Ancora sul burqa e non solo

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Ancora sul burqa e non solo
14
marzo2002
RIFLESSIONI
LESCHEDEDIGREENPEACE
Ancora sul burqa
e non solo
La vita
non si brevetta!
Un po’ di storia dell’indumento delle donne Afghane
I primi piani fotografici e televisivi mi fanno rilevare, dello
storico indumento, lo stato di
conservazione, specialmente
per quanto concerne i ricami
che alla mia antica esperienza
femminile sembrano proprio
fatti a macchina. Come evidentemente è fatto a macchina il plissé che partendo dalla
testa dà ampiezza a tutto
l’abito. Le immagini in campo
lungo di donne che camminano, offrono in ogni caso
l’immagine della morbidezza
della seta. Qualche volta il solito color cenere è sostituito
da un grigio violaceo, da un
azzurro-cielo, da un giallo pallido o perfino da una tenue
sfumatura di topazio bruciato.
Il burqa, in origine, era l’abito
da cerimonia delle aristocratiche tagike. In seguito fu
adottato dalle musulmane più
o meno osservanti delle varie
altre etnie che vivevano in Afghanistan. E si trattava sempre di donne appartenenti ai
ceti più abbienti. A quel tempo - era la prima metà del
secolo scorso - c’era l’occupazione inglese e quel governo
aveva, almeno formalmente,
l’ottima abitudine di non
immischiarsi troppo delle
abitudini locali.
Invece gli occupanti russi che
sostituirono quelli inglesi,
avevano idee e prassi molto
diverse. Non solo una certa
loro nebulosa idea di uguaglianza, ma la loro insofferenza per qualsiasi tipo di
religiosità li portò a favorire
pagina precedente
una certa libertà di studio e di
lavoro per le donne, il che
comportò la libertà di buttare
il burqa alle ortiche. Magari
regalandolo o rivendendolo
per poco.
Le giovani dei ceti meno
abbienti che lavorando si
trovarono ad avere qualche
soldino in tasca si fecero un
dovere (e la cosa accade a
qual s i as i l at itu d in e ) d i
GRAFFI
Onorevole signor
Ministro Maroni
dottor Bobo…
Onorevole signor Ministro Maroni dottor Bobo, come vede
non ometto alcuno dei titoli dovutiLe. Però mi consenta
(come dice il Suo Capo) di farLe rispettosamente osservare
che il buon gusto insegnatomi nella mia lontana, molto lontana gioventù mi rende alquanto difficile coniugare tali titoli
col diminutivo infantile del Suo prenome e con la Sua barba
trascurata (si chiama così, vero?) quale ora costuma.
Debbo aggiungere un’altra osservazione.
È ben lungi da me la pessima intenzione di trattarLa come un
ragazzino che dice più bugie di Pinocchio. Però mi corre
l’obbligo di rettificare l’inesattezza di una Sua affermazione:
quella che attribuisce all’Inps l’intenzione di mettere in
difficoltà i pensionati più anziani e nullatenenti - ed io sono
fra quelli - in maniera che nelle more tirino la calzetta. E pace
all’anima loro.
Io penso invece che l’Inps - povero ente! - leghi l’asino dove
vuole non so qual padrone. Comunque quando questa lettera
sarà stampata io avrò compiuto ottantacinque anni e saranno
già stati inoltrati tutti i documenti, comprovanti il mio diritto
all’aumento dell’assegno. Fisicamente sono già alquanto
malandata, ma godo ancora di una eccezionale capacità
d’intendere e di volere. Perciò La ringrazio fin d’ora di un
piccolo aumentarsi degli arretrati, che spero mi permettano
di acquistare un bastone più robusto ed un nuovo paio di
scarpe ortopediche.
Sua non troppo devota
correre a procurarsi abiti così
belli, ormai a buon mercato.
Ma, ahimè, arrivarono i talebani, nati e cresciuti nel
fragore delle armi, affamati,
analfabeti, fanatizzati dall’interpretazione folle di una
rispettabilissima religione.
Alle donne fu vietato di guadagnare, di leggere e scrivere, di uscire se non accompagnate da un uomo o in
gruppo, e fu loro imposto
quell’abito che avrebbe dovuto essere una sciccheria
ma che si trasformò in una
bara.
U n a b a r a in c u i v e n iv a
rinchiusa una povera bestiola
da fatica e da riproduzione.
Oggi, almeno nella capitale,
tale schiavitù è abolita. Non si
sa quel che succede, non dico
nelle zone remote, ma a pochi
passi dalla città. Però se in
quest’ultima le donne tornano
a scuola, le giovanissime per
imparare, le più mature per
insegnare, solo fra le “loro”
quattro mura osano scoprire
il volto. Per strada, no, non si
fidano ad abbandonare il
vecchio burqa, e fanno benissimo...
Neanche io, nei loro panni, mi
fiderei. Come non mi fido di
quelle anime belle occidentali
che vociferano tanto di “libertà”, ma intendono soltanto
“petrolio”.
Bastiana Contraria
Mila Spini
Che cosa è un brevetto? È un documento attestante
l’attribuzione del diritto esclusivo di godimento e di sfruttamento
economico di una invenzione o di un marchio. A livello europeo tali
brevetti vengono rilasciati dall’Ufficio Europeo Brevetti (Epo), con
sede a Monaco (Germania).
La richiesta di brevetti per vegetali ed animali ha subito
un’accelerazione negli ultimi anni con l’introduzione sul mercato di
piante transgeniche e di organismi misti, quali il maiale, utilizzato
come serbatoio di organi da trapiantare su esseri umani. Ad oggi
sono state presentate all’Epo più di 15.000 richieste di brevetti nel
campo dell’ingegneria genetica, oltre 2.000 richieste di brevetti sui
geni umani, di cui circa 300 già concesse prima del 1998.
I sostenitori della brevettabilità degli organismi viventi affermano
che in questo modo si consente al mondo scientifico ed industriale
di accedere ad informazioni importanti da utilizzare per migliorare il
benessere umano. In realtà, le cose stanno diversamente. Secondo
una ricerca commissionata dal quotidiano britannico “The
Guardian”, sono circa 127.000 i geni umani o sequenze parziali di
geni umani brevettati da aziende farmaceutiche, aziende
biotecnologiche, istituti di ricerca privati ed università.
Un’azienda francese, la Genset, detiene circa il 29% del totale dei
brevetti di geni umani, possedendone oltre 36.000; l’azienda
statunitense Myriad Genetics, che detiene i diritti di proprietà
intellettuale di due geni mutanti, considerati indicatori della
predisposizione al tumore alle ovaie ed alle mammelle, ha inviato
lettere di diffida a molti laboratori di ricerca chiedendo di
interrompere l’uso diagnostico dei due geni in assenza del
pagamento dei diritti brevettuali: l’Istituto Curie, centro francese di
diagnostica e cura di fama mondiale, ha presentato ricorso all’Epo
contro il brevetto della Myriad Genetics insieme ad altri 17
laboratori francesi di ricerca genetica. Anche Greenpeace ha
presentato un proprio ricorso all’Epo per il brevetto della Myriad
Genetics sul gene del cancro al seno e il 22 febbraio 2002 alcuni
attivisti della nostra Associazione si sono arrampicati sull’edificio
dell’Ufficio Europeo dei Brevetti a Monaco, per collocare uno
striscione con scritto “Non toccate i miei geni”. Il ricorso è stato
sostenuto da un vasto schieramento, fra cui Europa Donna
(un’associazione europea di pazienti affette da tumore al seno),
l’Associazione Tedesca dei Medici, la Società Europea di Genetica
Umana e la Lega Svizzera sul Cancro.
Greenpeace offre lavoro
Greenpeace sta programmando la campagna associativa per il
2002. Si cercano persone motivate per lavorare in team con il ruolo
di Team Leader e di Dialogatore. Per il lavoro di Team Leader è
richiesta la capacità di gestione e coordinamento. Entrambi i lavori
si svolgono nelle maggiori piazze Italiane (full time /part time) per
un mese o più. Sono previste giornate di formazione e possibilità di
sviluppo professionale. Per ulteriori informazioni sulle mansioni e le
condizioni retributive vedi prima . All’interno del sito clicca
:jobs@greenpeace o tel: 0657299907. Inserisci la sigla Ref F 03 sulla
e-mail che ci invierai.
Greenpeace c/o Circolo Sms S.Quirico
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