ottenga l'occhio il
primo g r a d o " (p. 528). D o p o aver enumerato anche lui donne dai
begli occhi, quanto a Venere, Minut si limita ad evocare la Venere
dagli occhi celesti, consacrando il celeste come il colore ideale degli
occhi della donna bella, soprattutto perché tale colore rappresenta
il colore del cielo e Dio, nell'aver concesso occhi celesti a Paule, le
avrebbe donato 'i colori del luogo in cui Egli abita, per dimostrarci
che, non avendo nulla di terrestre, ella è interamente celeste e che,
venuta dal cielo ad abitare in terra tra i mortali, da immortale,
ritornerà a vivere tra i beati q u a n d o sarà richiamata in cielo' (p.
223) — idea, questa, che risente del dolce stil novo, ma che si accosta
anche, in m o d o particolare, a Charles d'Orléans.
Nella lunga dissertazione sul colore degli occhi, biasima gli
Italiani — i "messieurs de la langue de si, nommez anciennement
Ausoniens et à present Italiens" — e, pur non nominandolo, allude
evidentemente al Firenzuola come se, rigettando la descrizione
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degli occhi da lui proposta, volesse scolparsi di un'eventuale accusa
di plagiarismo e far passare inosservata la sua ispirazione al trattato
del fiorentino. Firenzuola, citando Omero, aveva asserito che
questi, "volendo lodare quelli [gli occhi] di Giunone, disse che egli
erano simili a quelli del bue, volendo inferire che egli eran tondi,
rilevati e g r a n d i " (p.528). Minut, altrettanto, proclamando che,
secondo gli Italiani, "la donna, per essere tenuta bella, bisogna
ch'abbia l'occhio di bove è [sic] nero q u a n t o una t a l p a " (p. 224) —
da rilevare che l'espressione è in italiano —, accetta la similitudine
del bove (è "bien toujours d'accord"), però, quanto al colore, vi si
oppone decisamente: "je ne suis si fort affectionné aux taupes que je
veuille preferer la couleur de leur robe à celle du ciel" (p. 224).
Giustifica la sua scelta con pretese moralistiche e con una dimostrazione della preminenza del chiaro sullo scuro, adducendo paragoni tra
la donna dai capelli chiari e quella dai capelli scuri. Questi, per i
Lombardi, sarebbe sinonimo di "buona roba" essendo loro dell'opinione che la donna "qui retire un peu sur le noir a les chairs plus ferme
que n'a la femme blanche," sebbene lui personalmente sia stato informato della possibilità del contrario da un amico ubriaco...(p. 225).
Prosegue, annunciando che, in fondo, egli preferirebbe sempre le
piume del cigno a quelle del corvo. Nel frattempo, il celeste, da cui era
scaturito l'excursus, è sparito completamente sotto un apparente sfoggio di erudizione, corredato da innumerevoli esempi storici e mitologici, giustapposti ad un preteso moralismo, che culmina nell'apoteosi
del bianco, nei versi, tratti da Orazio, in cui si loda Briseide che, bianca
come la neve, fece invaghire di sé il valoroso Achille. Anche questo
saggio sugli occhi è ovviamente animato dalla preoccupazione dell'autore di ottenere una maggiore verosimiglianza sul piano razionale,
preoccupazione che, in questo caso, oltre a rasentare l'irrazionale, lo
spinge facilmente fuori tema e contribuisce ad appesantire la prosa,
nonostante la presenza di varie espressioni divertenti.
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Esaminando il naso, la descrizione resa da Minut come "frontiere et
aboutissement de ces deux beaux sourcis..., laquelle separe la lumiere
des yeux l'une de l'autre, et y sert comme d'un muraille pour le munir
et fortifier" (p. 227) è una traduzione quasi letterale della descrizione
del Firenzuola: "Dai confini delle ciglia nasce il Naso e terminasi sopra
la bocca...il quale lievemente innalzandosi pare che ponga un termine
tra l'uno occhio e l'altro, anzi sia un loro bastione" (p. 502). E, come il
fiorentino, anche questi, dopo aver passato in rassegna diversi tipi di
naso, conclude con un proverbio, " Habes nasum" ("tu as un beau nez,
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comme si l'on voulu dire: Tu es un gausseur, tu te sçais gentiment
mocquer des personnes," p. 228) che modifica leggermente quello
citato del Firenzuola: "Est homo emunctibus naribus che significa: egli è
uomo che ha le nari asciutte" (p. 535).
La stupenda descrizione firenzuolana della guancia come "un candore ombreggiato di vermiglio" (p. 534) non si presta facilmente ad
una traduzione letterale ed è trasposta nel trattato francese come
"quelque petit trait de rose vermeille, qui sert comme de r'haussement
à la grande blancheur qui est en icelle" (p. 232). Pur disponendo di un
lessico limitato, Minut, se esegue una traduzione meno poetica,
rimane pertanto conforme all'idea del testo originale, che riesce a
riprodurre abilmente, cambiando l'ordine degli elementi, elaborandoli, e sovrapponendone altri. La frase intera è tutta tesa a mettere in
risalto il "candore" della guancia, che risulta efficacemente dal
contrasto tra la 'grande bianchezza' — ulteriormente determinata
dall'espressione 'che si trova in essa'— e 'qualche piccolo tratto di rosa
vermiglio,' la cui funzione è esplicitamente ritratta: 'serve a mettere in
risalto la grande bianchezza che è in essa.' Per poter rendere in francese
la concisa definizione firenzuolana, Minut è dovuto risalire alla causa
(il colore) e spiegarne la funzione ("r'haussement"), al fine di poter
dimostrarne l'effetto (il "candore"). Trasposizione ed elaborazione
dovute indubbiamente ad esigenze linguistiche, ma che, molto probabilmente, aderivano anche, in fondo, ad un clima e sensibilità diversi,
per cui, anche alla poetica trasparenza della delicata immagine del
Firenzuola — "candore ombreggiato di vermiglio" — corrisponde
una visione più razionale e realistica. Visione che si manifesta più
intensamente nella descrizione della bocca e del sorriso, dove prevale
la preoccupazione di concretizzare le immagini e spiegarne gli effetti
che esse suggeriscono.
Il Firenzuola, dopo aver descritto la bocca "orlata con quei due
labbri quasi di coralli finissimi, in similitudine delle sponde d'una
bellissima fonte" (p. 503), e i denti, che devono essere "piccioli, ma non
minuti, quadri, uguali, con bello ordine separati, candidi e allo avorio
simili," abbelliti da "gingive che...paiono orli di raso chermisino" (p.
537), si sofferma sul "riso," il quale, "quando sia bene usato, a tempo e
con modestia, fa diventare la bocca un Paradiso-; oltre a che egli è un
dolcissimo messaggero della tranquillità e del riposo del core" (p. 504),
con un'allusione diretta alla Repubblica di Platone. Altrove, aggiunge
che, con movimenti aggraziati, la bocca "apre, anzi spalanca il paradiso delle delizie e allaga d'una incomprensibile dolcezza il core di chi
- 20-
lo mira disiosamente" (p. 537). La bocca è anche "la siede degli
amorosi baci, atti a far passar le anime scambievolmente ne' corpi l'un
dell'altro; e però quando noi pieni di estrema dolcezza intentamente gli
rimiriamo, ci pare che l'anima nostra stia sempre per lasciarci, tutta
vaga di andare a porvisi sopra" (p. 503).
Del testo italiano, l'autore francese riesce a tradurre agevolmente le
espressioni di per sé concrete ed esplicative, più atte quindi ad essere
tradotte alla lettera. La bocca di Paule, che è "une bouche qui efface en
beauté toutes les bouches" (p. 230), mostra gengive di "corail" (p. 231)
e denti più bianchi dell'alabastro e simmetricamente disposti: "si bien
posées et par un ordre compassé et proportionnément mesuré, si bien
rangées...pour suivre, aux derniers rangs, la simetrie de l'architectale
denteleure" (p. 231). Ma la discreta sensualità, implicita nella bocca
descritta dal Firenzuola come "fontana di tutte le amorose dolcezze"
(p. 535), nell'immagine del Paradiso suggerita dal sorriso, in Minut si
definisce in termini di chiarezza logica, in precisione di circostanze e di
segni che ritraggono l'effetto del sorriso di Paule sul marito, alludendo
alle azioni che inevitabilmente provocherà:
je ne fais aucun doute que quand son mari jette l'oeil dessus, il ne
soit tout aussi tost induit à getter pareillement sa bouche, pour en
crocheter, bouche contre bouche, un joli petit friant baiser, qui luy
sert comme d'approche au fort qu'il pretend la nuict suivant
assaillir at peut estre sur l'heure mesme. Qui le sait? (p. 232)
Osserviamo, nella versione di Minut, il passaggio dal piano concettuale ed astratto al piano puramente umano, il contrasto tra l'idea ed il
sentimento che tale idea ispira. Il Firenzuola, nella descrizione della
bocca, che è tracciata su uno sfondo di contemplazione e di impalpabilità, reso dalle espressioni "quando noi pieni di estrema dolcezza gli
rimiriamo...pare...l'anima...stia...vaga...," ritrae suggestivamente, tramite il desiderio del bacio che essa suggerisce, l'allusione al ben noto
concetto neoplatonico dello scambio delle anime. Nel trattato di
Minut, l'idea del bacio non rimane allo stato di aspirazione: il "pare" è
stato eliminato e sostituito da 'non ho nessun dubbio'; non solo si
realizza concretamente nel bacio che il marito darà a Paule, ma la
concretizzazione dell'idea (il bacio) si definisce ulteriormente in successive immagini consequenziarie. Si ha l'impressione che l'immagine
prima (l'idea del bacio) non riesca allo scrittore abbastanza efficace si
che egli senta il bisogno di illustrarla a sua volta con altre immagini,
- 21 -
allontanandosi, cosi, dalla semplicità ed immediatezza dell'originale.
Agnolo Firenzuola, nel suo trattato, si era astenuto dal ritrarre le
altre membra della donna, spiegandone il motivo con una fonte
ciceroniana, da lui citata (De Natura Deorum, II, 57), secondo cui la
natura avrebbe provveduto, con "occulto rimedio," a situare
quelle membra, per virtù delle quali la bellezza risulta più virtualmente...in luogo eminente, acciocché meglio si potessero riguardare da ognuno; e per di più, con tacita persuasione indusse gli
uomini e le donne a portare le parti di sopra scoperte e l'inferiori
coperte; perciò che quelle, come propria sede della bellezza, si
avevano a vedere e le altre non era cosi necessario, perché sono
un posamento delle superiori e come una base (p. 481).
Anche Minut sostiene che la natura, allo scopo di poter farle
ammirare, ha collocato in alto le membra più belle e più ricche, che
vanno portate scoperte, e che egli definisce l'ordine corinzio,' però si
propone di esaminare anche l"ordine dorico' e l"ordine ionico' che lo
sostengono (p. 242), precisando che la descrizione delle parti coperte è
frutto della sua immaginazione, essendo, per lui, naturale che ad una
perfetta bellezza delle parti scoperte corrisponda un'altrettanto perfetta bellezza delle parti coperte — le quali sono state viste solamente
da una persona (il marito di Paule) — (p. 237), e giustificando la sua
decisione con ragioni di carattere morale e religioso, in quanto "les
parolles ne sentent jamais mauvais, toutes choses sont nettes aux
personnes nettes" (p. 250). Identificando la bellezza di Paule, datale
dalla natura, Ministro della Provvidenza divina, con la bontà,
conclude che, a coloro, che hanno il "bien" di conoscere Paule e di
ammirare le grazie datale in abbondanza da Dio, è stato concesso di
riconoscere che ella è effettivamente "calon cagathon, c'est-à-dire,
belle bonne e bonne belle" (p. 254). È una logica tutta alla Minut,
secondo la quale la descrizione delle parti intime di una donna bella e
buona rientrerebbe nei piani della volontà divina...! Dopotutto, Paule
porta, nell'anagramma del suo nome Paule de Viguier, un aforisma
che, come osserva l'autore, è conforme alla sua vita virtuosa: "la pure
vie guide" — 'la vita pura guida' (p. 262).
La simulata impostazione religiosa del volume funge ovviamente da pretesto per giustificarne l'audacia e l'esplicita sensualità
e, nonostante il carattere di superiore idealità che avesse voluto
conferire l'autore a Paule, questi, in effetti, nel suo ritratto, assume
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un aspetto prettamente u m a n o , dai contorni e lineamenti nitidi e
concreti, perché si viene determinando nelle varie parti del suo
corpo. Ispiratosi al Dialogo delle bellezze delle donne, Minut, nel
suo trattato De la Beauté, è riuscito a rendere un " u m a n i z z a m e n t o "
(per usare un termine applicato dal Russo in riferimento alla "chim e r a " del Firenzuola ) della donna che, molto probabilmente,
non ha precedenti nella trattatistica francese. Non solo è umanizzata la donna, ma si può dire che anche il linguaggio lo sia, in
q u a n t o mette in atto il passaggio dal piano concettuale ed astratto
al piano puramente u m a n o . E nei passi letteralmente tradotti e in
quelli parafrasati, al testo originale Minut fa subire un processo di
elaborazione e di ampliamento, dove si concretizzano le immagini e
se ne spiegano gli effetti, dove i termini astratti ed indefiniti vengono eliminati e sostituiti da espressioni determinate ed esplicative,
più attinenti alla realtà umana; basti ricordare la trasposizione di
" u n candore ombreggiato di vermiglio" in "quelque petit trait de
rose vermeille, qui sert comme de r'haussement à la grande blancheur qui est en icelle."
20
La direzione in cui si risolve il metodo di traduzione e d'imitazione del trattatista francese è indubbiamente determinata, da una
parte, da un fenomeno linguistico, essendo il francese del Cinquecento un idioma in piena evoluzione grammaticale, sintattica e
fonetica, e, disponendo, in tal m o d o , l'autore di un lessico ristretto,
gretto, e riempito di italianismi non bene assimilati. È anche determinata, dall'altra, da un fenomeno psicologico in quanto l'interpretazione di Minut procede da una diversa sensibilità, che tende ad
una visione più razionale e realistica, forse quella particolare sensibilità che, rivelatasi, in un primo tempo, nella poesia petrarchesca e
petrarchista di Clément M a r o t , poi in quella dei poeti della
Pléiade, preannuncia il classicismo del Seicento: la necessità di
ragionare, di provare, la tendenza a concretizzare l'astratto, la
preoccupazione di rendere esplicite le voci del cuore alla ragione, e
di definire l'impersonale e l'indefinito in termini di chiarezza grammaticale e logica sono caratteristiche proprie dei classici
secenteschi.
21
MIA C O C C O
The University of Georgia,
Athens
-23-
NOTE
1
Adriano Seroni, ed., Introd. a Agnolo Firenzuola, Opere, I Classici
Italiani (Firenze 1958), p. XIII. Già il Parini, nel trattato De' Principi fondamentali e generali delle belle lettere applicati alle belle arti, elogiava il Firenzuola come "scrittore leggiadrissimo in prosa,...nobile, gentile ed ingegnoso
sopra ogni credere nel suo Dialogo delle bellezze delle donne..." (I.5, Opere, ed.
E. Bonora [Milano 1967], p. 785). Il Carducci ha lodato la sua elegante e viva
scrittura in prosa che fa pensare ad "una declamazione rappresentativa"
(Opere, XIV [Bologna 1936], p. 197) e Severino Ferrari paragonato la sua
prosa ad un "prato di maggio: i fioretti di color miele tra il verde dell'erba e il
gemmeo dell'aria sotto all'azzurro del cielo compongono nella varietà un
colore vaghissimo cangiante ma unico" (Agnolo Firenzuola, Opere scelte
[Firenze 1865], p. 11). Il D'Annunzio ha ammirato il Firenzuola per "la
limpida sorgente della lingua e l'amore adonistico della bellezza"( cit. dal
Russo, Novellatori e Dialoghisti del Cinquecento [Pisa 1971], p. 98).
Cesare Segre, Lingua, stile, società (Milano 1963), pp. 369-370.
Luigi Tonelli, L'amore nella poesia e nel pensiero del Rinascimento
(Firenze 1933), p. 208.
Giuseppe Fatini, ed., Introd. a Agnolo Firenzuola, Opere scelte di
Agnolo Firenzuola, Classici Italiani, 2a ed. (1966; rist. Torino 1969), p. 19.
Tutte le citazioni firenzuolane sono tratte da quest'edizione ed indicate nel
testo con il numero di pagina tra parentesi.
Ved. Firenzuola, p. 483. Questo aneddoto, di cui parlano molti scrittori
antichi, tra cui Cicerone (Rhetorica o De Inventione, II, 1, 1-3) e Plinio il
Vecchio (Nat. Hist., XXXV, 9, 64 — il quale, però, colloca l'avvenimento ad
Agrigento) è citato con frequenza negli scritti dell'epoca; ved., per es., la
celebre ottava dell'Ariosto sulle bellezze di Olimpia (Orlando Furioso, XI, 71) e
Baldesar Castiglione, Il Cortegiano, I, LIII. Aveva già ispirato Gian Giorgio
Trissino per il ritratto di Isabella d'Este (Iritratti, Roma 1524) che, a sua volta,
aveva potuto trarre ispirazione dal dialogo Immagini di Luciano, in cui
vengono descritte le bellezze della smirnea Pantea — fonti tutte e due riferite
dal Firenzuola.
"Ciascuna di voi mi darà la parte sua per il ritratto della mia chimera"
(p. 537) e, alla fine del trattato: "per dar l'ultima perfezione oramai a questa
nostra chimera" (p. 548).
Nato a Tolosa nel 1520 o 1524, proveniente da una famiglia di origine
italiana, a quindici anni fu condotto a Parigi, dove studiò giurisprudenza,
lettere, filosofia, medicina e teologia. Barone di Castera,sénéchal di Rouergue, successivamente maître des requêtes di Caterina de' Medici e gentilhomme ordinaire de la chambre, si spense nella sua tenuta di Castera nel
1587. Legato ad illustri personaggi dell'epoca, i suoi meriti furono riconosciuti dallo Scaligero, che gli dedicò i Dialoghi sui due libri delle Piante
(1556), in cui Minut figura anche come uno dei tre interlocutori, e Du
Bartas, che gli dedicò la celebre composizione "Uranie." Minut fu anche
autore di un Morbi Gallos infestantis salubris curatio et sancta medicina, hoc
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est malorum quae intestinum crudeleque Gallorum bellum inflammant, remedium (Lugduni: B. Honorat 1587), volume molto raro. La bibliografia di
Gabriel de Minut è scarsa. Le notizie biografiche sono state desunte dalla
voce "Gabriel de Minut," in : Dictionnaire des Lettres Françaises (1951),
Bibliographie Universelle (1870), Nouvelle Biographie Générale (1866). V.
anche H. Jacoubert, "Autour de Salel, Minut et Boyssoné, Annales du Midi
(1932), pp. 430-433 e La Croix du Maine et du Verdier, Bibliothèques
Françaises, Tomes I, II, e V.
Lyon: B. Honorat 1587. Successivamente pubblicato a Bruxelles (A.
Mertens et fils 1865), con l'aggiunta di una "Notice sur Gabriel de Minut"
(pp. 265-268) di Paul Lacroix. Ristampato a Genève (Slatkine Reprints
1969; ristampa anastatica dell'edizione di Bruxelles). È dall'ultima che
sono tratte le citazioni del testo di Minut, che indico con il numero di
pagina tra parentesi. Le traduzioni in italiano del testo francese sono state
eseguite da me.
"Calon cagathon, qui vaut autant, rendu françois comme de dire que
ce qui est beau est bon" (p. 16). Apparentemente, Minut ha interpretato
erroneamente il significato di Kalon Kagathon (che, nel testo, si trova
sempre scritto con la c, non con la k e, a volte, senza la h;v., per es., p. 254),
nel presumere che l'elemento del bello sia tanto importante quanto quello
del buono, poiché per Platone e gli autori successivi è il buono che definisce il
bello, e non viceversa. V., per es., Platone, Apologia, 21d e Luca 8.15. Anche
nella traduzione dall'ebraico del seguente passo dell'Antico Testamento
(Gen., I, 31), Minut appone l'aggettivo "belles" a "bonnes": "Les mots de
l'Escripture sono tels: Vaiar, elohim, eth, ascher, gassa, vehinne, tob, meod.
Cela veut dire, rendu françois: Que Dieu veit toutes choses qu'il avait faites
et les veit belles bonnes. A ceste mesme façon de parler, le Grec s'accomode
par ce mot: calon cagathon, duquel, pour estre de mesme signification
qu'est Tob, envers l'Hebrieu..."(p. 25). Sono grata al collega Timothy
Gantz per le sue preziose delucidazioni sull'uso dei due termini greci
congiunti, da Platone in poi.
Discute, per es., come la bellezza sia stata ammirata sin dai tempi più
antichi (I); come alcuni popoli abbiano rinnegato la fedeltà coniugale al
fine di poter fare avere bei figli alle mogli (IV); biasima le donne belle che si
concedono ai più giovani di loro (XX) e quelle che credono di farsi belle con
il trucco e seguendo la moda veneziana di non coprirsi decentemente
(XXI); dà consigli alle sposate per salvaguardare il matrimonio (XXII).
Possono infatti percepirsi anche influssi del Castiglione, come aveva
osservato Lacroix, a proposito della teoria della bellezza sostenuta da
Minut: "Cette théorie sur la beauté avait été, soixante ans plus tôt, très
finement et très poétiquement développée par Balthasar de Castiglione,
dans un des livres de son Cortegiano ("Notice...," p. 267). Possono inoltre
rilevarsi suggestioni e luoghi comuni presenti, per es., in La Leonora,
ragionamento sopra la vera bellezza, di Giuseppe Betussi (in Trattati
d'amore del Cinquecento, ed. Giuseppe Zonta, Scrittori d'Italia [Bari 1912],
pp. 307-350), Sopra lo amore o ver' Convito di Platone di Marsilio Ficino
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(Firenze 1544), Il libro della bella donna di Federico Luigini da Udine (in
Trattati del Cinquecento sulla donna, ed. Giuseppe Zonta, Scrittori d'Italia
[Bari 1913], pp. 221-308), Il libro di natura d'amore novamente stampato et
con somma diligentia corretto di Mario Equicola (Venezia 1536).
Lo stesso potrebbe dirsi per molti trattati cinquecenteschi di questo
genere, anche italiani; basti leggere, per es., quelli raccolti da Giuseppe
Zonta, nei Trattati d'amore... e nei Trattati del Cinque cento...(in modo
particolare Il libro della bella donna del Luigini) — v. nota precedente —
dove abbondano riferimenti storici, mitologici, aneddotici, ecc., e si noti la
presenza di citazioni in greco ed in latino.
Lacroix, p. 266. Cf. Le Roux de Lincy: "Jamais livre plus singulier
n'est sorti de la plume d'un panégyriste" ("De la Beauté," Bulletin du
Bibliophile, I [1849], n. 3, 83-86: 88).
Vedova di Baynaguet, Consigliere del Parlamento di Tolosa, passata in seconde nozze al Barone di Fontenille, Paule de Viguier (1518?1610) sarebbe stata di una bellezza talmente eccezionale che i Magistrati di
Tolosa le avrebbero ingiunto di mostrarsi al balcone del suo palazzo
almeno due volte la settimana per evitare che il popolo, privato della sua
vista, non insorgesse per la disperazione....V. Lincy, p. 87; Lacroix, p. 266;
Minut, "Genealogie de Paule de Viguier, dite La Belle," in De la Beauté, pp.
257-265.
Lacroix, pp. 266-267.
Ved. "Della Persona," pp. 525-526.
Il Firenzuola aveva trasposto altrove lo stesso passo di Apuleio:
"Tanta è finalmente la dignità della chioma, che avenga che una donna sia
ornata di perle e d'ostro, vestita di drappi mollissimi, e porti addosso tutto
il suo corredo, e non abbi rassettati i capelli, ella mai né pulita, né bella si
dirà" (L'Asino d'oro, VI, pp. 347-348). Si nota facilmente che il testo di
Minut si accosta molto di più al passo citato del Dialogo delle bellezze delle
donne.
V., per es., i seguenti versi: "Elle semble, mieulx que femme, deesse;/
Si croy que Dieu l'envoya seulement / En ce monde pour moustrer la
largesse / De ces haultz dons, qu'il a entièrement / En elle mis abandoneement..." (Ballade IX.28-32) e "...Si croy que Dieu la voulu traire / Vers lui,
pour parer son repaire / de Paradis ou sont les saints...' (Ballade LXIX.2830). Cito da Poésies, ed. Pierre Champion, Les Classiques français du
moyen âge (Paris 1971), I, pp. 26 e 95-96.
"Serva Briseis niveo colore movit Achillem / La serve Briseis, par sa
grande blancheur, / A esmeu Achille à l'amoureuse douceur" (p. 226).
"[Nel Dialogo] c'è un umanizzameno della figura della
donna Quindi si può dire che il Firenzuola laicizza la visione figurativa della
donna...." (Russo, p. 106).
Per una discussione sul soggetto, rinvio al mio volume La tradizione
cortese ed il petrarchismo nella poesia di Clément Marot, Biblioteca
dell'"Archivum Romanicum," 135 (Firenze: Olschki 1978), pp. 148, 153-157,
184-192, 212-213, 219, 246, et passim.
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