Leggi l`approfondimento sul fondamentalismo ebraico

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Leggi l`approfondimento sul fondamentalismo ebraico
da MOVIMENTI E TEMI DEL FONDAMENTALISMO EBRAICO
CONTEMPORANEO
di Massimo
Giuliani
Un fondamentalismo di matrice ebraica esiste ed è un fatto documentato e documen tabile, anche se è materia delicata e politicamente controversa.
L’esistenza del fenomeno fondamentalista nel mondo ebraico si spiega con il fatto che
il giudaismo ha avuto e mantiene ancora oggi una natura intrinsecamente
teologico-politica, il che implica che sia difficile tracciare una netta
distinzione tra ciò che è religioso e ciò che è politico. Tale ambivalenza, tipica
ogni ‘teologia politica’, nel giudaismo risale all’atto ‘mitico’ della sua fondazione ossia
all’epoca della codificazione della legislazione mosaica.
Come accennato, l’ambivalenza teologico-politica della natura intrinseca del
giudaismo arriva fino ai giorni nostri, fino al sionismo. Quando nasce il ‘movimento
sionista’ o meglio la costellazione dei gruppi che hanno Sion e la terra di Israele come
ideale e come obiettivo economico, sociale e politico, il giudaismo era ancora una
realtà essenzialmente religiosa, che a fatica riusciva ad affermare la propria
dimensione politica. Man mano però che questa prevaleva e si organizzava ha rimesso
in gioco anche l’aspetto religioso o teologico. Il sionismo dunque è sempre
oscillato da un estremo ideologico-politico secolarizzato all’altro estremo più
religioso, più legato alla visione tradizionale della vita ebraica. Queste due
anime del sionismo sono la declinazione moderna di una natura antica.
Tutta la storia dell’ebraismo è segnata dall’emergere di elementi radicali,
che a volte hanno sottolineato di più la missione religiosa del popolo ebraico
e a volte hanno privilegiato la dimensione nazionale e politica della realtà
ebraica.
Il momento in cui esplodono i movimenti fondamentalisti, nel senso in cui se ne parla
ancora oggi, è il periodo che va dal 1967 al 1973, ovvero dalla guerra dei sei giorni
alla guerra del Kippur, perché è il periodo in cui si risvegliano in Israele le utopie poli tico-messianiche. Questo avviene soprattutto dopo il 1967, anno della guerra con cui
Israele respinge gli eserciti arabi che l’hanno attaccata, e conquista la penisola del
Sinai e le alture del Golan e tutta la cosiddetta West Bank. Da qui nasce l’idea di una
grande Israele, dietro la quale c’è il sogno di uno Stato ebraico totale,
secondo i confini biblici, senza sottilizzare che si tratti di confini più mitici
che storici. Il 1973 vede, invece, Israele in posizione di debolezza durante la guerra
del Kippur e comincia a farsi strada la paura di dover rinunciare al sogno e di dover
reagire con stati di fatto. Questo è il momento in cui nasce un movimento che ha
avuto un’enorme influenza nella società, e non solo nella politica, israeliana, il
cosiddetto movimento del Gush Emunim. Fondato all’indomani della guerra del
Kippur, il movimento sostiene l’idea che è necessario difendere i territori
conquistati attraverso una colonizzazione di insediamenti ebraici su un
territorio che avrebbe dovuto essere tout court annesso allo Stato di Israele.
Lo Stato ebraico non ha mai annesso la West Bank. Ha annesso parte del Golan e,
dopo l’accordo tra il governo israeliano e Sadat, ha restituito il Sinai, cessione che
portò molti ad una profonda crisi in quanto la perdita del Sinai rappresentava la
perdita di un territorio potenzialmente essenziale al sogno della grande Israele. Per il
Gush Emunim il valore centrale è il riscatto della terra, perché la terra è la
prova della redenzione divina. Terra riscattata e terra redenta sono la
commistione tra un elemento storico-politico-materiale e un elemento
mitico-teologico-spirituale.
Quanto influente è stato ed è tuttora il Gush Emunim nella società
israeliana?
Da questo movimento ne sono scaturiti altri ancora più radicali, e anche la galassia
ortodossa e ultraortodossa, diventando sionista in forma estrema, a volte ha dato vita
a movimenti, gruppi e scuole rabbiniche estremamente radicali. Oppure, su altro
fronte, vi è quel bacino di pensiero religioso nazionalista o nazional-religioso da cui
sono usciti i leader del Gush Emunim e anche del partito nazional-religioso. Questa
jeshivà è stata diretta per molti decenni dal figlio di Abraham HaKohen Kook, il primo
rabbino capo ashkenazita sotto il mandato britannico, ossia rav Zvi Yehuda Kook,
morto nel 1981, colui che più ha insegnato e sviluppato la dottrina per cui la terra di
Israele è totalmente inalienabile, una volta che gli ebrei ne hanno preso possesso,
perché la terra d’Israele e lo stato di Israele sono il “fondamento del trono di Dio in
terra”. Di conseguenza, tutte le guerre che lo stato di Israele ingaggia con i suoi
nemici sono guerre benedette da Dio contro i Suoi nemici.
È da questo underground estremista che vediamo sorgere iniziative di natura
terroristica, come nel 1984 il progettato attacco agli autobus arabi durante uno
shabbat, sventato dalla polizia israeliana all’ultimo momento. Questo episodio rimanda
a quanto è successo dieci anni dopo, ad opera del fondamentalismo islamico, ossia gli
attacchi palestinesi nei confronti degli autobus ‘ebraici’ che hanno falcidiato le vite di
centinaia di cittadini israeliani. Il 1993 e il 1994, infatti, sono i due anni che
vedono una escalation di tale terrorismo di marca fondamentalista su ambedue i fronti, islamico ed ebraico.
- Il 25 febbraio del 1994 un ebreo di origine americana Baruch Goldstein entra
nella moschea di Hebron, uccide 29 arabi in preghiera e ne ferisce altrettanti.
- Il 4 novembre del 1995 l’ebreo Yigal Amir, prende un’arma e uccide l’allora Primo
Ministro dello stato di Israele, Yitzhak Rabin. Si tratta di una manifestazione di
fondamentalismo ebraico violento rivolto contro quegli ebrei che vengono
ritenuti complici del ‘nemico arabo’ o che hanno una diversa visione di dove
debba andare lo stato di Israele e la società israeliana, o di quale sia il posto
dello stato di Israele nella geopolitica mediorientale.
Entrambi i fatti rivelano qualcosa che per molto tempo era stato ignorato e
sottovalutato: ’estremizzazione del sionismo religioso fino all’atto di violenza
estrema in nome del culto dell’integrità della Terra di Israele. Stiamo parlando
di una minoranza, non certo della società nella sua interezza. Per fortuna la gran
parte della società israeliana rifiuta questi gesti e la mentalità che li
partorisce, e dunque rigetta la violenza; anzi desidera vivere in un Paese
sicuro perché ‘in pace’ con i propri vicini. Questo va da sé, ma bisogna stare
attenti con le parole, perché chi ragiona di questi argomenti spesso si espone al
fraintendimento.
Due domande sorgono spontanee:
1. Cosa è cambiato, dopo quasi due decenni, da quelle due tragedie ovvero la
strage di Hebron e l’assassinio di Yitzhak Rabin? Alla luce di queste tragedie,
come il mondo religioso dovrebbe rileggere le pagine della tradizione ebraica
stessa?
2. Quanto autentico, quanto profondo e quanto (ri)solvibile è il problema che vede
oggi contrapposta un’idea teocratico-ebraica di stato a un’idea democratica
dello stato di Israele? È vero che esiste un conflitto di valori all’interno di questo
dilemma? Oppure siamo noi ad essere incapaci di leggere la fede ebraica e le
sue fonti, e siamo inadeguati a comprendere la questione stessa?
Yeshayahu Leibowitz, pensatore israeliano contemporaneo. Insegnò e predicò per
decenni che era giunta l’ora per lo stato di Israele di considerare una qualche forma di
separazione, per dirla con linguaggio statunitense, tra stato e sinagoga, vale a dire tra
politica e religione, si riferiva a una forma istituzionale di maggior divisione tra aspetti
strettamente politico-istituzionali e aspetti religiosi nella società israeliana, dentro uno
stato che resta un fatto politico di enorme rilevanza per gli ebrei ma non un evento
religioso. Afferma:
«Esistono tra noi molte persone che creano e sviluppano ideologie e princìpi di
fede partendo da idee come quelle della conquista e della liberazione dell’intera
terra di Israele e dell’insediamento e dell’installazione in essa degli ebrei e che
pretendono di attribuire a queste visioni un significato per così dire religioso.
Sentiamo frequentemente parlare della santità della terra e del fatto che la sua
conquista e l’insediamento in essa possiedano una specie di valore assoluto. Io
ritengo che queste idee siano idolatriche ».
Forse più che fondamentalismo ebraico sarebbe quindi più appropriato parlare di
idolatria. Questo è il nome che la tradizione assegna a tutte quelle forme di
assolutizzazione di valori umani, anche nobili, anche degnissimi, ma che non sono Dio
e che, quando prendono il posto di Dio, diventano idolatria e causano ogni forma di
perversione morale oltre che di estremismo politico. Che si tratti del culto del sangue o
di quello della terra, sempre idolatria è.
da ESISTE UN FONDAMENTALISMO NELL’EBRAISMO?
di Giorgio Gomel
Il termine “fondamentalismo” non è forse appropriato al caso ebraico o comunque il
fenomeno è più complesso nell’ebraismo rispetto ad altre espressioni o aggregazioni
religiose.
Nelle definizioni correnti sono due gli ingredienti essenziali e distintivi del
fondamentalismo:
- la non separazione fra religione e politica
- fondamenti della fede, ovvero della fedeltà letterale alla rivelazione e ai testi
sacri a cui questa rivelazione è consegnata
Nel caso dell’ebraismo la questione è complessa e in parte contraddittoria. Per alcuni
versi, l’ebraismo, per sua natura, sarebbe anti-fondamentalista. È vero che c’è una
rivelazione originaria sul Monte Sinai, con le tavole della legge consegnate da Dio a
Mosè; ma a quali testi davvero questa rivelazione si è consegnata?
I cinque libri della Torah sono stati redatti in epoca molto posteriore rispetto a quella
mosaica e la Torah orale, la legge orale è stata codificata nella Mishnah e poi nel
Talmud nel V e VI secolo. Questa Torah orale ha la stessa dignità e lo stesso status di
quella scritta. In definitiva nell’ebraismo non c’è invero un testo fondamentale, bensì
una pluralità di interpretazioni, anche contrapposte.
È vero, ovviamente, che c’è un ebraismo ortodosso che affida alla legge religiosa
ebraica, desunta dalla Torah, sia scritta che orale, le norme di vita, ma esiste anche
una pluralità di ebraismi diversi, nati nella metà dell’Ottocento in Germania, con la
Riforma, poi diffusisi in Inghilterra e negli Stati Uniti. Poi ci sono gli ebrei laici, o meglio
non credenti o non osservanti, che rappresentano buona parte dei circa 13 milioni di
persone che nel mondo si dicono ebrei o si richiamano all’ebraismo.
Detto ciò, è vero che forse si può usare il termine “integralismo” più che
“fondamentalismo”.
Esiste certamente un integralismo ebraico, nel senso del connubio stretto
fra religione e politica: da un lato, lo Stato e la politica visti come attuazione di
precetti divini, dall’altro, la religione come strumento di azione politica.
All’interno del mondo ebraico si potrebbero inoltre indentificare un integralismo
“buono”, innocente, non violento, innocuo, e un integralismo certamente “cattivo”,
soprattutto in Israele dove esso si traduce in predicazione e pratica della violenza, nel
radicalismo “nazional-religioso”, molto pericoloso per il futuro della democrazia e della
pace in Israele.
Qui la distinzione la Diaspora e Israele è cruciale, in quanto, mancando nella
Diaspora da oltre venti secoli una sovranità statuale, anche l’integralismo è limitato.
Nell’ebraismo ortodosso la legge religiosa ebraica regola la vita della comunità, la
famiglia, la sessualità, la giustizia e via elencando, ma si tratta in buona parte di un
potere spirituale, limitato nei suoi effetti perché nei paesi della Diaspora c’è uno Stato,
di cui gli ebrei sono cittadini come gli altri, chiamati a rispettarne le leggi. Gli ebrei
vivono quindi in società pluraliste e democratiche che tendono a forme di vita
multiculturali, ragion per cui per gli ebrei temi come lo stato di diritto, la separazione
fra Stato e Chiesa, l’uguaglianza dei diritti, in particolare per i diversi e le minoranze,
sono molto importanti. Anche l’idea stessa di vivere in una società che diventi
autenticamente multiculturale per gli ebrei è un’esigenza vitale, forse anche per la
loro condizione di minoranza.
In Israele, invece, il contesto è radicalmente diverso, dal momento che il Governo
israeliano è composto da ebrei: persegue, riflette e rappresenta gli interessi degli
ebrei, che sono maggioritari nel Paese. Anche se formalmente Israele è uno Stato
democratico e laico, non ha una religione ufficiale e non prescrive una
particolare appartenenza religiosa come condizione per rivestire cariche
politiche, i legami fra le comunità religiose in generale e lo Stato sono
stretti, incluso il sostegno materiale dello Stato alle religioni riconosciute. Il
Ministero degli affari religiosi si occupa degli interessi delle diverse comunità, sociali,
di culto e di educazione, non soltanto degli ebrei, ma anche dei musulmani, dei drusi e
delle diverse comunità cristiane del Paese.
In virtù della legge le religioni riconosciute sono investite dal Parlamento di autorità in
materie che attengono alle persone, per esempio i matrimoni, i divorzi, i diritti civili in
generale, o anche nel governo delle rispettive istituzioni comunitarie.
Tuttavia, permane una condizione di privilegio per la comunità ebraica, che deriva
dalla nascita dello Stato e da quella sorta di compromesso storico-costituzionale
raggiunto nel maggio del 1948, nel momento della dichiarazione di indipendenza di
Israele, in cui Ben Gurion, e con lui la corrente maggioritaria del sionismo
essenzialmente laica e socialisteggiante, pose la questione di come affrontare il
rapporto con la religione.
Agli inizi dell’immigrazione ebraica in Palestina, gli ebrei ortodossi si erano divisi fra
una corrente antisionista, maggioritaria, ed una sionista, minoritaria. L’idea dei sionisti
alla Ben Gurion, laici e socialisti, era che l’osservanza religiosa sarebbe via via
scomparsa e che con la nascita dello Stato si sarebbe affermato uno stato laico e
socialista. In virtù di questo primigenio compromesso, lo stato conferiva un potere non
indifferente ai religiosi in materia di diritti civili (tribunali religiosi, matrimoni, e via
elencando) e del sistema di istruzione. In Israele, a oltre sessant’anni da quei
giorni non esistono né il matrimonio né il divorzio civile. I matrimoni sono
regolati dalle autorità religiose, siano esse musulmane, cristiane o ebraiche,
così come i divorzi. Sussistono quindi situazioni complesse e dolorose per le
coppie miste, o per i non credenti e per chi vuole contrarre un secondo
matrimonio, costretti a recarsi a Cipro o in altri paesi in quanto non possono
sposarsi nel proprio Paese.
La facile profezia dei primi anni di esistenza di Israele, secondo cui quello
religioso sarebbe stato un fenomeno minoritario destinato a scomparire, non
si è rivelata tale. Quel compromesso, che allora pareva facile e innocuo, è
stato ed è gravido di conseguenze socio-culturali.
Del resto, anche lo stesso potere politico dei partiti religiosi non è irrilevante;
aggregandoli, essi rappresentano circa il 15-18 per cento del corpo elettorale. Anzi,
considerato che il sistema politico- elettorale del paese è piuttosto frammentato, su
base proporzionale, contano moltissimo, anche al di là del loro peso elettorale, nel
formare coalizioni o nel bloccarne la formazione allorché non includano i partiti
religiosi.
Il sionismo religioso, minoritario agli inizi nei primi anni di Israele fino agli anni
Settanta, è diventato importante come fenomeno politico-culturale, con
un’impronta via via più radicale rispetto ai suoi fondamenti culturali
originari, sull’onda dell’euforia della vittoria nella guerra del ’67 e della
conquista dei luoghi sacri dell’ebraismo (Gerusalemme, Hebron). Si è affermata
un’idea di sacralità della Terra di Israele, promessa da Dio agli ebrei ed esclusivamente
a essi. Pertanto, per loro non è accettabile, non è immaginabile un
compromesso sulla spartizione di quella terra fra due stati, Israele e
Palestina, dal momento che l’integrità e sacralità della Terra di Israele sono
il fondamento del loro ebraismo. Un’eventuale decisione politica, nell’ambito
di un accordo di pace, volta a spartire questa terra contesa fra due popoli e
due Stati sarebbe esiziale, contraria alla natura del loro ebraismo.
Passaggio della lettera che il Gran Rabbino di Francia di allora, René-Samuel Sirat,
indirizzò qualche giorno dopo l’assassinio di Rabin a Shimon Peres, che aveva assunto
temporaneamente la premiership del Paese.
«Quando un valore, anche se è un valore importante, come il carattere sacro
della Terra d’Israele, si trasforma in valore assoluto, in nome del quale ci si
arroga il diritto di uccidere un ebreo, un arabo, un essere umano, esso diventa
oggetto di idolatria. In tal modo, si abbandona il monoteismo affermato sul Sinai
che ordina “non ucciderai” per abbracciare un culto straniero, quello della
violenza e dell’odio. Ci occorrono, dunque, nuovi pastori in grado di formulare
daccapo i valori fondamentali dell’ebraismo: l’amore per il prossimo, il rispetto
dello straniero, lo scrupolo di fronte alla dignità altrui, la ferma volontà di
promuovere la pace e la fraternità nello Stato, nella regione e sulla terra
intera».
da FONDAMENTO DEI FONDAMENTALISMI:
IL PUNTO DI VISTA EBRAICO
di Marco Cassuto Morselli
Alla domanda su quale sia il fondamento dell’ebraismo mi sembra di dover
rispondere: la Torah. Alla domanda su quale sia il fondamento del
cristianesimo mi sembra si debba rispondere: Cristo. Alla domanda su quale
sia il fondamento dell’islamismo penso si risponda: il Corano. Nel proseguire
l’analisi ci si dovrebbe poi chiedere quali relazioni intercorrano tra la Torah,
Cristo e il Corano.
Che cos’è la Torah? Il termine significa insegnamento, e designa in primo luogo cinque
libri, il Pentateuco, e a questi vanno aggiunti i Profeti e gli Agiografi. Occorre inoltre
tenere presente che non vi è solo la Torah scritta, vi è anche la Torah orale, che
precede e accompagna la Torah scritta. In una situazione di estremo pericolo per
l’esistenza stessa del popolo ebraico la Torah orale venne messa per iscritto nella
Mishnàh. I commenti alla Mishnah costituiscono il Talmùd.
L’alleanza con Noè è la prima alleanza presente nella Torah, e prevede l’osservanza di
questi 7 precetti:
1) istituzione di tribunali (= ogni società umana ha bisogno di giustizia)
2) divieto di blasfemia
3) divieto di idolatria
4) divieto di adulterio
5) divieto di omicidio
6) divieto di furto
7) divieto di mangiare una parte di un animale vivo (= divieto di crudeltà nei
confronti degli animali). Rispettando tali comandamenti il noachide entrerà nel mondo
a venire, ossia avrà parte alla vita eterna. Ad alcuni questi sette precetti sembrano
troppo poco per condurre una vita di alta spiritualità.
Scrive Rav Jonathan Sacks:
«L’unità in cielo crea diversità sulla terra. Lo stesso vale per le civiltà. Il messaggio
fondamentale della Bibbia ebraica è che l’universalità – il patto con Noè – è solo il
contesto e il preludio dell’irriducibile molteplicità delle culture, quei sistemi di
significato tramite i quali gli esseri umani hanno cercato di comprendere il rapporto
che li lega, il mondo e la sorgente dell’essere. L’affermazione platonica
dell’universalità della verità è valida quando la si applica alla scienza e alla
descrizione di ciò che è. Non lo è se la si applica all’etica, alla spiritualità e al nostro
senso di ciò che dovrebbe essere. Vi è una differenza tra physis e nomos,
descrizione e prescrizione, natura e cultura. Le culture sono come le lingue. Il
mondo che descrivono è lo stesso, ma i modi in cui lo fanno sono quasi
infinitamente variabili».
È mio profondo convincimento che non si avrà la pace nel mondo se non si
realizzerà la pace tra le religioni e che lo strumento che sconfigge i
fondamentalismi è proprio il dialogo interreligioso.
Riflettendo su che cosa caratterizzi il fondamentalismo, Amos Oz, scrive:
«I miei dintorni – quando era bambino a Gerusalemme – erano zeppi di aspiranti
riformatori dell’ordine universale, idealisti, ideologi, ciascuno con la sua
personale formula per una redenzione istantanea. Erano tutti dei gran parlatori.
Nessuno mai che ascoltasse».
Il fondamentalista è quello che, in effetti, non ascolta l’altro?
STORIELLA
«Mi torna in mente una vecchia storiella in cui uno dei personaggi, a Gerusalemme, è
seduto in un piccolo caffè accanto a una persona anziana. I due cominciano a
chiacchierare. Nel corso della conversazione salta fuori che il vecchio è Dio in persona.
D’accordo, il personaggio non ci crede subito lì per lì, ma grazie ad alcuni indizi si
convince di essere seduto al tavolino con Dio. Ha una domanda da porre, ovviamente
molto pressante: “Caro Dio, per favore, dimmi una volta per tutte chi possiede la vera
fede. I cattolici? I protestanti? O forse gli ebrei? O magari i musulmani? Chi possiede la
vera fede?”».
Dio in questa storia risponde: «A dirti la verità, figlio mio, non sono religioso. Non lo
sono mai stato, la religione nemmeno mi interessa»
IL FONDAMENTALISMO EBRAICO
di Paolo di Motoli
Gli ebrei ortodossi invitano a smantellare lo stato di Israele – Comunicato di Nuterei
Karta, Movimento internazionale ebrei antisionisti (Washington DC, 6 febbraio 2002)
Il rabbino Yisroel Dovid Weiss, portavoce di Nuterei Karta, un movimento
internazionale di ebrei antisioniti, ha annunciato che una delegazione di rabbini si
unirà alla Coalizione di Organizzazione Arabo-Americane e Musulmane per protestare
contro lo stato sionista.
«E’ ora che il popolo ebraico comprenda ciò che i nostri saggi e la
maggior parte degli ebrei, agli esordi del sionismo poco più di un
secolo fa, già sapevano e cioè che il sionismo costituisce un gran
pericolo per il popolo ebraico. Non è stato forse versato abbastanza
sangue, sangue ebraico e palestinese? Non è forse arrivato il momento
di rivedere l’impresa sionista? »
Il rabbino Weiss fa notare che il messaggio che il suo gruppo porterà a Washington e ai
palestinesi riuniti lì, è il messaggio contenuto nel Talmud che vieta la Terra santa agli
ebrei, finché i loro peccati non siano espiati in esilio. La violazione dei termini
dell’esilio ebraico ha causato molta sofferenza a tutte le parti in causa in Medio
Oriente.
«E’ ora di smantellare lo Stato di Israele. Esso costituisce un’onta per il popolo
ebraico. […] Coloro che si sono resi colpevoli di gravissime crudeltà nei
confronti dei palestinesi non possono rappresentare un popolo misericordioso. Il
compito del popolo ebraico è di dedicarsi alla Torah e al servizio di Dio. […] Il
Sionismo è una deviazione di proporzioni nefaste che trascina le sue
vittime in conflitti infiniti con altri popoli. Oggi ci siamo riuniti con il
popolo palestinese per manifestare la nostra simpatia per le sue
sofferenze»
Se la definizione di fondamentalismo risulta problematica, la sua applicazione
all’ebraismo apre questioni che richiedono ulteriori specifici chiarimenti. Enzo Pace e
Renzo Guolo, due sociologi italiani, collegano il fondamentalismo alla polis, cioè agli
spazi e alle dimensioni dell’attiva vita pubblica, perché “l’unico punto certo per tutti i
vari tipi di fondamentalismo che conosciamo è la rilevanza del tema della politica”. Il
che non significa che siano impegnati direttamente nella lotta politica e alla conquista
del potere, perché spesso la posta in gioco è più alta visto che il fondamentalismo
uniforma il suo agire su quattro principi:
1. infallibilità del testo
2. astoricità
3. superiorità della legge
4. primato del mito di fondazione
Oltre a questi elementi tipici il fondamentalismo ebraico possiede una
dimensione etnica e un messianismo collegato all’insediamento degli ebrei
su uno specifico territorio e le grandi migrazioni hanno avuto un’importante
rilevanza nello sviluppo del fondamentalismo. La nascita del movimento
sionista (Theodor Herzl 1897) e dello Stato di Israele hanno fornito ai
movimenti fondamentalisti un termine di confronto con la politica. Tuttavia le
risposte del mondo religioso ebraico al sionismo sono state di due tipi.
1. I gruppi del Rifiuto
Apparve subito a molti religiosi ebraici un paradosso pericoloso in quanto il movimento
modernizzatore intendeva ribellarsi ad imperativi del passato legandosi tuttavia a una
tradizione, simboli sacri e antiche speranze. Tant’è che nel 1912 in Polonia venne
fondato il partito antisionista Agudat Israel da gruppi ortodossi ungheresi,
polacchi e lituani. La successiva ondata di antisemitismo in Europa costrinse i
membri del partito a collaborare con chi organizzava le migrazioni e portò alla
spaccatura del partito per questioni inerenti alla condotta da tenere dopo la Shoà.
L’impossibilità di vivere in Europa convinse molti ortodossi a migrare in Palestina o
negli Stati Uniti.
Tra i gruppi del rifiuto possiamo individuare:
- Satmar Hasidim: ridefiniscono il proprio rifiuto al sionismo anche dopo la
Seconda guerra mondiale, rifiutano persino di recarsi in preghiera al Muro del
Pianto poiché insudiciato dagli interessi secolari di chi sostiene il sionismo
- Nuterei Karta: di fonte al distruttori e ai profanatori l’unica possibilità è l’esilio
(non tanto geografico quanto di tempo e di posizione). Questa fazione ha
dimostrato in passato affinità con l’OLP di Yasser Arafat e rifiuta di partecipare a
manifestazioni che hanno avuto il permesso della polizia perché questo
significherebbe riconoscere l’autorità dello stato di Israele. Nel 1938 rifiutarono
di pagare le tasse imposte dalle autorità sioniste per la difesa dagli attacchi
arabi.
Per questi e altri gruppi l’avversione per ogni ideologia modernista comporta
una netta opposizione nei confronti del sionismo visto come pura volontà
di potenza. L’avversione si basa sul fondamento del mito dei Tre giuramenti:
- Non “forzare la muraglia”, cioè non usare la forza per tornare in Israele
- Non ribellarsi al giogo delle nazioni che opprimevano gli ebrei aspettando la
giustizia divina
- Non “precipitare la fine dei tempi”, cioè non anticipare la Redenzione così come
è stata professa dal profeta Isaia.
2. I gruppi nazional-religiosi
Le prime riflessioni di stampo sionista avvennero già a fine Ottocento radicandosi sulla
convinzione che la salvezza del popolo ebraico non sarebbe pervenuta solo grazie
all’intervento divino, ma anche per mezzo dell’impegno umano. Gli ebrei prendendo
esempio dalle lotte nazionali di polacchi, ungheresi e italiani avrebbero dovuto
insediarsi in Palestina; nel sionismo religioso la questione della terra assume quindi
un’importanza fondamentale.
Nel 1902 la nascita del partito MIZRAHI è la prima tappa significativa e il ritorno alla
terra di Sion è la chiave fondamentale della Redenzione perché la nascita di Israele
permette di riunire il Popolo di Israele sotto la Legge nella Terra di Israele. L’obiettivo
del partito era dunque assumere il controllo delle istituzioni sioniste favorendo
l’ebraismo tradizionale e applicando la legge talmudica per governare la vita
comunitaria. Il leader spirituale dei sionisti religiosi fu Avraham Yitzhak Kook. I
concetti fondamentali sono l’Esilio e la Redenzione e il compito dell’uomo e
accelerare con la sua azione la restaurazione del mondo. Il ritorno a Dio nella
Terra di Israele permetterà la guarigione del mondo (tutto l’opposto del non
accelerare la “fine dei tempi” dei gruppi del Rifiuto).
La guerra dei sei giorni del 1967 è la svolta decisiva, Israele riuscì a occupare il
territorio egiziano fino al canale di Suez, la Cisgiordania e le alture del Golan siriane e
le aree della Cisgiordania rivestono un significato religioso molto più elevato di quelle
dove è sorto lo stato ebraico nel 1948. Il dibattito sulla questione territoriale in ambito
sionista risale agli anni Trenta soprattutto perché le proposte britanniche riducevano il
territorio storico rivendicato dai sionisti. Le richieste del movimento in tema di confini
affondavano i loro presupposti su argomenti storici, religiosi e strategici e la questione
è estremamente complessa.
La corrente radicale e nazional-religiosa richiedeva maggior attenzione dello
stato ai principi religiosi e alla piena sovranità, cioè all’annessione a Israele
dei territori appena conquistati. Poiché il governo laburista israeliano non annettè
i territori (eccetto Gerusalemme est) pensando di poter negoziare la pace con gli arabi
in cambio della terra, tutto il fondamentalismo nazional-religioso si oppose e numerosi
gruppi iniziarono la colonizzazione della Terra, pur essendo in contrasto con le autorità.
L’attacco congiunto siro-egiziano della guerra dello Yom Kippur del 1973 mise in crisi
l’esercito israeliano ed è proprio nel 1974 che nacque il Gush Emunim, vero e proprio
motore di colonizzazione della Cisgiordania, ed è importante sottolineare come una
minoranza come il Gush Emunim sia riuscita negli anni a influenzare le decisioni dei
governi di destra e di sinistra in Israele pur non essendo un partito politico. I coloni
sono infatti stati uno dei principali ostacoli alla cessione dei territori ai palestinesi da
parte di Israele.
Tra i gruppi più violenti in campo fondamentalista va segnalato il Kach, organizzazione
volta alla difesa degli ebrei in pericolo e che a tale scopo giustificava l’utilizzo della
violenza. Gruppo paramilitare e apertamente razzista si distinse per ripetuti atti di
violenza contro gli arabi e fu dichiarato fuori legge nel 1988. Dalle sue fila provenivano
tuttavia Baruch Goldstein (che nel 1994 uccise 29 palestinesi in preghiera) e Ygal Amir
(che nel 1995 uccise il primo ministro Rabin).