Mi porterò dietro la macchina fotografica, e un aggettivo: stravanato

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Mi porterò dietro la macchina fotografica, e un aggettivo: stravanato
I Racconti di Monumenti Aperti 2015
Edizione speciale per Gusta la città.
Quest’anno viene infatti proposto un itinerario attorno ai piatti della cucina
tradizionale cagliaritana che coinvolge nove ristoratori cittadini e si intreccia con il
progetto I Racconti di Monumenti Aperti. Una iniziativa condotta con il prezioso
contributo del Consorzio Commerciale Naturale Cagliari Centro Storico e con il
supporto di Confesercenti provinciale di Cagliari e di Confcommercio Cagliari.
In ognuno dei ristoranti aderenti all’iniziativa si potranno non solo gustare i deliziosi
piatti della tradizione ma sarà anche possibile trovare un originale quaderno,
illustrato da Ignazio Fulghesu, che conterrà nove ricette tipiche introdotte da Mi
porterò dietro la macchina fotografica, e un aggettivo: stravanato, un racconto
originale dedicato al cibo tradizionale, scritto da Nino Nonnis.
Mi porterò dietro la macchina fotografica,
e un aggettivo: stravanato
di Nino Nonnis
Capita che uno vada a visitare un monumento, un museo e lo trovi chiuso. Pare che sia un
problema tipicamente italiano. Per cui, quando si dice monumenti aperti c’è la garanzia di
poterlo visitare. I turisti e i locali possono organizzarsi senza temere sorprese. Che sono
lasciate ai ristoranti: apriranno? E se lo faranno, seguiranno l’eccezionalità dell’evento
contribuendo con piatti tipici della tradizione trascurata? Pare che quest’anno ci sia la volontà
dichiarata di mettersi a disposizione.
L’idea dell’apertura è un’idea di accoglienza, di partecipazione diff usa. Non sono pochi i
cagliaritani che non hanno mai visitato il museo archeologico, e dal momento che gli sembra
di averlo sotto casa, rimandano sempre.
Saranno due giorni dedicati: per uscire di casa e passeggiare insieme a tanti altri in cerca
dell’itinerario migliore. Con i figli e magari con un cane al guinzaglio.
Nei paesi era una normale abitudine, ma anche in città, nei vecchi rioni, si lasciavano le
porte socchiuse, se non aperte, quasi a non isolarsi dall’esterno. La strada non era il regno
delle macchine, ne passavano poche, ci si parlava da un balcone all’altro e i vicini di casa
erano sempre gli stessi. Gli odori del pranzo e della cena arrivavano quasi sfacciati alla
strada, capitava che qualcuno, passando, salutasse i commensali, che erano contenti di
quelle inserzioni. “A sa parti” era l’invito rituale. Ci si conosceva tutti, ogni generazione le sue
fratellanze. Ho giocato anch’io sulla scalinata di Sant’Anna e i suoi scivoli. Allora ci si fidava
a lasciar “scendere giù” i bambini. Il giù esisteva. Quando ci passo davanti mi fermo e lascio
liberi i ricordi.
L’attenzione del nostro sguardo non si solleva più, passiamo gran parte del nostro tempo a
stare attenti agli incroci, e adesso alle rotonde. i nostri commenti riguardano il traffico, i
parcheggi, un ingorgo.
Abbiamo bisogno di eventi che ci riportino a salutari diversivi, per poterli ripetere. Di ritrovare
il gusto di camminare a piedi, senza la fretta di arrivare da qualche parte, di sollevare il
nostro sguardo, abituato a vedere asfalto. Per notare i piccoli balconi in ferro battuto, o quelli
di stile spagnolo, austriaco, barocco più o meno tardo, piccoli gioielli che hanno resistito alla
modernità. Salviamoli, coi loro palazzi, testimoni della nostra particolarità. Il moderno
costruiamolo da altre parti, come è normale che sia.
Cambia anche la cucina, si trasformano i sughi, e i nostri fi gli si lasciano attirare da
americanismi. Non sanno cos’è la burrida e su mazzamurru, s’anguidda e su pisci a collettu,
che sono le fave, mica un pesce elegante o troppo caro. Piatti che le nostre nonne sapevano
fare. Per pulirci la bocca potremmo anche usare su trattabuccu.
Ancora inseguo vecchi sapori che appartengono alla mia memoria, come la salsiccia. Quella
di Sindia l’ho sempre mangiata a pezzi grandi senza usare il coltello. Quando passo al
Poetto, mi fermo spesso per accontentarmi. In piedi, in posa da combattimento, mi trattengo
a mangiare i ricci appena pescati. Ci vogliono i ricci, e uno che te li apre.
Le cozze no. Quelle mi piace aprirmele da me, senza mostrare bravura, altrimenti c’è
sempre chi vuole approfittarne. Il loro luogo dedicato era per me il mercato di San Benedetto.
Le apprezzavo molto ed ero ricambiato dai venditori che mi usavano come promotore. “Sono
buonissime signora, guardi come le mangia il bambino”.
Monumenti e cucina, per attirare i turisti, accoglierli e rinfrancargli spirito e corpo, e noi con
loro. Speriamo solo nella luminosità del cielo, tutto il resto sta a noi. Sarà anche una buona
occasione per fare un invito che ci procurava timidezza “Che ne dici di andare insieme a
“Monumenti aperti” e fermarci a mangiare da qualche parte?”.
I monumenti li trovi nei quartieri storici, dove di solito non vai, perché non ci sono uffici e
centri commerciali. Quelli che un tempo avevano una propria individualità, una propria calàra
nel parlare il cagliaritano, e si sapeva di chi eri figlio.
Gli abitanti dei rioni si sono ormai mischiati. Si nasce in un posto e si va a vivere da altre
parti, spesso giusto per dormire. Si torna a Stampace per la festa di Cuccurus cottus, in
Santa Tennera e Villanova abbiamo depositato i ricordi: qui c’era il negozio di tizio e di là
c’era il tale. Succede anche a me, che sono stato abitatore di San Benedetto e ricordo
ancora il vecchio mercato di piazza Galilei.
Un altro mercato, quello vecchio del Largo Carlo Felice è, o è stato, per me un monumento
personale che mi rimanda ad antichi stupori. Adesso dico a mio figlio “Qui sorgeva…” e così
faccio per tante altre sparizioni. Sono i monumenti della memoria, in qualche caso di nessun
valore artistico, che diventano sempre più intimi, sino ad avere poche persone con cui
condividere l’entusiasmo.
Ricordo ancora la gioia delle domeniche in cui era vietato usare la macchina.
Adesso frequentiamo i centri commerciali, ognuno ha le sue preferenze. “Non ti ho visto
nell’ultimo mese” – “Ho cambiato centro commerciale”.
La memoria ricompone e distorce, segnalando bisogni e nostalgie. Ogni generazione ha i
suoi riferimenti. I grandi monumenti finiscono per appartenerti, anche se un tempo ti
escludevano. Le porte di Castello servivano a proteggere gli spagnoli dai locali, che se
trovati dentro al calare delle luci, venivano buttati giù da una rocca, accompagnati da un
augurio “Stai in pace”, da cui Stampace, un nome che è un orgoglio d’appartenenza.
Riprendiamoci i luoghi della nostra storia, proteggiamoli, godiamo di un semplice portale, di
un campanile, di una scalinata, di un balcone. Come ho visto nell’oltraggiata città dell’Aquila
dove ho cercato invano serrande e PVC. Rispolveriamo vecchi nomi, di vie, di piatti
trascurati, di antichi mestieri. Ritroviamo il gusto, la curiosità, un brivido giovanile. Dirò a mio
fi glio dove ci appoggiavamo per giocare a prontus quaddus prontus e quali tubature
usavamo per giocare a Cili mele. Luoghi e atmosfere che non torneranno. Teniamoceli cari
però, conosciamoli.
BIOGRAFIA
Nino Nonnis e nato a Sindia (NU). Ha scritto 10 libri: “Grazia a Maria” – “Le puoi leggere anche in tram” – “A biliardino
non gioca piu nessuno” – “Racconti non di solo sesso” – “Hanno ucciso il bar Ragno” – “Una donna tutta d’un pezzo”
– “La vita altrove” – “Bridgida” – “Nai No” – “La chiamavano la piccola Parigi”. Prolifi co autore teatrale, e stato
rappresentato anche in importanti festival regionali e nazionali.