Pagina 1 - Il Secolo XIX
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c’è pentola & pentola... Buche, argilla, stomaci e tartarughe Per centinaia di migliaia di anni l’uomo si nutrì solo di cibi crudi. Poi, in un periodo imprecisato e lontanissimo della storia umana, comprese come controllare il fuoco e, probabilmente subito dopo, scoprì la cottura dei cibi. Fu forse il passo decisivo che portò l’uomo a superare la soglia di un’esistenza primariamente animale. Ciò che accadde allora, che cosa portasse l’uomo a scoprire l’uso culinario del fuoco, come si evolvesse, decine di migliaia di anni dopo la scoperta del fuoco, nell’uso di ceramiche e dei recipienti da cottura, è fino ad oggi un mistero. Si possono fare delle congetture: un pezzo di carne caduto nella brace, raccolto ormai parzialmente cotto, fornì forse ad un nostro antenato la percezione di quanto migliore fosse la carne abbrustolita. Probabilmente fu una pietra accostata al fuoco ad offrire l’idea del recipiente e, anche se la vera ceramica non entrò nell’uso fino a ottomila anni fa, la terra argillosa di alcune zone potrebbe aver suggerito all’uomo primitivo un abbozzo di pentola. In Moravia vennero ritrovati un forno e numerosi oggetti in argilla cotta risalenti a più di 25.000 anni fa e, anche se nessuno di questi assomiglia ad un recipiente da cottura, non si può escludere che la tecnica fosse già nota. Di certo si sa che, circa nel 5000 a.C., come contenitori per lessare il cibo venivano scavate grosse buche, poi tappezzate di larghe, piatte pietre sovrapposte: venivano riempite d’acqua, continuamente riscaldata da ciottoli ardenti, trasferiti non si sa con quale mezzo dal fuoco all’acqua. Anche prima d’allora, comunque, l’uomo conosceva sistemi meno faticosi per cuocere i cibi, pur non disponendo di recipienti adeguati: usava grandi conchiglie, gusci di tartaruga, grandi recipienti di pietra come quelli ritrovati nell’antico Messico e, probabilmente, anche il bambù, nelle zone asiatiche. Ma il recipiente a tenuta d’acqua più comune e diffuso era quasi certamente lo stomaco animale dove i cacciatori del Paleolitico cuocevano le parti più “gustose” delle loro prede: cervello, fegato, gli organi interni molli, i bulbi oculari. Racconta Erodoto che, nel V secolo a. C., questa abitudine era in uso tra i nomadi sciti. E quando le tecniche per la lavorazione del cuoio si diffusero, dal 13.000 a. C. in poi, è probabile che fossero le sacche in pelle a sostituire le moderne casseruole. Batterie ed etichetta Un detto popolare afferma che “ciascun paese ha la cucina che si merita”: per l’italico gourmet, sottintende tutto il vanto della nostra tradizione e una buona dose di disprezzo per le cucine altrui. È logico invece supporre che gastronomia e gusto si sviluppino in rapporto alle condizioni generali di un paese e dell’epoca, a partire dalla maggiore o minore ricchezza di mezzi e di materiali, di coltivazioni e di capacità tecniche. La cucina italiana dell’alto medioevo era, ad esempio, fortemente differenziata: dal più freddo Nord che facilmente alimentava a legna l’indispensabile fiamma per il calderone alle regioni più calde e costiere per le quali un fuoco continuo negli angusti ambienti della cucina era quantomeno indesiderabile. Ancora maggiori erano le differenze tra le grandi cucine della nobiltà, dove i fumi dell’arrosto si mescolavano agli odori delle spezie, e i paioli contadini in cui i profumi dell’orto nascondevano la povertà del cibo. Non era, comunque, un’epoca in cui si dedicasse alla cucina un grande impegno. Nei secoli successivi, con il fiorire degli scambi commerciali e il prosperare dei Comuni, mense ed attrezzature divennero più ricche e varie: nelle cucine c’erano vasellame e coltelli affilati, mestoli, padelle, treppiedi di ferro su cui posare le pentole e ganci, che permettevano di alzarle Ceramiche medievali e pentole ottocentesche Moda & pentola Che gusto e gastronomia di un paese si sviluppino adattandosi alle condizioni generali del territorio e dell'epoca è certamente vero. Logico, quanto meno. Oggi, ad esempio, la più accurata ricerca in campo alimentare promuove o esclude materiali e tecniche e non c'è cuoco o gourmet che non presti attenzione ai materiali di cottura e agli ingredienti. Negli anni del consumismo, tuttavia, sembra che anche tegami e casseruole subiscano fortemente l'effetto della pubblicità, di tendenze e design: in una parola, della moda. In un periodo abbastanza recente, le pyrex non mancavano in alcuna cucina e non solo per la novità: avevano con la loro fragile leggerezza soppiantato le pesanti pentole in ghisa smaltata, dimenticata volentieri per i numerosi svantaggi. Poi le sostituì la ceramica bianca da fuoco, dalla linea elegante e falsamente minimalista che tanto piace al nostro ed abbassarle alla giusta distanza dal fuoco. Con il tempo fu perfezionato anche lo spiedo girevole con dispositivi semiautomatici. Le ricette si arricchivano di nuovi sapori e nei sempre più frequenti festini si affinavano il gusto e l’etichetta delle portate del menu: c’erano arrosti e sformati, intingoli e creme, zuppe e pasticcini, serviti con ordine preciso e descritti in nuovi ricettari. Nelle povere cucine dei contadini, spesso unico locale della casa, non vi erano invece grandi differenze rispetto al passato; anzi era comune che per la cottura si rivolgessero al “fornaio” o si servissero del forno comune. Con il variare della consistenza del cibo, nelle batterie di cucina medievali faceva un timido ingresso la forchetta. Ogni commensale era provvisto del proprio ben affilato coltello e i cucchiai non erano insoliti. La forchetta invece rimase una stravaganza per molto tempo. Per lo più, il cibo si prendeva con le mani o infilzandolo con il coltello. In Europa, i nobili italiani furono i primi ad adottare nei loro banchetti questo nuovo strumento che si sposava del resto bene con la raffinatezza generalmente riconosciuta alle tavole italiche. A dimostrazione di quanto fosse altrove giudicata eccentrica, basta ricordare che, ancora nel 1897, ai marinai della Marina Militare britannica era proibito l’uso della forchetta perché “pregiudizievole alla disciplina e al comportamento virile”. opulento mondo. Per le stesse ragioni è oggi meno “trendy” la presenza del rame, per qualche anno considerato quasi l'unico valido recipiente da fuoco; poi usato solo come addobbo per le pareti solitamente spoglie della cucina, a vestirle dell’aria rustica tanto in voga negli affollati condomini cittadini, come se si potessero così ricreare i ritmi e la serenità della campagna. Le schiere di pesanti e lucidissime pentole inox che ieri sbucavano da ogni pensile oggi devono fare spazio all’alluminio, riscoperto dalle riviste di arredamento e, con queste, dai compratori. Anch'esso si sposa bene con la finta semplicità degli arredamenti odierni. E infine la terracotta, che resiste indomita al tempo e alle mode. Si porta dietro il ricordo del lento ronfare delle stufe, del borbottio pieno di odori dei minestroni e degli stufati di un tempo; assieme al tepore che così bene mantiene, sembra conservare intatti gli ancestrali gusti della nostra gente. Dimentica la frenesia della nostra cucina a base di surgelati, pentole a pressione e micronde, perdona i grassi nemici del tanto misurato colesterolo, ci restituisce intatti gli odori grevi delle cucine fumose di un tempo, i ritmi lenti di una digestione laboriosa che nessun cittadino del 2000 potrebbe in realtà mai chiedere al proprio stomaco torchiato dallo stress. Forse, dentro a ciascuno di noi è nascosta la vena gastronomica popolare di Bertoldo, il "villano" del libretto di Giulio Cesare Croce, che si ammalò per le raffinatezze di corte e fu invano curato dai medici che insistevano per propinargli cibi costosi, leggeri, delicati. Bertoldo morì, dopo aver inutilmente supplicato per avere una pentola di fagioli con la cipolla e delle rape cotte sotto la cenere. Sulla sua tomba fu scritto: "… morì con aspri duoli, per non poter mangiar rape e fagiuoli". ep Quattro salti in padella 1