Radicati e fondati nella carità 1^ parte

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Radicati e fondati nella carità 1^ parte
RADICATI E FONDATI NELLA CARITA’
per essere sale e lievito
nel mondo di oggi
Relazione di Sembrano
ripresa dal registratore
( 1^ parte)
Le origini del mondo e dell’umanità
Gn 2, 4b – 25
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Nel giorno in cui il Signore Dio fece la terra e il cielo nessun cespuglio campestre
era sulla terra, nessuna erba campestre era spuntata, perché il Signore Dio non aveva fatto
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piovere sulla terra e non c’era uomo che lavorasse il suolo, ma una polla d’acqua sgorgava
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dalla terra e irrigava tutto il suolo. Allora il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del
suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente.
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Poi il Signore Dio piantò un giardino in Eden, a oriente, e vi collocò l’uomo che
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aveva plasmato. Il Signore Dio fece germogliare dal suolo ogni sorta di alberi graditi alla
vista e buoni da mangiare, e l’albero della vita in mezzo al giardino e l’albero della
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conoscenza del bene e del male. Un fiume usciva da Eden per irrigare il giardino, poi di lì
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si divideva e formava quattro corsi. Il primo fiume si chiama Pison: esso scorre attorno a
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tutta la regione di Avìla, dove si trova l’oro e l’oro di quella regione è fino; vi si trova
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pure la resina odorosa e la pietra d’ònice. Il secondo fiume si chiama Ghicon: esso scorre
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attorno a tutta la regione d’Etiopia. Il terzo fiume si chiama Tigri: esso scorre a oriente di
Assur. Il quarto fiume è l’Eufrate.
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Il Signore Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo
custodisse.
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Il Signore Dio diede questo comando all’uomo: «Tu potrai mangiare di tutti gli
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alberi del giardino, ma dell’albero della conoscenza del bene e del male non devi
mangiare, perché, nel giorno in cui tu ne mangerai, certamente dovrai morire».
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E il Signore Dio disse: «Non è bene che l’uomo sia solo: voglio fargli un aiuto che
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gli corrisponda». Allora il Signore Dio plasmò dal suolo ogni sorta di animali selvatici e
tutti gli uccelli del cielo e li condusse all’uomo, per vedere come li avrebbe chiamati: in
qualunque modo l’uomo avesse chiamato ognuno degli esseri viventi, quello doveva essere
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il suo nome. Così l’uomo impose nomi a tutto il bestiame, a tutti gli uccelli del cielo e a
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tutti gli animali selvatici, ma per l’uomo non trovò un aiuto che gli corrispondesse. Allora
il Signore Dio fece scendere un torpore sull’uomo, che si addormentò; gli tolse una delle
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costole e richiuse la carne al suo posto. Il Signore Dio formò con la costola, che aveva
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tolta all’uomo, una donna e la condusse all’uomo. Allora l’uomo disse:
«Questa volta
è osso dalle mie ossa,
carne dalla mia carne.
La si chiamerà donna,
perché dall’uomo è stata tolta».
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Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie, e i due
saranno un’unica carne.
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Ora tutti e due erano nudi, l’uomo e sua moglie, e non provavano vergogna.
Quando la Scrittura è stata sottoposta al metodo storico-critico, ci si è resi conto che il
Pentateuco - l’insieme dei primi cinque libri della Bibbia: Genesi, Esodo, Levitico, Numeri,
Deuteronomio - è stato scritto da vari autori: lo yahwista, l’elohista, il deuteronomista, il
sacerdotale. Scuole o tradizioni diverse, che sono state unite in un solo racconto dal
redattore più recente - quello sacerdotale - probabilmente un sacerdote del tempio di
Gerusalemme, al ritorno dall’esilio (V° sec. a. C. ). Lo stile è popolare, molto colorito; fa
pensare a una saga, a un raccontino dei nostri nonni.
Il redattore yahwista era un sapiente, vissuto nel X° secolo alla corte di Salomone - un re
sapiente, un enciclopedista che si poneva i problemi e si chiedeva “perché?” – un autore
che risponde alla domanda sulla creazione partendo dall’esperienza del Dio che libera,
che toglie dalla schiavitù e apre alla libertà; riflettendo su questi fatti arrivo a capire che il
Liberatore è Colui che ha fatto il cielo e la terra..
La mentalità semitica è diversa dalla nostra, che è influenzata dalla mentalità greca. Noi ci
poniamo subito il problema delle origini. Non così Israele, popolo più interessato a tener
viva la relazione con il Dio che l’aveva fatto uscire dall’Egitto, che al discorso sulla
creazione;. Noi crediamo che il Creatore è anche il Salvatore; per Israele è esattamente
l’opposto. viene prima l’esperienza dell’Esodo e poi la domanda sulla creazione. In
secondo luogo emerge anche la domanda sul problema del male, del peccato, della libertà
dell’uomo.
La vita nel mondo secondo il piano di Dio
Cerchiamo di capire questo racconto che ci aiuta a meditare sulla vita. Cos’è la vita nel
mondo secondo il piano di Dio? Come ha risposto l’uomo alle aspettative di Dio?
Tutti sappiamo che la Bibbia non offre un resoconto scientifico. In questo brano c’è una
descrizione del luogo che Dio ha preparato per l’uomo
Molto diverso questo racconto da quello di Genesi 1, 1 : “In principio Dio creò il cielo e la
terra….”; nel quale dell’uomo si parla alla fine. In Gn 2, 7, invece si parla subito della
creazione dell’uomo: “il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo, soffiò nelle sue
narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente”, mettendo in evidenza che il
mondo è creato per l’uomo.
La sovrabbondanza d’amore di Dio - comunione trinitaria – lo porta a voler comunicare;
per questo crea l’uomo instaurando una relazione con lui. Perché l’uomo viva felice, Dio
crea il mondo , un habitat che gli serva per svilupparsi, per autodeterminarsi.
L’uomo protagonista della vita del mondo
L’uomo, creato a immagine di Dio, è costituito “signore” di tutta la terra. La posizione
dell’uomo nel creato è raccontata con una serie di dettagli – tratti salienti della vita – che,
in qualche modo, pongono le basi del futuro dell’uomo.
 Viene formato dalla polvere della terra: Adam (= uomo) deriva da adamah (= suolo);
troviamo lo stesso richiamo nei termini: homo (= uomo) e humus (= terra): Dalla
polvere della terra, ma contemporaneamente dal soffio divino, divenendo un
“essere vivente”. Simultaneamente: quindi non possiamo dire che il corpo è stato
creato prima dell’anima.
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Gli viene posta accanto una donna; così si indica la relazione dell’uomo con lei.
C’è l’albero della vita e quello della conoscenza del bene e del male.
L’autore yahwista inserendo la creazione di Adamo nel contesto del “paradiso”,
evidenzia un amore vitale dell’uomo per la creazione; aspetto molto “nostro”, proprio
della secolarità: “Nel giorno in cui il Signore Dio fece la terra e il cielo nessun cespuglio
campestre era sulla terra, nessuna erba campestre era spuntata, perché il Signore Dio
non aveva fatto piovere sulla terra e non c’era uomo che lavorasse il suolo…” (Gn 2, 4
- 6).
Tutto quello che Dio fa, lo fa per l’uomo, presentato come protagonista della vita del
mondo; il mondo ha bisogno del lavoro dell’uomo per svilupparsi secondo il progetto di
Dio. Questo anche nell’Eden: l’uomo, infatti doveva “coltivare e custodire” (cfr Gn 2,
15). All’inizio tutto è facile – Eden significa “delizia” e il giardino è recintato come un
parco – ma dopo il peccato la terra diventa faticosa da arare, da coltivare.
Contempliamo il mondo creato per l’uomo, l’amorevolezza con cui Dio fa crescere gli
alberi che ha piantato nel giardino (cfr Gn 2, 9)….tutto per alimentare la relazione
dell’uomo con Dio e con il mondo circostante.
Pensiamo al contributo dei monaci che dissodavano la terra e la coltivavano facendola
diventare “giardino nell’Eden” (Gn 2, 4b-6)
Una provocazione molto forte per noi che viviamo in un tipo di cultura ostile che fa
perdere il contatto con la realtà; in un mondo che mette sempre più ai margini la
Chiesa; un mondo dove non ci si incontra più per costruire la città dell’uomo, ma si
guerreggia e ci si autodistrugge.
L’albero della conoscenza del bene e del male
Nel giardino ci sono l’albero della vita e quello della conoscenza del bene e del male
(Gn 2, 9. 17). Sappiamo che il verbo conoscere nella Bibbia ha un significato non solo
intellettuale, ma anche esperienziale. La conoscenza del cuore, la conoscenza
onnicomprensiva che non esclude alcuna sfera dell’esperienza umana.
Questi due alberi sono stati messa da Dio nel giardino perché l’uomo possa avere la
vita e la conoscenza del bene e del male. “Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del
giardino, ma dell’albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare,
perché nel giorno in cui tu ne mangerai, certamente dovrai morire” (Gn 2, 16 -17).
Questo limite posto da Dio non ci deve sembrare strano perché l’esperienza del limite
è la vera esperienza sapienziale. L’autore è un sapiente che trasmette lo stesso
concetto di educazione che troviamo nel libro dei Proverbi e nel Qoelet: un uomo è
veramente sapiente quando conosce i suoi limiti e non li varca. La garanzia di vita ci è
data proprio dall’albero posto in mezzo al giardino.
Se voglio vivere devo accettare questo limite. Anche se sono passati cento
anni, non ho trovato spiegazione migliore di quella, magistrale, di Franz Julius
Delitzsch: accettare che le cose che Dio ha fatto sono ben fatte.
 Dio ha creato il mondo, e l’uomo con una sete di conoscenza, ma ha fatto in
modo che l’uomo non possa comprendere tutto completamente e in profondità
come Lui lo comprende.
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C’è un ordine, una tensione verso la conoscenza, ma l’uomo ne comprende
solo un frammento; il tutto sfugge all’uomo.
E’ come se questi due alberi in mezzo al giardino emanassero la vita e la
conoscenza.
Contempliamo i due alberi e la regola che Dio ha dato all’uomo, prima del peccato, come –
mi riferisco sempre al Delitzsch - habitus della grazia. La grazia ci permette di vivere la
relazione con Dio e di crescere in questa relazione. I doni della vita e della conoscenza del
bene e del male vengono garantiti dalla presenza dei due alberi; l’uomo non ha bisogno di
toccarli. Come quando ci esponiamo alla benefica luce del sole e stiamo meglio senza
toccare il sole!
Cesare Giraudo, professore di liturgia, è stato missionario in Madagascar. Raccontava che
al centro di ogni villaggio c’è un palo sacro, segno teofanico – come l’albero o la montagna
– che aiuta a mettere l’uomo in relazione con Dio. Quando un abitante del villaggio voleva
entrare in relazione con il Sacro si avvicinava al palo sacro.
Possiamo chiamare i due alberi al centro del giardino nell’Eden, alberi della “relazione con
Dio”. Nel momento in cui l’uomo attenta al frutto rompe la relazione, la berît, l’impegno da
parte di Dio a garantirci la vita e la conoscenza del bene e del male. Se l’uomo rompe il
patto, anche Dio non si considera più obbligato a dargli la vita e la conoscenza del bene e
del male; e la storia prende un’altra strada.
Non abbiamo il tempo di leggere il 3° capitolo del libro della Genesi, certamente tutti
ricordiamo che Dio non abbandona l’uomo, ma continua a prendersi cura di lui. Quando la
nudità diventa imbarazzante perché si è spezzata anche la relazione uomo-donna, Dio fa
delle tuniche di pelle per loro. Dio garantisce la vita e la conoscenza del bene e del male –
“l’uomo è diventato come uno di noi” (Gn 3,22) – però attraverso il male. Ciò che prima
veniva dato come dono gratuito – “gratia gratis data” – l’uomo lo conquista attraverso una
strada che lo fa soffrire, mentre prima era nella gioia.
Continuiamo a guardare la delizia dell’Eden, luogo meraviglioso ricco di abbondanti acque:
un fiume primordiale che si divide addirittura in quattro corsi. (Gn 2, 10 – 14). Molti di noi
abbiamo sicuramente fatto l’esperienza di trovarci in qualche paese arido, come in
Palestina nel periodo estivo: polvere, arsura, desolazione…; l’acqua è indispensabile per
vivere.
Alcuni studiosi affermano che il racconto della Genesi è un racconto mitico, ma secondo
Delitzsch vi si può riconoscere qualche dettaglio di topografia. Ci sono riferimenti
geografici, ovviamente riferiti all’epoca in cui sono stati scritti i libri biblici. Sappiamo che il
Tigri e l’Eufrate si trovano in Mesopotamia, qualche altro fiume starebbe nel Caucaso e
nell’Armenia.
Il ruolo assegnato all’uomo
Dobbiamo correggere l’idea che l’uomo nel paradiso terrestre non facesse nulla; Dio dà
all’uomo un compito molto preciso: imparare a relazionarsi con l’habitat coltivandolo,
altrimenti sarebbe diventato arido e spoglio; la vita dell’uomo era riposante, armonica,
serena, ma non di inattività. Dopo il peccato, il lavoro diventa pesante, a volte passiamo
giornate molto difficili, nel linguaggio popolare sentiamo dire o diciamo: “giornate
d’inferno”.
Il termine ebraico abad (= coltivare) e il termine ebed (= coltivatore, servo) assumono un
duplice significato. Nel momento in cui mi occupo di coltivare la terra (cólere, in latino; da
cui derivano cultura e culto), ottengo implicitamente una relazione con Dio. Il settimo
giorno l’uomo invece di lavorare-coltivare si dedica al culto, invece di essere “servo della
terra” diventa ebed Yhwh = servo del Signore”. Lo shabbat è un giorno di ri-creazione, di
rigenerazione. Qoelet dice che c’è un tempo per ogni cosa (8,6), quindi anche un tempo
per lavorare e un tempo per astenersi dal lavoro. Ma, come scrive l’evangelista Giovanni: il
mondo non ha trattenuto la luce, è diventato ostile(cfr Gv 3, 19-20), si fa guidare dal
“principe del mondo” (cfr Gv 12,31).
Lo stile di vita odierno ha fatto perdere il significato del sabato ebraico/domenica cristiana;
la dimensione di ostilità che c’è nel mondo contro la luce evangelica non deve bloccare il
vostro slancio missionario vissuto con stile secolare, con equilibrio.. Voi avete uno slancio
apostolico proprio della vostra consacrazione che è molto bello, per questo riuscite a
vedere il bene anche tra le pieghe più buie della storia che siete chiamate a vivere.
Ricordiamo che il Signore ci invia “come agnelli tra i lupi” (Mt 10, 16). Le tenebre possono
essere dense e fitte e “i figli delle tenebre sono più scaltri dei figli della luce” (Lc 16, 8).
Qualche esempio? Tolgono dalle agende le feste cristiane, si oppongono ai crocifissi e al
presepe nelle scuole…
Il nostro compito è quello di far amare il volto bello del cristianesimo, il volto bello della
Chiesa. La rivelazione ebraico-cristiana, partendo dal disegno che Dio ha pensato per
l’uomo, arreca del bello alla vita. Siamo in molti impegnati nell’ambito educativo, tutti
comunque, in forme diverse, ci prendiamo cura del prossimo: questa è la coltivazioneeducazione sempre più urgente affinché la “terra di oggi” non diventi ostile.
L’obbedienza
Contempliamo ancora – con l’aiuto di Delitzsch - i due alberi posti in mezzi al giardino di
Eden. Uno serve ad allenare lo spirito dell’uomo con l’esercizio dell’obbedienza alla Parola
di Dio; l’altro a trasformare la sua natura terrena nell’essenza spirituale della vita eterna.
Questi alberi ricevono i nomi dalla loro relazione con l’uomo, dall’effetto che il loro frutto –
mangiato dall’uomo – avrebbe prodotto sulla vita umana. Il frutto dell’albero della vita
conferiva il potere della vita eterna, la vita immortale. L’albero della conoscenza era stato
piantato per condurre l’uomo a conoscere il bene e il male. La conoscenza del bene e del
male non è una semplice esperienza di bene o male, ma un elemento morale, in quanto
sviluppo spirituale attraverso il quale l’uomo, creato a immagine e somiglianza di Dio,
doveva raggiungere la realizzazione di quella natura che era stata già pensata a
somiglianza di Dio. Non sapere ciò che sono il bene e il male è un segno dell’ immaturità
infantile (Dt 1, 39) o dell’imbecillità del peccato. Quanti “imbecilli” conosciamo e quante
volte noi ci comportiamo come tali! Il potere di distinguere il bene e il male è raccomandato
come dono di un re, è sapienza degli angeli e, nel senso più alto, è attribuito a Dio.
L’uomo e la donna
Leggiamo ancora con sguardo di simpatia nei confronti dell’opera di Dio. Nel primo
racconto, la creazione dell’uomo è annunciata con un decreto divino: “facciamo l’uomo a
nostra immagine e somiglianza” (Gn 1, 26); nel secondo racconto è la creazione della
donna che è preceduta da una decisione di Dio: “non è bene che l’uomo sia solo, voglio
fargli un aiuto che gli corrisponda” (Gn 2, 18); letteralmente: “che gli stia di fronte”. Alcuni
traducono: “che gli si contrapponga”. Spesso la contrapposizione dialettica serve a
mettere in evidenza gli aspetti migliori del carattere; quando nella vita incontriamo
difficoltà, raggiungiamo frutti a volte impensati.
Un aiuto – spiega Delitzsch – che quando l’uomo lo vede riconosce se stesso. L’uomo
aveva bisogno di questo aiuto non solo per moltiplicare la discendenza, ma per coltivare e
governare la terra; vale a dire: per vivere pienamente la sua vocazione. E noi consacrati?
Nelle nostre relazioni possiamo contribuire affinché tutti – quante persone incontriamo! –
vivano la vocazione universale dell’uomo.
Prima della creazione della donna, Dio prende “ogni sorta di animali e gli uccelli del cielo”
e, con un certo umorismo, li porta all’uomo per vedere la sua reazione; dà all’uomo
l’opportunità di sviluppare una capacità intellettuale che costituisce la sua superiorità
rispetto al mondo animale. Dopo aver preso coscienza della sua relazione con il mondo
animale, Adamo esprime il suo pensiero – la sua interiorità - con il linguaggio, esercita una
autorità, un potere, una signoria; egli deve imparare a far conoscenza con le creature, a
stabilire una relazione con loro, dà loro i nomi, manifestando di essere il loro “signore”.
Ma non è soddisfatto; non ha trovato negli animali l’aiuto che Dio aveva pensato per lui.
Prima della creazione della donna, l’uomo non è né maschio né androgino –
platonicamente natura maschile e femminile accomunate insieme, entrambe i sessi creati
nel primo individuo – ma è creato come anticipazione del futuro, con la tendenza ad
essere maschio “in potenza”, che si realizza, - passa ad “atto” – quando la donna sta al
suo fianco come antitesi. Infatti Adamo ha una reazione fantastica, uno slancio incredibile:
“ questa volta è carne della mia carne” (Gn 2, 23);la donna è della stessa natura dell’uomo
per questo Adamo trova in lei ciò di cui ha bisogno.
Delitzsch, che scrive cent’anni fa, parla della superiorità dell’uomo sulla donna dovuta al
fatto che è stato creato prima. I rabbini – già nei primi secoli dopo Cristo - affermavano
che la donna non era stata creata dalla “testa di Adamo” perché si sarebbe sentita
superiore all’uomo, e nemmeno dal piede di Adamo perché si sarebbe sentita inferiore a
lui; è stata creata dal fianco – dal centro – dell’uomo per mettere in evidenza la sua
uguaglianza con lui.
Il matrimonio
L’uomo ama la donna come se stesso. La donna è creata per essere compagna e aiuto
dell’uomo. Adamo la chiama ishà – donna, vocabolo strettamente unito a ish- uomo; come
se dicessimo “uoma”.
“Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie, e i due
saranno un’unica carne” (Gn 2, 24). Delitzsch sostiene che queste parole di commento
anticipano l’esperienza della comunione coniugale. Il matrimonio diventa esempio e “tipo”
della comunione d’amore e di vita che esiste fra Cristo e la sua Chiesa (cfr Ef 5,6). Gesù,
interrogato sulla questione del divorzio, si riferirà proprio a questo testo per sottolineare
l’unione indissolubile tra uomo e donna. (cfr Mt 19). Per il popolo d’Israele la monogamia è
la forma di matrimonio ordinata da Dio. C’è tanta sapienza in queste parole e noi
dovremmo presentare le norme della Chiesa con molta umanità e non come macigni che
intralciano e bloccano il cammino.
Delitzsch continua presentando il matrimonio come unità corporea e spirituale, la più
profonda che possa esistere tra uomo e donna. L’unione coniugale è unione spirituale,
comunione vitale di cuore e di corpo, di natura molto diversa dell’unione che c’è tra
genitori e figli. Il matrimonio è una vocazione divina; la relazione sessuale tra un uomo e
una donna puri e santi è una relazione pura e santa, siamo dovuti arrivare al Concilio
Vaticano II per affermare la santità di una mamma, di un papà. Pensiamo alle fatiche, alle
problematiche dei genitori….Il celibato non è uno stato più elevato o più santo; la nostra è
una vita che evidenzia la profezia futura.
Significati del termine “mondo” (oppure: nel mondo, ma non del mondo).
Giovanni usa moltissime volte, con significati diversi, la parola mondo nel Vangelo e nelle
Lettere che scrive alle comunità cristiane. Quasi un continuo martellamento per spiegare
che il Verbo è Colui che dà la luce a tutti (1,9), viene nel mondo che è stato fatto per
mezzo di lui (1,3.10), ma il mondo non lo ha riconosciuto (1,10). Dio ha amato il mondo, ha
inviato suo Figlio perché chi crede il lui abbia la vita eterna (3,16). Dio ha mandato il suo
Figlio nel mondo non per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui
(3, 17). E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno preferito le
tenebre alla luce, perché le loro opere erano malvagie (3,19 ). Il pane di Dio è quello che
scende dal cielo, e dà vita al mondo. (6,33). Io sono venuto nel mondo come luce, affinché
chiunque crede in me non rimanga nelle tenebre (12,46)
C’è una relazione tra il Verbo – la Parola – e il mondo; e, di conseguenza, tra Gesù, i
discepoli, la Chiesa. Nella relazione con il mondo come dimensione spazio- temporale
troviamo lo specifico della vocazione secolare. Accenno solo anche allo spazio vitale,
oikumene” perché così era chiamato il giardino delle origini: oikumene del mondo.
Il teologo Bultmann ha commentato in modo approfondito Giovanni usando alcuni concetti
presi, potrei dire, dallo gnosticismo (il mondo è radicalmente negativo). Per esempio:
l’uomo nel mondo è perduto; il dualismo: luce-tenebre; Dio-mondo; discesa di Gesù dal
cielo; risposta di coloro che sono nella verità….
Giovanni non è uno gnostico, ma presenta una comprensione individuale della relazione
tra Dio e il mondo e tra l’uomo e il mondo. In contrasto con lo gnosticismo, Giovanni non
fornisce una base cosmologica per spiegare come l’uomo e il mondo siano “perduti”. Il
dualismo Dio-mondo non viene riportato a una qualità negativa – innata – del mondo.
Giovanni nutre simpatia per il mondo, a differenza di Paolo che considera il mondo e la
carne radicalmente peccato. Giovanni è ottimista, sa che questo mondo si può salvare,
perché se Dio non avesse avuto questa speranza non avrebbe mandato il Figlio nel
mondo. Infatti ci sono coloro che escono dal mondo – non perché il mondo sia negativo in
sé, ma per la conseguenza della colpa dell’uomo - e diventano discepoli di Gesù (Non si
può parlare di determinismo).
Il cosmo in Giovanni significa mondo umano; il mondo dell’uomo è il tratto più
determinante dell’insieme della creazione ed è per amore di questo mondo che Dio manda
il Figlio (Gv 3, 16), non per giudicarlo, ma per salvarlo: Gesù è l’Agnello che toglie il
peccato del mondo (1, 29).
Il Figlio - venuto nel mondo per portare la salvezza – diventa il giudizio del mondo, in
senso giovanneo di “autogiudizio”. Perché nel momento stesso in cui il mondo è cieco e
non riconosce il Verbo, si condanna da sé.
Il cosmo inteso come mondo-umano è un soggetto uniforme che si oppone a Dio, in
inimicizia con Dio, oppone resistenza all’opera redentiva del Figlio, non crede in Lui, arriva
ad odiarlo. Un odio pilotato dal principe di questo mondo, dal malvagio.
Con immensa tristezza Giovanni ci fa contemplare Gesù che sente il peso dell’odio dei
giudei. E’ come se, attraverso le sue parole, ci trasmettesse qualcosa di fisico; egli ci fa
vedere gli scontri violentissimi che c’erano già – Giovanni scrive molto tardi – tra i capi dei
giudei e i cristiani considerati eretici. C’è differenza con il Vangelo di Luca, in cui emerge
che alcuni farisei erano amici di Gesù.
Il Redentore del mondo ri-genera gli uomini nati da Dio e dallo Spirito. Gesù è
consapevole delle difficoltà, degli ostacoli, degli intrighi, e dobbiamo esserlo anche noi.
“Nel mondo avete tribolazioni” (Gv 16, 33). Il Figlio però rimane il vincitore del mondo: “non
abbiate paura, io ho vinto il mondo” (ivi). Il passato del verbo sottolinea che gli effetti di
quella vittoria continuano a durare anche oggi, e ci saranno sino alla fine del mondo. Ne
deriva un’apertura di speranza straordinaria per tutti noi. La ragione del nostro impegno
secolare è che Gesù ci coinvolge nella sua vittoria, in lui abbiamo già vinto
I credenti non sono condizionati dal mondo ma vivono nel mondo. La grande preghiera
sacerdotale di Gesù (Gv 17) insiste continuamente su questo concetto: “non ti chiedo di
toglierli dal mondo ma di custodirli dal maligno”. Possiamo stare nel mondo e dimostrare
che cosa significa vivere non più secondo i 613 precetti dei giudei, ma secondo il
comandamento nuovo: “amatevi gli uni gli altri come io vi ho amato “ (Gv 13, 34) Lo
possiamo fare perché apparteniamo a una nuova comunità, una “cosa nuova” dice Luca
negli Atti (17,19; 19,9.23).
La secolarità consacrata è una bella sfida nel mondo e per il mondo. Esige di adottare uno
stile veramente integro, i mezzi e i metodi giusti, un grande l’equilibrio per fare una cosa
un po’ “pazza”, altrimenti ci consegniamo nelle mani del nemico; chi ama il mondo e si
abbandona al mondo non può partecipare all’Amore di Dio, non può amare come chiede il
Maestro. .
La Chiesa stessa deve imparare a liberarsi dal potere di seduzione del mondo; come Dio
ha mandato il suo amore al mondo attraverso il Figlio, così la comunità cristiana –
impegno secolare – è inviata al mondo dal Figlio per custodire la sua Parola e il suo
messaggio.
Per questo è indispensabile “rimanere in lui”. “Rimanete nel mio amore” (Gv 15,9) sarà il
tema del prossimo incontro.