Riflessioni e previsioni per il giornalismo nel 2015,Alcune cose da
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Riflessioni e previsioni per il giornalismo nel 2015,Alcune cose da
Riflessioni e previsioni per il giornalismo nel 2015 Nel 2015, il giornalismo sarà sempre più plasmato dalla tecnologia. Con la realtà virtuale e aumentata, i lettori potranno presto indossare le notizie, o percepirle grazie a strumenti indossabili; storie molto semplici potrebbero essere scritte da robot/software o curate dagli algoritmi e la sicurezza digitale si farà sempre più sofisticata, al fine di proteggere al meglio le fonti dei giornalisti, mentre il concetto di “possesso dei contenuti” è destinato a indebolirsi ancora grazie all’espansione del cloud computing. Ma non sarà solo la tecnologia a spingere le prossime modifiche del giornalismo. Lo scorso anno, anche la politica e l’economia hanno giocato un ruolo di primo piano nell’influenzare il mercato delle news. Il 2014 è stato infatti l’anno in cui molti giornalisti sono diventati attivisti, come è stato soprattutto nel caso dell’Ucraina. Le aziende mediatiche maggiori sono invece state forzate a cambiare o adattarsi ai trend digitali come le newsroom integrate, il digital first e il trasferire la propria produzione dalla carta al digitale. In molti contesti, soprattutto nell’Europa dell’Est, gli introiti da pubblicità sono però diminuiti a causa delle condizioni economiche generali e, infine, il 2014 è stato anche un anno di grandi rischi per i giornalisti: Reporters Without Borders ha registrato gli omicidi di 66 reporter negli ultimi dodici mesi e i rapimenti di altri 119. Con un tasso di crescita del 35% rispetto all’anno precedente. Per festeggiare il nuovo anno, l’Osservatorio europeo di giornalismo (Ejo) ha chiesto ai suoi partner in tutta Europa di raccogliere gli highlight del 2014 nel giornalismo e qualche previsione per il 2015 appena iniziato. Crescono investimenti e data journalism in Polonia Per Michal Kus, editor dell’Ejo polacco e assistant professor al Department of Communication and Journalism della University of Wroclaw, il 2014 è stato l’anno che, in Polonia, ha portato allo sviluppo del data journalism e al consolidamento del mercato online. Per Kus, il 2015 farà registrare ulteriori progressi in questo senso, dato che la pubblicità sta attirando anche nuovi investimenti nel settore. Importanti player internazionali (come Mtg Group, Netflix e Amazon) potrebbero presto investire nel mercato polacco, acquistando alcune testate messe in vendita dai propri gruppi di riferimento, fa sapere Kus. Le ripercussioni della crisi ucraina Dariya Orlova, editor dell’Ejo ucraino e docente presso la Mohyla School of Journalism di Kiev, ritiene invece che l’aspetto più interessante del 2014 per il giornalismo del suo paese sia stato il crescente attivismo dei giornalisti ucraini, foraggiato dalla crescente peso dei media digitali e dei social media come strumenti di libertà di espressione in Ucraina. Orlova rimane comunque scettica per il giornalismo del suo paese: “l’economia è in declino, la nostra moneta ha perso molto del suo valore e il mercato della pubblicità si è ristretto immensamente. Tutto questo crea molte sfide economiche per i media indipendenti”. La fellow dell’Ejo presso la Freie Universität di Berlino, Rachel Stern, ha invece ricordato il Diritto all’oblio come una delle questioni chiave del 2014 e ne ha sottolineato le questioni relative al rischio censura che ancora persistono. La sua previsione per il 2015, invece, ha a che vedere con i paywall: la giornalista si aspetta che altre testate, specialmente su un piano regionale, cercheranno di far pagare i propri lettori per i contenuti online, con la speranza di monetizzare. Cresce il servizio pubblico in Lettonia Per Liga Ozolina, editor dell’Ejo lettone e dottoranda presso il Communication Management Program della Turiba School of Business Administration di Riga, invece, l’evento che più ha caratterizzato il 2014 è stato senza dubbio la crisi russo-ucraina e il suo impatto sui media lettoni: “il conflitto ha mostrato l’avanzata della propaganda di Mosca tra i media lettoni di lingua russa”, ha dichiarato la ricercatrice, “specialmente nella regione della Letgallia, dove i media di lingua russa sono più diffusi di quelli in lingua lettone”. Inoltre, continua Ozolina, “questo è stato anche l’anno che ha segnato la crescita dei broadcaster pubblici lettoni, Latvian Television, Latvian Radio e le loro propaggini Web: nuovi staff, nuovi format e marketing più efficace, oltre a un uso migliore dei media digitali e un palinsesto rafforzato per le persone di lingua russa”. Nel 2015, Ozolina si aspetta quindi che il servizio pubblico lettone continui a rafforzare la sua offerta anche per i lettoni di lingua russa: “fino a qui, quanto offerto dalle aziende private ha avuto una content strategy che si fa davvero fatica a chiamare giornalismo e che è stata a tutti gli effetti una mera estensione dei grandi gruppi russi”. Ozolina ha anche sottolineato il nuovo portale meduza.io, lanciato in Lettonia da Galina Timchenko, già direttrice del russo lenta.ru licenziata in patria per aver intervistato un nazionalista ucraino di estrema destra. Il nuovo portale vuole produrre notizie indipendenti per la Russia e altrove. Proteggere le fonti e i whistleblower Philip Di Salvo, editor dell’Ejo italiano e dottorando presso l’Università della Svizzera italiana, crede invece che ci sia stata una “learning curve” dopo il caso Snowden per la quale anche la consapevolezza dell’importanza della crittografia e della sicurezza digitale per i giornalisti sarà uno dei trend maggiori nel 2015. Secondo il ricercatore, molte più testate adotteranno GlobaLeaks o SecureDrop per creare piattaforme di whistleblowing digitale per sollecitare leak da parte di whistleblower e meglio proteggerli. “Allo stesso tempo”, ha continuato Di Salvo, “servono migliori legislazioni Foia e leggi per la protezione dei whistleblower. Spero che l’Italia riesca ad adottare entrambe le cose nel 2015“. Nel Regno Unito, invece, parlando al Reuters Institute for the Study of Journalism di Oxford lo scorso novembre, Emily Bell ha sottolineato la relazione non semplice tra il giornalismo e la tecnologia: Bell ha messo in guardia i giornalisti sulla possibilità di perdere il controllo della “sfera pubblica” in favore della Silicon Valley. La sua previsione è piuttosto oscura per i media cartacei, ma per la ricercatrice i giornalisti possono ancora riguadagnare terreno se si decidono a trattare della tecnologia con la stessa verve che usano per la politica. E il mercato svizzero? In Svizzera, dopo anni di stallo, gli editori e l’emittente di servizio pubblico Srg si sono finalmente accorti nel corso del 2014 di avere un interesse comune nel difendere il giornalismo di qualità dai giganti del Web come Apple, Google e Facebook, ha dichiarato Stephan Russ-Mohl, Direttore dell’Ejo. Inoltre, l’advisory board del governo svizzero (Medienkommission, ndr) ha fornito alcuni suggerimenti notevoli per le policy future nel paese. Russ-Mohl, docente di giornalismo e media management all’Università della Svizzera italiana di Lugano, ha espresso un desiderio per il 2015, più che una previsione: “spero che il vertice del board della Neue Zürcher Zeitung (uno dei maggiori quotidiani svizzeri, ndr), Etienne Jornod, che ha imposto come direttore del giornale Markus Somm, un amico stretto del leader politico populista Christoph Blocher, si dimetta e che Markus Spillmann, il precedente direttore licenziato all’improvviso e senza alcuna motivazione convincente, possa tornare al suo posto”, ha dichiarato Russ-Mohl. Nel 2014, l’Ejo ha anche festeggiato il suo decimo compleanno. Il network dell’Ejo ha continuato a crescere, grazie ai generosi contributi della Fondazione per il Corriere del Ticino, la Pressestiftung NRZ, la Robert Bosch Foundation e il Fondo nazionale svizzero per la ricerca. Photo credits: Sergey Galyonkin / Flick CC Articolo tradotto dall’originale inglese Alcune cose da imparare da Reported.ly First Look Media, la media company fondata dal magnate di eBay Pierre Omidyar, ha lanciato il suo secondo prodotto. Dopo The Intercept e dopo i ritardi e le polemiche sorte attorno a Matt Taibbi e John Cook e alla testata Racket ora apparentemente congelata, è la volta di Reported.ly, un marchio specificatamente dedicato ai social media e al reporting che è possibile realizzare a partire dagli Ugc. @wrightbryan3 Like my Arab Spring stuff, expect a lot of process journalism – covering the stream – leading to orig content. #AskReportedly — Andy Carvin (@acarvin) 9 Dicembre 2014 Come descritto da Mathew Ingram su GigaOm, Reported.ly sarà un servizio news direttamente embeddato dentro ad ambienti social come Twitter, Facebook, Reddit e Medium che saranno utilizzati sia come fonti dei contenuti che come canali di distribuzione per creare “giornalismo nativo per queste piattaforme” invece di usarli come strumenti per dirottare l’attenzione dei lettori. Una testata fatta sui social media, con i social media, per i social media e con i linguaggi dei social media. Qualcosa ai confini tra Storyful e Bellingcat, il nuovo sito di Brown Moses/Eliot Higgins, ma mediato dal recente Verification Handbook. A guidare la testata, Andy Carvin, giornalista con un passato alla Npr statunitense che si è guadagnato uno spazio importante per il suo eccellente lavoro su Twitter in occasione delle Primavere arabe, entrato in Firt Look Media qualche tempo fa. Assieme a Carvin, lavorerà una piccola redazione composta da altri cinque giornalisti sparsi nel mondo e in fusi orari diversi, inclusa l’italiana Marina Petrillo, già a Radio Popolare e a sua volta grande esperta di curation degli Ugc e Malachy Browne, già – non a caso – nella squadra di Storyful. In questa fase iniziale, principalmente di brainstorming, Reported.ly non ha ancora un suo sito e utilizza Medium come piattaforma. Presentandosi ai suoi futuri lettori, il team di Reported.ly ha anche pubblicato – sempre su Medium – un testo che vuole essere una sorta di manifesto programmatico e, per certi versi, un codice etico. Il testo è una summa di best practice per il giornalismo fatto con gli strumenti digitali e un ritratto perfetto della cultura del giornalismo contemporaneo, almeno della sua frangia piu aggiornata e consapevole. Reported.ly ha deciso di parlare di se stessa ai suoi lettori, cosa già di per sé non scontata, e di farlo prima di partire: ecco cosa faremo, come e perché. Please be sure to read our core values document. It’s our covenant with you as journalists and community members. https://t.co/q3esGQzVAI — reported.ly (@reportedly) 8 Dicembre 2014 Un codice etico, si diceva. Il team guidato da Andy Carvin promette ovviamente di mantere fede a quelli che sono i principi del giornalismo classicamente inteso, punti saldi come la fedeltà solo alla proprià indipendenza editoriale e abnegazione ai fatti. Fin qui, regole che ogni redazione che si rispetti dovrebbe avere ben chiare e appese alle sue pareti. Il decalogo di Reported.ly, però, guarda oltre e mira a espandere e a portare quei principi nel contesto in cui il suo team opererà: quello della conversazione. Ci sono almeno tre direttrici che sembrano sorreggere le regole che la nuova testata ha deciso di darsi nell’elencare i suoi “core values”: trasparenza, apertura e tecnologia. Alla prima fa capo, ad esempio, l’accountability nelle scelte editorali, nel voler riconoscere, segnalare e correggere i propri errori in modo chiaro, palese e umile: siamo giornalisti, non guru, scrive il team di Reported.ly, e come tali facciamo errori e vi preghiamo di farceli notare. Alla dichiarata apertura fa capo la volontà di aprire il proprio processo di creazione delle news ai propri lettori, a renderli partecipi, collaborando al fine di fare del giornalismo migliore, a cominciare dal question time di ieri sera, dove tramite l’hashtag #AskReportedly il team ha chiesto ai suoi lettori di fare domande sul nuovo progetto o suggerire idee con la promessa di farlo regolarmente: Unless there are a couple of strays, we’re gonna wrap up #AskReportedly for today. We plan to do this regularly. Thanks for joining us! — Andy Carvin (@acarvin) 9 Dicembre 2014 Ma il richiamo all’apertura è dichiarato anche nella volontà di ripensare le fonti a disposizione andando oltre ai soliti circuiti “degli esperti”, aprendosi – di nuovo -, con le dovute verifiche e controlli a quanto i social media hanno da offrire: il già citato Eliot Higgings ne ha fatto un marchio di fabbrica e si è ritagliato un posto come fonte autorevole per grandi testate internazionali. È tempo che questo approccio diventi un modello. Un altro punto cardine è il riferimento alla “generosità” e alla cultura di condivisione di Internet, ancora una volta un manifesto programmatico del fare giornalismo online sfruttando al massimo le potenzialità offerte dagli strumenti digitali, un approccio che parte dall’avere una comunità di lettori/utenti cui offrire un servizio e con cui avere uno scambio costante. A tenere insieme il tutto, la tecnologia: compresa nel profondo, adottata, adattata alle proprie necessità e trasformata in linguaggio. Senza paure anacronistiche o superficialità. In una pagina Web, Reported.ly ha riassunto questo “momento” del giornalismo, calandocisi completamente in mezzo, rispondendo alla chiamata. A questo punto, la prova dei fatti sarà doppiamente interessante perché sarà un banco di prova per quanto affermato programmaticamente, ma soprattutto metterà a giudizio un’idea di giornalismo cui è finalmente ora di provare a dare fiducia. Per il momento, per citare Andy Carvin stesso: “Come along for the ride”. Fenomenologia del troll online Quando gli organi di stampa si aprono ai commenti dei loro lettori, spesso non mancano le sorprese e, una volta aperta la porta digitale, i giornali si rendono velocemente conto di come gli utenti sappiano anche dimenticare le loro buone maniere sull’uscio. Alcuni insultano, altri sbraitano, altri ancora fanno i prepotenti e sessismo e xenofobia spesso appaiono sulla scena come ospiti sgraditi. Alcuni ricercatori nel campo dei media studies hanno iniziato a studiare il fenomeno approfonditamente, ma già qualche primo risultato getta un po’ di luce sulle questioni centrali. Ecco una review di alcuni studi pubblicati di recente su questo argomento. Una premessa: gli organi di informazione hanno linee guida diverse e le community di lettori in genere non si possono paragonare tra di loro perché molto eterogenee. Alcuni casi studiati negli Stati Uniti e in Canada hanno rivelato che una percentuale variabile tra il 20 e il 50% dei commenti nelle sezioni apposite dei giornali online è in qualche modo incivile. Ma anche un chiarimento terminologico è necessario perché non tutti i commenti sgarbati sono da considerarsi necessariamente “incivili”: a questo proposito, Kevin Coe e i suoi colleghi dell’Università dello Utah e dell’Arizona identificano le inciviltà come “tratti di una conversazione che trasmettono un tono inutilmente irrispettoso al forum di discussione, ai suoi partecipanti o ai temi”. Alcuni risultati di ricerca recenti indicano anche che non tutti i troll sono uguali e non tutti i troll online sono necessariamente degli hater: Erin Buckels dell’Università di Manitoba e suoi colleghi, ad esempio, hanno analizzato le personalità dei troll online e la loro conclusione è che il 5% dei commentatori proverebbe piacere nel dolore altrui, trattandosi quindi di “sadici della quotidianità esemplari” che “vogliono solo divertirsi[…] e Internet è il loro parco giochi”. Un simile tentativo di spiegare le motivazioni dei troll è stato sviluppato anche all’Indiana University, dove Pnina Shachaf e Noriko Hara hanno esaminato il comportamento dei troll su Wikipedia e hanno scoperto che noia, vendetta, ricerca di attenzione e piacere nel causare danni sono i fattori propellenti. Tuttavia, non ogni troll è un trasgressore “patologico”. Coe e i suoi colleghi hanno svolto un case study sui forum di discussione dell’Arizona Daily Star e hanno concluso che gli utenti saltuari sono complessivamente più incivili nei loro commenti di quelli regolari. I ricercatori hanno anche indagato se fossero fattori specifici a scatenare commenti maleducati e i risultati sono chiari: temi controversi come politica o sport e particolari firme della testata attraggono normalmente più commenti incivili, mentre anche il coinvolgimento di personalità importanti, come ad esempio quella di Obama, può portare a un inasprimento dei toni. Perciò, il contesto è importante. Chiaramente non c’è nulla di sbagliato nelle polemiche e, al contrario, discussioni appassionate sono essenziali per la democrazia. Se però il tono della conversazione diventa troppo aggressivo e di parte, le ramificazioni del dibattito possono essere drastiche. I risultati delle ricerche in quest’area possono essere sintetizzati così: i dibattiti incivili indeboliscono la fiducia e portano alcuni utenti a essere apatici. Tuttavia, d’altro canto, gli utenti sono più inclini a partecipare ai forum di discussione se il dibattito è più controverso e aspro perché il conflitto è un incentivo maggiore a commentare di quanto sia il consenso. Ancora più interessanti sono i risultati della ricerca svolta dalla George Mason University e dalla University of Wisconsin da un team guidato da Ashley Anderson, ora Assistant Professor alla Colorado University. Per questo paper, i ricercatori hanno verificato se e in che misura i commenti maleducati correlati a un articolo influenzino il modo in cui l’articolo stesso viene letto. per rispondere a questa domanda gli autori hanno composto due gruppi e hanno dato a ciascuno di questi un articolo di cronaca da leggere: il fatto trattato era scritto in modo neutrale, bilanciando i “pro” e i “contro” di un tema controverso (la nanotecnologia, ndr). Il primo gruppo ha letto l’articolo seguito da un alto tasso di commenti incivili, mentre nel secondo caso l’articolo in analisi aveva commenti di tono più rispettoso. Un questionario inoltrato ai partecipanti ha poi rivelato che gli utenti reagiscono in modo più critico alle informazioni se la discussioni nei commenti è incivile. I ricercatori dell’Università del Texas hanno invece testato le strategie degli organi di informazione per moderazione le discussioni e, secondo i loro risultati, il fatto che il dibattito sia moderato è d’aiuto, specialmente se vengono poste domande specifiche ai lettori e vi sono risposte dirette ai feedback degli utenti. L’anonimato nei forum di discussione è una questione problematica. Alcune prime ricerche mostrano che utenti anonimi sono più inclini ad adottare un comportamento maleducato rispetto a quelli registrati con il loro vero nome. In uno studio comparativo di 14 quotidiani Usa, Athur Santana della Houston University ha scoperto che più della metà dei commenti anonimi erano incivili, mentre solo un quarto degli utenti registrati sferravano attacchi. L’anonimato, comunque, ha anche un vantaggio: ricercatori della Rutgers University hanno fatto un sondaggio tra i commentatori anonimi del Sacramento Bee: il 40% di loro ha dichiarato che non commenterebbero più se fossero obbligati a registrarsi con il loro vero nome. Articolo tradotto dall’originale inglese da Georgia Ertz. Una versione in tedesco è stata pubblicata inizialmente per il giornale austriaco Der Standard Photo credits: De Platypus, Flickr L'imparzialità conta ancora nel giornalismo online? I media tradizionali devono adattarsi a Internet o potrebbero perdere il contatto con le loro audience più giovani. L’accuratezza e l’imparzialità come valori del giornalismo hanno certamente ancora importanza, ma anche il tono e l’ethos della Rete, insieme ad altri fattori, come una maggiore trasparenza o l’essere più interattivi e open, sono divenuti a loro volta punti fondamentali. Il panorama mediatico è mutato radicalmente con l’avvento dell’era digitale e i business model cui eravamo abituati sono cambiati o diventati obsoleti, mentre nuove piattafome di storytelling emergono ogni giorno. Il digitale ha cambiato il cuore di quello che fa il giornalismo e, di conseguenza, si è dovuto fare lo stesso con gli standard editoriali. In un paper realizzato per il Reuters Institute for the Study of Journalism ho posto fondamentalmente due domande: quali standard giornalistici sono ancora adatti in questa nuova epoca e quali di questi formano le basi di un nuovo tipo di giornalismo di cui alcune testate solo online sono state pioniere? “Accuracy, Independence and Impartiality: How legacy media and digital natives approach standards in the digital age”, questo il titolo del mio studio, si concentra sull’analisi di tre testate tradizionali, il Guardian, il New York Times e la Bbc e su tre digitali BuzzFeed, Quartz e Vice. Complessivamente, l’outlook finale dello studio è promettente. L’arrivo di Internet ha dato alle audience accesso più ampio a una vasta gamma di dati, fatti e opinioni e il Nieman Lab ha pubblicato una buona sintesi dei risultati finali per ogni testata analizzata. Dal punto di vista della trasparenza, testate native digitali come ProPublica, FiveThirtyEight o Vox rivelano il modo in cui funzionano per generare fiducia presso i loro lettori. Un sito economico come Quartz (di proprietà di The Atlantic) ha invece sistemi innovativi che i lettori possono usare per aggiungere i propri appunti all’interno di un articolo, mentre una testata sportivo-culturale come Grantland ha saputo dimostrare come un organo mediatico dovrebbe apportare correzioni ai propri contenuti offrendo ai lettori anche più contesto. Dal mio studio è emerso complessivamente che i punti di forza editoriali offerti da questa epoca digitale sono almeno questi: • L’uso dei link al fine di rafforzare la trasparenza e l’accuratezza • Maggiori possibilità di contestualizzazione e puntualità per le correzioni • La possibilità di includere più voci, con il fine di rafforzare il pluralismo • La trasparenza in aggiunta (e non in sostituzione) dell’imparzialità Ma esistono anche alcuni rischi: • La velocità e la viralità possono mettere a rischio l’obiettività e l’accuratezza • L’assenza di una struttura lineare si traduce nel fatto che i contenuti siano appiattiti. La distinzione tra diverse tipologie di articoli è difficile per quelle testate votate all’imparzialità • Il native advertising e il crescente uso di giornalismo PR-driven potrebbero portare le audience a compiere scelte non correttamente informate Tra le conclusioni del mio paper vi è l’osservazione che una terza forma di giornalismo sia emersa. Si tratta di una formula che combina i migliori standard tradizionali con approcci innovativi per raggiungere i nativi digitali. Questo trend è già stato riconosciuto in precedenza da Emily Bell del Tow Center for Digital Journalism e dalla firma del Guardian Frederic Filloux in alcuni loro interventi. Testate native digitali come Quartz, Vox o ProPublica stanno costituendo una nuova forma di giornalismo che combina integrità editoriale a un tono e un modo di presentare i contenuti che è puramente “del Web”. Per le organizzazioni mediatiche tradizionali, si fa quindi sempre più importante, da questo punto di vista, il ridefinire i propri standard. Senza adattarsi, queste rischiano di perdere il contatto con le loro audience, le quali sceglieranno tra la vasta offerta presente online. Per rafforzare la fiducia e l’integrità giornalistica in questa fase, le testate devono quindi dare priorità ad alcuni aspetti fondamentali: cercare maggiore trasparenza, favorire forme aperte di giornalismo e trovare una voce “del web”, una voce che potrebbe essere rappresentata meglio dall’autorevolezza di singoli reporter o firme note e rispettate nel Web. L’era di Internet richiede anche contenuti che siano altamente condivisibili sui social media, pur restando accurati. I media dovranno adattare i loro standard abituali per renderli funzionali alle esigenze di un’era ibrida, affinché questi rafforzino un giornalismo accurato, robusto, ma capace di far proprio il tono e l’ethos della Rete. Il report completo è consultabile sul sito del Reuters Institute, qui. Photo credit: Free Press / Flickr Cc Il giornalismo sportivo, i mondiali e i social media I #Mondiali2014 sul campo stanno per concludersi, ma traccia del loro passaggio rimarrà ben ancorata nei motori di ricerca per molto tempo ancora. Oltre allo “speciale” servizio informativo di Google, in Rete non si è mai assistito prima d’ora a una così persistente e costante copertura socialmediatica (via Twitter e altri social network) di un evento sportivo mondiale. Basti per esempio pensare che solamente durante la fatidica partita dell’Italia con il Costa Rica sono stati postati circa 3,2 milioni di Tweet e la semifinale tra Germania e Brasile è diventato l’evento sportivo più twittato di sempre. With 35.6 million Tweets, #BRA v #GER is the most-discussed single sports game ever on Twitter. #WorldCup pic.twitter.com/pRjssAZmhg — Twitter Data (@TwitterData) 9 Luglio 2014 Questi numeri ci ricordano ancora una volta di quanto a fondo i social media siano entrati nel nostro quotidiano, e di come il loro utilizzo – nel bene e nel male – influenzi il modo in cui apprendiamo le notizie e di conseguenza il modo di lavorare dei giornalisti, soprattutto di quelli che trattano eventi molto sentiti, come i mondiali di calcio. La tecnologia dei social media e del Web 2.0 da un lato rende il mestiere del giornalista più facile, permettendo la raccolta e la verifica di informazioni in tempo reale; da un altro, pone elevate esigenze perché sono necessarie abilità e competenze tecniche che non tutti i giornalisti della “vecchia scuola” possono avere. In altre parole, Twitter e i social media sono una banca dati fenomenale e fondamentale per il lavoro di un giornalista 2.0. Tuttavia, chi non è in grado di lavorare su più piattaforme (ossia essere “convergente”) e a mantenersi aggiornato, rischia di non restare al passo. Questo ambivalente ruolo dei social media emerge in modo preponderante da uno studio di Edward Kian e Ray Murray della School of Media & Strategic Communications dell’Oklahoma State University, sull’impatto di Twitter sul lavoro e sulla routine dei giornalisti che si occupano di sport, pubblicato sulla rivista ufficiale dell’International Symposium on Online Journalism (#ISOJ). Lo studio ha investigato gli atteggiamenti e le percezioni dei giornalisti sportivi nei confronti dei social media (Twitter in particolare) e ne ha descritto le esperienze d’uso. Sebbene sia basato su un campione piuttosto modesto di partecipanti (12 giornalisti sportivi di quotidiani americani, aventi diffusione superiore alle 30mila copie), lo studio rivela comunque un interessante rapporto di amore-odio tra loro e Twitter: anche se lo usano per cercare notizie e postare i propri pezzi pubblicati su carta, si dedicano molto poco all’interazione con i propri follower e a creare engagement. Dal punto di vista dei contenuti, i social media sono visti con una certa diffidenza: “Twitter”, dichiara uno degli intervistati, “ha banalizzato il giornalismo sportivo in nome della necessità di arrivare prima e subito sulla notizia”. Questo ha anche favorito l’emergere di blog di successo – come Deadspin, negli Usa – che minano la credibilità del lavoro del giornalista e hanno modificato completamente il cursus honorum tradizionale della professione nell’ambito sportivo. Il Web 2.0 quindi è visto con particolare diffidenza, almeno nello studio di Kian e Murray, risultato che ha stupito i ricercatori stessi. Secondo alcuni degli intervistati, ad esempio, Internet avrebbe contribuito alla rovina dell’industria dei giornali statunitensi, minando la sicurezza del lavoro del tradizionale giornalista redazionale. Tuttavia questo ha anche fatto emergere nuove professionalità e la necessità di essere “giornalisti 2.0”, più flessibili e migliori imprenditori di se stessi, soprattutto per chi segue eventi sportivi. Quanto all’apporto di Internet e dei social media sull’idea di breaking news, alcuni partecipanti allo studio hanno dichiarato come anche arrivare primi su una notizia abbia cambiato significato e, nonostante la crescente competizione digitale, non sia poi così importante. Un intervistato ha anche dichiarato come, prima dell’avvento di Internet, i giornalisti avrebbero avuto l’incubo di comprare i giornali concorrenti e di vedere una notizia non pubblicata dal proprio giornale, mentre adesso “si viene battuti di 15 minuti, e nessuno se ne accorge davvero”. Paradossalmente, anche se dallo studio emerge un rapporto che non è dei più felici tra giornalisti sportivi e strumenti digitali, è bene notare come proprio i reporter sportivi siano spesso tra i maggiori adopter delle tecnologie digitali. Ne è un ottimo esempio la Espn che, proprio in occasione del clamoroso 1-7 di Brasile – Germania, ha visto la sua “social media war room” lavorare a pieno regime, come racconta AdWeek: 15 persone a ritmo serrato, con aggiornamenti su ogni piattaforma disponibile, Vine e Instagram comprese. Proprio durante la semifinale, l’emittente americana ha anche registrato il record di like su Facebook per un suo contenuto. Kian, E. M., & Murray, R. (2014). Curmudgeons but Yet Adapters: Impact of Web 2.0 and Twitter on Newspaper Sports Journalists’ Jobs, Responsibilities, and Routines. # ISOJ Journal, 4(1): 61-76. Photo credits: Crystian Cruz / Flickr CC