Cosa dire e perchè al paziente lombalgico cronico: il punto di vista

Transcript

Cosa dire e perchè al paziente lombalgico cronico: il punto di vista
Capitolo 3
Stato dell’arte. Le parole che mi hai detto
Cosa dire e perchè al paziente
lombalgico cronico: il punto di
vista del rieducatore
M Romano
La percezione del dolore
Il dolore è un’esperienza universale sensoriale ed emotiva di cui
conosciamo poco i meccanismi e i fattori che la influenzano.
La sua interpretazione più comune è quella biomedica descritta
già da Cartesio nel ‘600.
Secondo questo modello la quantità di dolore percepito è
direttamente proporzionale al danno subíto in periferia e la
trasmissione dello stimolo centripeto avviene attraverso vie dirette e
uniche dalla periferia all’encefalo, che decodifica semplicemente
una stimolazione nocicettiva del corpo.
Tutto funzionerebbe, in definitiva come un campanile; maggiore
è l’energia con cui vengono tirate le corde e più forte è il suono
prodotto dalla campana.
Secondo questo modello il trattamento del sintomo dolore
consiste semplicisticamente nell’identificazione dello stimolo
nocicettivo e nella sua successiva eliminazione.
Con la descrizione della “teoria del cancello” (Gate control
theory) enunciata da Patrick Wall e Ronald Melzack nel 1965, viene
introdotto il concetto della modulazione degli impulsi dolorosi dalla
periferia al cervello. Il risultato sarebbe correlato all’equilibrio delle
informazioni che attraversano il midollo spinale seguendo le fibre di
diametro largo (non nocicettive) e quelle di diametro piccolo
(nocicettive); se prevale l’attività nelle fibre larghe il dolore sarà
poco importante o nullo (cancello chiuso); se invece prevale la
trasmissione lungo le fibre sottili si percepirà un dolore maggiore
(cancello aperto).
La prova di questo meccanismo neurofisiologico può essere fatta
in tutte quelle occasioni in cui si subisce un improvviso dolore: se
inavvertitamente ci schiacciamo un dito, la prima reazione sarà
quella di strofinare, comprimere o massaggiare la zona
71
Capitolo 3
Stato dell’arte. Le parole che mi hai detto
traumatizzata attivando, inconsapevolmente la trasmissione lungo le
fibre larghe ed inibendo, di conseguenza, la trasmissione del dolore
lungo le fibre sottili allo scopo di “chiudere il cancello” e di
avvertire meno dolore.
Numerosi studi, inoltre, hanno mostrato come la percezione del
dolore non sia solo influenzata da perturbazioni fisiche “ascendenti”
come quelle descritte nella “Gate control theory” ma anche da
modulazioni “discendenti” come la motivazione, il retroterra
culturale, l’atteggiamento con cui si affrontano le difficoltà.
La lombalgia
Nel caso della lombalgia una delle prime considerazioni che si
possono fare è che, contrariamente a quanto viene comunemente
enunciato, questo disturbo non può essere definito un semplice
sintomo ma piuttosto una sindrome, cioè un’insieme di sintomi che,
in questo caso, si manifestano con intensità che variano a seconda
della specifica condizione che si sta valutando.
Infatti, diverso è il caso di una lombalgia acuta che si manifesta
con un dolore vivo ed una marcata impotenza funzionale ma che
dura un tempo limitato, rispetto ad una lombalgia cronica
caratterizzata da un dolore e da una impotenza funzionale,
probabilmente ridotta ma caratterizzata invece da un più o meno
marcato decondizionamento fisico e da una più o meno importante
preoccupazione per il futuro.
Rieducare attraverso la terapia cognitivocomportamentale
Dalla comunità scientifica internazionale le indicazioni più
attuali per il trattamento efficace della lombalgia cronica
coincidono con il suggerimento di utilizzare un approccio integrato
e
multidisciplinare
denominato
approccio
cognitivocomportamentale.
Questo nasce dal consenso comune nell’attribuire alla lombalgia
cronica lo status di sindrome bio-psico-sociale, una condizione
complessa dove i sintomi influenzano gli stati d’animo e le
abitudini del nostro paziente, tanto da condizionargli i rapporti
familiari, lavorativi e sociali. Con questa modalità di trattamento, la
finalità primaria che viene individuata è quella di incidere in
72
Capitolo 3
Stato dell’arte. Le parole che mi hai detto
maniera determinante sui comportamenti quotidiani del paziente
alterati dal dolore e dalla paura.
Il raggiungimento di questo obiettivo e la rassicurazione rispetto
al futuro avranno un impatto positivo sulle condizioni psicologiche
del paziente e, come conseguenza diretta, anche sulla sua
percezione del dolore.
Al rieducatore tocca uno dei compiti più difficilì nella gestione
di un paziente che soffre da molto tempo: portarlo alla
consapevolezza che il suo disturbo potrebbe non risolversi
completamente.
Uno degli sforzi maggiore sarà il progressivo convincimento che
il traguardo principale a cui puntare è il miglioramento massimo
possibile delle funzioni della sua colonna e l’apprendimento a
gestire al meglio le difficoltà evitando che queste condizionino la
sua vita, piuttosto che disperarsi nella frustrante ed ingannevole
ricerca di una soluzione definitiva al suo problema.
Ma perché è così difficile trattare con questo paziente?
Perché normalmente il paziente lombalgico cronico manifesta
una serie di alterazioni dell’umore più o meno evidenti.
E’ un paziente arrabbiato perché si sente circondato da persone
che non riescono a trovare il bandolo della matassa e a comprendere
veramente le sue difficoltà; la famiglia, spesso, gli amici o il suo
datore di lavoro non credono fino in fondo alle sue sofferenze.
E’ un paziente irritabile a causa di questo dolore che lo tormenta
e, soprattutto, si sente in diritto di esserlo perché chi non soffre
come lui non ha il diritto di giudicare.
E’ un paziente frustrato e terrorizzato all’idea che questo dolore
non lo abbandonerà più.Tali considerazioni ci suggeriscono
chiaramente che questo soggetto non avverte solo un sintomo
doloroso, ma è prigioniero di una condizione complessa che tende
ad intricarsi sempre di più, man mano che passa il tempo, e su cui si
innestano in maniera perversa deficit fisici e ripercussioni
psicologiche che si rinforzano ed autoalimentano a vicenda.
Di conseguenza, se a condizione complessa corrisponde
intervento complesso, il trattamento di questo paziente deve essere
organizzato tenendo conto di vari fronti:
ƒ un fronte emozionale che corrisponde al dolore, cioè il
sintomo che l’ha portato in prima istanza a rivolgersi a
noi;
73
Capitolo 3
Stato dell’arte. Le parole che mi hai detto
ƒ
il più evidente e oggettivabile fronte dei deficit fisici e
della disabilità;
ƒ il fronte psicologico della paura di non ottenere ancora
risultati.
Alla luce di tutto questo, si intende che il trattamento non può
essere effettuato utilizzando solo le armi classiche della
riabilitazione, ma deve articolarsi anche su un esaustivo programma
educativo il cui successo è subordinato, in primo luogo, alla
capacità del rieducatore di instaurare una efficace comunicazione
verbale.
Il buon esito dell’operazione si potrà concretizzare solo con il
coinvolgimento attivo di tutta l’equipe che segue il paziente, a
cominciare dal medico, che però ha a disposizione il tempo limitato
della visita, per cui toccherà proprio al rieducatore il lavoro più
grosso di informazione e di rinforzo progressivo dei messaggi
corretti.
I risultati saranno buoni solo se questo processo viene gestito da
un operatore esperto e abituato a districarsi tra le recriminazioni, le
aspettative, le richieste di chi soffre di un dolore cronico.Con questo
approccio ci proponiamo di incidere sui comportamenti quotidiani
del nostro paziente stimolando il ritorno progressivo alle sue attività
abituali e riducendo la paura per il movimento.
Il primo, grosso sforzo da fare sarà una attenta riflessione sui
nostri comportamenti per adeguarli al raggiungimento del traguardo
ambizioso che ci siamo posti.
1. Per prima cosa la qualità delle parole che si utilizzano.
E’ un difficile esercizio per chi è appassionato del proprio lavoro
il non usare termini poco chiari per i non addetti ai lavori e di
semplificare ogni ragionamento. Questo sforzo però è
indispensabile. Non dimentichiamo che, normalmente, molti di
questi pazienti hanno già avuto precedenti contatti con numerosi
altri medici e riabilitatori da cui hanno assorbito una gran quantità
di termini tecnici, cosa che di solito li ha resi più confusi che
informati.
2. Non solo la qualità, ma anche la quantità delle parole usate ha
la sua importanza.
Ragionamenti troppo articolati o prolissi non danno l’idea della
padronanza della materia, per cui è fondamentale l’uso di concetti
espressi semplicemente e l’abitudine alla risposta diretta.
74
Capitolo 3
Stato dell’arte. Le parole che mi hai detto
3. L’osservazione attenta del paziente e di tutti i messaggi che il
suo corpo invia rappresenta il mezzo più efficace per cogliere le
reali sfumature del suo disagio e comprendere la chiave per
l’impostazione del trattamento cognitivo comportamentale.
4. Vista la difficoltà del trattamento è possibile che qualcuno ha
già detto a questo paziente che il dolore è solo nella sua testa.
Il paziente non sopporta di essere trattato come un caso
psichiatrico. E d’altronde non possiamo credere che il dolore sia
solo immaginario. La difficoltà sta nel far comprendere al paziente
che la percezione di questo sintomo non è solo legata al danno
iniziale ma ad un complesso meccanismo in cui entrano in gioco
fattori di autoalimentazione e di sostegno.
Le frasi e i termini da non usare
Per l’instaurarsi di una efficace relazione terapeutica si possono
sottolineare una serie di espressioni da dimenticare che spesso,
quasi dotate di vita propria, vengono incautamente evocate:
“Lei ha la schiena di una persona di 80 anni”
Questa frase infelice lascia sottintendere che a un’immagine
radiografica non eccellente corrisponda una brutta condizione
clinica.
Sappiamo tutti per esperienza che non è vero e d’altronde
messaggio da trasmettere è proprio il contrario: gli esami possono
ingannare.
“I miei colleghi non hanno capito niente”
Questa è la frase che fa dubitare il paziente della serietà nostra e
della categoria.
“Se non si impegna finirà su una sedia a rotelle”
Il principio del messaggio è corretto. Vogliamo invitarlo a
reagire e gli chiediamo impegno nel trattamento. La forma però è
scorretta perché il terrorismo non paga ed il paziente potrebbe
spaventarsi e andare a cercarsi un terapeuta meno minaccioso.
“Magari con una risonanza capiamo di più”
Perché dire una bugia a noi stessi e prendere tempo con la
richiesta di un esame in più? Accontentiamoci di quelli che il
75
Capitolo 3
Stato dell’arte. Le parole che mi hai detto
paziente ha già (in genere troppi) sapendo in anticipo che le
immagini difficilmente ci daranno informazioni essenziali per la
definizione della diagnosi e del piano terapeutico.
Riposare
Il risultato migliore lo si ottiene quando il paziente riduce al
minimo il riposo e lo fa diventare un effetto collaterale, a volte
inevitabile e da utilizzare solo nelle situazioni di dolore non
gestibile.
Malattia
Istintivamente il termine viene spesso evocato. E’ da
sottolineare, invece che il mal di schiena non è una malattia.
Mediamente solo un paziente su 200 ha una patologia grave.
Guarire
Attenzione a questo termine. Preso nella sua accezione più
ottimistica può creare false speranze. Invece, bisogna chiarire al
paziente che è molto difficile uscire completamente dalla lombalgia
cronica.
Quest’ultimo è uno dei concetti più difficili da far accettare ma,
usando le parole giuste, si può dire, come diceva Freud, anche la
verità.
I Concetti da usare
Autotrattamento
Il percorso di trattamento della lombalgia cronica viene
compiuto in prima persona dal paziente, al quale viene chiesto di
prendere in mano la situazione. E’ necessario modificare il suo
atteggiamento passivo e responsabilizzarlo coinvolgendolo
attivamente.
Insieme
Chiaramente il paziente non fa tutto da solo. Il nostro apporto è
fondamentale ma si limita nel prenderlo per mano, nel sostenerlo e
accompagnarlo in questo lungo viaggio di recupero.
76
Capitolo 3
Stato dell’arte. Le parole che mi hai detto
Pazienza
I risultati, per il dolore ormai cronicizzato si vedono solo dopo
diversi mesi, a volte un anno, quindi bisogna spiegare al nostro
paziente che non ci si possono aspettare risultati a breve termine…
Futuro
…ma che il futuro non è così nero come può sembrare nei giorni
peggiori. E’ proprio in quei momenti che bisogna tirare fuori il
meglio di se stessi.
Esercizi
Spiegare al paziente non solo l’esercizio, ma anche il motivo per
cui gli chiediamo di fare quell’esercizio. Solo comprendendone il
senso il paziente sarà più motivato ed eseguirà il compito con
convinzione e impegno.
Paure
Uno degli sforzi maggiori che viene richiesto è di sfatare tutte le
errate convinzioni che il paziente ha elaborato grazie a consigli,
informazioni scorrette e preconcetti.
Fra tutte, due sicuramente da ricordare:
L’entita del dolore non dipende dall’entità del danno
L’equazione non è” + dolore = situazione grave” oppure “dolore
non passa=colonna che si sta disgregando”
Il movimento non è dannoso
Questo è uno dei concetti più importanti che dovremo
trasmettere e far interiorizzare al nostro paziente, che invece quasi
sempre ha paura del movimento.
Prima con movimenti esplorativi e poi sempre più intensi il
nostro soggetto deve riacquisire fiducia nelle sue possibilità motorie
e arrivare a convincersi che il movimento non solo non è dannoso,
ma rappresenta, in molti casi, il solo passaporto per venire fuori
dalla sua condizione.
Infine un’ultima, ma non meno importante raccomandazione, è
l‘invito a monitorare regolarmente i progressi e documentarli
scrupolosamente.
77
Capitolo 3
Stato dell’arte. Le parole che mi hai detto
Questo perché non ci si può fidare solo della memoria e niente è
più facile per una persona sofferente che riferire di non aver
ottenuto nessun miglioramento dalla terapia solo perché, in buona
fede, ha dimenticato quale era la situazione solo qualche settimana
prima.
In questi casi solo il confronto con i risultati dei test fisici o di
valutazione della disabilità effettuati prima dell’inizio del ciclo di
trattamento gli faranno comprendere come le cose sono cambiate e
che, anche se il dolore non è sparito, la qualità della sua vita è
cambiata radicalmente in meglio.
Bibliografia
ƒ Estlander AM Determinants of pain behaviour in patients with chronic low
back pain. Ann Med. 1989 Oct;21(5):381-5.
ƒ Marin CJ, Williams AC de C.
ABC of psychological medicine
Muscoloskeletal pain BMJ 2002:325;534-537
ƒ McCracken LM, Turk DC Behavioural and Cognitive-Behavioural Treatment
for Chronic Low Pain. Outcome, Predictor of Outcome and treatment process.
Spine 2002: 27(22); 2564-2573
ƒ Waddell G, Pilowsky I, Bond MR Clinical assessment and interpretation of
abnormal illness behaviour in low back pain. Pain. 1989 Oct;39(1):41-53
ƒ Walsh DA, Radcliffe JC Pain beliefs and perceived physical disability of
patients with chronic low back pain. Pain. 2002 May;97(1-2):23-31.
78