ANZIANI DA ACCUDIRE, FAMIGLIE DA SOSTENERE

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ANZIANI DA ACCUDIRE, FAMIGLIE DA SOSTENERE
Presidenza provinciale Acli
di Treviso
ANZIANI DA ACCUDIRE, FAMIGLIE DA SOSTENERE
Ricerca sul fabbisogno di assistenza domiciliare in provincia di Treviso
- SINTESI In provincia di Treviso, come anche nel resto dell’Italia, alcuni strutturali
cambiamenti dal punto di vista demografico e sociale hanno contribuito ad accentuare
alcune problematiche che interessano molto da vicino le famiglie.
Fattori quali l’invecchiamento della popolazione, il contemporaneo
ridimensionamento delle giovani generazioni, i cambiamenti nelle forme e nella
strutturazione dei nuclei familiari, ma anche l’aumentata partecipazione delle donne al
mercato del lavoro extradomestico, hanno significativamente modificato e
compromesso la capacità delle famiglie di autogenerare da sé strumenti alternativi di
sostegno e conciliazione, ma soprattutto hanno inciso profondamente sulle capacità di
adempiere “in proprio” al crescente fabbisogno di assistenza.
Nel concreto, il ricorso all’aiuto di lavoratrici straniere in ambito domestico ha
rappresentato la risposta (forze più immediata) delle famiglie alla carenza di offerta
assistenziale da parte dello Stato, determinata soprattutto dal massiccio
ridimensionamento del welfare pubblico e dal tendenziale orientamento dello stesso a
voler delegare alle famiglie l’onere (se non altro quello concreto, materiale)
dell’assistenza.
Nella realtà, poiché sempre più persone anziane si trovano a dover affrontare
una situazione di “limbo” intermedio, tra la completa autosufficienza (in cui non c’è
bisogno di nessun aiuto) e la totale incapacità di azione o ragionamento (dove spesso è
indispensabile il ricovero in strutture protette), sempre più famiglie si trovano infatti a
dover gestire in proprio le attività (spesso limitate, altre volte maggiori) di cura,
assistenza e compagnia. Assicurare alla persona anziana o non autosufficiente un
aiuto adeguato, che sia allo stesso tempo qualificato dal punto di vista professionale
laddove ce ne sia bisogno, ma anche il più possibile rispettoso della persona e della
dignità umana, è e rimane una priorità delle famiglie.
In un contesto come questo, il percorso di ricerca condotto si propone una
disamina del fabbisogno di assistenza da parte delle famiglie che si trovano a dover
gestire la parziale o totale non autosufficienza di una persona anziana e delle modalità
con le quali esse concretamente fanno fronte all’assistenza.
Per questo motivo, si è voluto analizzare il fenomeno dal punto di vista della
domanda, ponendo al centro dell’osservazione le famiglie ed i loro bisogni,
evidenziando così alcuni aspetti salienti e non affatto marginali di questa intricata
realtà e di come essa si è evoluta nel tempo. Si è voluto in quest’occasione andare oltre
i numeri, oltre la solita rappresentazione della “badante”, e descrive nel dettaglio cosa
avviene davvero nelle famiglie italiane ed in particolare in quelle trevigiane, indagando
le reali situazioni che si celano dietro una già scontata apparenza, analizzando i
comportamenti più diffusi, come anche i bisogni e le aspettative prevalenti.
Nel fare questo è stato elaborato uno specifico ed in alcune parti innovativo
percorso di ricerca che, senza particolari ambizioni o pretese di generalizzabilità,
restituisse un’immagine obiettiva del fenomeno indagato, nel modo più scientifico
possibile.
Al fine di restituire un quadro complessivo della situazione e rendere conto del
fenomeno indagato nella sua completezza, il percorso di analisi è iniziato con la
presentazione di un quadro teorico generale sulla situazione socio demografica della
provincia (con particolare attenzione alle categorie dei giovani, degli anziani e delle
famiglie) e con una breve dissertazione sulle trasformazioni generali del lavoro
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domestico fortemente legate ai nuovi bisogni delle famiglie (e con la sempre più elevata
presenza straniera).
Successivamente, al fine di valutare le caratteristiche e l’impatto dell’offerta
pubblica, è stato presentato un sintetico quadro dei servizi (istituzionalmente) messi a
disposizione per far fronte al fabbisogno di assistenza da parte delle persone anziane o
non autosufficienti. In particolare, si sono volute evidenziare le strategie attivate dalle
istituzioni per sostenere la domiciliarità e come queste iniziative si integrino con il
resto dell’offerta (ed in particolare con la disponibilità di strutture residenziali),
soprattutto in previsione di un inevitabile incremento della domanda.
Una parte piuttosto innovativa della ricerca è rappresentata dal lavoro di
ricognizione ed analisi dell’utenza straniera, nello specifico colf ed assistenti familiari,
degli sportelli Acli collocati nel territorio provinciale. Quello condotto ha infatti
rappresentato un interessante esperimento di analisi empirica (soprattutto
quantitativa) eseguita a partire dagli archivi dell’Associazione.
L’immagine che ne emerge è soprattutto quella di un universo di lavoratrici straniere
piuttosto numeroso, composto di 1.171 assistenti familiari e colf che, nel 2006, per un
qualche motivo, hanno richiesto assistenza rivolgendosi agli sportelli. La disponibilità
di alcune informazioni relative alle domande per l’autorizzazione al lavoro presentate
nell’ambito della programmazione dei flussi per il 2006 – riferite a 362 lavoratrici – ha
permesso inoltre di cogliere ulteriori aspetti di questo particolare insieme di lavoratrici.
Entrando successivamente nel vivo dell’indagine empirica, le testimonianze e le
opinioni di alcuni testimoni privilegiati (operatori, medici ed assistenti sociali) hanno
permesso a questo punto del nostro ideale percorso di analisi di entrare nel merito
della situazione e di avere una prima, approfondita, rendicontazione critica delle
dinamiche individuate e dei nodi problematici. Le interviste effettuate hanno portato
alla luce interessanti spiegazioni in merito alla scelte delle famiglie di ricorrere
all’assistenza privata a pagamento per far fronte alla necessità di sostegno di una
persona anziana o non autosufficiente. In particolare, è emerso che la scelta della
domiciliarità rappresenta contemporaneamente il frutto di elementi culturali e
strutturali e l’assenza delle assistenti familiari renderebbe meno praticabile questa
scelta delle famiglie. Restano comunque aperti alcuni nodi problematici quali la
necessaria selezione del personale, la formazione, le difficoltà normative e burocratiche
ed altro ancora.
La riflessione chiave ha comunque riguardato la precarietà della “risorsa”
assistenti familiari (non essendo essa scontata e neppure infinita) ed alla conseguente
necessità di una “rete” tra i servizi per sostenere ed in qualche modo rafforzare l’offerta
che deve necessariamente affiancarsi ad un’auspicabile crescita delle responsabilità e
del capitale sociale complessivi.
Queste considerazioni in buona parte emergono anche dai risultati
dell’indagine sul campo tesa a sondare le opinioni e gli atteggiamenti delle famiglie e
delle lavoratrici coinvolte nel delicato fenomeno dell’assistenza domiciliare di una
persona anziana o non autosufficiente.
Per fare questo sono stati somministrati degli appositi questionari ad un
campione prestabilito di individui (lavoratrici e famiglie) individuati a partire
dall’universo degli utenti Acli in precedenza analizzato.
Le interviste effettuate (nei mesi di maggio e giugno 2007) sono state
complessivamente 196, hanno riguardato 110 lavoratrici ed 86 datori di lavoro (o
familiari). Tra le lavoratrici 33 sono state le colf e 77 le assistenti familiari, mentre tra
le famiglie, 28 sono risultate avere alle dipendenze una colf e 58 un’assistente
familiare.
Pur con alcune difficoltà, relative soprattutto agli ostacoli incontrati nel
contattare e coinvolgere le persone, le informazioni raccolte sono state numerose e
particolarmente ricche di spunti di riflessione.
Evidenziando le caratteristiche socio-demografiche del campione intervistato
(oltre alle principali connotazioni in ordine alla provenienza delle lavoratrici –
soprattutto ucraine e moldave – ed alla loro età medio alta), per quanto riguarda gli
assistiti e le loro famiglie sono emersi due importanti elementi:
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1) la correlazione inversa tra patologia dell’assistito e la sua classe d’età (c’è, in altre
parole, un numero significativo di persone “solo anziane” accudite da un’assistente);
2) l’elevata incidenza delle coppie o persone anziane che vivono da sole e che sono
assistite da un’assistente familiare, nonostante la presenza di familiari che non sono
mai troppo lontani – ed il più delle volte risiedono nello stesso comune o nei comuni
limitrofi (e pertanto la lontananza non dovrebbe rappresentare un problema).
Dall’analisi dei percorsi e delle dinamiche che hanno portato le famiglie alla
scelta dell’assistente familiare ed alla sua successiva concretizzazione sono emersi
alcuni importanti temi di discussione:
- ben il 50% delle famiglie (il 70% secondo le lavoratrici) con alle dipendenze
un’assistente familiare ha dichiarato di non avere valutato in precedenza altre
possibilità, ma di essere arrivata direttamente alla scelta dell’assistenza domiciliare
privata a pagamento;
- tra le motivazioni indicate a spiegazione della diffusa impossibilità ad occuparsi
autonomamente dei compiti di assistenza e dei lavori domestici “gli impegni
lavorativi” rappresentano la giustificazione più frequente (circa il 37% dei casi),
seguono il fatto che l’assito è solo e nessun familiare può occuparsi di lui (11%),
l’impossibilità di garantire un’assistenza a tempo pieno (11%) e l’esistenza di altre
particolari motivazioni o problematiche familiari (8%) che impediscono alla famiglia
di sobbarcarsi anche l’onere dell’assistenza alla persona anziana;
- in genere i contatti con le istituzioni (ad esempio le assistenti sociali ed il medico di
famiglia per consigli inerenti l’assistenza) sono risultati piuttosto scarsi e la
conoscenza dei servizi offerti non sempre diffusa. Ad esempio, ben il 66% delle
famiglie che ora utilizzano un’assistente familiare non ha mai avuto contatti le
assistenti sociali delle varie istituzioni e solo il 49% ha invece ammesso di aver
ricevuto dei consigli (il più delle volte prettamente medici) dal medico di famiglia che,
peraltro, solo in pochissimi casi sembra aver indirizzato la famiglia dall’assistente
sociale o abbia suggerito una qualche soluzione per far fronte all’assistenza;
- la scelta di ricorrere all’assistenza domiciliare privata si contrappone spesso
all’alternativa (ovviamente se praticabile) della istituzionalizzazione, quale unica,
forse più conosciuta ed attuabile, risposta al bisogno di assistenza delle famiglie.
Essa si configura tuttavia come un’alternativa poco gradita, soprattutto per
l’anziano, mentre le famiglie tendono a scartare l’ipotesi della casa di riposo anche
per motivi economici. Le famiglie ritengono infatti che l’utilizzo di un’assistente
familiare a domicilio, oltre ad offrire l’indubbio vantaggio di mantenere la persona
anziana nel proprio ambiente domestico, abbia dei costi inferiori. Rimane tuttavia da
valutare l’effettiva entità di questo ipotetico risparmio e soprattutto se esso sia
correlato o meno alla condizione di irregolarità della lavoratrice;
- è stata confermata l’importanza del fattore “imitazione sociale” come fondamentale
spinta alla diffusione del fenomeno. Quasi l’80% delle famiglie che ora utilizza
un’assistente familiare ha affermato infatti di aver conosciuto in passato delle altre
situazioni in cui questa soluzione era già stata adottata e tra queste ben il 76% ha
ammesso inoltre di essere stata indirizzata nella propria scelta;
- tra le motivazioni alla base della scelta dell’assistente familiare è spesso rivendicata
la necessità di garantire una presenza continua e “personalizzata” e permettere alla
persona anziana di rimanere tra le proprie mura domestiche;
- la concretizzazione della scelta ed il percorso di ricerca dell’assistente hanno
evidenziato una diffusa facilità nel contattare la lavoratrice (in ben il 79% delle
interviste). Le modalità di reclutamento utilizzate fanno in massima parte riferimento
a canali informali o non ufficiali (su tutti la rete delle conoscenze) e forse anche per
questo la scelta effettuata in alcuni casi (non pochi) si rivela problematica (e questo
non sembra collegato alle condizioni di salute della persona, come spesso invece si è
portati a credere). Ben il 43% degli intervistati ha infatti ammesso di aver cambiato
più di un’assistente prima di arrivare alla situazione attuale;
- il 52% delle famiglie e delle lavoratrici intervistate considera le procedure di
assunzione (e nel complesso in merito all’attuale normativa) non semplici,
soprattutto per via della complessità e delle lungaggini burocratiche. Il fatto di essere
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comunque sorretti ed aiutati nell’espletamento delle pratiche necessarie sicuramente
rappresenta un elemento di grande importanza per tutti i soggetti coinvolti, tant’è
che per una parte degli intervistati poco conta che la procedura per l’assunzione sia
complessa, essa va comunque bene e questo soprattutto perché esistono delle
strutture (quali i patronati Acli) presso le quali trovare un adeguato supporto
professionale;
viene confermata la marcata diffusione di un mercato sommerso del lavoro di cura
ed assistenza alle persone anziane o non autosufficienti: tra le lavoratrici intervistate
ben il 75% ha dichiarato di aver vissuto precedenti esperienze di lavoro irregolare ma
è risultato elevato anche il numero delle presenze irregolari all’interno della rete
amicale. Tra le famiglie, solo il 30% ha ammesso di avere direttamente utilizzato
forme di lavoro irregolare, ma ben il 60% ha affermato di conoscere altri nuclei
familiari che ne hanno fatto ricorso. La diffusione dell’irregolarità risulta tuttavia
determinata in molti casi da una sorta di “abusivismo di necessità” che, in
mancanza di alternative, “autorizza” molte famiglie a far lavorare le lavoratrici in
nero attendendo la prima occasione disponibile per sanarne la posizione;
tra le caratteristiche ed i compiti richiesti alla lavoratrice, la necessità di
“partecipazione emotiva” rappresenta un tratto caratteristico di gran parte delle
esperienze indagante. La capacità di instaurare un rapporto più o meno rispettoso,
coinvolgente e benevolo con la persona assistita sembra infatti costituire una delle
principali determinanti nella scelta delle lavoratrici e del loro giudizio. Dal lato
opposto, salvo le situazioni in cui un familiare collabori fattivamente con la
lavoratrice (e che quindi quat’ultima rappresenti un mero sostegno) le famiglie
tendono a delegare il più possibile all’assistente ed al massimo si limitano ad un
ruolo di supervisione e controllo;
dal punto di vista relazionale, a rivestire il maggiore livello di criticità sono
soprattutto i rapporti assistente-assistito, mentre con la famiglia non sembrano
esserci particolari problemi. Le principali difficoltà relazionali risultano in prevalenza
collegate alle criticità connesse alla convivenza;
per le famiglie l’assistenza a domicilio è risultata occupare semplicemente una
frazione del complessivo percorso assistenziale della persona anziana (esse sanno,
per esempio, che l’assistente familiare ci sarà fino al ricovero dell’assistito, fino alla
possibilità di ricorrere a soluzioni alternative, fino alla sua morte oppure “per
sempre”) e sulla base di questo orientano il proprio comportamento ed i propri
atteggiamenti. Dal lato opposto, la completa assenza di prospettive (e tempi) per le
lavoratrici rappresenta un inevitabile condizione di disagio e spesso rassegnazione;
dalle famiglie ci si aspettano prevalentemente atteggiamenti quali collaborazione,
presenza continuativa, correttezza, la non delega totale dell’assistenza, ma anche la
capacità di sapersi aiutare tra familiari, ma nella realtà non è sempre così. A parere
delle lavoratrici (ma non solo), in diverse occasioni le famiglie si comportano invece
in modo egoistico, si allontanano e lasciano sola l’assistente, sono generalmente
poco presenti e molto occupate, non collaborano o si limitano ad impartire ordini
come dei veri e propri datori di lavoro (tra l’altro non sempre in grado di gestire
questo nuovo ruolo loro assegnato).
Alcune considerazioni conclusive
In definitiva, il percorso di ricerca ha permesso di individuare tre nodi
problematici da proporre (o ri-proporre) all’attenzione del lettore:
1) L’omologazione e la parificazione delle possibilità offerte alle famiglie.
Cosa succederebbe se alle famiglie venisse proposta una gamma di servizi (o
soluzioni) per l’assistenza realmente alternativi tra loro? A parità di valore, livello
dell’offerta e rapporto costo-qualità/tipologia del servizio offerto, quale sarebbe la
scelta delle famiglie?
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Per verificare questa ipotesi (e per poterne apprezzare gli ipotetici effetti positivi)
risulta indispensabile arrivare ad un’offerta ufficiale che sia in grado di tener conto di
tutte le situazioni (anche di quelle riconducibili alla condizione intermedia tra
completa autosufficienza della persona anziana e la sua grave o totale non
autosufficienza) e che sappia inglobare anche il ruolo e la figura dell’assistente
familiare. Di qui la necessità di una maggiore definizione delle competenze di queste
lavoratrici e del loro ruolo all’interno della “rete” di servizi, ponendo allo stesso tempo
un limite alla natura meramente privata dell’attuale impiego che ne impedisce ogni
tipo di sorveglianza sulle condizioni di lavoro.
2) La diffusione delle informazioni e “l’omertà istituzionale” che caratterizza questo
fenomeno sociale.
Una significativa campagna d’informazione, sia rispetto ai rischi legati “al fai da
te”, sia in merito alla varietà dell’offerta pubblica esistente, eviterebbe di incorrere in
situazioni limite dalle quali è spesso difficile uscire in modo indolore – e solo per le
quali oggi è previsto o si fa ricorso all’aiuto delle istituzioni –. In questo senso devono
essere sfatate le credenze comuni e gli stereotipi spesso diffusi, fornendo alle famiglie
un reale, concreto e diffuso sostegno nel compimento delle proprie scelte.
Purtroppo la diffusa “omertà istituzionale” che caratterizza questo fenomeno
spesso rende difficile ogni tentativo di intervento.
3) La sostenibilità della risorsa “assistenti familiari” e le eventuali proposte alternative
nel medio/lungo termine.
Sono molti gli indizi che portano a ritenere che delle assistenti familiari c’è
bisogno e, verosimilmente, continuerà ad esserci bisogno per molto tempo.
Nonostante questo, si temono difficoltà crescenti per due ordini di motivi: da
un lato l’esaurimento dei flussi per il venir meno dei fattori di spinta (miglioramento
delle condizioni socio-economiche nei Paesi di origine); dall’altro, la “precarietà”
intrinseca del ruolo ricoperto dalle assistenti familiari immigrate. In altri termini, fino
a quando queste donne saranno disposte a “smembrare” le famiglie d’origine per
venire ad occuparsi delle “nostre” famiglie?
In definitiva, come ben sostiene Laura Zanfrini nel suo manuale di Sociologia
delle Migrazioni, “siamo di fronte ad una questione che riguarda le condizioni di
riproducibilità del nostro sistema sociale, nonché il benessere delle donne e delle
famiglie italiane. Individuare le modalità adeguate per “istituzionalizzare” questo
mercato sociale dei servizi alla famiglia e ricondurlo a un più complessivo ridisegno del
Welfare State sarebbe una scelta non solo funzionale alla desegregazione delle
lavoratrici immigrate, ma anche coerente con quella strategia di “defamilizzazione” oggi
indispensabile per ridurre la distanza tra chi può e chi non può contare su una
famiglia ben funzionante, ma anche per consentire alle famiglie “sane” di continuare a
funzionare”.
A tal fine, le proposte di intervento indicabili a partire dai risultati di questo
breve, e ripetiamo non ambizioso, percorso di ricerca sono sostanzialmente
riconducibili ai tentativi di:
- rendere più efficiente (interattiva) ed efficace la rete di servizi esistente integrando il
più possibile in essa il ruolo dell’assistente familiare, insistendo sulla diffusione della
conoscenza di quelli esistenti;
- puntare, per quanto è possibile, al potenziamento delle reti di vicinato e, più
ampiamente, al capitale sociale disponibile comunitariamente al fine di rafforzare le
risorse disponibili nel contesto familiare;
- sostenere ancor più di quanto si faccia ora la famiglia, non solo con apposite e mirate
misure finanziarie, ma soprattutto con il potenziamento dell’offerta di servizi e la reale
applicazione degli strumenti di conciliazione già esistenti.
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