Scheda da Film discussi insieme 2006
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Scheda da Film discussi insieme 2006
Clean regia: Olivier Assayas (Francia 2004); sceneggiatura: O. Assayas, Malachy Martin, Sarah Perry; fotografia: Eric Gautier; montaggio: Luc Barnier; musica: brani vari; scenografia: William Fleming, François-Renaud Labarthe; costumi: Anaïs Romand; interpreti: Maggie Cheung (Emily Wang), Nick Nolte (Albrecht Hauser), Béatrice Dalle (Elena), Jeanne Balibar (Irene), Don McKellar (Vernon); produzione: Rectangle Prod, Haystack Prod., Rhombus Media, Arte France Cinéma; distribuzione: Ist. Luce; durata: 1h 50’ OLIVIER ASSAYAS Parigi - 25 gennaio 1955 1986 Il disordine 1989 Il bambino d’inverno 1991 Contro il destino 1993 Une nouvelle vie 1994 L’eau froide 1996 Irma Vep 1998 Fin août, début septembre 2000 Les destinées sentimentales 2002 Demonlover 2004 Clean LA STORIA Travolto dall’alcool e dalla droga, Lee Hauser, autore rock, arriva ad Hamilton, Canada, per chiedere aiuto ad un agente suo amico. Lee, da tempo in preda ad una crisi profonda di cui è il primo a rendersi conto, ha ormai compiuto quarantadue anni e sa di non poter pretendere l’interessamento di una casa di produzione più importante. Ma Emily Wang, la donna che gli è vicino da cinque anni, non è d’accordo. Nel loro ambiente lei ha la fama di essere totalmente dipendente dalla droga e responsabile anche dello stato in cui si trova Lee, eppure pensa di riuscire a farlo reagire. Una sera, dopo l’ennesima lite, e dopo essersi procurata dell’eroina, lei lascia Lee e si allontana da sola in macchina verso la periferia per bucarsi. La mattina dopo al ritorno trova davanti all’albergo la polizia che la ferma e le dice che il marito è morto per overdose. Alle prime domande ammette allora di essere tossicodipendente, ma nega la responsabilità dell’acquisto dell’eroina. Verrà condannata a sei mesi di carcere. Scontata la pena e intrapresa la terapia con il metadone cerca i suoceri, che abitano a Vancouver e a cui ha da sempre affidato il figlio Jay, un bambino. Albrecht Hauser la raggiunge in una caffetteria e la mette al corrente di tutte le incombenze di cui ha dovuto farsi carico con la morte di Lee. Le parla delle sue ancora inedite incisioni, della vendita della casa acquistata a Londra indispensabile per ripagare i debiti acquisiti dal figlio, dei pochi soldi rimasti e girati a lei, e soprattutto della decisione presa dal tribunale circa l’affidamento del bambino. A crescerlo finche sarà necessaCLEAN 83 4 rio, dovranno essere loro, i nonni. Emily accetta: sa di non poter chiedere niente nella situazione in cui si trova. Non si aspetta però che Albrecht Hauser le chieda anche di rinunciare per qualche anno a vedere suo figlio. Da lui si sente dire: “Per noi è stato difficile spiegargli la morte di suo padre. È un bambino molto equilibrato, ma sensibile. Io e Rosemary abbiamo fatto di tutto per dargli stabilità, senso di appartenenza e non vogliamo vederlo soffrire ancora. Legalmente hai il diritto di vederlo, ma credo dovresti dargli ancora un po’ di tempo”. E poi: “Ci terremo in contatto”. Emily parte per Parigi, dove aveva vissuto prima di incontrare Lee e dove aveva lavorato come conduttrice di un’emittente tv per giovanissimi, con la speranza di ritrovare quelli che lei ritiene gli amici disposti a darle una mano. Ma il suo scopo è soprattutto incontrare Tricky, una star nel mondo del rock, che aveva manifestato interesse ai dischi di Lee, e che avrebbe potuto intervenire presso suo suocero e aiutarla a rivedere il bambino. Il no che riceve è pesante e anche il posto di cameriera in un ristorante cinese le viene presto tolto, per via dell’uso che si ritiene faccia ancora di troppe pastiglie. Accetta invece il lavoro di commessa ai magazzini Printemps. L’impiego le serve per poter scrivere al padre di Lee e ottenere di vedere Jay. L’opportunità di poterlo incontrare gliela offre Albrecht con una telefonata da Londra, dove si trova con Rosemary che ha bisogno di un ricovero in ospedale e di cure speciali. Rosemary è durissima nei confronti della nuora, la ritiene tra l’altro responsabile della morte del figlio. E il bambino quando il nonno gli parla di un viaggio a Parigi e di un week end da trascorrere con la madre si ribella. “Ha ucciso mio padre. È morto per colpa della droga che gli aveva dato lei. Io non le voglio bene e lei non vuole bene a me”. Quella prima ribellione Albrecht prova a non forzarla. Chiede a Emily di saper aspettare ancora un po’. E davanti a suo figlio che più tardi, da soli allo zoo, le ripete quello che ha saputo dalla nonna: “Tu hai ucciso mio padre. Gli hai dato la droga che lo ha ucciso”. Emily, con molta calma, gli risponde: “non ho ucciso tuo padre: la comprai io la droga quella notte... Ne presi un po’ io e ne prese un po’ lui. Poteva succedere che Lee perdesse me... C’è gente che usa la droga perché soffre. Per tuo padre 84 CLEAN era così e anche per me. Devi essere molto fiero di lui”. E poi: “Io ho smesso per causa tua. Perché altrimenti non ti avrei più rivisto”. La pace è fatta. Adesso Jay è tranquillo e a casa con lei, nella stanza che le ha messo a disposizione un’amica, il bambino le chiede di seguirla a San Francisco, dove è stata invitata per incidere un suo disco. La tentazione di dirgli di sì è forte, ma la parola data ad Albrecht, a cui ha promesso di riconsegnare il bambino a fine week end, e la stima che il suocero ha riposto in lei, la fanno desistere. A San Francisco è sola, ma sa di poter essere da suo figlio quando vorrà. LA CRITICA Ci sono strade che portano a un’auto davanti a un lago, le ciminiere di un sobborgo canadese in lontananza, lo scatto del laccio emostatico e una siringa che cade sui tappetini. Ci sono vicoli di Parigi dietro i locali dove si fa musica. Ponti d’oro di San Francisco, che conducono a un sogno da costruire e, per un intreccio di volontà e destino, all’abbraccio di un figlio dimenticato. Emily Wang - alias Maggie Cheung premiata per questo ruolo come miglior attrice lo scorso anno al Festival di Cannes - è la protagonista di Clean di Olivier Assayas, nelle sale italiane a partire dal prossimo 6 maggio. Clean significa «pulito»: come spiega il regista, «è il termine più giusto per chi riesce ad uscire dalla schiavitù della dipendenza». Emily ci prova, e ci riesce. Dopo la morte per overdose del compagno, musicista rock fuori dai giri “che contano” e dopo aver scontato sei mesi di prigione, per possesso di stupefacenti, riscopre l’esistenza di un figlio, Jay (il piccolo James Dennis), affidato alle cure dei genitori paterni, Albrecht e Rosemary (Nick Nolte e Martha Henry). Ma i nonni la pregano di rimanere ancora lontana dal bambino, traumatizzato dalla morte violenta del padre. Così Emily torna in Francia, dove viveva, prima di iniziare una vita in giro per il mondo alla ricerca del successo. Ritrova le amiche di un tempo, non più disposte ad aiutarla. Lavora come cameriera in un ristorante cinese, sogna ancora di diventare una cantante, ma non riesce a staccarsi dalla droga. Fino a che è il pensiero del piccolo Jay a farle scattare qualcosa dentro. E decide di cambiare vita, di essere migliore. Per un figlio che non conosce, che è all’inizio solo un’idea. Ma che la spinge, spiega Assayas «a non fuggire più, a rimettere assieme i pezzi della sua identità frammentata». Tante le chiavi di lettura, per una storia che nasce attorno alla personalità dell’attrice Maggie Cheung, appassionata di musica, apprezzata in film come Hero o In the mood for love Il regista, ex redattore dei Cahiers du cinema, ha voluto nel film anche musicisti “veri”, del calibro di Tricky, Mazzy Starr e i canadesi Metric, a interpretare loro stessi e a regalare lunghe scene in cui il rock graffiante fa da corollario alla colonna sonora di Brian Eno. Tante letture, che si ricompongono in una storia dal ritmo frammentato e giocata sui contrasti, anche visuali. Una vicenda immersa in un contesto tormentato, che parla delle difficoltà dell’amore: quelle incontrate dal piccolo Jay diffidente verso Emily, forse perché - come spiega nonno Albrecht - «i bambini capiscono tutto, ci leggono nei pensieri». Ma parla anche della pienezza dell’amore: di una donna che si riscopre madre, di due coniugi anziani, che assieme fronteggiano le difficoltà della vecchiaia, di un nonno, l’intenso Nick Nolte, che accoglie e perdona. E dell’amore per se stessi, che non è egoismo ma consapevolezza di poter vivere come persone “pulite” e di poter cambiare, se «ce n’è bisogno». Perché, conclude Assayas, «tutto può iniziare ancora». (ELENA NIEDDU, L’Avvenire, 7 aprile 2005). Sullo schermo dall’inizio alla fine, disperata, febbrile, vulnerabile, fortissima. Migliore attrice all’ultimo Festival di Cannes, Maggie Cheung è l’anima, il corpo, la mente di «Clean», il film di Olivier Assayas (il 6 maggio sugli schermi italiani) in cui interpreta Emily, ex-drogata alle prese con un difficile cammino di rinascita. Solo se riuscirà a liberarsi dallo spettro della tossicodipendenza, solo se riuscirà a tornare, come si dice in gergo, «pulita» («clean», in inglese), Emily potrà ricominciare. Cioè riavere suo figlio, affidato ai genitori del compagno morto per overdose (il padre è Nick Nolte, la madre Martha Henry), e cantare, la sua vecchia passione. «La droga - osserva il regista - chiude le persone dentro una specie di bolla, separa da se stessi e dagli altri, prolunga innaturalmente la giovinezza, esonera dal porsi le normali domande della maturità. Non m’interessa formulare giudizi morali, ma, nel momento in cui si smette di usare stupefacenti, ci si ritrova davanti agli interrogativi da cui si era fuggiti. E a quel punto bisogna capire qual è la propria posizione nei confronti di se stessi e del mondo». Nell’ultima sequenza del film la protagonista è in sala d’incisione, con le cuffie in testa, davanti a un microfono. Forse è l’inizio di una nuova vita, o forse solo il primo passo, ancora incerto, verso un futuro diverso: «Volevo raccontare il personaggio - dice Assayas - fino al punto in cui qualcosa, nella sua vita, può davvero ricominciare. Emily è riuscita a ricostruire la propria personalità, non sappiamo se ce la farà oppure no, ma almeno adesso ha davanti un percorso da compiere». La storia di «Clean» è stata scritta dal regista su misura per Maggie Cheung e lei stessa ha avuto parte attiva nella lavorazione: «È stata una collaboratrice importante, oltre che una protagonista insostituibile, è entrata intimamente a far parte del processo creativo del film e ne è stata felice perchè questo è il modo di lavorare che più le appartiene». Superstar del cinema asiatico, vincitrice di premi e riconoscimenti in tutti i festival e le rassegne dell’est, impegnata nelle riprese di un film dopo l’altro, Maggie Cheung è diva dai mille volti, da tredici anni sulla scena, con 73 film all’attivo. Sempre credibile, sempre affascinante. Sia quando ancheggia sinuosa, icona dell’amore impossibile, nel film culto di Wong Kar Wai «In the mood for love», sia quando, nelle vesti di Neve Volante, duella magicamente in «Hero» di Zhang Yimou. Già nel 1996, quando l’aveva diretta in «Irma Vep», il regista Assayas, che è stato a lungo suo compagno, ne aveva intuito il magnetisno irresistibile, la capacità di riempire la scena con uno sguardo: «Nel fascino di Maggie c’è un mistero speciale, qualcosa che ha a che vedere con la sua doppia cultura, con il fatto che è nata a Hong Kong ma è cresciuta a Londra e quindi è un po’ cinese e un po’ inglese. La sua è un’identità cosmopolita, e lo è sempre di più, ora che viaggia di contiCLEAN 85 nuo da una parte all’altra del globo». Secondo Assayas il ruolo di Emily rappresenta per l’attrice l’occasione di un atteso riscatto, il modo per svelarsi davvero, al di là delle rappresentazioni un po’ ieratiche in cui l’hanno spesso imprigionata i maestri cinesi: «Nel personaggio di “In the mood for love” non c’è niente di veramente suo, per lei quello è stato un lavoro noiosissimo, era costretta a recitare senza sapere nulla della storia, senza conoscere la psicologia dei protagonisti, un po’ come se fosse una semplice modella da fotografare. Ha scoperto di cosa parlava il film solo dopo la prima proiezione, e questo è stato molto frustrante». In «Clean», finalmente, Maggie Cheung è una ragazza del mondo, non più costretta nello stereotipo orientale: «Finora in Occidente le avevano sempre proposto personaggi molto cinesi e questo a lei suonava strano, perchè, non avendo vissuto in una vera famiglia cinese, non si è mai sentita completamente parte di quella cultura». E poi ha potuto finalmente cantare: «Le è sempre piaciuto, ma è troppo timida per accettare di esibirsi su un palcoscenico. (FULVIA CAPRARA, La Stampa, 5 aprile 2005). L’esilio, lo sradicamento, l’incapacità di appartenere davvero a un luogo, a una famiglia, a una comunità. È forse la condizione contemporanea per eccellenza, ed è anche il soggetto profondo del sommesso, struggente Clean di Olivier Assayas. Un mélo notturno, malinconico, urbano, in cui i protagonisti cercano se stessi attraverso la musica, anzi cercano disperatamente la “loro” musica, orizzonte e misura di ogni identità. Si comincia con una morte si finisce con una rinascita. A morire, di eroina, è un cantante rock di sicuro talento ma di relativo successo che ha ormai passato la quarantina. Mentre a rinascere, dopo sei mesi di prigione e una lunga serie di prove, sarà sua moglie Emily. Una anglo-cinese un po’ sbandata, ex-presentatrice di programmi rock, che una volta vedova deve ripartire da zero (una misuratissima Maggie Cheung, che con questo ruolo vinse la palma come miglior attrice l’anno scorso a Cannes). Gli amici del giro infatti pensano che il marito sia morto per colpa sua, e non concedendole la minima attenuante le voltano le spalle. Il figlio piccolo viene affidato 86 CLEAN definitivamente ai suoceri (Nick Nolte e Martha Henry). Così Emily lascia le ciminiere del Canada, torna a vivere a Parigi, accetta lavoretti qualsiasi per tirare avanti. E intanto cerca di disintossicarsi, anche perché finché non sarà “clean”, pulita, non ha il diritto di rivedere suo figlio. Raccontata e riordinata così può sembrare una storia edificante, ma Assayas scopre le carte poco alla volta, con abilità consumata; sa far “respirare” i suoi personaggi dando a ognuno il ritmo e lo sguardo che gli si addice; non si concentra sulla sola Emily, ma le crea intorno tutto un mondo fatto di vecchie conoscenze (Béatrice Dalle rocker pura e dura, Jeanne Balibar televisiva di successo) e di nuovi sentimenti (la ragazza, sua vecchia fan, che di colpo mette Emily di fronte alla sua passata immagine di personaggio tv, un’immagine che Emily non ricordava nemmeno di avere). Disegnando parallelamente la magnifica figura chiave del suocero Nick Nolte, nonno (e a suo tempo padre) goffo ma affettuoso, debole ma capace di ascolto. Intimidito dal nipotino come lo fu dal figlio, «perché i bambini capiscono tutto, ti leggono nel pensiero, ti giudicano in un lampo». Una figura fragile e insieme decisiva se toccherà proprio a lui dare fiducia a Emily («Credo nel perdono: la gente cambia, se ne ha bisogno») finendo per riavvicinarla al bambino. Finalmente una speranza per il bastonatissimo padre, insomma. E tanto peggio per chi accuserà il dolente Clean di facile ottimismo. Più irritante del “politicamente corretto” c’è solo la dittatura della disperazione a tutti i costi. Dietro il rock e la droga, Assayas racconta l’elaborazione di un lutto. E bisogna essere davvero senza cuore per pensare che il lutto non debba avere mai fine. (FABIO FERZETTI, Il Messaggero, 27 maggio 2005). I COMMENTI DEL PUBBLICO OTTIMO Sima Terzi - Mi è sembrata molto efficace la rappresentazione dello squallore, del buio progressivo con sempre minori speranze di recuperare la normalità, in cui è coinvolta la protagonista. Commovente la sua lotta, malgrado tutto, pur con le ricadute, per cercare un lavoro, per risalire la china, e quindi per realizzare la speranza di vedersi affidato il bambino che sente sempre più ragione di vita. Altrettanto commovente la passeggiata, col piccolo, al giardino zoologico e il suo discolparsi di fronte a lui. Proprio il realismo della narrazione e la bravura dell’attrice evitano, a mio parere, dei toni melo, e rendono credibile l’accenno a un finale positivo: una certa fiducia accordatale dal suocero e una probabile affermazione in campo musicale. BUONO Michele Zaurino - Clean significa “pulito” e in parallelo con la vita della protagonista Emily, anche l’impianto del film progressivamente si ripulisce fino a diventare più lineare e concentrato sui sentimenti e il recupero dei rapporti affettivi devastati dalle vite spericolate dei musicisti. L’inizio è volutamente confuso, lisergico, scandito dal ritmo martellante del rock anni Ottanta (punk, new-wave). Gli scenari, dalla gelida skyline post-industiale di Hamilton ai fumosi locali notturni di Londra e Parigi, sono desolati e desolanti. Con la morte per overdose di Lee, compagno di Emily e rocker in irrimediabile declino, lo straniamento che pervade il film è sottolineato dalle atmosfere spaziali della ambient-music di Brian Eno. Dopo essere stata sull’orlo dell’abisso la rincorsa di Emily alla vita riprende. La presenza del suocero (un eccezionale Nick Nolte), tra impercettibili ma sostanziali sfumature di dolorosa comprensione e saggezza, permette il riavvicinamento con il figlio da anni affidato alle cure dei nonni. In un film in cui la musica non è solo colonna sonora ma parte integrante della narrazione, la semplice ballata finale cantata da Emily è il segno evidente della ritrovata pace e serenità. L’estremizzazione delle situazioni nel mondo delle rockstar può creare nello spettatore un senso di estraneità alla vicenda che rende problematico il coinvolgimento emotivo. Marcello Napolitano - Pur trattando materie molto emozionali (droga e morte, carcere e maternità negata, malattia e vecchiaia) è un film che non mi ha particolarmente emozionato, che non ha provocato in me un moto di simpatia: ho seguito la vicenda con interesse, cercando di districarmi tra luoghi e persone, cercando di capire le ragioni di storie che iniziano con una promessa di intenso coinvolgimento e poi terminano in qualche binario morto (tipici esempi: la storia dell’ex-amante-donna della protagonista e della sua nuova amante; oppure il personaggio buttafuori-uomo di fiducia di Twinking-scassinatore di porte che conduce al ritrovamento del secondo morto di droga). Forse queste promesse non mantenute fino in fondo, i personaggi non spiegati, forse il montaggio nervoso e mosso, rendono il film poco emozionale ma piuttosto apprezzabile sul piano tecnico e intellettuale. Ben girato, ben recitato (ma merita il premio per la migliore attrice?), ben ambientato, il film è interessante anche perché mostra che il cinema francese non è solo il melo tipo “Ricamatrici”. Un punto particolarmente negativo è la voce doppiata del bambino: ancora una volta si rimpiange di non vedere i film in originale. Caterina Parmigiani - Pur essendo evidente che il regista ha costruito il film per valorizzare le doti interpretative di Maggie Cheung - che tuttavia la sceneggiatura in parte svilisce -, è la figura di A. Hauser la più significativa. Questo suocero intelligente e sensibile, interpretato da Nick Nolte, mosso sia dall’affetto per il nipotino sia da un disincantato senso della realtà, non solo perdona la nuora eroinomane ma anche le dà fiducia e la incoraggia a progettare il futuro. È un comportamento che ci fa capire che tra le leggi della psicologia e i principi del Vangelo corre una sorprendente analogia. Rosa Luigia Malaspina - Una vita difficile, bruciata, che la forza dell’amore per il figlio riscatta. Film nervoso, che trasmette la sofferenza dei protagonisti, con un’interpretazione eccezionale sia di Maggie Cheung che di Nick Nolte. Alessandra Casnaghi - Due dimensioni parallele (ma complementari) si delineano in questa pellicola di Assayas: un mondo “normale” dal quale Lee proviene e da cui si allontaCLEAN 87 na, e un mondo “alternativo”, quello della musica underground, dove Lee cerca se stesso, senza riuscirci. Emily, la sua compagna, sembra invece uscita dal nulla: il suo passato è un’incognita. Il suo tentativo di mantenersi entro binari di “normalità” occupa buona parte della pellicola e la conclusione, piena di speranza, consola e intenerisce. Il brano musicale, cantato da Emily sul finire, racchiude, nel testo, la speranza di una vera rinascita. Ho avuto la sensazione di assistere a un film serio, che parte dal basso per raggiungere aspetti alti della vita, dignità impreviste, proponimenti nobili e realizzazione di progetti audaci ma legittimi. Miranda Manfredi - Rabbia, disperazione, amore, si assommano nella bravissima protagonista di un film dall’argomento scontato. La droga compensa l’inadeguatezza di questi giovani ad affrontare il difficile mondo dello spettacolo. La rabbiosa musica rock si trasforma alla fine in una dolcissima canzone che suggella il riscatto di Emily. La sceneggiatura accompagna il difficile cammino della ragazza in un itinerario convulso tra Londra, Parigi e alla fine San Francisco nella sua migliore prospettiva spaziale quasi per significare il respiro “clean” riconquistato. Il grigiore della metropoli viene introdotto, all’inizio, da un panorama di un mondo inquinato da un’industrializzazione senza regole che viene accompagnato dalla musica assordante del rock, espressione del disagio giovanile. Il recupero dei valori più profondi della vita viene sviluppato attraverso vicissitudini un po’ melodrammatiche ma sostenute da un’ottima recitazione. Lucia Bodio Scalfi - Un buon film, che non indugia in teorici o moralistici discorsi sulla droga, sul perdersi delle persone totalmente dipendenti dagli stupefacenti, ma che ci presenta esseri umani alla deriva che sanno però - di fronte alla tragedia - reagire e cercare di risalire la china per i valori più alti a cui non vogliono rinunciare. E in nome degli stessi valori - amore, famiglia, amicizia - alcuni personaggi sanno offrire solidarietà, aiuto, protezione ed affetto a chi ne ha bisogno. In questo senso bella la figura del nonno, che sa amare il figlio nonostante tutto, che sa voler bene al nipote 88 CLEAN ed alla madre di lui e riesce a ricostruire una famiglia ed un circolo di affetti sulle ceneri della morte, della droga, del dolore e della malattia. Mi viene da paragonare questo film a “La samaritana”. Lì il titolo si rifà al Vangelo, nel film spesso sono citate parole delle sacre scritture e personaggi “evangelici”. Le parole sono orientate verso quel mondo, ma i personaggi e le loro azioni vanno in tutt’altra direzione: perdita del senso della propria vita, vendetta, disperazione, omicidio. In “Clean” invece sono le azioni dei personaggi principali ad essere orientate verso il perdono, l’amore, la forza di continuare a vivere nonostante tutto. DISCRETO Piergiovanna Bruni - Ancora il vecchio argomento sulla droga e il rock. Ancora nulla di incisivo sul come discernere la musica rock dalla droga; ancora debolezza e distruttività e una vita che destabilizza i figli nati da queste unioni fra tossicomani. E ancora un precario futuro in cui forse la maternità vince sull’autodistruzione. Ma non convince l’amore di questa ragazza per il suo bambino. Restano in noi solo le espressioni intense sul bel viso orientale della protagonista e quelle colme di dolore del bravissimo Nick Nolte. Il titolo è solo un’esortazione! Ugo Pedaci - Tutto sommato si tratta di un film banale, scontato e privo di fantasia. Non riesce a raccontare con convinzione né il mondo dei drogati né quello della musica rock. Il racconto si muove continuamente tra Londra, Stati Uniti, Parigi, Canada e ritorno quasi a imitazione di certi film “on the road”. Grazie soltanto per averci risparmiato le relative vedute turistiche. Si salva la recitazione dell’ottimo Nick Nolte e di una Maggie Cheung che piace per il suo volto espressivo. Niente di più. Emanuela Dini - Un film a doppia velocità. Intensa e drammatica la prima parte, affrettata e ambivalente la seconda, con una troppo repentina “redenzione” della mamma e, soprattutto una assolutamente improponibile accettazione della figura materna da parte del bambino. I bambini sono molto più lucidi, feroci, onesti e con un alto senso di giustizia degli adulti e davvero non regge la ricostruzione del piccolo che vuole accompagnare la mamma. Memorabile e splendida l’interpretazione di Nick Nolte. Riuscito a metà. per meritare l’affidamento del suo bambino, quindi c’è una brusca svolta e si plana in una fiaba natalizia. Deludente, soprattutto, per la figura del bambino, prima improbabile e saccente giudice della madre, poi subito felice di seguirla. Ovunque manca spessore nei percorsi evolutivi. L’unica figura apprezzabile, anche come recitazione, è il suocero, il bravo Nick Nolte. MEDIOCRE Vittoriangela Bisogni - Mi è sembrato un inconsistente polpettone: la prima parte è un faticoso e aspro accavallarsi dei fatti di droga, con musiche rock e immagini agitate da una macchina da presa ipercinetica; poi la mamma si fa “clean” Vittorio Zecca - Se è un film sulla redenzione manca il pathos. Se è un film d’ambiente manca la profondità. Non c’è emozione né messaggio e alla fine tutto è piatto e noioso nonostante le buone prove dei protagonisti. Deludente per quello che poteva dire e non dice la colonna sonora. CLEAN 89