Servizio idrico e approccio industriale, una

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Servizio idrico e approccio industriale, una
25/10/2016
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martedì 25 ottobre 2016
di S.B.
Servizio idrico e approccio industriale, una questione di tempo
Il dibattito al convegno del Laboratorio Ref Ricerche nell'ambito di H2O 2016: i problemi del passato
ostacolano il moto di modernizzazione del settore idrico, che rischia di perdere ottime occasioni
È una lotta contro il tempo quella che il settore idrico deve
condurre, un tempo che scorre inesorabile lasciando indietro i
ritardatari, gli attendisti, i resistenti, portando via con sé opportunità
che, se non colte oggi, potrebbero non riproporsi domani. Il fattore
tempo è stato uno dei fili conduttori di una discussione sulla via
industriale di cui il servizio idrico necessita e che fatica a perseguire,
almeno nella sua interezza; con il rischio che si amplino i divari
esistenti: a cogliere le opportunità potrebbero essere solo coloro che le
hanno già colte in passato, attrezzandosi per non restare inerti nel
flusso del tempo, mentre in molti resterebbero indietro ancorando a sé intere parti del Paese. La
discussione si è svolta giovedì scorso a Bologna, nella cornice della manifestazione H2O , in
occasione del convegno “La gestione industriale del servizio idrico” organizzato dal Laboratorio
servizi pubblici locali di Ref Ricerche , che ha presentato i risultati di una propria indagine sulle
proposte tariffarie 2016­2019 per un campione di 65 gestori idrici a servizio di circa 31 milioni di abitanti
(v. Staffetta 19/10). Risultati pubblicati dal Laboratorio nel contributo di analisi n. 69 per la collana
Acqua, intitolato “Investimenti e Mti2: molto rimane ancora da fare”, sul proprio sito.
L'INDAGINE
L'osservazione del campione scelto, come illustrato nel corso del convegno da Samir Traini , ha
condotto il Laboratorio alla conclusione che sia mancato ai sindaci­regolatori locali il coraggio di
sfruttare gli strumenti di azionamento della leva tariffaria che pur l'Autorità nazionale ha messo a loro
disposizione. Ciò, si teme, porrà un freno agli investimenti attivabili mediante la leva tariffaria, in
aumento nell'arco temporale 2016­2019 ma non a sufficienza, mancando così la straordinaria
occasione dei tassi d'interesse ai minimi storici. Considerando poi che il tasso di realizzazione degli
investimenti si attesta all'80% nel 2015, si può dedurre che difficilmente assisteremo a un salto di
qualità degli investimenti nel prossimo quadriennio. Complessivamente, per i 65 gestori osservati,
nell'ambito delle predisposizioni tariffarie approvate dagli Enti d'Ambito sono stati programmati
investimenti per 8,5 miliardi di euro nel periodo 2016­2019, cui vanno aggiunti i contributi a fondo
perduto disponibili che portano la cifra a oltre 10 miliardi (in media 49 euro/abitante/anno contro i circa
40 del quadriennio 2014­2017, spaziando da un minimo di 10 euro/abitante/anno a un massimo di oltre
150). Territorialmente, svetta il dato del Centro Italia (58 euro/abitante/anno a fronte dei 50 della
precedente programmazione), seguono Sud e Isole (49 contro il precedente 42) e Nord­Est (49 contro
38), in coda il Nord­Ovest (43 euro rispetto ai precedenti 35). L'aumento degli investimenti pro capite si
registra a dispetto di un calo dei contributi a fondo perduto (­10%). Osservando programmazione e
spesa effettiva si nota uno scostamento: nel 2014 a fronte di 25 euro/abitante previsti ne sono stati
spesi 21, nel 2015 26 in luogo dei 37 programmati; nel Sud e nelle Isole è stato realizzato solo il 30%
degli investimenti previsti.
Il Laboratorio nota che, per il campione esaminato, l'aumento medio delle tariffe tra il 2015 e il
2019 sarà del 13% (su un massimo possibile del 32%), con punte al Sud (27%) per recuperare il ritardo
infrastrutturale. Parte della tariffa resta gravata dai conguagli (che nel periodo 2016­2019 valgono circa
1,3 miliardi di euro), in molti casi rimandati volentieri dalla politica locale a periodi successivi. E se nella
prima parte del quadriennio i conguagli determinano aumenti di tariffa più consistenti, gli analisti notano
adeguamenti contenuti nel biennio 2018­2019, possibile indizio del “desiderio di preservare qualche
margine tariffario per compensare possibili sorprese a consuntivo sui costi operativi, evitando il
superamento dei limiti e le conseguenti istruttorie Aeegsi”. A parere del Laboratorio Ref Ricerche
“l'andamento delle variazioni sembra suggerire che a partire dal 2018 la tariffa sarebbe stata in grado di
sostenere maggiori investimenti rispetto a quanto programmato: il VRG avrebbe infatti margini per
assorbire aumenti dei Capex che non vengono sfruttati”.
IL DIBATTITO
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Molti i temi sul piatto tangenti l'analisi del Laboratorio, sintetizzati dal direttore Donato Berardi
nella constatazione che – sebbene si stia assistendo a un'accelerazione nella programmazione degli
investimenti – siamo ancora di fronte agli stessi problemi già esistenti all'epoca del metodo tariffario
transitorio 2012­2013: reticenze “politico­culturali” legate al consenso, competenze incerte dinanzi a una
riforma costituzionale pendente, normativa su organizzazione e gestione del servizio idrico non
pienamente attuata e soggetta a modifiche in corso, metodo tariffario ancora in attesa della validazione
della giustizia amministrativa (v. Staffetta 16/10/15). Ecco affacciarsi nel dibattito il fil rouge del tempo:
tempo che sembra non passare mai, per certi versi, e che scorre fin troppo rapidamente tanto da finire
perso, per altri. Si sta perdendo tempo secondo Andrea Bossola (Acea): in Italia si investono meno di
2 miliardi di euro l'anno per l'acqua quando se ne dovrebbero investire almeno 6 e, anche se l'Aeegsi
“ha fatto moltissimo”, occorre “più coraggio”. Quello dell'aumento tariffario è un problema che va
affrontato alla radice, secondo Bossola, sottraendolo alla politica: una tariffa nazionale taglierebbe la
testa al toro. La stessa corposa voce dei conguagli, ritiene il dirigente Acea, non potrà che crescere
finché la tariffa resta “oggetto di negoziazione con i sindaci”, che continuano a rinviarne l'applicazione.
Una tariffa unica regionale sarebbe già un passo avanti, secondo Franco Fogacci (Hera), per sanare la
“speculazione” a cui si assiste in un contesto di continua incertezza politica; favorirebbe,
probabilmente, anche le aggregazioni. Perché, per quanto la regolazione abbia “fornito delle certezze
agli operatori”, ancora non basta: “chi lavorava bene prima lavora meglio ora”, ha osservato il direttore
Acqua di Hera; diversamente va a chi sinora ha lavorato male.
Le aggregazioni citate da Fogacci sono considerate tra le opportunità da cogliere per rilanciare il
treno degli investimenti, oltre che per dare un assetto più razionale ed efficiente al settore. Si tratta di
un passaggio chiave per l'industrializzazione del servizio idrico, secondo Alessandro Cecchi (Iren).
Occorrono “disponibilità finanziarie, competenze tecniche e capacità di ‘reggere' il quadro regolatorio”,
ha osservato Cecchi, nonché un dimensionamento degli Ato più ampio di quello attuale (dunque,
perimetro regionale o almeno pluriprovinciale). E servono meccanismi che premino le aggregazioni su
più Ato, come il prolungamento della concessione per il soggetto che ne risulta, l'equiparazione delle
tariffe o premialità legate anche alla connessa possibilità di far emergere RAB “nascosta”. Aggregazioni
auspicate anche da Maria Vittoria Pisante (Veolia), secondo la quale l'Aeegsi potrebbe favorire
incentivi tariffari – soprattutto economici, oltre a quelli finanziari – più chiari e disincentivare, al
contrario, la mancata aggregazione (i costi standard, ad esempio, aiuterebbero premiando i recuperi di
efficienza). Più prudenza occorre, secondo Pisante, in merito ad eventuali costi standard sul versante
degli investimenti, per non intralciare il progresso tecnologico.
“Aggregazione” o "integrazione" sono termini che nel corso del dibattito non sono stati riservati
esclusivamente alle fusioni societarie. Nicola Di Donna (Acquedotto Pugliese) ha testimoniato la
volontà del Mezzogiorno, sostenuto dal governo, di ricomporre la filiera dell'approvvigionamento idrico
nel distretto dell'Appennino meridionale nelle mani di un unico soggetto gestore (v. Staffetta 04/07). Il
Sud, peraltro, si sta orientando verso l'organizzazione di Ambiti unici regionali e tenta di spingere sugli
investimenti, ha sottolineato Di Donna, pur dinanzi a un “groviglio di norme e competenze che
rallentano e ostacolano le opere”. Quanto alla tariffa, per il direttore generale di Acquedotto Pugliese
occorre ben chiarirne la natura di corrispettivo del servizio o, piuttosto, di contenitore di componenti
“tributarie” (legate anche a misure solidaristiche) che ne deviano l'essenza verso quella di una tassa (in
quel caso, “tanto valere avere la tariffa unica”). Fabio Trolese (presidente Viveracqua ­ Acque
Vicentine) e Alberto Zanzi (Water Alliance ­ Gruppo CAP) hanno invece condiviso la loro esperienza di
consorzi/reti d'imprese come “aggregazione operativa”, forma “soft”, più libera e flessibile di unione, in
grado di soddisfare l'esigenza di mantenere salda un'identità locale in gestori che hanno gruppi di
Comuni come soci. “La fiducia nel sistema è inversamente proporzionale alla dimensione delle
aziende”, ha notato Trolese evidenziando l'importanza di mantenere un “collegamento di prossimità”
con il territorio. E, sempre pensando al rapporto con territori e cittadini, il presidente di Viveracqua ha
sottolineato: “la tariffa unica sarebbe un buon modo per far indire un nuovo referendum”. Meglio
procedere a piccoli passi, incoraggiando esperimenti come quello del consorzio veneto e i benefici che
ne possono derivare, sostenendoli ad esempio per mezzo del Fondo di garanzia previsto dal Collegato
ambientale. La forma di integrazione scelta da Water Alliance ­ Acque di Lombardia non è il consorzio
ma il contratto di rete, uno strumento “di rapida realizzazione – ha fatto notare Zanzi – che consente di
adattarsi facilmente ai cambiamenti, anche normativi”; un modo di superare la frammentazione e
migliorare la capacità di attrarre investimenti “rispettando le caratteristiche territoriali”.
L'aggregazione resta un passo inevitabile per le realtà che non sono finanziabili, ha spiegato
Simona Camerano (Cassa depositi e prestiti): in caso di operazioni interessanti in tal senso la stessa
Cdp è pronta a intervenire anche direttamente ed è in grado di portarsi dietro altri investitori. Ma ai fini
del finanziamento è fondamentale che l'aggregazione comporti miglioramenti sul piano patrimoniale.
Bene il Fondo di garanzia – che Cdp ha spinto soprattutto perché possa essere utilizzato per coprire il
valore residuo degli investimenti – in particolare laddove ci sono piani d'investimento da finanziare in
fase terminale di concessione e nei casi di debolezza sul piano dell'accesso al credito. Oggi sono
comunque possibili finanziamenti “corporate” anche senza questo strumento. Il settore idrico, inoltre,
sarebbe altamente eleggibile nell'ambito del Piano Juncker, ma sinora questa scintilla non è scattata:
se la piattaforma per le grandi infrastrutture prevede dimensioni d'investimento maggiori di quelle
attivabili nel settore idrico, sarebbe auspicabile un'analoga piattaforma per le medie e piccole
infrastrutture che possa sostenerlo. A proposito del Fondo di garanzia, che sarà gestito dalla Cassa per
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i servizi energetici e ambientali, il direttore generale Andrea Ripa Di Meana ha sottolineato che molta
della sua utilità dipenderà da come sarà congegnato lo strumento, in particolare da come sarà definita
la garanzia e come ne sarà regolata l'accessibilità. Francesca Fraulo (Crif Ratings) ha invece
evidenziato come, pur in un generale quadro di miglior finanziabilità del settore, il principale ostacolo
resti l'incertezza: quella politica (“singoli Comuni riescono anche a bloccare interi processi di fusione”)
ma anche quella relativa al metodo tariffario (il giudizio del Consiglio di Stato pende su un sistema che
fa da sfondo a piani che abbracciano un orizzonte di 15­20 anni di concessione). Auspicabile, per
Fraulo, un “potere sostitutivo” dell'Autorità che sarebbe giustificato dalla necessità di tutelare gli utenti,
privati dei benefici che deriverebbero dalla aggregazioni; al contempo, gli enti locali dovrebbero
“centrare gli obiettivi per il benessere della comunità”.
Un invito a non invocare passi più lunghi della gamba è giunto dal presidente dell'Aeegsi Guido
Bortoni , secondo il quale “non è opportuno stressare il sistema e portarlo a livelli moto elevati di
investimento per colmare il gap esistente”. Difendendo l'operato del regolatore nazionale, Bortoni ha
sottolineato quanto fatto e i segnali di inversione di rotta sul piano degli investimenti che ne sono
scaturiti (tra un mese e mezzo o due, ha fatto sapere, dovrebbe essere nota anche la valutazione finale
del Consiglio di Stato sull'impianto del metodo tariffario). “Si può ancora migliorare”, ha ammesso
Bortoni, specificando: “una via per farlo passa per la crescita industriale”, processo che l'Aeegsi sta
promuovendo “facendo un po' di salti mortali”, anche sulla scia degli interventi del legislatore. Tutto ciò
“non perché grande è bello” ma perché con la logica industriale si perseguono finalità di tutela degli
utenti: recupero di efficienze, bancabilità degli investimenti, miglior qualità del servizio sono infatti i
risultati delle economie di scala derivanti dall'aggregazione. Pensando ancora ai benefici per gli utenti,
ben vengano anche le reti d'impresa che, con approccio pragmatico, vanno considerate “meglio di
niente” anche da chi caldeggia le fusioni societarie. Anche perché, per Bortoni, il servizio idrico è
“inevitabilmente legato al territorio” per le sue specificità, motivo per cui la tariffa nazionale non è
proprio dietro l'angolo. L'Autorità cerca però la maggiore omogeneità possibile a livello nazionale,
perché “non è corretto che ci siano discriminazioni nell'erogazione del servizio tra un territorio e l'altro”.
L'azione della regolazione agisce anche come un processo di “selezione darwiniana”, inducendo certi
gestori ad “emanciparsi” e spingendo il settore alla modernizzazione. Settore che abbisogna di
“un'iniezione di saggezza”, di un'opera di “coesione e solidarietà nazionale” – da effettuarsi con
strumenti più moderni – come fu quella della nazionalizzazione dell'energia elettrica nel 1962.
A concludere il dibattito l'intervento di Mario Rosario Mazzola , docente ed esperto della
Presidenza del Consiglio dei ministri, d'accordo sulla necessità di un afflato nazionale – talvolta, nella
storia italiana, dimostratosi difficile senza l'intervento statale, come testimonia l'esperienza del settore
elettrico – in direzione di una modernizzazione del settore idrico. Auspicando una regolazione “sempre
più incisiva”, Mazzola ha messo in evidenza il pericolo di una sentenza negativa del Consiglio di Stato
sul metodo tariffario, che comporterebbe il rischio di dover “ricominciare daccapo”. In generale, esiti che
possano scardinare il lavoro fatto sinora non vanno “forzati” con interventi inopportuni (da qui,
probabilmente, anche la volontà di escludere il servizio idrico dal Testo unico sui servizi pubblici locali
di interesse economico generale). Quanto alla tariffa unica, secondo Mazzola, bisognerà arrivarci per
passaggi intermedi, come la tariffazione regionale o di distretto, allontanando la determinazione del
corrispettivo del servizio dagli interessi locali.
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