Pagina 2 - Il Secolo XIX

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Pagina 2 - Il Secolo XIX
memorie & tradizioni liguri
Il Ronfò
Quando, per far posto al frigorifero, si decise che tutta la cucina doveva essere
modernizzata, il secolare "ronfò" dovette
essere abbattuto e fu come partecipare alle
esequie di una persona cara. Era un pezzo
del vecchio mondo che scompariva, con i
suoi riti, i suoi valori mistici di nume tutelare, la sua misteriosa cappa, divinità protettrice un po’ incombente e cupa, e la sua
forza di "custode del fuoco".
La cappa teneva tutta la parete, e su di
essa, per tutta la sua lunghezza, una mensola di legno per i barattoli del sale, dello
zucchero, del caffè, il macinacaffè a manovella e la grattugia di legno del formaggio,
col cassetto. Un pirone di colore ambrato e
due imbuti di alluminio di diverse misure.
Un setaccio. Di lato, un’altra mensola tra il
lato obliquo della cappa e la parete: lì ci si
teneva, ben piegato, il papé mattu, la carta
da pane per riassorbire l’olio dopo le fritture, e la carta da zucchero, tra il blu e l’indaco, per farci i pacchetti quando ancora non
esistevano sacchetti di cellophane.
Il ronfò, a starci vicino d’inverno, faceva
sentire il vento lavorarsi il fuoco con le
fusa di un gattone sazio, e da lì - penso veniva, onomatopeicamente, il nome.
Piastrellato di bianco (ma gli spigoli erano
di ferro nero), appariva un unico, utilissimo e caldo piano d’appoggio, con al centro
i diversi fori da fuoco. Quello centrale, di
oltre mezzo metro, chiuso da numerosi
cerchi concentrici di ferro, per potersi
adattare a qualsiasi paiolo, fino alla dimensione massima, per i ravioli di Natale di
Il posto
delle pentole
“A boteghetta magica a l’è
sempre ciù zuena ma 168
anni fa a l’èa dîta da-o
Sordo e da-a Maín”. Il cartello, incorniciato da una
corteccia di sughero, fa
bella mostra di sé nel cuore
del centro storico, segnalando ai passanti di via della Maddalena la presenza
di un minuscolo negozietto
che è un’autentica roccaforte della tradizione
genovese.
Nata nel 1830 come rivendita di terraglie, la “Boteghetta” è passata da una
generazione all’altra della
famiglia Baghino fino al
1985, quando il negozio è
stato ceduto agli amici
Tinello. Stessa passione per
le testimonianze della vita
quotidiana del passato,
stessa filosofia di vendita:
vetrinette affollate di oggetti inconsueti, foglietti
svolazzanti appuntati alle
merci per segnalarne il
nome in dialetto, un rapporto di complice intesa
con i clienti che vengono
da tutta la Liguria per tro-
tutta la famiglia. Due fori più piccoli per
pentolini e bricchi, casseruole e padelle.
Sulla facciata frontale, a sinistra, il grande
sportello per la legna e il carbone. Un altro
sportello per le padelle, le casseruole, le
pignatte, gli spiedi e per tenerci o diao, un
imbuto metallico a canna alta, con un
manico sul lato, per quando il libeccio
rientrava dai camini e rischiava di affumicare tutta la casa: o diao faceva da camino
d’emergenza, proprio sopra la fiamma,
indirizzando il fumo verso la cappa. Al
centro, lo sportello-inferriata per il fuoco
e, di lato, quello del forno.
Il resto era la delizia dei bambini: tre quattro sportellini di ferro, coi pomellini d’ottone, profondi quanto il ronfò. Un oscuro
nascondiglio per ferri da fuoco, mollette,
ganci, spiedi e altri pericolosissimi, proibitissimi oggetti: gli strumenti sacri alla
liturgia del fuoco, che pochi soltanto potevano officiare compiutamente.
Niente a che vedere con l’asettico candore
del frigorifero e l’immacolata superficie
della nuova cucina economica, in cui il
movimento di una semplice manopola
trasformava il miracoloso rinnovarsi del
fuoco in banale gesto quotidiano.
Nessun mistero per i bambini nello sportello metallico del nuovo forno, che rendeva di colpo vecchie e inservibili le pentole
dal fondo annerito e i giganteschi tian di
rame. E se mai fosse rimasto un ronfare
sornione, di lì a pochi anni sarebbe stato
sommerso dallo squillare dei telefoni e
dagli annunci della televisione.
vare rare statuine, ingegnosi artifici per animare il
presepe e pentole di terracotta ogni foggia e dimensione: “Teniamo tien, casseûle e pignatte di tutti i
tipi - spiega Daniela Tinello
- perché ogni preparazione
ha bisogno della sua pentola, di differente misura a
seconda che serva per il
tocco o lo stoccafisso accomodato, la buridda o il
minestrone”. La tradizione
gastronomica ligure contempla moltissime preparazioni in umido, e la terracotta, per le sue caratteristiche, si presta ottimamente ad esaltare i sapori
di trippe e stufati: “Le
nostre casseruole sono fatte soltanto di terra, per
questo sono considerate il
modo migliore per cucinare in modo genuino e non
sofisticato”.
Tra i clienti del fornitissimo
negozietto molti ristoranti
che fanno dell’aderenza
alla tradizione la loro bandiera, ma anche persone
comuni attente alla qualità
della vita e moltissimi giovani che vogliono tornare a
cucinare secondo le antiche consuetudini.
“A boteghetta magica” di via della Maddalena
SERVITO IN TAVOLA
da skiaffino
Enrica Guidotti
Le terrecotte della Boteghetta vengono dalla
Toscana: “Purtroppo la fabbrica di Albisola, centro
una volta molto fiorente, è
andata letteralmente a
bagno dopo un’alluvione
ed ha chiuso i battenti”.
Tra le avvertenze da seguire quando si adopera per la
prima volta la terracotta,
obbligatoria quella di
immergere completamente
la pentola nell’acqua per
una notte intera. Il mattino
dopo bisogna asciugarla e
metterla al fuoco con sotto
la retina spargifiamma.
Quando la casseruola è
calda, inoltre, non vanno
mai aggiunti liquidi freddi
di frigo. Prima di adoperarla di nuovo, per 5 o 6 volte
bisogna lasciarla piena
d’acqua sul lavandino per
un’ora.
Accanto alle terrecotte si
trovano panciute padelle
d’alluminio, adatte per la
cima e l’arrosto, e i pentoloni con i cerchi per i
nostalgici della stufa e del
ronfò.
Incredibile a dirsi, ma anche in città sono molti di
più di quanto non si creda.
Proverbi
e modi di dire
Non sono molti i proverbi italiani che abbiano come protagonisti tegami e casseruole, ad
eccezione naturalmente del
notissimo Il diavolo fa le pentole ma non i coperchi, rassicurante garanzia di fallimento
degli inganni orditi dai disonesti alle spalle della brava gente.
O di Cadere dalla padella nella
brace che rappresenta invece
con efficacia il rischio di peggiorare, con un passo avventato, una situazione già grave.
Pentola troppo guardata non
bolle mai: la saggezza popolare
insegna che ciò che si attende
con troppa ansia sembra non
avverarsi mai.
Più numerosi i modi di dire dialettali, a cominciare dal furbesco Se ti vêu fa ingoiâ o vexin
soffrizzi ‘na cioûla in te ‘n tiànin, se vuoi far venire l’acquolina in bocca al vicino soffriggi
una cipolla in un tegamino.
Ai giovani più attenti all’avvenenza che ad altre virtù più
concrete si ricorderà che A bellessa a no fa boggî a pignatta,
la bellezza non fa bollir la pentola. E ancora E bellesse in t’aa pignatta no se ghe mettan, le
bellezze nella pentola non ci
vanno. Di persona antipatica e
rompiscatole si può dire O l’è
un stuffôu, giocando sul doppio significato di “stufare”, che
può voler dire “cuocere” ma
anche “scocciare”. E, ad aumentare il carico, Stuffôu tutto
pélàntega, stufato tutto pelle,
dunque indigesto e poco appetibile.
Sempre riferito alla cottura è il
detto O l’è comme o carbon de
nisseua, s’o no bruxe o tenze, è
come il carbone di nocciolo, o
non brucia o tinge. Indica le
azioni di una persona inaffidabile che in un modo o nell’altro
finiscono per arrecare danno.
Chi è costretto dalle circostanze
ad assumere un atteggiamento
guardingo e sospettoso Ammia
con un eûggio o gatto e con
l’atro a poeila, guarda con un
occhio il gatto e con l’altro la
padella. Si riferisce a chi, friggendo i pesci, deve stare attento alla frittura ma anche al gatto
che vorrebbe mangiarsela.
Assai più colorito A mezanêutte gh’è ciù belin in te musse
che pignatte in scio-o fêugo,
incontrovertibile attestazione
della supremazia notturna dell’attività erotica su quella casalinga.
E terminiamo con la definizione
assai diffusa a Genova O stuffôu de Montoggio, lo stufato di
Montoggio. Il paese della Valle
Scrivia, famoso per la sua produzione di patate, dà il nome a
uno stufato in cui ci sono molte
più patate che carne e, in senso
traslato, al sistema di mascherare con astuzia una situazione
di ristrettezza.
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