Meth_Sambiase_

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 Meth Sambiase -­ LA quasi BALLATA DEL FIGLIO E DEL MONDO (inedito) Come consegnarti mondo se sogno di cadere, e getto in frantumi le notti ma entra (al mondo) e chiamati figlio dai capelli di turbine e spaghi che somigliano al padre, arrotolato in camicie bianche su cui dorme e lavora e non s'infila mai negli sguardi lasciandoci penne e chiamandosi a nome -­‐ se padre sono/alcuni/son figli miei raminghi -­‐. Addossarti il mondo sia farti cometa come scia o come segno, in mezza frequenza in parte futuro in parte imperfetta ti lava e declina nel derma di donne e domini di fiati mio re assoluto, erano quelle che avevano bachi all'inciampo nelle foto di scuola e forse zaini fatti di strass e tapioca, lo stesso profumo che si dispiega nel mondo -­‐ ci puoi danzare con la testa per aria -­‐. In parte presente, ti peso mondi insegne ed inverni con fibre e castagne come montagne d'intarsi o di lunga ventura o in chiuse di occhi negli occhi d'intasi che solo quegli occhi diranno le insonnie del mondo mentre i fiori sbocceranno al suono di un passo -­‐ è Afrodite l'antica che si apre al tuo mondo -­‐. Di fibra e convulso si srotola il mondo ma di vetro t'avvolge, in un arazzo di gocce che appaiono e spaiono se le guardi per bene di pioggia di sale come fosse di lacrima o riflesso di mare, se per mare è il fluire o svanire e per cielo taverne e per nuvole pastori la coagulazione di una piega o una piazza -­‐ figlio figura, impastato di lingue -­‐. L'ultimo mondo, entra come una lepre lo spoglia e l'offusca saltandole in braccia ecco il futuro ma anche il passato: ha visto l'approdo e sia benedetto e sia congedato. E Lei parlerà del figlio ad ogni collega o vicina di scale o panettiera ritagliando figure (nel pane della panettiera) a mezzopunto accasciando lo scuro, legandolo al chiaro -­‐ al di là dei colori, ora vive mio figlio -­‐. da CONIUGAZIONE SINGOLARE (parte seconda) La vertebra sinuosa della dea è quella che io canto. La manutenzione in endecasillabe ne è vuota al culmine che ne da fastidio al perfetto ricordo, ne fracassa la malia illuminata resa dura, come pensiero di troppa estate. ***** I (S)compensa per quale rotta hai colluso anima e ossa su quelle che una volta si aprivano ad ali nelle riconquiste di spazio d'alcova Ti (si) chiede dove si accede in me meraviglia questo metro di gambe che misura la stanza dei sensi ad un prezzo basso come l'inguine, torto, senza corazza. L'essere bella è (tras) figura da dea nata da spuma o da una coppia di delfini che scappavano dagli zoo marini. Sopra ogni cosa, mondo sotto ogni pelle, della bellezza, si canta e non si va oltre. ***** ALTOBIANCO Sipario questo pensiero non è nero come dovrebbe resta lucido di grigio, come un suono come un nembo. Leggo in alto; c'è sempre bianco non è cinico è cinereo come questo tempo: che ti sia propizio -­‐ allora -­‐ il tempo che zampilli come gioia o s'increspi sotto il caldo di un colore slabbrato ozioso, che continua a piegare come un angolo giro l'oscura voglia di una notte vergine a cui svestirsi. Nuda. E' stata circostanza! Avevo scolorito la sciagura di aver offuscati i sensi dai ricordi. ***** II Si purifica la visione è pura bellezza (in acqua), scoperta e in buona salute non si raggiunge né si tocca né si accende. L'ombra che si muove ha il cuore di miele si spalma sui sensi e li sobilla fulva rimani sulle tue ginocchia strema l'acqua che fà da vetro è nel cristallo più puro che ti aspettano gli occhi più osceni impulsi di buio e di improvvise eruzioni si borchia a fuoco la tua schiena sei sommersa, sei strappata la versione succhiata del corpo di una dea. ***** PARANOMASIA E' monotono, non diminuisce non aumenta, si sbilancia, si trattiene un ritmo, perfino possibile da guardare, nel punto più caldo, la coscienza nera come un delta allagato. Il taglio dritto dell'abito tempera il grosso seno dalla parte del muscolo del cuore (e continua e continua e continua) l'origine è lontana dalla sua fine. Un colpo estremo di testa ma la ferma non si arrende presto se ne accorgeranno di quanto calore espande. Questo dolore mi sfrutta mi abusa mi profana e si amplifica allo sgocciolare la castità da ogni invasione dentro fuori nel corpo. Mi vedevo neofita sopra ogni morte ma il vestito che si gonfiava sulla pancia era pieno di uomini e di mani. ***** III E' nell'intercapedine di un unico filo perfetto il labirinto grasso dove ci trascina ci tira ci scambia una rozza materia dipinta, intessuta dalle mie ossa levigate. Se si trovasse (quell'istancabile filo), calmerei il respiro, come nell'alba il sogno agitato. Sacro idolo, ricomincerei da lì, dal requiem della coscienza risvegliata. Avrei un nuovo pronome per immergimi di vita indosserei per te un bolero di piume sfocerei come delta fecondo nelle tue dita ma sulle labbra le parole non sono curiose lusingano come un ammutinamento; sarò nel mai, intrecciata nell'ordito di uno spezzato taglio. MOLTIPLICAZIONE SEMPLICE Lui per Lei ha sceso le scale di un distinguo ha scosso il sorriso dalla strada ha smagliato le gocce della pioggia. Lui per lui ha messo bottoni d'oro sulla giacca ha lanciato bastoni nei fiumi ha serrato ogni porta. Il dubbio per Lei l'ha scomposta su di un letto l'ha ribaltata in una deriva le ha serrato i sensi. Lui per lei ha scurito il variare del tempo ha inventariato l'indolenza ha chiuso e riaperto le piaghe. Lei per Lui ha sillabato il suo nome come zitella ha intrecciato nocche e vergogna ha lasciato moltiplicarsi con gli zeri. La madre per la figlia ha indeterminato il ventre ha letto al contrario tutte le favole ha murato il quarto del cielo. Lui per Lei ha scelto il nome di suo figlio ha liberato gli animali dalle gabbie ha limato le spine nei legacci. ***** IV La strada è stretta per raggiungersi, solvente, liquida come un pensiero colato colorato, di quel reale pregato nelle nebbie di notte, dove tutto accade e puramente per caso. Il rumore di questa gravità che si dissipa ascolto, senza mai pronunciare una preghiera frana la memoria, ogni ferita, parte, pende, non congiungo mai le mani. Non chiederò salvezza le ginocchia sono rigide nella postura del dubbio quello che chiamavo altro è dentro oscuro. Il mio nome sopra la luce spenta è iridescente; la sopravvivenza avrà nuovi colori perpetui come la bellezza, pieni come i rantoli del silenzio. *** Una cella di servitù d'amore: è danno la forma tua, come un alveare di zolle che eruttano e si sollevano e ritornano nella schiena a dannarmi nella linea di quel sognato che sui gradini, da sveglio mi coglie a contare di pari e di dispari nei seni che avvelenano le palme un'anarchia disinvolta che imbroglia me, costruita come uno gnomo che nel poco regge un sestante per rivelare la rinuncia di una stella. LA FORMA DELLA CROSTA Da giorni si conta. Si mettono i numeri a perizia robusti come le corde degli impiccati sotto le forche, più in basso delle cave delle talpe, come rottame di zingaro, il resto dell’Altro. Non è detto che sia sera o estate, che sia questo il mestiere in cui le casse azzittiscono, che bisogna rallentare come l’urto ad un incompreso, -­‐ no, nulla da fare, il ritmo non è esatto-­‐ non c’è tono, non c’è contatto. Si aspetta. Arriverà il plauso per rovistare le somme della carità, che si gettano ai resti delle zattere volti profughi rassicurati dalla cortesia – perché gli sbagli sono sempre degli altri – . Si mostrano i denti bianchissimi, in casa la masserizia della buona famiglia che si parcheggia come un ecomostro su una spiaggia illibata. Adesso si capisce, la forma della ragione ha il feltro di un portafogli si modella come piramide di fretta le prime pietre magari gridano schiacciate ma nessuno vuole ascoltare l’offesa. O forse il contrario. È l’atomo del primo soldo a sfondare ogni corazza perfora e buca e passa nei tubi, sei soldi l’ora sei soldi un'ora clandestino da gas, come una decomposizione di quella che era stata una crosta o un ghigno d’altruismo. da LEPORIS, (in)canti Matrigni (La lepre è un piccolo mammifero. Il suo cuore è superiore all'uno per cento del peso del corpo, ciò e notevole rispetto a tutti gli altri animali. Nessuna specie di lepre è stata mai addomesticata) Solo una gatta trasale e d’incanto si trasforma in una lepre con le sue orme trapunta la strada e sparisce non si sa dove. O.E. Mandel'stam) PARTE PRIMA Ti attende il racconto delle donne senzamondo la santa serra degli uomini perenni dimentichi delle zampe a nome di gambe. Povere le radici, si scarniscono nel lutto dell'orgoglio nulla è concesso al viaggiatore inatteso, si commuove di ogni ricordo. Sarai (forse) capovolto in secca. Attendi sdraiato, molle come la moria delle risaie, dove gettarsi e lasciarsi fluire. Fluisce là, un sonno antico, la marea e la nebbia come madreperla e ti appare liquido quello che nei sogni chiamavi mare è confine il respiro dove il sangue è fratello e sorella. Ho visto di notte il mio trapasso. Ero al centro del vortice tu mi sorpassavi e quadravi la mia spirale. Avevo un ragionevole ronzio che mi assicurava al mondo come anarchica sognatrice. Mi hai indicato e son caduta dalla tana delle spine. *** Non compare ma dinnanzi appare, sulla terra, il transito di un cicatrice, di un secolo, di una donna di un ricordo. La incontravano delle bambine che raccoglievano gelsomini a chili cantando nelle ore sfiorite della prima alba. "C'è la lepre marzolina" indicavano arriverà buontempo". Dicono che le rassomigli, che la simmetria delle mie fughe abbia il dono, delle sue zampe, nel rotolare e nell'udito s'innalzano ad ogni canto di catene e di meduse: che io sia saltapicchio e spaurita, l'eco mi rifà il verso chiuse le porte, questo il mio baratro. Succhio vita, non curo le tenebre e gli spasmi non danzo nel ventre, sono vergine a quattro zampe. Erro e non dò colpa ad altra creatura, a farmi marchiare col fuoco e l'imbriglio del gancio, nel tempo del sempre io son stata il segno. (ri) Finita in un gorgo a forma d'uomo (in) finita mi son svegliata nuda ed essiccata in esilio la morbidezza dei monti di carne aspettavo che si frantumassero gli incerti letarghi sulle scale, sulle tavole, sui profumi. E' catrame la terra: le lunghe orecchie ancora difetto il collo è scatto ad un passo leggero: ma la faccia è orfana, mi scaccia da ogni immagine, divampa nei sensi e la servitù insudicia il mio letto d'erba. *********** Zampa lunga -­‐ mi hai chiamato e mi hai cercato nelle siepi. "Mettiti una virgola, un portafortuna per questo nuovo peso da sentire". L'indomito vanta ora e quanto ne pulsano, le gocce di sangue quando si sdradicano i miei di panni -­‐ ma che ti vengano dietro i vermi!-­‐ Ciò che ha, m'interra alla pazienza ai quattro cantoni delle strade che si squarciano di carezze e si ricuciono di fiati, offerte laiche e sgualdrine illudono le trombe dell'Apocalisse in una strettoia che s'incurva e attrae, e mi ha rincorso ancora nel giardino assolato che stride al suo ferro, nell'asfissia lenta del vestito da sposa, come ai cani i mea culpa dell'urina sulle ruote. Eccolo il giro! la ruota dopo la ruota i corpi ritrovati e asciugati; non c'infeltriamo stesi l'uno nell'altro: sono zolla d'argilla la sua mano mi riposa. Nel dove andrai seppur sussurro non andar via, e il fiato è nudo ancora. Metterò su casa, ne mendico campi di marmo colonne tortili come i baldacchini nelle chiese, libagioni, e filtri di te: tiritere le parole che non dici, senza grazia le penitenza, i passi che ti conducono nell'assenza . Pari e patta e tagliola vuota sul cuscino: do' il via ai profumi delle femmine forse nei mobili di cucina le prime giarrettierie rosse di gatta e di specchi giganti che in tempi di magra sospirano come gli uomini, chiodi e calendari per il dubbio dei mesi: siano ancora cortili i fili dei labirinti brilli dentro i nostri sguardi convulsi. La pelle è scuoiata ne hai fatto bandiera bianca e straccio le poesie che scrivo in verticale. Le bende, ora sono lacci per i piedi scalzi. ***** E' nel limite pur si gode la forma che dissolve una curva piena d'acqua e fra le mani le cosce, a contare il trascorrere corporale del disgelo e tu dici che la colpa è nell'essere di marzo nata in sottoveste ghirlanda di sirena in allarme che gode a girare le spalle e gli abiti a chiazze di chimera negli armadi; il canto della nuova stagione se arriverà, ne scioglierà di brina i sensi. ************ Gli zoccoli che mi percuotono sono massicci e tu mi sei carrozza, l'infante indistinguibile nelle carte di cuori. Disavveduta abbandono riserbo vento di carne ne verrà a farmi cantare senza la musica nei dischi. -­‐poveraccia te, è stralcio quest'uomo-­‐ L'attesa è come una posa biancolatte ha la pelle per chi m'incontra, violati gli angoli dove si rovesciano gli amplessi e le invidie, e le offese degli osceni nelle membra si racchiudono, e cantano alla stessa natura di fare spirale di rosa una spina di silenzio ma io ho il tuo oggetto perfetto che suda respiro! Sulla fronte posa un corno infedele al colore rosso e alle lacrime di femmina: tutto è il nulla di questo battere e ribattermi in un secolo di notte cerchiata nel fulgore della tua cenere. inedite (le sirene) Lei pure è fatta rifugio, è scesa, lo scoglio ora la guarda un altro richiamo era in amore il miraggio. E così chiara e grazia reperisce lo spirito ogni suo sapore è mansueto sporta nei fianchi, impudichi abbracci. Ha scelto e si è legata non credete ai richiami? chiedete alla terra nova dov'è approdata è un punto di sole, il caso del tempo che importa se il corpo è sirena l'amata lo è stata, intorno le batte immoto il mondo *** Lei non era un labirinto era la fine delle dodici case in un fosso di rovi nel limbo di Atlantide ma segregata per tropp’ammore s’affossava, e intorno risuonava in una muraglia d’oro e d’alcova. Si scavava d’unghie per trovare luce le sbarre erano i continenti penitenti come marinai d’elefantiasi gli anni e le finestre addosso, cui la frenesia dell’aria la dichiarava vergine e freddolosa (ma) donna persa di mattoni vuoti. Sospesa come la rima ed ecco i penitenti, i balenti, gli uomini, come ingorghi nei labirinti sfondono i sensi a pavone ma chi è rustica e vecchia s’apre alle ingiurie come scalza supplicante. *** Sono sospese le favole delle matrigne e il primo cerchio alla fine del letto contava una sagoma d’inganno l’agnizione che l’indicava era la notte a forma di madre, immateriale ma la vedeva un suono notturno al suo capezzale trova(r)ti forse un coro, mentre gli insetti giravano e le cadevano in seno il gatto abbaiava e fioriva l’aglio. Se la genesi è materna tu ballavi su quel calvario sulla pancia in me così grave (e concava) l’epigrafe femmina e il mutare del tempo ti saltava i bottoni i fili le travi le uova le preghiere nei santuari le doglie come gregge di lutto Ma nacque e sono nata, femmina indesiderata e in Atlantide si festeggiò per un lungo minuto poi un dito salmastro m’iscrisse nel libro e il nome mutò da m(adre)igno(t)ta a magra sirena. *** io d'anni mal chiusa in questo corpo occupata un'essenza, decantata dai colori, soprattutto traspaio come la miseria del giallo nella qualità della pasta e, forza, sgrezzatemi, apritemi in un canto fiducioso il noi, il non solo, l'incrocio, la zona volante dove tu mi vaghi e mi sciogli -­‐ saldati a me -­‐ come i fiori di limoni alle coste fatti adorare come un dio maschio dal volto della Luna che cade addosso *** Involontariamente nulla le era concesso le s’inginocchiava il respiro se la chiamavano cura era fulcro, fucina e sentiva l’incendio (un deserto incendiato) dipinto d’ombre nel suo corpo mutato. (s)Conosce e lo sente bussare importuno e impotente e ancora nei sensi; la metterà a morte sfasciata in una rupe in un tettuccio retrattile ma per essere sirena la vita è salsedine estinta nel taglio delle sue gambe e le dondolano gli occhi mentre le (ri) cuciono gli arti o così le sembrava. Nel dopo, si riprese, fu un autoscatto e si vide incanuta e picchio di mare un filo, un ponte d’ossa, un porto canale, ma era troppo innervata (a mare, a mare) e la nona notte la chiamò ad oltrepassare i lividi e le pysique du ròle come una dea inquartata (purché luminosa) implose e su di lei si ebbe la fine **** METH SAMBIASE Meth è Simonetta Sambiase. Studi artistici (MIchele Sovente come docente di Letteratura contemporanea) e la passione della scrittura. Ha vinto nel 2011 il Woman in Art, sezione poesia, presidente della giuria Milo De Angelis da cui nasce il libro con la raccolta vincitrice Coniugazione Singolare, postfazione della giuria del WIA. Il libro ha vinto nel 2012 il XX premio Poesia e Donna di Roma. Nel 2012 è stata segnalata al premio Giorgi, ed è stata scelta nel concorso per la V edizione di 8 poetesse per l'8 marzo. E' fra i finalisti del premio Verba Agrestia X edizione 2012. Libri di poesie pubblicati: Tempo inaspettato e Una Clessidra di grazia, edizioni Rupe Mutevole. Una Clessidra di Grazia ha ottenuto il terzo posto del premio Leandro Polverini del 2011. Una plaquette Leporis (in)canti matrigni, edizioni Limina Mentis. Leporis ha ottenuto il 2° posto al premio Città di Fucecchio 2012, e il 5° posto nel Premio Polverini 2012 E' stata segnalata nel 2011 al XIII premio San Vitale di Bologna e al II Premio Franco Fortini Varie partecipazioni in antologie, le ultime in uscita sono 100thousand poets for change, A che punto è la notte, Ai Propilei del cuore, e Il Coro, Ha curato i progetti culturale di Duplice complice e Senza abbassare lo sguardo, Fibrarosa (inserito nei Biblioday 2012 di Reggio Emilia) Tra le cose del passato, presenze in alcune antologie, fra le quali Fragmenta, della casa editrice Smasher, per il progetto di Ulteriora Mirari e alcune raccolte di Poesiaérivoluzione, Aletti Editrice, Edizioni Rei e Samperi editore; nel web, l'antologia erotica di Vir-­‐Us. Varie partecipazioni fra cui ama ricordare Le strade della Poesia di Guardia Lombardi e Poesia a strappo (Crema) Cura la pagina poetica ElegiaStella sul sito RainStars.net, ed è redattrice del blog culturale WSF. Il suo blog di poesie e pensieri vaghi è su WordPress